maggio 1977 Con tutta la nostra debolezza

 Per una strategia del desiderio 

Dobbiamo riflettere su un passaggio importante, una rottura nella storia del movimento. Denunciare il terrorismo di Stato non basta, e non basta neppure comprendere la radice del terrorismo della disperazione. Occorre riflettere su una corrente che ha attraversato il movimento da lungo tempo, che già si era rivelata a Parco Lambro, e che già allora avevamo definito nazi-delirio. Non crediamo nella naturalità di una pulsione di morte: la disperazione è un fatto storicamente determinato, e la pulsione di morte è una forma di investimento paranoico dell'inconscio che il potere produce come produce le condizioni del consenso alla cadaverizzazione istituzionale. È necessario riprendere in mano l'analisi dei processi profondi che nel testo della storia si inscrivono e si scatenano, e che sulla scena della politica vengono ridotti e depotenziati per poter essere avviati all'istituzionalizzazione. Il processo rivoluzionario è, al tempo stesso, il risultato dell'emergenza di un inconscio collettivo rimosso nello scenario politico e represso nel processo di produzione, e il momento di liberazione di flussi libidinali che costituiscono la pratica di deterritorializzazione rispetto al ruolo produttivo e la condizione della collettivizzazione. Il processo rivoluzionario è concatenazione a-significante e non organizzazione razionale di segni significativi.E’l'inconscio che parla nella lotta di classe, così come d'altra parte è la lotta di classe che parla nell'inconscio. Ecco dunque che gli agenti della repressione, rovesciato il luogo politico della rimozione, della contrattualità, debbono agire per portare il soggetto all'autodistruzione, canalizzare i flussi desideranti in flussi autodistruttivi: il terrorismo. Il testo che scrivono le masse in movimento non è, non può essere un testo decifrabile secondo il codice dell'istituito, perchè il testo di una pratica di rottura, di movimento, di dislocazione altrove. Nel processo rivoluzionario si scrive un testo di cui non sono costituite le strutture interpretative; per questo abbiamo parlato di testo de/lirante. Abbiamo riconosciuto la difficoltà di questo problema: per parlare in termini antichi il problema della strategia è la composizione dei flussi desideranti in una direzione che sia quella della liberazione. La politica è riduttiva, restaura la dittatura del Significato di fronte alla trama delirante del desiderio a-significante. Ma la politica è anche impotente, perché deve arrendersi alla restaurazione. Lo stato di cose presente è ipostatizzato nel Significato, l'istituzione è garante della rimozione del flusso desiderante nel momento stesso in cui è garante della continuità della catena del senso. Dunque la politica non tiene in mano la possibilità della strategia, se la intendiamo come composizione dei flussi desideranti in un senso che sia quello della liberazione (vediamo che il termine senso è ambivalente: il senso è la direzione, e la direzione, il luogo verso cui il Significante si muove, è anche l'unico senso possibile). La politica non tiene in mano la strategia, può esserne un'articolazione. E questi mesi pieni di esperienze ci hanno messo di fronte il problema: chi tiene in mano questa direzione, questo (S)enso? Non aver risolto questo problema ci ha portato a un punto morto, forse a una sconfitta. Ora occorre analizzare in che modo il potere si è sostituito al movimento nel fornire un senso alla rivolta. E vediamo allora che il potere ha saputo misurarsi con la curva significante dell'emergenza del soggetto inserendo quella forma di fascinazione (capacità di aggregare e dominare i flussi di inconscio) che è costituita dal terrore. Il terrore è abolizione del soggetto di fronte alla sua potenza distruttiva, e poi abolizione del movimento di fronte alla potenza distruttiva dello Stato. Il terrore crea consenso al potere nella misura in cui mostra la sua intima (fascinosa) potenza, e nella misura in cui mostra di saper ridurre sul piano dei significanti-comportamenti anche la rivolta sul suo terreno. E