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La storia

 
"Il quadro Geo-Economico"  
   

di Carlo Luigi Abbenda

Notizie storiche della regione Pontina  

L'ampia regione a sud-est del  cosiddetto ”Latium Vetus”, compresa tra i monti Lepini e Ausoni e il mare, non ha goduto di grande rinomanza ecologica anzi nel corso dei secoli passati una fama piuttosto sinistra ha qualificato tale sito geografico quale “terra di paludi, malsana e malarica, spopolata e pericolosa”.

 

Nel periodo fascista , proprio al momento dei lavori di bonifica, questa insalubre situazione paesaggistica fu particolarmente sottolineata per far ben risaltare la prosperità dei tempi e le capacità progettuali e realizzatrici del neo regime , accentuando il contrasto tra il passato ( impero romano) e il presente ( regime fascista, “neo imperiale”) .

Naturalmente in tale quadro, non , non tutto il giudizio negativo era derivante dalla solo ideologia fascista: le condizioni della regione Pontina, soprattutto a partire dalla fine dell'antichità e per tutto il medio evo, erano notevolmente peggiorate, ed i giudizi espressi erano comprensibilmente veritieri anche se non bisognava generalizzarli a tutto il territorio. Infatti la negatività dei giudizi corrispondeva perlopiù, ad una attenta analisi, soltanto a una parte di tale regione.

 

Se andiamo a raccogliere le testimonianze scritte su tale argomento possiamo riscontrare in effetti un costante e duraturo giudizio: tutti gli  scrittori antichi sono stati sempre concordi nell'affermare che, nella fase arcaica della storia romana, la regione, lungi dal presentarsi come povera e malarica, sia apparsa in ben altre condizioni di sviluppo e di stato ecologico. Anzi , contrariamente a certe cata= strofiche affermazioni, la nostra regione appariva quasi una sorta di Eldorado ( un vero e proprio paradiso di ricchezze ), un granaio inesauribile abitato da una numerosa popolazione.

Tale popolo appariva infatti come una razza tenace e bellicosa che del resto avrebbe dato molto filo da torcere ai Romani e ai loro alleati Latini prima di venire definitivamente annessa.

 

Lo stesso Livio   ( “Annales”  o  “Ab urbe condita “ -  VI ,12), nel corso della narrazione delle guerre contro i Volsci ( conflitti senza fine,  incessantemente rinnovati per lo strenuo valore degli avversari, mai domi ), per essere il più oggettivo possibile e per approfondire la ricerca sociologica, sente il bisogno di interrogarsi sull'origine di questa ricchezza in uomini e mezzi, così contrastante con la situazione dell'epoca sua:

 

 “ Sono sicuro che ai miei lettori, a parte la sazietà derivante dalla ripetizione continua delle guerre con i Volsci, che ho narrato ormai in tanti libri, si sarà presentato il problema che è parso anche a me quasi incredibile, leggendo gli autori più vicini agli avvenimenti: da dove avranno preso tutti quei soldati gli Equi e i Volsci, dopo tante sconfitte?  Si deve pensare [ ... ] che una innumerevole moltitudine di uomini vivesse in quel luoghi, che ora non sono del tutto deserti solo perché abitati da numerosi schiavi del Romani, mentre resta pochissima gente adatta alla leva.  Comunque, tutti gli storici sono d'accordo nel riconoscere che [ ... ]  l'esercito dei Volsci era immenso.  Si aggiungano i Latini, gli Ernici, un certo numero di abitanti del Circeo, e i coloni Romani di Velitrae ».  

