William Shakespeare

 

ENRICO QUARTO

(Parte Seconda)

 

 

PERSONAGGI

 

LA FAMA, che recita il prologo

RE ENRICO QUARTO

ENRICO, PRINCIPE DI GALLES, poi Enrico Quinto; PRINCIPE GIOVANNI DI LANCASTER, PRINCIPE HUMPHREY DI GLOUCESTER: suoi figli

TOMMASO, DUCA DI CLARENCE

IL CONTE DI WARWICK

IL CONTE DI WESTMORELAND

IL CONTE Dl SURREY

GOWER

HARCOURT

BLUNT

IL LORD GIUDICE SUPREMO

UN SERVO del Giudice Supremo

IL CONTE DI NORTHUMBERLAND

SCROOP, arcivescovo di York

LORD MOWBRAY

LORD BARDOLPH

LORD HASTINGS

SIR GIOVANNI COLEVILE

SIR GIOVANNI UMFREVILE

TRAVERS e MORTON, seguaci di Northumberland

SIR GIOVANNI FALSTAFF

Il suo Paggio

BARDOLFO

PISTOLA

POINS

PETO

SOMMARIO, SILENZIO: giudici di campagna

DAVY, servo di Sommario

MUFFITO, OMBRA, VERRUCA, FIACCO e TORELLO: reclute

ARTIGLIO e LACCIOLO, birri

LADY NORTHUMBERLAND

LADY PERCY

MONNA FAPRESTO, ostessa di una taverna in Eastcheap

DORA SQUARCIALENZUOLA

Signori e Famigli; un Portiere, Garzoni di taverna, alcuni Birri, staffieri, eccetera; un Ballerino, che recita l'Epilogo

 

 

 

La scena è in Inghilterra

 

 

 

PROLOGO - Warkworth. Davanti al Castello di Northumberland

(Entra LA FAMA, tutta dipinta a lingue)

 

FAMA: Aprite gli orecchi, poiché chi di voi chiuderà la via dell'udito quando parla la sonante Fama? dall'oriente al declinante occidente, facendo del vento il mio cavallo di posta, io rivelo di continuo gli eventi che si svolgono su questa palla di terra: sulle mie lingue cavalcano incessantemente le calunnie che io dico in ogni lingua, riempiendo gli orecchi degli uomini di false notizie. Parlo di pace mentre una ostilità nascosta ferisce il mondo sotto la maschera di una sicurezza sorridente.

E chi se non la Fama, ella sola, fa radunare in allarme schiere di soldati e preparar difese, quando l'annata gravida di altre calamità si crede stia per procreare dal torvo tiranno della guerra, mentre nulla di tutto questo si prepara? La Fama è come un flauto ove suonano sospetti, gelosie, congetture, e di uso così facile e semplice che la moltitudine, quello stupido mostro dalle innumerevoli teste, sempre discorde e ondeggiante, può facilmente suonarlo.

Ma che bisogno v'è di notomizzare la mia persona davanti ai miei famigliari? Perché la Fama si trova qui? Io precorro la vittoria di re Enrico che in una sanguinosa battaglia presso Shrewsbury ha battuto il giovane Hotspur e le sue truppe, smorzando la fiamma dell'audace ribellione nel sangue stesso dei ribelli. Ma perché dico subito la verità? Mio compito è di spargere la notizia che Arrigo Monmouth è caduto sotto il furore della spada del nobile Hotspur e che il re, sotto l'impeto di Douglas, ha chinato fino al sepolcro la sua fronte consacrata.

Io ho sparso queste notizie nei borghi tra il campo reale di Shrewsbury e questa fortezza di rude pietra logorata dal tempo, dove il padre di Hotspur, il vecchio Northumberland, finge di essere malato. I corrieri arrivano affannati e non uno di loro porta altre novelle se non quelle che ha appreso da me: dalle lingue della Fama essi portano le dolci consolazioni della menzogna, peggiori dei veri mali.

 

(Esce)

 

 

 

ATTO PRIMO

 

SCENA PRIMA - Davanti al Castello di Northumberland

(Entra LORD BARDOLPH)

 

BARDOLPH: Chi guarda la porta qui? olà!

 

(Il Portiere apre la porta)

 

Dov'è il conte?

PORTIERE: Chi devo annunziare?

