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Pierluigi Sommaruga

Gruppi. Proposte di revisione teorica

Sono passati 38 anni da che Bion raccolse e pubblic˜ i suoi precedenti scritti in un volume, ăEsperienze nei gruppiä, che costitu“, per noi giovani analisti di gruppo, la Bibbia, il testo di riferimento che per la prima volta offriva una coerente formulazione teorica a cui aggrapparci per fronteggiare la caotica successione di eventi che si verificavano nel processo gruppale. Eppure una rilettura di Bion pu˜ far sorgere oggi tutta una serie di interrogativi. Egli ci presenta un gruppo animato da dinamiche riferibili al gruppo in sŽ, e in cui non appaiono tracce degli individui che lo compongono. Non ci viene mai detto perchŽ un membro del gruppo eserciti una certa funzione, in base a quali bisogni personali egli si muova. Egli semplicemente esercita una funzione a cui sembra delegato dal gruppo, in una sorta di curioso anonimato. Mi sembra che questo modo di vedere il gruppo sia legato alla metapsicologia che  propria di Bion, e che trova il suo pilastro di sostegno nel concetto di protomentale. Egli descrive il manifestarsi degli assunti di base e continua: ăPer spiegare le sorti degli assunti di base inoperanti propongo di postulare lâesistenza di fenomeni protomentali. Non mi  possibile esporre il mio punto di vista in modo adeguato senza servirmi di un concetto che trascende lâesperienzaä e pi oltre ăNel sistema protomentale esistono dei prototipi dei tre assunti di base, ognuno dei quali esiste in funzione dellâappartenenza dellâindividuo al gruppo e si presenta come un tutto unico in cui nessuna parte pu˜ essere separata dal restoä. E in seguito: ăIo rappresento dunque il sistema protomentale come qualcosa in cui il fisico e lo psicologico o mentale si trovano in uno stato indifferenziatoä e infine ăSono questi livelli protomentali che costituiscono la matrice della malattia del gruppoä. Mi chiedo ora se questa conservazione del concetto di protomentale, che  indimostrabile, va assunto per fede, e che spiegherebbe lâorigine di tutti i fenomeni gruppali, eccettuata solamente la formazione del gruppo di lavoro, sia oggi ancora sostenibile a livello teorico, o di qualsiasi utilitˆ a livello clinico. Ma torner˜ in seguito sullâargomento. Certo  che il testo di Bion lascia trapelare una certa incertezza sulla soliditˆ della sua costruzione teorica e sul suo senso. Per esempio parlando degli assunti di base egli li caratterizza molto cautamente come difese contro la conoscenza. Senonch nella sua revisione egli ci dice : ăRitengo che i meccanismi pi primitivi descritti da Melanie Klein peculiari della posizione schizoparanoide e di quella depressiva abbiano un importanza preminente nelle dinamiche di gruppoä. In seguito riprendendo in esame gli assunti di base egli li descrive come meccanismi primitivi di difesa contro lâansia psicotica giˆ illustrata dalla Klein. Il gruppo  quindi scomparso per lasciare il posto a una psicologia strettamente individuale come quella della Klein. E Bion rincara la dose affermando che : ăLâapparente differenza tra psicologia di gruppo e la psicologia individuale  lâillusione prodotta dal fatto che il gruppo fornisce un comprensibile campo di studio per certi aspetti della psicologia individuale, e cos“ facendo rende evidenti fenomeni che appaiono alieni a un osservatore non abituato a usare il gruppoä. Il primo importante tentativo di porre in discussione la metapsicologia Bioniana  stato compiuto da Napolitani, della cui vasta produzione prender˜ per ora in esame solo il pi noto dei suoi scritti ăGruppi interni e modelli relazionaliä (1987). Egli pone in discussione la qualitˆ costitutiva del pensiero di Bion, che restringe nella dimensione protomentale la maggior parte dei fenomeni da lui osservati nel gruppo, al di fuori di quelli razionali connessi alle finalitˆ di lavoro. Sono altres“ prese in esame le contradditorietˆ di Bion relative al concetto di stadi maturativi e il suo ridurre i fenomeni dellâesistenza protomentale al rango di meccanismi di difesa individuali. La prospettiva in cui si muove Napolitani  radicalmente differente, ed  legata non solo a intuizioni personali ma anche alla sua elaborazione del pensiero di Foulkes. Credo sia utile che io mi fermi a riassumere il pensiero di Foulkes, non tanto quello del Foulkes psicoanalista ma quello del Foulkes radicale che si ispira soprattutto alla teoria di Norbert Elias. Egli scrive (1971): ăDobbiamo rovesciare la nostra tradizionale credenza, condivisa anche dalla psicoanalisi, che lâindividuo  lâunitˆ finale, e che noi dobbiamo spiegare il gruppo partendo dallâinterno dellâindividuo. Eâ vero il contrario. Il gruppo, la comunitˆ,  lâunitˆ primaria da prendere il ultima considerazione, e i cosiddetti processi interni dellâindividuo sono internalizzazioni di forze operanti nel gruppo a cui egli appartieneä. E pi oltre ăLâindividuo  non solo dipendente dalle condizioni materiali, per esempio economiche, climatiche del mondo che lo circonda e dalla comunitˆ, il gruppo in cui egli vive, le cui richieste gli sono trasmesse attraverso i genitori o le figure parentali, ma  letteralmente permeato da esse. Egli  parte di una rete comunicativa sociale, un piccolo punto nodale in questa rete, e pu˜ artificiosamente essere considerato in isolamento, come un pesce fuor dâacquaä. Questo  vero non solo per lâindividuo ma anche per il gruppo. Il gruppo, come lâindividuo,  unâastrazione. Si pu˜ dire che una parte  sempre connessa con il tutto, e il tutto determina ci˜ che avviene nella parte, ed esso stesso  unâastrazione enucleata