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L'Unione Sarda
domenica 24 febbraio 2002,pagina
6
Le
proposte dei geologi sardi che si preparano al convegno
regionale su “Risorse e territorio”
«Sfruttiamo
l’acqua del sottosuolo»
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La
grande sete si può combattere con un sistema di pozzi |
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S’inizia
dall’esperienza: quanti sardi hanno nel podere o nel
giardino un pozzo? Ben 90.000, e due quinti si trovano nel
cagliaritano. Sono tanti per il semplice motivo che quando
l’acqua degli invasi manca, ciascuno attinge al pozzo di
casa, privato e abusivo. L’acqua sotterranea esiste
eccome, la usiamo di continuo, creando un fenomeno tipo
“pozzo selvaggio” che impoverisce le falde sotterranee
e causando un piccolo grande disastro, l’immissione di
acqua salina.
D’altra parte in Sardegna abbiamo una grande capacità i
di invasare acqua (ossia raccoglierla nei bacini
esistenti), 2235 milioni di metri cubi. Le dighe e i
bacini si servono per la corrente elettrica e per i campi,
soprattutto. Eppure nel Mediterraneo, piove sempre meno:
nell’isola quando va bene gli invasi artificiali (Enel
compresa) raggiungono 800 milioni di metri cubi, ridotti,
nei tre anni siccitosi a 400, fino agli spaventosi 200
dell’agosto 1999.
Costruendo nuove dighe, risolveremo l’emergenza? Anche
un bambino direbbe di no. Già nel 1995, l’Ordine
regionale dei Geologi, in merito alle risorse idriche, così
si esprimeva: «La risposta dell’Amministrazione
pubblica all’atavico problema della siccità, è stata
l’istituzione di due enti, l’Eaf e l’Esaf, di una
moltitudine di consorzi e la predisposizione di vari piani
degli acquedotti e di un Piano acque. (...) Tale risposta,
è da ritenere abbastanza adeguata per la gestione delle
acque superficiali, e assolutamente carente per quella
delle acque sotterranee (...)Detto piano si è dimostrato
piuttosto carente, in quanto basato su coefficenti di
deflusso e afflussi meteorici oggi invalidati da
ricorrenti periodi di siccità. Le attuali (siamo nel 1995
n.d.r.) ristrettezze idriche lo dimostrano in maniera
drammatica. In più, basandosi su uno studio
dell’Università di Sassari, riguardante i principali
acquiferi sotterranei sardi, il piano ha sottovalutato
questa importante risorsa, destinandola al soddisfacimento
di fabbisogni minori a carattere locale».
Fino a quando continuerà il ritardo della pubblica
amministrazione nella gestione e tutela delle georisorse?
Se lo chiede (a proposito di Piano Dighe piuttosto che
Piano d’Acque), nel sottotitolo a “Risorse e
Territorio”, sempre l’Ordine dei Geologi, per il
convegno regionale di quest’anno. A Oristano il 2 marzo,
nella sede dell’amministrazione provinciale di via
Mattei, un giorno per rinnovare al Presidente della
Regione, le proposte di gestione delle risorse idriche,
avanzate ieri nell’aula di Scienze della Terra a
Cagliari.
Prima, una circolare che pretenda per ciascuno dei 90.000
pozzi (uso domestico compreso), una relazione con prova di
portata a gradini, firmata dal tecnico abilitato, e
un’altra con le caratteristiche idrogeologiche del
giacimento acquifero e stratigrafia del pozzo, a firma del
geologo. Seconda, circolare che stabilisca le fasce di
tutela delle principali sorgenti sarde; e attivi la
Forestale e le altre forze pubbliche per intervenire sulle
perforazioni non autorizzate. In più, è necessaria una
diffida alle imprese di perforazione, iscritte alle Camere
di Commercio, a eseguire sondaggi senza regolare
autorizzazione. Terza, lo studio delle acque sotterranee
per individuare le risorse a cui attingere con corretti
criteri idrogeologici. Quarta, rafforzare l’organico dei
quattro uffici del Genio Civile con l’assunzione
immediata di tre geologi per ufficio; con il compito di
tenere e aggiornare l’archivio cartografico ed
informatico delle acque sotterranee. Quinta, rafforzare
l’organico dell’Esaf con quattro uffici geologici, uno
per provincia (anche se l’acqua se ne infischia delle
spartizioni amministrative). Sesta ed ultima proposta, che
i Comuni con acquedotti a forte tasso di perdite,
istituiscano uffici geologici per un catasto dei pozzi
esistenti, così da individuare i substrati geologici
idonei alla posa delle condotte.
Uno sfruttamento razionale delle risorse idriche
sotterranee sarebbe conveniente anche sotto il profilo dei
costi. Ad esempio per quanto riguarda Cagliari, un
dissalatore costa 70 miliardi, 20 pozzi d’acqua
potabile, 500 milioni (centomila a metrolineare, 1 pozzo
da venti metri costa 20 milioni, 20 pozzi da 20 metri
costano 400 milioni, si ragiona in lire). C’è anche
convenienza dal punto di vista della realizzazione. Per
costruire un dissalatore di vogliono tre anni, per scavare
una sistema coordinato di pozzi da sfruttare per uso
potabile bastano pochi mesi.
Ci sono anche altre possibilità e altri progetti per
utilizzare le risorse del sottosuolo da integrare con le
acque di superficie. Chi di dovere, se vuol vedere, come a
poker, deve rilanciare. Al buio, non c’è niente.
Monica Perozzi
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