BARDOLPH: Di' al conte che lord Bardolph lo attende qui.

PORTIERE: Sua Signoria passeggia in giardino; piaccia a Vostro Onore di battere alla porta e il conte stesso vi risponderà.

 

(Entra NORTHUMBERLAND)

 

BARDOLPH: Ecco il conte.

 

(Il Portiere esce)

 

NORTHUMBERLAND: Quali notizie, lord Bardolph? ogni minuto dovrebbe ora esser padre di qualche atto di violenza. I tempi sono burrascosi; la discordia come un cavallo sazio di ricco cibo ha follemente rotto ogni freno e travolge tutto dinanzi a sé.

BARDOLPH: Nobile conte, vi porto notizie sicure da Shrewsbury.

NORTHUMBERLAND: Voglia Iddio che sian buone!

BARDOLPH: Buone quanto il cuore può desiderare: il re è quasi ferito a morte, e per la buona fortuna di monsignore vostro figlio, il principe Arrigo ucciso di colpo; entrambi i Blunt uccisi per mano di Douglas; il giovane principe Giovanni, Westmoreland e Stafford son fuggiti dal campo, e quel cignale saginato al servizio di Arrigo di Monmouth, quel vascello di sir Giovanni, è prigioniero di vostro figlio. Una giornata così ben combattuta e condotta, così completamente vinta non aveva finora fatto onore ai secoli dopo i trionfi di Cesare!

NORTHUMBERLAND: Dove avete avute queste notizie? Avete visto il campo di battaglia? Venite da Shrewsbury?

BARDOLPH: Ho parlato con uno, mio signore, che veniva di là, un gentiluomo compito e di bella fama che mi diede onestamente le notizie per vere.

NORTHUMBERLAND: Ecco che viene il mio servo Travers che mandai martedì scorso a raccogliere notizie.

BARDOLPH: Mio signore, io l'ho oltrepassato lungo la strada ed egli sa soltanto quello che può avere appreso da me.

 

(Entra TRAVERS)

 

NORTHUMBERLAND: Ebbene, Travers, quali buone notizie ci portate?

TRAVERS: Mio signore, sir Giovanni Umfrevile mi fece tornare indietro con liete notizie e, meglio montato di me, mi oltrepassò. Dopo lui venne a spron battuto un gentiluomo quasi esausto per la corsa che si fermò accanto a me per far prendere fiato al suo cavallo tutto coperto di sangue. Egli domandò la via per Chester e io gli chiesi notizie di Shrewsbury. Mi disse che la ribellione aveva la fortuna contraria e che lo sprone del giovane Arrigo Percy era ormai freddo. Così dicendo, allentò le redini del suo robusto cavallo e chinandosi sulla sella cacciò gli sproni fino alla rotella nei fianchi ansanti del povero animale e senza attendere altre domande partì d'un tal galoppo che sembrava divorare la strada.

NORTHUMBERLAND: Ah! ripeti ancora! ti disse che lo sprone di Arrigo Percy era freddo? Sproneardente divenuto Spronefreddo? e che la ribellione era stata sfortunata?

BARDOLPH: Mio signore, ascoltate: se il mio giovane signore, vostro figlio, non ha riportato la vittoria, sull'onor mio, darò la mia baronia per un cordone di seta, statene certo.

NORTHUMBERLAND: Allora perché quel gentiluomo che cavalcò al fianco di Travers gli diede notizie di rovesci?

BARDOLPH: Chi? costui! era qualche povero diavolo che aveva rubato il cavallo che montava e vi assicuro parlava a casaccio, Guardate, arrivano altre notizie.

 

(Entra MORTON)

 

NORTHUMBERLAND: Ecco, la fronte di quest'uomo, simile al frontispizio di un libro, annunzia un tragico volume. Così è la spiaggia sulla quale i flutti imperiosi hanno lasciato testimonianza della loro usurpazione. Di', Morton, vieni tu da Shrewsbury?

MORTON: Son fuggito da Shrewsbury, mio nobile signore, ove l'aborrita morte ha preso la sua più orrenda maschera per spaventare il nostro partito.

