Home page
 
Territorio
 
Municipio
 
Storia
 
Calendario
 
Strumenti
 
Leggende
 
Il coro
 
La banda
 
Festa
 
Museo
 
Ferrovia
 
Miniera


IL CARCERE BARONALE


  Il carcere baronale si trova in uno dei quartieri più vecchi del paese. L'ingresso principale aveva accesso dall'attuale Via la Mormora, già Via Roma, che in origine era la principale Strada Reale che, indirizzandosi verso Nord-Ovest conduceva al centro abitato di Seulo, e indirizzandosi verso Sud-Est portava verso Escalaplano e Perdasdevogu. All'altro ingresso del primo livello si accedeva invece dalla Via del carcere all'attuale Via Sassari.
  Il carcere è posto al centro dell'isolato circondato da case di civile abitazione, la cui altezza ne impedisce la visione esterna. Infatti le uniche parti del carcere che si vedono all'esterno, e coincidono con il perimetro dell'isolato, sono l'alto muro di cinta del cortile dove insiste l'ingresso principale sulla Via la Marmora (rialzato nel 1874) e l'ingresso ripristinato con l'ultimo restauro del 1983, che si afaccia sulla Via Sassari.
  Il carcere è una struttura a pianta squadrata disposta su due livelli più un parziale sottotetto ("su staulu farzu") e la cella maschile. Il primo piano per meta è occupato da un altro disimpegno e dalla cella femminile, mentre la restante porzione, è destinato all'ammoglio del custode, che sovrasta la sottostante cella maschile. Dalla Via Sassari, superato il portone e scendendo tre gradini in pietra di scisto, ci si immette nello stretto cortile antistante l'ingresso secondario del Carcere.
  A sinistra, prima di entrare, attraverso uno spazio che fungeva anche da parlatorio, si possono scorgere le doppie grate della cella femminile, mentre a terra, davanti alla porta d'ingresso, si nota la grata in ferro per la raccolta delle acque meteoriche, posizionata con i lavori di riparazione del 1911.
  Passato l'ingresso e sceso un gradino ci si immette direttamente nell'alloggio del custode, un corridoio di tre metri porta ad una cucina, che si affaccia, con una porta-finestra e un balconcino, sul cortile al livello inferiore su Via La Marmora.
   Al di sopra del corridoio di ingresso una piccola botola da accesso al sottotetto ("su staulu farzu"), illuminato da una finestra sullo stretto cortile di Via Sassari. Il sottotetto spesso veniva usato, oltre che come deposito di derrate alimentari, anche come luogo per il riposo notturno dei figli del custode. Nella cucina si trova un caminetto costruito nel 1910, che con i due fornelli in muratura soppiantò il camino a fuoco centrale detto "su fogili", privo di cappa per il deflusso del fumo. Nel vano cucina era presente anche un forno per la cottura del pane.
  Del forno e dei fornelli con le piastre di ghisa non esiste più traccia, se non nei documenti. Dalla cucina si accede alla camera da letto del custode, che prende luce e aria da una piccola finestra munita di inferriata, affacciata in un angusto pozzo luce. Anche la stanza da letto, come il corridoio d'ingresso, è sovrastata da "su staulu farzu".
   Uscendo dalla cucina, passando per una bassa porta sulla sinistra, si scendono due gradini e si accede ad una stanza di passaggio.
  Dalla stanza, illuminata da una piccola finestrella affacciata al cortile inferiore si accede alla cella femminile tramite una piccola porta munita di serratura ad "arpione". Le due stanze sono collegate anche tramite una piccola finestrella interna munita di grata e sportello. Il pavimento della cella femminile è realizzato con un solaio di travi e assi di legno di castagno, che la separano dall'ambiente sottostante destinato alla cella di rigore. La cella, oltre che dalla finestrella interna prende aria e luce da una finestra verso l'esterno, munita di doppia grata. All'interno della cella è presente, incassata nel muro,"sa cagadorgia", una sorte di servizio igienico canalizzato (i documenti attestano che è stato riparato nel giugno del 1911).
  La parte superiore della scala è in legno massiccio, mentre la metà inferiore, ruotata all'altezza del pianerottolo di 90°, è in muratura. Risulta dalla disposizione della struttura che la parte in muratura della scala, oltre al collegamento verticale, assolve in parte anche un compito statico, contrastando con la sua massa le spinte orizzontali della volta a botte della adiacente cella maschile.
   Dal sottoscala si accede alla cella di rigore "sa cella de su pei in tipu", che si trova esattamente sotto la cella femminile. L'ambiente è un andito di pochi metri quadri pavimentato in terra battuta "pomentu", privo di finestre ed areazione, le cui pareti erano originariamente intonacate, mentre il degrado provocato dall'umidità che trasuda dai muri, ha messo in luce l'apparato murario in pietrame di scisto. Probabilmimente era la cella dove veniva praticata la tortura per estorcere le confessioni ai carcerati, ed in questa doveva essere sicuramente presente il ceppo al quale venivano immobilizzati i prigionieri.