da una pi grande complessitˆ. Lâuomo  primariamente un essere sociale, una particella di un gruppo. Non si pu˜ distinguere esterno e interno ma ăci˜ che  dentro  fuori, il sociale non  esterno ma anche molto interno e penetra il pi profondo essere della personalitˆ individualeä (1973). Non  quindi possibile distinguere individuo e societˆ; andando ben oltre lâintuizione Freudiana sullâintroiezione di parte del Superio dei genitori Foulkes afferma che tutto, anche lâinconscio, proviene dallâesterno. Se lâuomo  biologicamente determinato a poter parlare e pensare,  solo lâinnesco dato dal sociale che gli permette di sviluppare queste capacitˆ potenziali e che lo rende veramente uomo. La mente e il linguaggio nascono dal bisogno di comunicare, proprio per la necessitˆ vitale dellâuomo di appartenere a un gruppo. Egli ci parla di un inconscio sociale che viene assunto dallâindividuo, ed  inconscio non perchŽ sia oggetto di repressione, ma perchŽ lâuomo  convinto che quello sia lâunico modo naturale di pensare e di agire, e come tale non possa essere posto in discussione a livello cosciente. Dalal (1998) concentra il pensiero del Foulkes radicale nellâaffermazione ăLâIo siamo noiä. Eâ in relazione a questo modo di pensare che Napolitani pu˜ porre radicalmente in crisi il concetto di assunto di base di dipendenza, facendolo uscire dal mondo delle idee, del pensiero monadico, per aprirlo allâesperienza relazionale. Nel lavoro citato egli descrive una scena in cui un membro del gruppo di pone come il padrone da cui dipendere, il portatore del potere, e un altro membro come il suo fedele suddito. Di questa osservazione e dalle risonanze che essa suscita in lui fa uso Napolitani per sviluppare un pensiero estremamente rigoroso e complesso sullâuniverso dellâimmaginario (S), il mondo dellâassoggettamento, del transfert, dellâeterna ripetizione di modelli identificatori con cui siamo stati connotati allâinterno dellâesperienza famigliare. Ci˜ che ipotizza Napolitani porta a una vera rivoluzione. Non parliamo pi di un fenomeno gruppale che ha la sua origine nella mente dellâindividuo, ma di unâesperienza che nasce nella societˆ umana e di cui ogni uomo  profondamente compenetrato, e che dˆ senso ad ogni suo comportamento. Credo per˜ che richieda unâulteriore riflessione la connotazione dellâuniverso transferale come universo dellâassoggettamento. O meglio, ha senso se intendiamo che noi come esseri umani siamo pi o meno assoggettati alle nostre matrici famigliari. Appare invece pi carica di interrogativi lâipotesi dellâassoggettamento alle aspettative genitoriali. La famiglia  un gruppo specializzato di origine sociale destinato a tutelare la crescita, fisica e psicologica, dei figli. Come tale senza dubbio esercita un potere. Dice Elias (1978) ăPersone o gruppi che esercitino funzioni uno per lâaltro esercitano una costrizione uno sullâaltroä. Dobbiamo per˜ considerare la famiglia un sistema complesso, le cui finalitˆ sono continuamente messe in discussione dalla sua stessa struttura. Ognuno dei suoi componenti  esso stesso portatore di un gruppo interno ereditato dalla propria famiglia, che raramente appare coerente con quello degli altri membri della famiglia attuale. Le proposte relazionali, consce e inconsce, del padre sono spesso ben diverse da quelle della madre, e cos“ quelle dei nonni, e degli eventuali fratelli con cui il bambino si trova a convivere. Il piccolo uomo si trova quindi a doversi confrontare con modelli identificatori polimorfi, a richieste di dover essere spesso discordanti, a istruzioni per lâuso, quegli insegnamenti su come muoversi nella vita che la sua deficienza istintuale rende necessari, spesso in contraddizione fra loro. Quando Foulkes ci dice che  il tutto che determina ci˜ che avviene nella parte, ed  esso stesso un astrazione enucleata da una pi grande complessitˆ, ci ricorda che la famiglia  essa stessa parte di un pi complesso sistema sociale a sua volta contenuto in una societˆ ancora pi grande. Eâ tutto il mondo che agisce sul bambino e che lo determina, attraverso la famiglia ma anche attraverso i sistemi comunicativi propri della societˆ: mass-media, scuola, chiesa e via dicendo. Alcuni neurofisiologi, in particolare Edelmann, hanno ipotizzato che il genoma abbia rinunciato a controllare interamente lo sviluppo eccessivamente complesso del Sistema Nervoso Centrale dellâuomo, e che una parte delle arborizzazioni dendritiche e relative sinapsi si sviluppino e si organizzino in base ad esperienze relazionali. Se confermata, questa ipotesi darebbe senso alla particolare permeabilitˆ del bambino agli stimoli esterni nelle prima fasi di vita, e quindi alla particolare pregnanza delle esperienze relazionali sperimentate nel gruppo famigliare. Questo gruppo, come ho detto,  per˜ estremamente polimorfo nelle sue proposte relazionali, ed obbliga il bambino ad una serie di scelte comportamentali e identificatorie tra le innumerevoli possibili. Questa mi sembra una prima prova cruciale a cui egli  sottoposto. Non  solo il trovarsi confrontato con una matrice rigida e univoca il suo dramma, ma anche quello di dover fare i conti con matrici famigliari deboli o contraddittorie. In un momento in cui le sue capacitˆ cognitive e le sue potenzialitˆ autopoietiche sono ancora insufficentemente sviluppate, egli  costretto a scegliere fra le innumerevoli proposte da cui egli  agito senza essere in grado ancora di agire le sue scelte. Lâassoggettamento a un volere genitoriale mi sembra quindi solo una fra le caratteristiche proprie del mondo transferale. Coerentemente l'ipotesi di Winnicott sul vero sŽ mi appare