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L'Unione Sarda

martedì 2 settembre 2002, pagina 45

L’oro del Pellicano a Capo Marargiu

Sul promontorio dedicato al dio Mercurio non poteva mancare una delle sale sommerse più belle del Mediterraneo. Incastonata di “gemme” azzurre, rosa e verdastri. Un cromatismo valorizzato dai riflessi della luce ed esaltato dal giallo metallo dell’oro.
La Grotta dei Pellicani, resta una vera rarità. Si trova a nord di Capo Marrargiu, il promontorio bosano di origine vulcanica che gli antichi fenici e romani avevano dedicato al dio protettore dei naviganti (Ermaeum akron). «La particolarità di queste cavità marine è data dal fatto che sono costituite da “andesite”, una roccia di origine vulcanica, del periodo terziario 25-30 milioni di anni fa», spiega Vincenzo Piras, speleologo sub di Bosa, che nel 1985 scoprì e battezzò la grotta. «L’andesite contiene una grande quantità di minerale compreso l’oro presente in certe zone anche con 130 grammi ogni tonnellata di pirite». E così è probabile che gli antichi navigatori conoscessero e sfruttassero molto bene la presenza dell’oro. «Vero. È stato anche azzardato che l’oro di Tharros in parte arrivasse proprio da questi giacimenti». Una cosa è certa, in nessun’altra parte della costa sarda e mediterranea esistono grotte sommerse costituite da questa pietra.
«Queste cavità nascono dalla forza meccanica delle onde che vanno a infrangersi sulla parete di andesite, creano crolli e allargamenti sulla compagine rocciosa», continua Vincenzo Piras. La Grotta dei Pellicani, dopo la sua scoperta, come tutte le grotte dell’area di Capo Marrargiu, è stata rilevate e censite da Piras e Anna Maria Ruggiu, in collaborazione con il Centro speleologico Bosano. «Grotta del Pellicano deriva dall’antico nome del gruppo di cui ero presidente, il Centro subacqueo Pellicano del Cimone», spiega Piras, oggi titolare del Bosa Diving Center.
«Ancora, la particolarità di queste grotte è che a differenza di quelle di Capo Caccia, queste non si sono originate sul calcare. Quelle algheresi sono nate in prevalenza dalla corrosione causata dalle acque piovane, cariche di acidità che ha sciolto il carbonato di calcio. Mentre le grotte di Capo Marrargiu, nascono dall’azione meccanica del moto ondoso».
E dunque inizia l’avventura: si parte dall’insolito quanto comodo diving galleggiante alla foce del fiume Temo, una struttura funzionale, unica nel suo genere, realizzata su una piattaforma galleggiante di 144 metri quadri. Dopo aver attraversato la foce, il grosso gommone carico di sub percorre la costa incontaminata del litorale e così si raggiunge il promontorio di Capo Marrargiu. L’ormeggio è nell’avangrotta e ogni sub si ritrova ben attrezzato di potenti fari. Tutti in acqua, si entra in fila indiana, dentro la montagna: l’ingresso è nella grande frattura, larga circa due metri. Un percorso molto sinuoso ma privo di pericoli. Avvolti da un’acqua incredibilmente cristallo, senza sospensione, e con una visibilità esagerata, tutto intorno si vede, illuminata dai fari, la dura roccia andesitica levigata dalla forza delle onde. I cromatismi sono vere meraviglie: sfumature viola e rosse, verdi e rosa. «Il pavimento presenta ancora una grossa vena di calcopirite, che ha il colore dell’oro. In realtà si tratta di un metallo che può essere confuso con l’oro», spiega ancora Piras. Le fratture della cavità sono create nella compagine rocciosa più debole proprio in concomitanza delle vene del minerale. Nella parte terminale del percorso, il gruppo dei sub trova una grossa colata calcitica che crea stalattiti e una colata di calcite bianco latte. Un’emozione mai provata. La grotta al suo interno presenta nella parte emersa, delle cascate di calcite (e in questo assomiglia alle grotte calcaree) dovute alla presenza di acqua che scorre all’interno della frattura e deposita il carbonato di calcio con formazioni di stalattiti e stalagmiti. Nulla di tutto questo esiste da altre parti, cavità marine vulcaniche dove sono presenti queste manifestazioni, comuni invece nelle grotte di origine calcare. Poco più avanti la grotta poi si divide in due rami, quello subacqueo, lungo circa 80 metri e profondo 11, in una parte immersa ci sono delle stalattiti. Terminato il lungo budello si entra nel salone, una bolla dentro il cuore della montagna, alta circa 50 metri interamente concrezionata. È uno spettacolo. Il carbonato di calcio si è sciolto con altri minerali e offre tonalità bizzarre: verdastre rossicce, rosate e azzurrognole. Ma non solo, lo spettacolo continua: sul pavimento si è creato una sorte di lago in un salone che si solleva sul livello del mare di 10-15 metri mentre alla base ci sono i “pisoliti”, splendide concrezioni rotonde, sfere di calcare. Perle rosate. E poi una magnifica colata di carbonato di calcio alta oltre 30 metri con una base di 80 centimetri che precipita nell’acqua del laghetto con una forma che ricorda le canne di un organo. L’immersione purtroppo è finita, a malincuore si deve lasciare questo spettacolo meraviglioso. Ma prima di andare via un ultimo regalo, il percorso a ritroso è mozzafiato per la presenza dei mille riflessi. La luce del sole completa l’opera millenaria della natura.

Roberto Ripa