 

È particolarmente interessante affiancare a questo testo la descrizione che uno storico francese, il La Blanchère, diede della situazione alla fine del secolo scorso:

 

« In ottobre, nell'Appennino, si sente che la neve è prossima.  Nella pianura Pontina, le piogge di novembre stanno per ridar vita alla natura inaridita e fanno un po' diminuire la febbre. in questa fase di intermezzo, la macchia terracinese si va popolando.  Dall'Appennino romano, dagli Abruzzi [ ... ] una folla di persone viene ad abitarvi. [ ... ] Nell'immensa foresta Pontina ognuno ritrova la sua « lestra » , cioè una capanna costruita da lui o da quelli che Io hanno preceduto: spesso un antenato, perché le famiglie si sono perpetuate a volte per secoli in alcune di esse.  Una staccionata rinchiude gli animali; una capanna a forma di arnia le persone.  Per conto suo o di un altro, l'occupante pratica uno o parecchi dei mille mestieri della macchia: pastore, vaccaro, porcaio più spesso, talvoita boscaiolo, sempre bracconiere e vagabonda; utilizzando senza scrupoli la macchia come un selvaggio utilizza la foresta vergine, egli vive, e con la sua attività fornisce un reddito ai padrone del terreno, e al suo, che gli ha affidato le bestie, quando queste non gli appartengono.  Così passano sette mesi.  Arriva giugno, le paludi si asciugano, gli stagni della foresta anche, i bambini tremano dalla febbre, le notizie dal paese sono buone.  Per quindici giorni le strade sono coperte di persone che ritornano alle montagne.  [ ... ] La grande industria pastorale, che insieme alla piccola fa la ricchezza dell'italia centrale, popola nello stesso periodo le montagne. [ ... ]  I Lepini, soprattutto nel versante sud, il Circeo, la cintura della valle, cime in tutto o in parte boscose, si popolano come per magia.  

 

Una folla di vaccari, caprai, pecorai vengono a costruirvi o a ricostruirvi le loro capanne.  Per più di sei mesi la montagna risuona del campanacci, dei pifferi, dell'abbaiar dei cani.

[ ... ] L'agricoltura terracinese attira ancora molte persone: la grande impresa agricola cioè, tipica soprattutto delle paludi Pontine.  Le tenute sono molto vaste, e i mercanti di campagna, gestendone più d'una, ampliano ancora il volume dei loro affari.  Siccome qui non abita nessuno, bisogna cercare altrove le braccia: è di nuovo la Ciociaria, sono le montagne napoletane che forniscono Il necessario.  Dalle zone di Sora, di Isernia, dell'Aquila, guidati dai loro « caporali ., i lavoratori arrivano in bande di uomini e di donne. [... ] Per più di metà dell'anno Terracina è sommersa dalla folla dalla gente venuta da fuori.  Uno straniero, vedendo la domenica 1'uscita della grande messa, si domanderebbe dove sono gli abitanti del luogo.  Tutti i costumi si mescolano: l'indigeno con il cappotto romano, sempre foderato di tessuto verde, l'aquilano dal mantello blu, l'abruzzese avvolto nella sua mantella color terra; quasi tutti calzano le « ciocie »  a grosse corregge.  Quanto alle donne, la varietà dei costumi arriva almeno a cinquanta ”-. 

[ Marie René DE LA BLANCHERE  “ Essai d’histoire locale “ – 1883]

 

L'economia della palude Pontina ,  se vogliamo confrontarla con quella del                  " Latium Vetus “ , essa sì  piuttosto misera,  non era certo un'economia povera.          In effetti essa si adattava,  in modo così mirabile  e più di ogni altra cosa, ad un  sistema di vita arcaico che aveva delle sue particolari esigenze.

Volendo analizzare più da vicino la situazione ambientale della regione possiamo notare che la conformazione geologica della pianura è quanto mai articolata.  

A nord si trovano i terreni vulcanici delle estreme pendici dei Monti Albani, trasportati dalle alluvioni fino a Forum Appii (Borgo Faiti) : questa è sempre stata una zona molto fertile, ben irrigata, adatta nelle parti alte alla coltivazione della vite, più giù alle culture orticole e anche ai cereali.  Molto fertili sono state anche le terre rosse, alle pendici dei monti calcarei del lato orientale, adatte tanto ai seminativi che ai pascoli. Anche l'area centrale, prossima alla palude, è da sempre stata piuttosto fertile.