molto simile al mito del buon selvaggio, e alle vecchie contrapposizioni fra natura e cultura. Ma abbiamo detto che la natura dellâuomo  la sua cultura, e che non esiste lâindividuo ma solo la societˆ da cui  modellato e che egli a sua volta modella. Napolitani ha scritto bellissime pagine sul cosiddetto assunto di accoppiamento, descrivendo in termini poetici il suo carattere di festivitˆ, di momento di unificazione in un noi nascente. Non posso che condividere la sua visione e il suo discostarsi dallâipotesi bioniana cos“ carica di riferimenti genitoriali. In realtˆ egli parla di un'altra configurazione relazionale che egli riferisce a unâesperienza di stato nascente. Mi sembra per˜ che questa esperienza non sia molto comune nei piccoli gruppi terapeutici, ma pi propria di gruppi spontanei. Non a caso egli cita Sartre e la rivoluzione francese, ma potrei anche rievocare lâesperienza del 68, o quella di gruppi che si aggregano spontaneamente intorno a un ideale rivoluzionario o di ricreazione del mondo. Lâinnamoramento  un bellâesempio di questa esperienza del perdersi nellâaltro. Ma, come dice un vecchio cinico detto, il matrimonio  la tomba dellâamore. Mi chiedo se non sia proprio dalla delusione che nasce il cosiddetto assunto di attacco e fuga. Delusione per il sogno che non si avvera, per la creazione di un nuovo mondo che fallisce. Questi fallimenti possono essere imputati al riconoscimento del loro carattere di sogno, al brusco risveglio alla realtˆ. Ma pi spesso mi sembrano riferibili al ritorno al potere delle matrici famigliari dei partecipanti al sogno, che dimenticate nella festa del noi nascente si riaffermano prepotentemente e interrompono lâincantesimo. Il ăio la penso cos“ä rompe il circolo fatato del ănoi la pensiamo cos“ä ănoi creiamo un mondo nuovo che spazza via i vecchi mondi conservatoriä, in cui in realtˆ il ănoiä non viene neppur visto nella fantasia fusionale. Presenter˜ un flash su una seduta di un gruppo di supervisione che mi sembra riferibile a una situazione di attacco e fuga. Ho a che fare con una Žquipe che gestisce un comunitˆ terapeutica, e che ha chiesto di poter discutere con la mia supervisione delle situazioni cliniche. Malgrado la conclamata volontˆ di tutti di incontrarci, passa molto tempo prima che ci˜ possa avvenire. Ed ecco la prima seduta. Gianni, lo psichiatra, accenna al caso di Aldo, giovane psicotico che lo preoccupa. Ma ha appena incominciato a parlare che viene interrotto da Olga, la psicologa, che esclama: ăEâ inutile discutere insieme, tanto non riusciremo mai a collaborare! Non siamo una Žquipe e non lo saremo mai!ä. Si alza ed esce sbattendo la porta. Dopo qualche minuto di silenzio inizia un tentativo di dialogo in cui ciascuno cerca di parlare coprendo la voce degli altri, finchŽ pian piano si raggiunge una specie di accordo in un accusa condivisa allâamministrazione che fa mancare loro i fondi, che interferisce nel loro lavoro e pretende troppo da loro. Rientra bruscamente Olga, che per un istante si associa allâiroso lamento del gruppo, ma presto ripropone la sua tesi che comunque i membri dellâŽquipe sono troppo diversi fra loro e non potranno mai cooperare. La seduta si chiuderˆ senza che sia possibile discutere il caso, in un intrecciarsi di proposte aggressive e discordanti che non troveranno mai un punto dâincontro. In questo caso si trattava di un equ“pe partita con speranze grandiose di poter, tutti insieme, fare grandi cose, di introdurre un modo nuovo di trattare le psicosi in un ambiente conservatore e retrivo. Pian piano le difficoltˆ del loro compito vengono alla luce, e si instaura uno stato di malessere, di litigiositˆ, in cui ciascuno accusa gli altri di non cooperare, ritrovando un momentaneo accordo solo nellâusare come capro espiatorio lâamministrazione. Mi  parso chiaro che la delusione per il fallimento di un sogno condiviso abbia portato alla frammentazione del gruppo, allâaccentuazione delle singolaritˆ e incompatibilitˆ delle matrici individuali, a fughe dal gruppo espresse in assenze dalle riunioni ma anche dalle dimissioni di due membri del gruppo originario. Mi chiedo per˜ se dobbiamo limitare le rappresentazioni delle configurazioni relazionali che si possono attualizzare in un gruppo solo riferendoci ai tre classici assunti di base. Ricordo un gruppo tendenzialmente rissoso in cui a un certo punto della sua storia si instaur˜ una tacita intesa perchŽ ognuno dei membri parlasse a turno, rivolgendosi esclusivamente a me. Lâattesa nei miei confronti era che alla fine dessi a ciascuno di loro un interpretazione personale, senza trascurare nessuno e senza fare nessuna ingiustizia. Se accadeva che io dessi un interpretazione di gruppo, o non citassi lâintervento di uno dei membri, insorgeva una grande ansia, di cui si faceva portavoce Marta, a cui era stato devoluto il compito di leader funzionale al mantenimento di questo assetto relazionale. Quando il gruppo, che un collega spiritosamente battezz˜ della par condicio, finalmente usc“ da questa situazione, si evidenzi˜ lâaggressivitˆ di Eleonora, che aggred“ fisicamente un altro membro da lei ritenuto responsabile del suo disagio. Ella infine decise di uscire dal gruppo, che riprese a funzionare con buone possibilitˆ di scambio interpersonale. Credo che questo assetto di rigido isolamento fra i membri fosse destinato ad evitare la possibilitˆ di scambi aggressivi e la frammentazione del gruppo. Una situazione simile fu descritta molti anni fa da Napolitani, in uno scritto credo mai pubblicato. Finalitˆ simili, cio lâevitamento di situazioni dâincontro che potrebbero declinarsi in assunti