dietro l'angolo di questa riduzione della rivolta sul terreno terroristico del potere (quella che un freudiano potrebbe chiamare "pulsione di morte", riducendo naturalisticamente quello che è invece un dispiega la sua ferocia e la sua violenza. Il potere ha costretto, tra aprile e maggio, il soggetto di classe in ricomposizione sul terreno paranoico {eterodeterminato) del terrore, su questo terreno, poi, presenta se stesso come terrore legittimato. Ma non basta scoprire come i l potere ha saputo muovere le sue figure {Cossiga, il fascino del terrore, Berlinguer, la dittatura dell'esistente eternizzato che legittima il terrore). Occorre riconoscere che questo è accaduto perché noi abbiamo permesso che il terreno dell'azione fosse ridotto allo scontro. Non abbiamo saputo determinare il senso del processo di ricomposizione e far di questo la curva dei flussi desideranti che correvano nel corpo sociale. Nel processo rivoluzionario si liberano flussi desideranti che rappresentano l'emergenza dell'inconscio. Ma il problema che si tratta di risolvere è questo: nella rete dei flussi desideranti, quale filo riesce a funzionare come possibilità di ricomposizione, come momento di emergenza del Senso del processo? È possibile una strategia del desiderio? Proviamo a ipotizzare che il filo di questo processo di ricomposizione sia il linguaggio. Rifiutiamo l'identificazione lacaniana del linguaggio come rimozione. Sappiamo che vi è un linguaggio della rimozione, dell' interiorizzazione della Norma e della colpevolizzazione del desiderio. Ma c'è un linguaggio che interrompe il ciclo comunicativo codificato, che libera una gestualità desiderante, che si inscrive immediatamente nel pro- cesso come gesto liberatorio. Il linguaggio simpatico che sposta le masse, che muove eroticamente. La jouissance che è nel linguaggio è dovuta alla sua capacità gestuale immediata di {com)mozione. Ma cosa conferisce questa capacità di {com)muovere al linguaggio? Il fatto di inserirsi nel flusso desiderante, di esserne momento di emergenza e di comunicazione. Se il linguaggio codificato è garanzia di una rimozione, riduce al silenzio l'inconscio, il linguaggio simpatico è quello che fa parlare l'inconscio. 8 febbraio 1977, a Bologna, assemblea del movimento alla Facoltà di Lettere. Nell'ordine degli interventi, nella divisione rigida e schematica tra riformisti e rivoluzionari si inserisce la messa in scena del rimosso. Un compagno mette in scena l’impiccagione, realmente avvenuta pochi giorni prima, di Giorgio Tobia, giovane proletario ricoverato in manicomio. Una ragazza grida: "Vendo portafogli"; e mette in scena la sua rabbia di disoccupata. Un altro legge un giornale surrealista che scrive cose pazzesche e poi rivela che quel giornale si chiama "l'Unità". Uno parla del fatto che da tempo cerca casa senza trovarla, poi si richiude nel suo impermeabile: "Sono mesi che cerco casa e la cosa che più mi sorprende è che in fondo non me ne importa un cazzo di trovarla". l'assemblea è rotta, è un luogo completamente trasformato. Un idiota del Pci protesta che quell'assemblea è una farsa, e che tutti i comunisti escano di là insieme a lui. Esce da solo. Da quel momento, a Bologna, il movimento di primavera è cominciato. I"politici" non c'entrano più col movimento reale. Il linguaggio si fa gesto che disloca altrove: esso allora non è più rimozione, ma, al contrario, messa in scena del corpo, del desiderio, del rimosso. Il linguaggio degli indiani metropolitani mette in scena la realtà del potere, la realtà dell'ideologia dei sacrifici, rivela il non detto del potere. LAMAOdada è Lama ridicolizzato davanti agli operai di tutt'ltalia che dopo la cacciata del super-bonzo dall'Università di Roma si riconoscono nel rifiuto dell'arroganza sindacale e stalinista. ! Ma su questo piano, nella capacità di percorrere trasversalmente il terreno dei comportamenti in movimento seguendo il filo della messa : in scena linguistica, dobbiamo saper andare più avanti, perchèquesto filo è, ad aprile-maggio, sfuggito dalle nostre mani.

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