NORTHUMBERLAND: Come stanno mio figlio e mio fratello? tu tremi e il pallore della tua guancia è più pronto della tua lingua a dire il tuo messaggio. Fu un uomo come te, così vacillante, così abbattuto, così smarrito, con lo sguardo spento, stravolto dal dolore, che tirò la tenda di Priamo nel cuor della notte per dirgli che metà della sua Troia era bruciata; ma Priamo indovinò l'incendio prima ch'egli avesse ritrovato la sua lingua ed io indovino la morte del mio Percy prima che tu me lo dica. Ecco come avresti voluto dire: "Vostro figlio fece questo, e questo vostro fratello; così si batté il nobile Douglas", colpendo il mio avido orecchio col racconto delle loro audaci imprese; ma infine, come per dare al mio orecchio il colpo di grazia, tu mandi un sospiro per dissipare tutte queste lodi e finisci dicendo:

"fratello, figlio e tutti sono morti".

MORTON: Douglas è vivo e vostro fratello pure, ma quanto a monsignore vostro figlio...

NORTHUMBERLAND: Ecco, è morto! vedete come il sospetto ha la parola pronta! Chi teme solamente la cosa che non vorrebbe sapere riconosce per istinto negli occhi degli altri che quello che temeva è avvenuto.

Tuttavia parla, Morton, di' al conte che la sua divinazione ha mentito e io prenderò questo come un cortese oltraggio e ti farò ricco per avermi fatto un simile torto.

MORTON: Voi siete troppo grande per essere smentito da me, il vostro spirito troppo sicuro, i vostri timori anche troppo certi.

NORTHUMBERLAND: Eppure, nonostante tutto, non mi dire che Percy è morto. Leggo una strana confessione nel tuo occhio, tu scuoti il capo e consideri come un pericolo o una colpa dire la verità. Se egli è stato ucciso, dillo pure: la lingua che annuncia la sua morte non dà offesa; pecca colui che smentisce una morte certa, non quegli che dice che i morti non son vivi. Pure chi primo reca cattive notizie ha un ingrato compito e la sua lingua suona poi sempre come una cupa campana che ci ricorda con i suoi funebri rintocchi un amico scomparso.

BARDOLPH: Non posso pensare, mio signore, che vostro figlio sia morto.

MORTON: Sono afflitto di dovervi costringere a credere quello che volesse il cielo io non avessi veduto; ma gli occhi miei lo videro tutto insanguinato rispondere con deboli colpi, stanco e affannato, a Arrigo Monmouth la cui agile collera abbatté l'indomito Percy sul terreno da dove non si rialzò più vivo. In breve la morte di Percy, il cui ardore dava una fiamma anche al più ottuso paesano delle sue schiere, conosciuta nel campo, tolse ogni fuoco e ogni ardore alle più temprate delle sue truppe poiché era la sua tempra a far saldo il suo partito e una volta lui scomparso tutti tornarono a essere quello che erano prima, piombo grigio e pesante. E come una cosa pesante una volta spinta vola con più grande agilità, così i nostri uomini appesantiti dalla perdita di Hotspur prestarono colla loro paura tale rapidità a questo peso che le frecce non volano più rapide, verso la loro mira, dei nostri soldati i quali, mirando solo alla loro salvezza, fuggirono dal campo. Fu allora che il nobile Worcester venne fatto prigioniero e quel furioso Scozzese, il sanguinario Douglas, la cui spada instancabile aveva ucciso tre volte quelli che avevan assunto le sembianze del re, perdette coraggio, e dando una scusa alla vergogna di quelli che avevan voltato le spalle al nemico, nella fuga inciampò per la paura e fu preso. In breve, il re ha vinto ed ha spedito in fretta delle truppe contro di voi, mio signore, sotto il comando del giovane Lancaster e di Westmoreland. Queste sono le notizie complete.