di attacco e fuga, sono descritte da Rosenfeld (1988) che parla di gruppo burocratizzato, mentre la sua configurazione di fraternitˆ-terrore sembra pi riferibile a una vera situazione di attacco e fuga. Questa potrebbe quindi nascere non solo da un vissuto di delusione ma anche in ogni situazione in cui i membri sono portatori di modelli relazionali troppo diversi e che includono lâaggressivitˆ e lâintimidazione come modalitˆ ottimali per convertire lâaltro al proprio modo di pensare. Credo che questi fenomeni debbano portarci a una pi approfondita riflessione sulle modalitˆ di scelta dei membri di un gruppo, scelta che non sempre tiene conto di radicali differenze che il conduttore pu˜ non essere in grado di elaborare adeguatamente. Ma altre configurazioni ancora sono possibili. Anzieu e Bejarano (1972 e 1975) ci parlano dellâillusione gruppale, del sogno del gruppo di evitare la morte, esemplificandola con il racconto della galera per Citera. In un gruppo di formazione Eleonora si assume la funzione di leader conducendo il gruppo in un suo viaggio di sogno, escludendo la morte e la separazione. Il gruppo infatti continuerˆ a vivere autonomamente anche dopo la fine programmata dal conduttore. Sotto alcuni aspetti la posizione di questo gruppo pu˜ essere assimilata a una situazione di accoppiamento, ma in realtˆ manca il clima festoso, lâimmagine del tempo e della morte sono ben presenti, e si rivela a tratti il clima persecutorio sottogiacente e una forte aggressivitˆ verso i conduttori che si esplica nella scelta di un capro espiatorio nella veste di Nicola, uno degli osservatori. Curiosamente i nostri due autori fanno soltanto qualche fugace accenno a Bion, anche se pi tardi Anzieu riferirˆ le configurazioni relazionali da lui osservate agli assunti di base di Bion, senza nessun altra specificazione, e come Bion attribuirˆ ad angosce persecutorie individuali lâorigine di questo tipo di fenomeni. Potrei continuare a citare altri autori e a presentare altre situazioni gruppali, ma preferisco fermarmi qui e raccontare invece un aneddoto. Alla Foulkes Annual Lecture del 1997 Hopper presenta una sua teorizzazione sul quarto assunto di base, relativa a gruppi di persone che avevano subito gravi eventi traumatici. Il tono con cui ricorda che da trentâanni tenta invano di far capire e condividere questa sua teoria  quello dellâincompreso stizzoso. Nella sua risposta Kreeger lo prende garbatamente in giro sorvolando elegantemente sulla questione se si possa parlare o no di un nuovo assunto di base. Mi sembra che questo aneddoto illustri la difficoltˆ per tutti noi di porre in discussione lâassioma dagli assunti di base, ormai sacralizzati, considerati come veritˆ assoluta. Vi  una specie di gara per potersi associare alla Santissima Trinitˆ. Per esempio nel 1974 Turquet pu˜ esultare perchŽ diversi colleghi riconoscono il suo nuovo assunto di base che egli denomina ăonenessä, proprio dei gruppi a carattere carismatico, in cui tutti i membri cercano di unirsi a una forza onnipotente, perdendosi nel sentimento oceanico dellâunitˆ. Infine (per ora) nel 1997 Lawrence, Bain e Gould propongono un quinto assunto di base, quello della meitˆ (me-ness). Eâ importante notare che Lawrence e colleghi attribuiscono un origine sociale a questo loro assunto di base, ricollegandolo al concetto di Elias di ăhomo claususä, lâio senza noi, lâuomo che si considera una monade e rifiuta ogni relazione di scambio comunicativo con i suoi simili. I nostri autori, che si professano bioniani ortodossi, sembrano non rendersi conto della flagrante contraddizione fra il concetto di base di Bion del sistema protomentale come luogo dâorigine degli assunti di base e il loro attribuire un origine relazionale al loro assunto, accostandosi quindi al pensiero di Napolitani. Credo per˜ che il termine ăuniversiä usato da Napolitani, anche se didatticamente molto chiaro, si presti a qualche equivoco. Da qualcuno viene inteso come uno spazio in sŽ, o come una successione di esperienze relazionali vissute in una relazione diacronica. Penso vada sottolineato che queste esperienze si debbano vedere come presenti, anche se non in modo manifesto, nello stesso tempo e fra loro interconnesse. Se la natura dellâuomo  una cultura sociale, il mondo dellâimmaginario va visto come la natura dellâuomo. Afferma Elias (1991): ăGli uomini sono per natura forniti di una necessitˆ di conoscereˇ.la necessitˆ di conoscere  un aspetto della costituzione genetica dellâumanitˆä. Dove questa conoscenza  parziale, dove in essa ci sono vuoti, lâuomo riempie questi vuoti con la conoscenza di ăfantasiaä. Questa conoscenza di fantasia  ci˜ che permea lâuomo. Egli  la conoscenza di tutta lâumanitˆ che lo ha preceduto, e pi fortemente ancora la conoscenza del suo gruppo etnico e sociale, e ancor pi fortemente del suo gruppo famigliare. Conoscenza per lo pi non reale, conoscenza in gran parte formata da convinzioni e tradizioni che possono diventare ideologia. E, per citare Dalal (1988): ăLâideologia aiuta a tenere le persone ai loro posti convincendole che i posti che occupano sono naturaliä. Noi siamo convinti che le nostre convinzioni siano naturali. In realtˆ sono il prodotto della societˆ che ci abita. La nostra matrice di base  quindi una matrice famigliare (essa stessa un condensato della societˆ), matrice famigliare raramente vista nella sua realtˆ e interezza, pi spesso deformata dallo specifico angolo di visione determinato dalla nostra posizione nella rete relazionale della famiglia. Ulteriori trasformazioni e modifiche possono essere incluse grazie alle nostre esperienze nella