 

Uniche zone improduttive o quasi sono quelle sabbiose del cordone litoraneo e degli stagni costieri.Tuttavia, tale zona è stata sempre ricca di foreste e molto pescosa.

Si tratta, insomma, di un ambiente particolarmente adatto a uno sfruttamento misto: cereali e ortaggi nella fascia di pianura ai piedi dei rilievi settentrionali e orientale; sulle pendici di questi, la vite e l'olivo (ancora importante rispettivamente a Velletri e a Cori); pascoli estivi per gli ovini sulle montagne, invernali ai piedi di queste; pesca negli stagni costieri, e allevamento del maiale nella foresta (una delle etimologie proposte per “Suessa Pometia”, la città più ricca del territorio pontino in epoca romana, deriva da “sus”, nome latino del   maiale).  La disposizione degli insediamenti lungo i margini del territorio, alle pendici e sulle sommità dei rilievi, coincide molto bene con le aree più fertili della pianura.

 

Per tutti questi rilievi non possiamo stupirci , quindi, che gli annalisti romani avessero molto insistito sulla ricchezza della zona in uomini e in beni, ed avessero ricordato le forniture di grano, da qui provenienti, che più volte avrebbero salvato Roma dalla carestia.

Dallo studio proposto inoltre si ben comprende come la pianura Pontina abbia costituito,fin dal periodo arcaico , la prima area di espansione per Roma e per tutta la lega Latina.

 

La Conquista Romana

La tradizione che ricorda l'occupazione romana fino a Terracina già nel periodo dei Tarquinii, a lungo considerata leggendaria, va assumendo, anche in seguito a recentissime scoperte archeologiche, contorni sempre più verosimili.

Il documento fondamentale è il celebre trattato romano-cartaginese riportato da Polibio  ( III, 2) , che lo vide a Roma, conservato nell'Aerarium.  Secondo l'autore greco su di esso era inciso il nome dei primi consoli della repubblica, e quindi la sua data sarebbe il 509 a.C. vi si leggeva “ I Cartaginesi non molesteranno i cittadini di Ardea, Anzio, Laurento, Circei, Terracina, né di alcun'altra città latina soggetta a Roma, e si terranno lontani dalle città libere: se ne hanno conquistata una, la restituiranno intatta ai Romani. 

 

I Cartaginesi non dovranno costruire fortezze in territorio latino, e se vi entreranno come nemici non dovranno passarvi la notte “. Ouesta cronologia è stata in genere respinta, perché si è ritenuto impossibile che il dominio romano si estendesse fino a Terracina in un'epoca così antica, e si è preferito attribuire il trattato alla metà del IV sec. a.C. Tuttavia, Polibio ricorda esplicitamente l'aspetto molto arcaico dell'iscrizione, che la rendeva difficilmente comprensibile ai Romani del suo tempo (ciò che non si comprenderebbe se il trattato fosse stato di solo due secoli più antico).  Se però si deve escludere una data al IV secolo, automaticamente diviene possibile solo la fine del VI: infatti, nei primi anni del V secolo la discesa dei Volsci tagliò fuori i Romani e i Latini dalla regione Pontina per più di un secolo.  

 

La recente scoperta a Satricum di una dedica in latino, in cui appare il nome di un Publio Valerio (probabilmente da identificare con uno dei primi consoli della repubblica, il celebre Publio Valerio Poplicola), databile agli ultimi anni del VI secolo, dimostra che i Romani potevano ancora accedere liberamente, anzi dedicare monumenti importanti, in una città che tra il 495 e il 491 passà nelle mani dei loro nemici mortali, i Volsci.

  

Diviene così plausibile anche la fondazione di colonie latine già sotto i Tarquinii: Signia, Circei (Livio, I, 56); mentre dell'inizio della repubblica sarebbero Velitrae (494) e Norba (492), oltre a una rifondazione di Signia.