   Sempre al piano terra si trova la cella maschile, caraterizzata da una pianta rettangolare, voltata a botte. Vi si accede attraverso uno stretto corridoio della lunghezza di un metro e venti (lo spessore del muro), alle cui estremità sono poste due piccole e robuste porte corazzate, munite di serratura ad "arpione". La cella è molto umida, ha una grande apertura verso il cortile esterno, munita di doppia grata, ed una più piccola con un piccolo portello, dotato di grata che comunica con lo spazio di disimpegno delle scale all'altazza del pianerottolo. La pavimentazione è stata ricostruita con assi di legno di castagno nel 1983, su di questa è appogiato un tavolato ligneo per il riposo dei detenuti. Nella cella è presente anche un servizio igienico alla turca, realizzato utilizzando la parte superiore di una macina asinaria in basalto bolloso "perda de mola".

Cella maschile
   Lasciata la cella maschile, svoltando a destra, si esce al cortile per la ricreazione: un grande spazio a forma trapezoidale, delimitato da alte costruzioni di civile abitazione, dalla facciata Sud del Carcere e dall'alto muro di recinzione con ingresso principale sulla via La Marmora, riservato ai prigionieri.
  I dati che siamo stati in grado di reperire fanno parte di documenti cartacei in possesso del Comune di Seui, oggi inventari nell'Archivio Storico del Museo.
  Gli elaborati sono di ordine amministrativo, gestionale e funzionale e traspaiono, sopratutto da conti consuntivi, quientanze di pagamento, dichiarazioni personali di artigiani (muratori, fabbri, falegnami) che eseguono lavori nel carcere, e tavole sinottiche sul trasporto dei detenuti.
  Oggetto di studi è l'aspetto sanitario degli interventi che il medico era solito fare sui carcerati e le pozioni e i rimedi che il farmacista di allora preparava e forniva x conto del Comune.
  La lista delle erbe e delle piante è di notevole interesse e rapresenta uno spaccato di vita non solo carcerario ma dall'intera communità seuese, visto che i preparati farmaceutici venivano consigliati a chiunque ne avesse avuto bisogno. Il Comune pagava per le persone in condizioni di assoluta miseria e per gli "ospiti" del Carcere.
  Le tavole sinottiche manoscritte sul trasporto dei detenuti dal Carcere di Seui verso altri centri, inoltre riferiscono di un tipo di comunicazione non solo a piedi, ma anche con carro, "su carretoni", guidato da 2,3 e 4 cavalli, seppur di rado anche con l'omnibus fino all'ultimo squarcio del 1800. Molti viaggi avvenivano con scorta armata a piedi. La destinazione dei detenuti è sempre indicata e sopratutto compaiono: Gairo, Lanusei e Nurri. Negli elenchi dei tradotti risulta anche una donna: Caterina Demurtas trasportata ad Ulassai in seguito ad ordinanza del Sig. Procuratore Generale del Re.
  Nelle liste compare per la prima volta dal 1869, un trasporto con "carretone a 2 cavalli". Nel 1874 su 83 detenuti trasportati, 3 sono donne. Nel 1876, tra le persone trasportate, su 72 detenuti, solo una è una donna. Per la prima volta, esattamente il 5 novembre 1876, viene trasportato con l'Omnibus all'ospedale di Cagliari un carcerato indigente perchè gravemente ammalato.
  Nel 1879 su 117 detenuti, 3 sono donne , di cui una viene mandata a Lanusei con l'omnibus. La detenuta Puddu Serafina, scortata da due carabinieri ed accompagnata dal figlio piccolo, è in stato di inoltrata gravidanza. Nell'anno figurano anche 6 trasporti mediante carro a 4 cavalli. Nel 1880 su 186 detenuti, 6 sono donne. Per la prima volta compare la dicitura "trasporto con cavallo a sella". I movimenti carcerari, a partire dall'ultimo scorcio del 1800 sino agli inizi del 1900, sono segnati approssimativamente, senza alcun cenno a nomi e numero di detenuti. Si trascrive solamente l'importo pagato dal Comune. Molti spostamenti cominciano ad essere fatti col mezzo ferroviario che fa la sua prima comparsa a Seui nell'aprile del 1894.
  Altre notizie sono sulla fornitura di effetti letterecci e viveri: l'inventario del 1935 ci rivela un carcere povero e ridoto all'essenziale nell'arredamento. In base alle notizie pervenute, si può affermare che gli effetti personali dei detenuti erano scarsi e che le loro condizioni fossero certamente dure. Va considerato il fatto che anche in molte abitazioni fino agli inizi del 1900 e per non parlare del periodo tra le due Guerre, non si dormiva certo meglio. Il misero letto improvvisato dei carcerati era fatto di stuoie che venivano fornite dai fabbricanti del paese. Le stuoie venivano date a chi faceva la guardia agli stessi prigionieri. Infatti, in periodo di sovraffollamento, la guardiania era più che necessaria.
  Dal 1877 in poi, il Comune si convenzionava con altri privati per l'acquisto di paglia per i sacchi-materasso delle celle. La consegna dei materiali non era sempre conforme alle disposizioni impartite dall'Amministrazione comunale e tavolta le controversie venivano risolte davanti al pretore. La somministrazione di alimenti, bevande e pulizie veniva, spesso, affidata alla moglie del custode del carcere. L'ultimo custode fino al 1975 è stato il sig. Gaviano Silvio, noto come "Biondu".


Torna all'inizio