societˆ pi vasta e alla loro elaborazione, ma basilarmente noi siamo il nostro immaginario. Vedo quindi la configurazione relazionale di attacco e fuga come una relazione appartenente allâimmaginario. Certamente relativa, come propone Napolitani, a una tensione verso lâindipendenza, ma indipendenza dal rapporto con lâaltro, in nome del fallimento di nuove esperienze relazionali, che porta a rifugiarsi nel solipsismo della propria matrice di base, in un atteggiamento di sospettosa avversione verso tutto ci˜ che  ăaltroä. Noi vediamo gli individui, ma anche le famiglie, e poi i gruppi sociali e le nazioni combattersi lâun lâaltro nel tentativo di riaffermare la propria matrice, i propri modelli di riferimento come buoni e validi rispetto a quelli altrui. Osserva Elias che non  la differenza a generare lâodio, ma le differenze sono usate per stimolare lâodio, per preservare i differenziali di potere. Lâodio cio dˆ sostanza affettiva allâaffermazione razionale che il proprio modo di essere e fare  il migliore, superiore a quello di ogni altro, e la finalitˆ ultima dellâoperazione  quella di conservare un immagine di sŽ invariabile e indiscutibile. Se  vero che il bisogno di base dellâuomo  quello di conoscere, questo bisogno  continuamente connotato dalla necessitˆ di conoscenze vere e sicure. Tutto ci˜ che viene appreso nellâambito famigliare dovrebbe apparire vero, ma in realtˆ rischia di essere messo in crisi da nuove conoscenze. Elias ci parla della necessitˆ per lâuomo di conoscere ed appartenere, esigenza questâultima considerata primaria da Foulkes. Ma lâoperazione del conoscere  continuamente intralciata o addirittura bloccata dallâangoscia dellâincertezza, dallo strazio delle scelte, dalla minaccia per lâuomo di perdere quei punti di riferimento stabile che gli sono necessari. La difesa contro Galileo della visione geocentrica  un buon esempio di come la societˆ umana abbia dovuto combattere per conservare un ordine di conoscenze stabilite, la sua visione del mondo, contro la possibilitˆ eversiva di nuove scoperte, che necessariamente aprono nuovi interrogativi, nuove possibilitˆ e nuove insicurezze. La societˆ non pu˜ sopravvivere ricreando il mondo ogni giorno. Eâ per togliere lâalea del dubbio che lâuomo crea miti. Il mito delle origini  una costruzione, un invenzione che spiega tutto: lâorigine delle cose, dei costumi, delle lingue, del perchŽ lâuomo  cos“ e si comporta in un certo modo. Esso quindi colma un vuoto di conoscenza. Ma presto lâatto creativo diventa ideologia, convinzione indiscutibile. Eâ ci˜ che  accaduto alla metapsicologia freudiana. Credo che splendidamente Napolitani (1996) abbia espresso il conflitto dellâuomo, perennemente diviso fra la necessitˆ di nuove conoscenze e nuove esperienze, riferibile a quella polaritˆ che egli denomin˜ lâaut˜s, lâemergenza del pensiero emancipativo e creativo proprio dellâuniverso del simbolico, e la necessitˆ di conservazione, espressa nellâidem, riferibile allâuniverso della dipendenza. DAL REALE AL SIMBOLICO Per approfondire la riflessione sulla nascita del pensiero creativo credo sia necessario tornare sul concetto di ăuniverso del realeä, o del protomentale, che Napolitani elabora partendo dal pensiero di Bion relativo al gruppo di accoppiamento. Napolitani presenta lâinnamoramento come tipica situazione protomentale, associabile allo ăstato nascenteä proposto da Alberoni. Ma lâinnamoramento  stato un elemento di rottura del sistema sociale. Fino allâottocento il matrimonio era un affare sociale, un contratto fra famiglie. Lâinnamoramento era un infrazione idealizzata, che dallâamore cortese medioevale in poi veniva presentato come contrapposto allâordine sociale. Potremmo definirlo come uno stato nascente destinato a un perpetuo aborto e mai in grado di diventare istituzionale. Fu nellâ800, in pieno romanticismo, che si svilupp˜ la valorizzazione della scelta emotiva individuale, destinata a cambiare il mondo e a trasformare lâistituzione matrimoniale rivitalizzandola, arricchendola di eros allorch lâinnamoramento pot istituzionalizzarsi in amore. Proporrei quindi nuovamente lâinterrogativo se il termine di protomentale, con i suoi caratteri arcaici, il suo riferirsi a stati di corpo e mente non ancora differenziati, possa ancora essere usato quando ci riferiamo a situazioni di stato nascente. Mi sembra che il problema sia stato seriamente preso in considerazione da Bion solo attraverso una serie di elaborazioni successive sempre pi approfondite. ăEsperienze nei gruppiä fu pubblicato nella sua forma ampiamente rielaborata nel 1961, e in esso Bion aveva dato allâesperienza protomentale un carattere regressivo, vedendola come una turbativa e un ostacolo nei confronti del gruppo di lavoro. Non a caso parlando dellâassunto di accoppiamento egli ci presenta una relazione a forte carattere genitoriale, e ci propone lâAristocrazia come gruppo specializzato destinato a gestire lâassunto di accoppiamento. Questa era, e in una certa misura  ancora, una classe sociale destinata a gestire la sua autoconservazione, conservazione biologica attraverso accoppiamenti rigidamente selezionati ( il cosiddetto sangue blu), e conservazione sociale mediante lâosservanza di rituali estremamente precisi. Bion quindi ci parla di un istituzione, anzi dellâistituzione conservatrice per eccellenza. Non solo il messia non pu˜ nascere, come egli ci dice, ma non  assolutamente previsto, come non  prevista nŽ pensabile ogni variazione dellâesistente. Posso avanzare lâipotesi che il gruppo specializzato di cui Bion parla si muova nel registro dellâimmaginario, e sia destinato a inibire