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L'Unione Sarda

domenica 05 giugno 2002, pagina 23

La storia.
La protesta del celebre archeologo contro gli scavi dei carabinieri a S. Bartolomeo
«In quel colle c’è la nostra storia»
Il professor Atzeni: Capo Sant’Elia è una miniera d’oro

Il professor Enrico Atzeni ha cambiato casa. Da San Benedetto, piazza, mercato, artigiani e botteghe, ha comprato a Sant’Elia, cuore del quartiere-ghetto, palazzoni e tunnel, giardini bruciati. Però è vicino al colle. E tutte le mattine, quando da viale Sant’Elia scende verso viale Poetto, alla nuova rotatoria rallenta la macchina, guarda il colle, cavità e ruspe, sospira, scuote la testa e arriva nel suo laboratorio alla Cittadella dei Musei ogni giorno più perplesso. Allora il professore scosta la sedia, si siede alla scrivania di legno scuro, a destra uno scaffale di tesi universitarie, la vasca di ceramica bianca per lavare pietra e argilla dalla terra degli scavi, i libri protetti dal vetro smerigliato di grandi librerie, e guarda una fotografia in bianco e nero del Poetto che fu. Ne ha fatto una gigantografia, il professore, e l’ha appesa a una parete del laboratorio, a sinistra della sua scrivania. Ci sono i casotti e il filobus, un bambino corre sulla sabbia, e la Sella del Diavolo che domina la baia. «Erano gli anni Cinquanta», dice. E negli anni Cinquanta il professor Enrico Atzeni, ordinario di Antichità Sarde, direttore sino a un paio di anni fa del Dipartimento di Scienze archeologiche e storico-artistiche dell’Università, era un giovane studente a qualche esame dalla laurea. Già studiava la grotta di San Bartolomeo, e Sant’Elia, Marina Piccola, il Bagno Penale: la Cagliari della preistoria. «Perché la grotta, scavata alla fine del secolo scorso, resta uno dei principali riferimenti archeologici per uno studio obiettivo degli avvicendamenti umani preistorici nell’Isola». Così la domus de janas di San Bartolomeo, «grotticella artificiale ubicata a una decina di metri a sud della grotta: la tomba si affacciava sullo sperone settentrionale del monte Sant’Elia prospiciente il quartiere di San Bartolomeo». Oggi quel monte, quel quartiere sono minacciati da un recinto di rete arancione, una ruspa e un escavatore. Signor ministro della Difesa chiarisca e, nel caso, blocchi i lavori, ha scritto un mese fa il senatore Mariano Delogu in un’interrogazione presentata a Palazzo Madama, proprio mentre il professore, una mattina come tante, scendeva da viale Sant’Elia e faceva inversione per arrivare in Cittadella. Un’occhiata al colle, come ogni giorno, e per poco il professore non esce fuori strada. «Ma guardate viale Sant’Elia, il roccioso pendio settentrionale che declina dalla dorsale del colle di Sant’Ignazio, guardate le cavità naturali, guardate la grotta del Bagno Penale: una bellezza da togliere il fiato». Ma le ruspe, proprio lì, tra le tombe e la zona archeologica - preziosissima, una rarità in tutto il bacino del Mediterraneo - che il professore studia da cinquant’anni, stanno spianando un terreno di San Bartolomeo a ridosso della caserma che ospita un battaglione dei carabinieri, a due passi dall’enorme palazzo di mattoni crudi che due anni fa aveva messo in allarme anche gli ambientalisti. Dove le fate avevano scavato le loro case, e i sardi della preistoria sepolto i loro morti, oggi verranno addestrati i cani.
All’interrogazione di Delogu aveva risposto il comandante della caserma Cascino di San Bartolomeo, il colonnello Stefano Ortolani: «Nessun mistero, nessuno scempio paesaggistico: il progetto consiste nello spostamento del recinto della caserma per realizzare un campo, all’interno dell’area di nostra competenza, dove addestrare le unità cinofile». Di più: «Dobbiamo colmare il vuoto lasciato da una vecchia cava e questo può forse aver allarmato chi ha notato le ruspe e i lavori in corso». Insomma, tutto regolare. Ma il professore non ci sta: «Capo Sant’Elia è una miniera d’oro. Per i paletnologi, gli storici, gli antropologi che studiano il promontorio proteso nel mare delle antichissime rotte tra Oriente e Occidente». Per la città: «Quanta ricchezza è nascosta su quel colle, quanti itinerari, tra storia e natura, possiamo offrire ai turisti». E invece il colle è diviso tra i militari e i vandali, «stellette e immondezza». Dimenticato. «Ma sotto gli sterpi, e la terra indurita dal sole, è nascosta la nostra memoria».

Francesca Figus