NORTHUMBERLAND: Avrò abbastanza tempo per piangere queste sventure: il veleno contiene il suo rimedio e queste notizie, che se fossi stato bene mi avrebbero fatto ammalare, essendo ammalato, mi hanno in certo qual modo guarito. Come il disgraziato le cui giunture indebolite dalla febbre soccombono sotto il peso della vita come cardini divelti, nell'impazienza del suo male sfugge come fiamma dalle braccia del suo custode, così le mie membra fiaccate ed esasperate ad un tempo dal dolore hanno tre volte la loro forza. Lungi da qui dunque le comode grucce! Uno squamoso guanto dalle giunture d'acciaio ricopra la mia mano e via questo berretto da malato! tu sei una difesa troppo delicata per il capo che i principi inebriati dalla vittoria mirano a colpire. Ora cingete la mia fronte di ferro e venga l'ora più aspra che i tempi e l'avversità portano con duro cipiglio contro l'irato Northumberland! Che il cielo baci la terra! che la mano della Natura non trattenga più gli oceani tempestosi! che muoia ogni legge di natura! che il mondo non sia più un teatro ove la discordia si trascina fiacca da un atto all'altro, ma che lo spirito del primo nato Caino regni in tutti i petti, affinché tutti i cuori siano tesi ad azioni sanguinose e l'orrenda scena possa aver fine e la notte seppellisca tutti i morti!

TRAVERS: Questa collera eccessiva vi fa torto, mio signore.

BARDOLPH: Caro conte, che il vostro onore non si distacchi dalla vostra saggezza.

MORTON: La vita di tutti i vostri affezionati alleati poggia sulla vostra salute, che dovrà per forza declinare se vi abbandonate alle tempeste della passione. Voi calcolaste le eventualità della guerra, mio nobile signore, e faceste il conto delle probabilità prima di dire: "Ribelliamoci!". Sapevate che nella mischia vostro figlio poteva cadere, e che egli camminava tra pericoli, su di un orlo dal quale era più facile cader di sotto che traversare; sapevate bene che la sua carne era soggetta a ferite e cicatrici e che il suo spirito ardente lo avrebbe condotto dove più ardeva il pericolo. Tuttavia voi diceste:

"Avanti!" e nessuno di questi rischi, per quanto fortemente temuti, poté distogliervi da questa azione così risolutamente decisa. Che cosa è dunque accaduto o che cosa ha prodotto quest'audace impresa se non quello che era probabile accadesse?

BARDOLPH: Noi tutti che siamo colpiti da questa perdita sapevamo di avventurarci per mari così perigliosi da avere una probabilità su dieci di salvare la vita. Tuttavia ci avventurammo perché il guadagno che avevamo in vista spegneva in noi le considerazioni del probabile pericolo che temevamo; benché travolti e a terra, tentiamo ancora.

Venite, scenderemo tutti in campo, rischiando le nostre persone e i nostri averi.

MORTON: E' più che tempo, mio nobile signore. So di certo, e vi dico la verità, che il buon arcivescovo di York si è mosso con truppe ben equipaggiate ed è uomo che tiene i suoi seguaci in doppio legame.

Monsignore vostro figlio non aveva con sé per combattere che i corpi, le ombre, le apparenze di uomini. La parola stessa "ribellione" divideva l'azione del loro corpo da quella dell'anima ed essi combatterono con riluttanza, costretti, come si beve un'amara pozione.

Le armi soltanto sembravano essere dalla nostra parte, ma quanto ai loro spiriti e alle loro anime la parola "ribellione" li aveva gelati come pesci in uno stagno. Ma ora il vescovo cambia la ribellione in una religione. Creduto sincero e pio nei suoi pensieri, egli è seguìto con il corpo e con la mente e dà così più vasto scopo alla sua insurrezione mostrando il sangue del bel re Riccardo raccolto dalle pietre del castello di Pomfret. Egli fa discendere dal cielo la sua contesa e la sua causa, dice loro che viene alla riscossa di un paese insanguinato, boccheggiante sotto il gran Bolingbroke e grandi e piccoli accorrono al suo seguito.

NORTHUMBERLAND: Sapevo già tutto questo ma, per dire il vero, il dolore di quest'ora lo aveva tolto dalla mia mente. Venite con me e ognuno dia il suo consiglio sui migliori mezzi di sicurezza e di vendetta. Mandate corrieri e messaggi; facciamoci degli amici in tutta fretta: mai ne avemmo sì pochi e tanto bisogno di averne.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA - Londra. Una strada

(Entra FALSTAFF col suo Paggio che gli porta la spada e lo scudo)

 

FALSTAFF: Dunque, mastro gigante, cosa dice il dottore della mia orina?

PAGGIO: Ha detto, messere, che l'orina di per se stessa era una buona e sana orina, ma la persona che la possedeva poteva avere più malattie ch'egli non pensasse.

