Con tutta la nostra debolezza

In questi casi si risponde con la resistenza, con la capacità di non cedere, e così via. Ma in questi anni abbiamo saputo inventare nuove forme,nuovi comportamenti, stravolgere le regole della lotta. Non abbiamo abbiamo messo in campo la rappresentanza politica della nostra volontà, ma abbia messo in scena il soggetto reale nella sua incancellabilità.E'la nostra vita che è in gioco, la nostra intelligenza e creatività.La rivoluzione è finita, abbiamo vinto. Lo dice il potere, ma lo diciamo anche noi. Il potere lo dice col ghigno assassino di Cossiga che spara nel mucchio sugli assembramenti di giovani, e col ghigno vendicativo del giudice Pci che nel mucchio cerca coloro che possono essere trasformati in responsabili.IL potere ha vinto perché il territorio istituzionale è unanime,compatto. Noi lo diciamo per un'altra ragione. Il potere ha in mano completamente la politica. Gli sfugge completamente la vita. Ha in mano l'istituzione. Gli sfugge la società. L'autonomia del politico si è cosi realizzata. Ma mentre nei sogni del suo vate avrebbe dovuto essere autonomia della politica dalla lotta di classe e dominio del partito-Stato sulla dinamica sociale, ora rivela di essere, al contrario, autonomia della lotta di classe dalla politica e indipendenza della trasformazione sociale dalle istituzioni. Fino a oggi questa autonomizzazione reale ha potuto essere recuperata da una dialettica apparente dentro l'istituzione, ma oggi questa dialettica apparente è finita. Siamo qui, con tutta la nostra debolezza, ma anche con tutta l'irriducibilità della vita, della dinamica sociale delle forze in liberazione dal rapporto di prestazione salariata. Per la prima volta il potere si trova di fronte un movimento ancora capace di determinare il suo terreno e i suoi tempi, ancora capace di una dimensione di massa. Il tentativo del Pci è quello di costringere il movimento ad assumere la forma della guerra civile. Gli è anche andata bene, nei mesi di aprile e maggio. Ma contemporaneamente ci sono le premesse perché il movimento ridiventi imprevedibile. Viene da Bologna l'intuizione (anche questa volta). Lunedì 16 maggio. La polizia vieta il corteo da piazza Verdi al centro, carica ogni assembramento. Migliaia di compagni in fila indiana, uno dopo l'altro. Non è un corteo, eppure lo è. Non contrappone alla forza la forza, eppure è indistruttibile, se lo rompi in un punto subito si riforma.E'capace di mettere in piazza bisogni e desideri, di riconquistare una possibilità di collettivizzazione in una città cadaverizzata.E'un modo per riprendere il filo della gestualità che libera, un modo di ricomporre il dissenso in proposta, di trasformare la proposta in soggetto che attraversa la classe. Non si tratta di ostentare una forza che non esiste, perché la capacità di trasformazione non sta nella forza ma nella maturità storica di una società che rifiuta la prestazione lavorativa e nell'intelligenza che rende possibile questo rifiuto. Con tutta la nostra rabbia e tutta la nostra intelligenza. Ma anche con tutta la nostra debolezza e con tutta la nostra malinconia.

 

 

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