ogni perturbazione dellâordine stabilito, come fa del resto Bion quando nella revisione egli riporta ogni sua nuova conoscenza nellâalveo di una rigida osservanza kleiniana. Per˜ quelli che egli pi tardi chiamerˆ ăpensieri selvaggiä continuano ad affiorare in lui, sempre meno controllati dai suoi gruppi specializzati interni, e giˆ nel 1966 in ăIl cambiamento catastroficoä e pi ampiamente nel 1970 in ăAttenzione e interpretazioneä egli parla dei movimenti irrazionali e delle turbolenze emotive che ogni nuovo pensiero comporta. Egli quindi pensa ai pensieri selvaggi come forze primitive evolutive e alla necessitˆ che le perturbazioni che essi provocano siano contenuti da un istituzione in grado di contenerle. Lâistituzione  quindi un sottogruppo specializzato destinato a svariati compiti, tra cui la conservazione di alcuni valori, lo sviluppo di nuove idee e la protezione del gruppo dal pericolo della frammentazione. Altro compito dellâistituzione  il contenimento dellâidea messianica e del mistico. Mistico  una brutta parola, di origine settecentesca, che con il suo riferirsi allâiniziazione e alla segretezza nega al mistico il suo ruolo principale: essere un cercatore e rivelatore di veritˆ. Ma il mistico  per Bion lâequivalente del genio e del capo carismatico. Pu˜ essere un mistico creativo o un mistico nichilista, ma Bion sottolinea che egli  comunque visto dal gruppo come distruttivo, perchŽ deputato dal gruppo stesso al contatto diretto con una veritˆ assoluta (O) appartenente al dominio dellâinconoscibile, e quindi pericoloso nei confronti degli ordinamenti del gruppo. Bion ci parla dellâistituzione come la struttura che governa la societˆ ăe di cui non  possibile fare a menoˇ.perchŽ il gruppo istituzionalizzato  essenziale allo sviluppo dellâindividuo, compreso il mistico, tanto quanto questi lo  ad essaä. Il mistico, lâuomo eccezionale, si oppone alle pressioni conformistiche dellâistituzione promuovendo il cambiamento del gruppo. Se lâistituzione si assume il ruolo di tramite fra mistico e gruppo si instaura una relazione simbiotica, in cui il primo rivitalizza il gruppo a cui  legato. Se lâistituzione non  in grado di operare una selezione fra proposte evolutive e idee false o illusionali, oppure deve conservare ad ogni costo le strutture preesistenti si crea una relazione parassitaria e distruttiva fra mistico e gruppo. Tralascio per ora le ulteriori elaborazioni di Bion sullâanalista come mistico o come artista per osservare la figura del mistico sotto altre angolature. Questi pu˜ essere assimilato alla figura del portatore di potere carismatico di Max Weber (1922), colui che rifiuta il vincolo del mondo stabile e quotidiano per lâesclusiva trasfigurazione dellâintenzione profetica, rompendo qualsiasi norma tradizionale o razionale. Il movimento carismatico  in insanabile concorrenza con la quotidianitˆ, e finisce con lâesplodere o degradarsi nella vita ordinaria. Sotto certi aspetti la sua visione si contrappone a quella di Durkheim, che tende a ignorare a figura del capo e concentra la sua attenzione sul movimento, che nasce da uno stato di effervescenza di coscienze individuali che si incontrano, si uniscono in gruppi in cui ogni membro dimentica sŽ stesso, come dominato da forze collettive, assorbito interamente da scopi e ideali comuni. Egli ipotizza che tale illusione sia troppo sfibrante, la tensione si allenti e gli individui ricadano al livello ordinario Credo che lâelaborazione pi approfondita del concetto di movimento sia quella di Alberoni (1977), che presenta lo stato nascente come contrapposizione allâistituzione. Lo stato nascente  un movimento spontaneo, emozionale, che nasce dallâincontro di individui che condividono un esperienza di contraddizione fra il sentimento del ărealeä, ci˜ che sentono come vero, autentico, e il contingente, lâistituzione esterna, la societˆ a cui appartengono con i suoi codici e i suoi sistemi di valori. Egli esamina ampiamente questâesperienza, ripercorre i suoi vissuti di libertˆ, veritˆ, piacere, ma anche la completa subordinazione di ogni scelta individuale ai valori, alle finalitˆ e alle scelte operative del gruppo, che sembrano riassumere in sŽ ogni progetto e speranza degli individui e nello stesso tempo trascenderli. Alberoni prende particolarmente in esame il problema del ădilemma eticoä, il conflitto di ogni membro del gruppo fra la sua assunzione di responsabilitˆ della propria autenticitˆ e libertˆ e la rassicurante possibilitˆ di tornare al giˆ noto, al sistema (potrei qui fare una libera associazione con il conflitto fra idem e aut˜s di Napolitani). Per Alberoni il leader  colui che riesce a gestire questo conflitto (siamo tutti traditori, egli osserva), impedendo lo sfasciarsi del gruppo, il suo frammentarsi fra moderati ed estremisti, portandolo invece verso una progressiva istituzionalizzazione. Per istituzionalizzazione va intesa la possibilitˆ di un integrazione con la societˆ esterna, trasformandola e vivificandola con i nuovi valori e le nuove invenzioni elaborate dal gruppo allo stato nascente. Se questo non pu˜ avvenire, le possibili alternative sono, oltre alla repressione violenta da parte della societˆ esterna, lâimmediata frammentazione o lâestinzione, quando ognuno dei membri rinuncia al suo sogno e al suo progetto creativo per tornare allâomogeneizzazione col mondo del contingente. Egli segnala anche un'altra possibilitˆ: la comparsa fin dalle prime fasi dello sviluppo gruppale di un leader (che pu˜ essere il fondatore del gruppo stesso) non solo carismatico ma anche autocratico, che instaura un sistema autoritario in cui lo stato nascente si spegne per diventare esso stesso istituzione, speculare allâistituzione esterna ma con essa in opposizione conflittuale insanabile. Eâ lâipotesi che Bion stesso avanza a proposito di Freud e dei suoi seguaci. A questo proposito Storr, nel suo discutibile ma affascinante libro ăFeet of Clayä (1996) ci presenta una serie di ritratti di capi carismatici, che vanno da Freud al reverendo Jones. In tutti questi personaggi cos“ diversi egli osserva che vi sono alcuni tratti comuni: lâesperienza di contraddizione, il momento depressivo (elementi che Alberoni osserva essere presenti in tutti gli individui che daranno origine allo stato nascente) e un successivo momento di entusiasmo e di sensazione di aver finalmente scoperta la Veritˆ. La certezza di tutti i discepoli che si riuniscono intorno a lui  la stessa: ăEgli sa!