FALSTAFF: La gente di ogni condizione prende diletto a farsi beffe di me. Il cervello di quell'amalgama di creta e di follia che è l'uomo, non è capace d'inventare alcuna cosa che conduca al riso che non sia inventata da me o inventata alle mie spalle; io non sono soltanto spiritoso in me stesso, ma la fonte dello spirito negli altri uomini.

Io cammino davanti a te come una troia che ha soffocato tutti i suoi piccoli meno uno. Se il principe non ti ha messo al mio servizio per altra ragione se non quella di darmi un risalto grottesco, io non ho, perbacco, più alcun senno. Tu, piccola mandragora, figlio di una bagascia, sei più adatto a esser portato al mio berretto che a seguirmi alle calcagna. Non fui mai accompagnato da una figurina incisa nell'agata prima di adesso, però non vi incastonerò in oro o argento, ma in un misero arnese e vi rimanderò, come un gioiello, al vostro padrone; a quel giovincello, il principe vostro padrone, il cui mento non ha ancora pelo. Sarà più facile che mi cresca una barba nel palmo della mano che a lui ne cresca una sulla guancia, eppure non esiterà a dire che il suo volto è un volto regale. Iddio potrà completarlo quando vorrà, ora non ha neanche un pelo fuor di posto e un barbiere non ci guadagnerà dieci soldi. Tuttavia vuol fare il galletto come se fosse stato uomo fatto fin da quando suo padre era scapolo. Egli può conservare la sua grazia ma ha quasi perduto la mia, glielo posso assicurare. Che cosa ha detto maestro Dombledon del setino per il mio mantello corto e le mie brache?

AGGIO: Ha detto, messere, che voi dovreste procurargli una miglior garanzia che quella di Bardolfo; non ha voluto prendere né la sua obbligazione né la vostra: non lo persuadeva la garanzia.

FALSTAFF: Che sia dannato come l'epulone! prega Iddio che la sua lingua sia anche più riarsa! un Achitofel figlio di una bagascia! un briccone dalla lingua melliflua; prendere in giro un gentiluomo e venire a chiedere delle garanzie! Questi figli di puttane dalla zucca ben lisciata non portano ora che tacchi alti e mazzi di chiavi alla cintura e se uno s'è accomodato con loro per un onesto imprestito, vi chiedono delle garanzie! Vorrei piuttosto che mettessero dell'ammazza topi nella mia bocca anziché chiudermela con questa parola, garanzia! Mi aspettavo che mi mandasse ventidue metri di setino, vero che sono cavaliere, ed egli mi domanda una sicurtà! Bene!

può dormire in sicurtà poiché ha il corno dell'abbondanza e la leggerezza di sua moglie vi brilla attraverso e tuttavia non ci vede chiaro sebbene abbia il becco della sua lucerna per illuminarlo. Dov'è Bardolfo?

PAGGIO: E' andato a Smithfield a comprare un cavallo per Vostra Signoria.

FALSTAFF: Ho comprato lui a San Paolo e mi vuol comprare un cavallo a Smithfield: se potessi acquistarmi una moglie al bordello sarei servito, montato e sposato.

PAGGIO: Signore, ecco che viene quel gentiluomo che fece imprigionare il principe per avergli dato uno schiaffo a causa di Bardolfo.

FALSTAFF: Stammi vicino, non voglio vederlo.

 

(Entra il LORD GIUDICE SUPREMO e un Servo)

 

GIUDICE SUPREMO: Chi è quello laggiù?

SERVO: Falstaff, piaccia a Vostra Signoria.

GIUDICE SUPREMO: Quello che fu implicato in quella rapina?

SERVO: Proprio lui, mio signore, ma in seguito ha reso buoni servigi a Shrewsbury e, a quanto ho sentito dire, va ora da lord Giovanni di Lancaster con un certo incarico.

GIUDICE SUPREMO: Che, a York? Chiamatelo.

SERVO: Sir Giovanni Falstaff.

FALSTAFF: Ragazzo, digli che son sordo.

PAGGIO: Dovete parlar più forte, il mio padrone è sordo.

GIUDICE SUPREMO: Son certo che lo è, a ogni cosa buona; andate, tiratelo per il gomito, debbo parlargli.

SERVO: Sir Giovanni!