Il fatto che Cora, Circei, Corioli, Norba, Satricum, Setia, Velitrae e probabilmente anche Tarracina , siano presenti nella lista dei popoli latini collegati contro Roma in occasione della battaglia del lago Regillo (Dionigi d'Alicarnasso, V 61, 3) è stato considerato sospetto, e indizio sicuro della falsità della lista.  Altri hanno pensato che essa fosse tratta dal testo del trattato tra Roma e i Latini ( “foedus Cassianum”), firmato nel 493 a. C. e inciso su una colonna di bronzo presso il Comizio.  In tal caso, si avrebbe una conferma non solo dell'esistenza di tutti questi centri all'inizio del V secolo, ma anche della loro appartenenza alla comunità politica dei Latini.In ogni caso, la rifondazione della lega in quell'anno, dopo gli scontri violenti che l'avevano divisa all'inizio del V secolo, è da spiegare con le necessità difensive imposte dal nuovo, pressante pericolo dei Volsci, che portò di lì a poco (486 a.C.) a includere nel patto anche gli Ernici.  

 

Le guerre con i Volsci occupano tutta la storia del V secolo, e dovettero colpire profondamente i Romani: la saga di Coriolano, che si sarebbe cantata ancora all'epoca di Augusto, costituisce la trascrizione mitica e poetica di tali vicende.  Nella realtà, è molto difficile ricostruire la storia, estremamente confusa e intricata, di questo periodo.  Le città della valle Pontina dovettero essere occupate quasi tutte dai Volsci, tranne le munitissime fortezze di Cori e di Norba.  Ai limiti del territorio volsco la lotta dovette svilupparsi intorno a Pometia, Velitrae e Antium.  Caduta ben presto la prima (che sarebbe stata distrutta più volte da!  Romani, 1'ultima delle quali nel 495: e significativamente la città manca nella lista del " foedus Cassianum ", mentre è presente in quella più antica, trasmessaci da Catone), i Romani tentarono di fondare colonie nelle altre (a Velitrae nel 494, ad Antium nel 467): ma il fallimento di questi tentativi risulta da[ fatto che ambedue le città erano certamente volsche ancora nel pieno IV sec. a. C.- La ripresa dell'avanzata romana ,i verifica successivamente all'incendio gallico del 390.

 

Lo stesso Camillo avrebbe sconfitto i Volsci nel 389 a.C. (Livio, VI 2, 13): da allora comincia l'occupazione della regione da parte dei Romani, che trova la sua sanzione definitiva nel 359, con la creazione della tribù Pomptina.  La ribellione latina (341-338), alla quale i Volsci diedero un contributo determinante, fu 1'ultimo, disperato e sfortunato tentativo di capovolgere un rapporto di forze ormai gravemente spostato in favore di Roma.  Significativamente, dopo il 338 riprende la fondazione di colonie, che si era arrestata nel 382; ma ormai si tratta di una politica diretta esclusivamente da Roma.  

Le colonie dedotte nella regione Pontina, dato il carattere costiero della regione, furono esclusivamente colonie di diritto romano, cioè piccoli insediamenti marittimi con soli 300 coloni, destinati sostanzialmente a fini militari e di difesa delle coste, ma forse anche alla tutela dei commerci marittimi, che verso la metà del IV secolo iniziano un nuovo sviluppo, come dimostra la stipulazione, nel 348, di un altro trattato tra Roma e Cartagine.  Unica colonia latina è quella înstallata nel 312 nell'isola di Pontiae (Ponza), forse destinata a proteggere la costa e a garantire le rotte marittime per la Campania.

 

Subito dopo la conclusione della guerra  latina viene fondata Antium (338), seguita molto presto da Tarracina   (329), e con un certo intervallo da Minturnae (295).  Le ultime due, oltre che con funzioni portuali, si spiegano come caposaldi sulla via Appia, tracciata in una data intermedia tra le due fondazioni (312 a.C.): esse dominano infatti due punti strategicamente determinanti della strada: lo sbarramento del Monte S. Angelo e il passaggio del Garigliano, che costituisce (in antico come oggi) il confine della Campania.


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