ä. E questa conoscenza tutti si attendono di poterla ricevere da lui. Queste relazioni saturano quindi quei bisogni che Elias e Foulkes ritengono primari nellâuomo: appartenere e conoscere. Eppure il destino di questi uomini sarˆ cos“ diverso: dal successo dellâistituzionalizzazione creativa di Freud al suicidio collettivo del reverendo Jones. Credo che qui non si tratti per˜ di veri gruppi allo stato nascente, o meglio si tratti di gruppi bloccati nella loro evoluzione, talora definitivamente, talora temporaneamente. La psicoanalisi per esempio  ancora ben viva nelle sue forme istituzionalizzate, e nuovi movimenti, spesso ispirati da coloro che erano etichettati come ăanalisti selvaggiä, stanno rivitalizzandola. Mi torna qui alla mente, la distinzione che fa Bion fra mistico creativo e mistico nichilista, anche se, naturalmente, la distinzione si pu˜ fare solo a posteriori. Fra i gruppi con cui mi sono confrontato nella mia pratica professionale ho trovato pi frequentemente configurazioni nel registro del reale in quei gruppi di formazione che si sono aggregati in forma pi o meno spontanea, talora con lâapparizione di leaders carismatici, con caratteristiche simili a quelli descritti da Anzieu, e in cooperative e gruppi di volontariato destinati a professioni dâaiuto che spesso si formano intorno a un leader ufficiale e carismatico a un tempo che attira a sŽ operatori che condividono le sue proposte innovative. Apparentemente niente accomuna il piccolo gruppo terapeutico a ci˜ che avviene nei gruppi spontanei di cui ho parlato finora. I membri non si raccolgono in nome di un ideale comune ma sono scelti dal gruppoanalista in base a suoi personali criteri. Eppure tutti sono mossi da una sensazione di contraddizione, oscura e indicibile, fra i propri bisogni e modelli istituzionali a cui hanno finora informato la loro vita, e tutti hanno attraversata un esperienza depressiva. Dâaltra parte i movimenti fusionali sono rari, per lo pi limitati alle prime fasi della vita del gruppo visto come oggetto idealizzato in contrapposizione al mondo esterno, o come reazione a momenti di crisi del gruppo minacciato di frammentazione. Credo che qui si possano vedere le due facce dellâuniverso del reale: lâunione degli individui per una finalitˆ creativa o il loro serrare le fila di fronte a un pericolo. Eâ ci˜ che avviene anche nei gruppi spontanei allorch il pericolo di disgregazione porta i singoli membri allâautocritica, al rinnegamento delle loro singolaritˆ, in nome della conservazione del gruppo. Ritengo che nei piccoli gruppi terapeutici non vada data per scontata la presenza del sottogruppo specializzato alla gestione delle nuove idee ipotizzato da Bion, ma che tale compito sia svolto prevalentemente dal gruppoanalista-artista, colui che  capace non solo di accogliere le istanze innovative espresse nel gruppo ma anche di elaborarle e trasformarle rendendole condivisibili. Credo che lâevoluzione del pensiero di Bion, che si svilupp˜ ulteriormente nei Seminari Brasiliani (1980) e soprattutto nei Seminari Italiani (1983) ci permetta di vedere come lâoriginaria contrapposizione fra gruppo di lavoro e gruppo in assunto sia stata rivoluzionata, portandolo a un riconoscimento delle spinte disordinanti e creative come elemento essenziale perchŽ un gruppo di lavoro diventi autentico e evolutivo. Penso che la dialettica di Alberoni ci riproponga essa stessa un circolo ermeneutico in cui il disordine del movimento pu˜ creare un nuovo ordine istituzionale, e questo, una volta sclerotizzato e generatore di contraddizioni, inneschi nuovi movimenti, e cos“ via in un circolo infinito. Vorrei quindi proporre uno spunto di riflessione sullâuniverso del reale, che preferisco chiamare cos“ perchŽ basato su intuizioni o illuminazioni che, esse sole, appaiono completamente reali e autentiche allâindividuo o al gruppo che le sperimentano. Per chiarezza ripeto che esso corrisponde a quellâuniverso che Napoletani e altri autori denominano anche del protomentale, e che non ha nessun rapporto con il sistema protomentale ipotizzato da Bion. Il progresso scientifico  basato prevalentemente su queste intuizioni: Einstein elabor˜ intuitivamente la teoria della relativitˆ, e solo in un secondo momento ne cerc˜ la conferma sperimentale. Tutte le grandi religioni sono partite da un intuizione o rivelazione di veritˆ che ha portato allo sviluppo di un movimento destinato a cambiare il mondo attraverso la sua istituzionalizzazione, istituzione dapprima creativa che in seguito decadrˆ in senso ritualistico e conservativo. Proporrei quindi lâipotesi che lâuniverso del reale possa essere visto come un ponte potenzialmente lanciato dallâuniverso dellâimmaginario, delle nostre istituzioni interne che ormai viviamo con profonda contraddizione, e lâuniverso del simbolico. Quali possano essere gli esiti di questo tragitto non sappiamo. Pu˜ spegnersi perchŽ lâintuizione su cui si era basato era illusionale, pu˜ portarci a nuovi sistemi di dipendenza ancor pi rigidi dei precedenti, oppure trovandoci dibattuti nel dilemma etico possiamo non riuscire a superarlo (siamo tutti traditori, come Giuda) e, rinnegando ogni nuovo pensiero, tornare allâistituito. Credo quindi di poter proporre una rilettura dei complessi fenomeni gruppali che ho presentato considerandoli come configurazioni relazionali che esprimono la dialettica fra la necessitˆ di conservazione dei modelli originari (lâassunto di dipendenza di Bion, lâuniverso dellâimmaginario e lâidem di Napolitani) e il bisogno di esprimere nuove idee e cercare nuovi modi di vivere. Questâultime esigenze possono trovare un loro campo dâespressione nellâuniverso del reale, proprio perchŽ lâaccoppiamento con un partner o con un gruppo pu˜ dare allâindividuo il supporto di una nuova appartenenza in cui  possibile esprimere ci˜ che nella vecchia appartenenza andava taciuto. Il superamento del confitto fra idem e aut˜s, fra stato nascente e mondo istituzionale pu˜ portare a nuove configurazioni di mondo in cui lâistituzione viene ristrutturata e vivificata ricreandosi nel registro del simbolico. Non credo sia casuale che Elias intitolasse ăLa teoria del simboloä(1991) la sua eccezionale opera sullâevoluzione della societˆ e del pensiero umano che riformula la nostra immagine di esseri umani. Ci˜ per˜ che voglio ancora una volta ricordare per chiudere il mio scritto  la nostra gruppalitˆ. Gruppalitˆ anche biologica, dato che siamo formati da innumerevoli individui-cellule organizzati in organi e apparati sempre pi complessi e cooperanti fra loro per la vita. La cellula ăegoistaä si condanna a morte, condannando a morte lâorganismo che la fa vivere. Lâuomo per vivere ha bisogno di comunicare. Elias afferma che linguaggio, ragione e conoscenza, cio parlare, pensare e conoscere hanno una sola funzione, cio lâelaborazione dei simboli e in ultima analisi il rendere possibile la vita sociale. Conoscere significa arricchirsi con il sapere acquisito da altri, pensare (e si pensa sempre con parole) vuol dire elaborare questo sapere e arricchirlo con nuovi pensieri, il parlare implica la possibilitˆ di ricevere e trasmettere ad altri la conoscenza. Eâ unicamente lâaccettazione del nostro essere sociali, il nostro conoscere e vivere attraverso la conoscenza e la vita dellâaltro che ci permette la vita. Maturana e Varela ci dicono che ogni organizzazione pu˜ conservare la propria identitˆ soltanto se pu˜ interagire con quellâambiente che sia congruente con il suo sistema cognitivo. Queste interazioni sono gli accoppiamenti strutturali. Grazie alla sua cultura lâuomo ha potuto interagire con tutti i pi diversi ambienti e popolare tutto il mondo. Userei questo concetto come metafora per proporre la possibilitˆ per lâuomo di attuare accoppiamenti strutturali con lâambiente relazionale di ogni altro essere umano e renderlo per lui condivisibile e abitabile. Il piccolo gruppo terapeutico pu˜ essere un campo esperienziale dove ci si pu˜ confrontare con questa possibilitˆ. In fondo, osserva Brown (1998) il risultato dellâesperienza di gruppo potrebbe essere riassunto nella massima ăFa agli altri ci˜ che vorresti fosse fatto a te stessoä. Credo che questo sia lâautentico significato di un esperienza simbolica. In un esperienza psicoanalitica lâuomo pu˜ riattraversare il proprio mondo dellâidem, ascoltare i propri pensieri selvaggi, e spesso selvaggio vuol dire nuovo e creativo, e accedere alla dimensione dellâaut˜s. Ma per un compiuto sviluppo nel registro del simbolico occorre un passo in pi: un apertura allâaltro, in cui idem e aut˜s riconciliati e cooperanti rendono in grado lâindividuo di accedere al sociale, non pi sentito come padrone o avversario ma come mondo proprio di cui egli  parte integrante, e del cui futuro egli  corresponsabile. Eâ solo vivendo un esperienza di comunicazione, oserei dire con Foulkes, totale con gli altri uomini, e sviluppando una capacitˆ di accettazione delle loro diversitˆ, che si pu˜ configurare un progetto comune e non solamente condiviso, in cui ciascuno feconda gli altri con quella piccola parte di conoscenza che egli possiede e viene da loro fecondato. Partendo dallâaccettazione da parte di ciascuno della propria limitatezza e finitezza, dalla possibilitˆ di accettare il proprio bisogno dellâaltro e il bisogno dellâaltro nei suoi confronti, necessitˆ che  vissuta come un esperienza di morte, si pu˜ sviluppare un esperienza nel registro del simbolico. Attraverso la morte di un sŽ concepito come individuo separato e autonomo si pu˜ rinascere a una nuova vita, in cui il benessere dellâaltro  sentito come condizione necessaria per il proprio benessere. BIBLIOGRAFIA. Alberoni F. (1977), Movimento e istituzione, Il Mulino, Bologna. Anzieu D, et al. (1972), Le travail psychoanalitique dans les groupes, Dunod, Paris. Anzieu D. (1975), Il gruppo e lâinconscio, Borla, Roma. Bion W.R. (1961), Esperienze nei gruppi, Armando, Roma. Bion W.R. (1966), Il cambiamento catastrofico, Loescher, Torino. Bion W.R. (1970), Attenzione e interpretazione, Armando, Roma. Bion W.R. (1984), Discussioni con W.R. Bion, Loescher, Torino. Bion W.R. (1985), Seminari Italiani, Borla, Roma. Brown D. (1998), ăFoulkeâs Basic Law of Group Dynamics 50 Years Onä , in Group Analysis, 31, 4. Sage, London. Dalal F. (1998), Taking the group seriously, Jessica Kingsley Publishers, London. Durkheim E. 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