FALSTAFF: Come! un pezzo di giovanotto che chiede l'elemosina? Non c'è la guerra? Non ci sono occupazioni? Non ha bisogno il re dei suoi sudditi? E i ribelli non hanno bisogno di soldati? Sebbene sia una vergogna esser dell'altro partito, è vergogna ancora più grande andar mendicando che non esser del partito peggiore, portasse questo un nome peggiore di ribellione.

SERVO: Vi sbagliate sul mio conto, messere.

FALSTAFF: Vi ho detto forse, messere, che eravate un uomo onesto?

Lasciando da parte la mia condizione di cavaliere e di soldato, avrei mentito per la gola se avessi detto questo .

SERVO: Vi prego, messere, mettete allora da parte il vostro titolo di cavaliere e di soldato e permettetemi di dirvi che mentite per la gola se dite che non sono un uomo onesto.

FALSTAFF: Darti il permesso di dirmi questo? Metter da parte quello che è parte di me stesso? Se tu ottieni questo permesso da me, impiccami pure; se ti prendi questa libertà, sarebbe meglio ti facessi impiccare. Vattene, segugio senza fiuto, via di qua!

SERVO: Messere, il mio signore vorrebbe parlarvi .

GIUDICE SUPREMO: Sir Giovanni Falstaff, una parola.

FALSTAFF: Mio buon signore! che Iddio dia il buon giorno a Vostra Signoria. Son contento di vedere in giro Vostra Signoria; avevo sentito dire che Vostra Signoria era malata; spero che Vostra Signoria sia uscita dietro consiglio medico. Vostra Signoria, sebbene non abbia del tutto passata la giovinezza, ha alquanti anni sulla groppa, qualche sapore dell'amarezza del tempo, ed io umilmente supplico Vostra Signoria di aver una reverente cura della sua salute.

GIUDICE SUPREMO: Sir Giovanni, vi mandai a chiamare prima della vostra spedizione a Shrewsbury.

FALSTAFF: Non dispiaccia a Vostra Signoria, ma ho sentito dire che Sua Maestà è ritornata con qualche inquietudine dal Galles.

GIUDICE SUPREMO: Non parlo di Sua Maestà; voi non voleste venire quando vi mandai a chiamare.

FALSTAFF: E ho anche sentito dire che Sua Altezza ha avuto un attacco di quella fottuta apoplessia.

GIUDICE SUPREMO: Bene, che Iddio lo rimetta in salute! Vi prego, lasciate che vi parli di voi.

FALSTAFF: Questa apoplessia è, a quel che apprendo, una specie di letargia, non dispiaccia a Vostra Signoria, una specie di sonno nel sangue, un fottuto fischietto negli orecchi.

GIUDICE SUPREMO: Perché mi state a dir questo? Sia quello che vuole.

FALSTAFF: Ha origine da grandi dispiaceri, dal troppo studio e dal turbamento del cervello. Ho letto la causa dei suoi effetti in Galeno:

è una specie di sordità.

GIUDICE SUPREMO: Credo che vi sia venuta questa malattia poiché non sentite quello che vi dico.

FALSTAFF: Benissimo, mio signore, benissimo; è piuttosto, se non vi dispiace, la malattia di non ascoltare, la malattia di non fare attenzione che mi affligge.

GIUDICE SUPREMO: Punirvi coi ceppi curerebbe la disattenzione dei vostri orecchi e non mi dispiacerebbe diventare il vostro medico.

FALSTAFF: Sono povero come Giobbe, mio signore, ma non altrettanto paziente. Vostra Signoria può bene per la mia povertà darmi la medicina della prigione, ma fino a qual segno io sarei vostro paziente per seguire le vostre ricette è una questione sulla quale i saggi possono avere un tantino di scrupolo, o in verità uno scrupolo intero.

GIUDICE SUPREMO: Vi mandai a chiamare per rispondere a delle accuse che comportavano il rischio della vostra vita.

FALSTAFF: Non venni per consiglio del mio dotto legale, uomo versato nelle leggi del servizio militare di questo paese.

GIUDICE SUPREMO: Bene, la verità è, sir Giovanni, che voi vivete in grande infamia.

FALSTAFF: Chi si mette la mia cintura non può vivere in una minore.

GIUDICE SUPREMO: I vostri mezzi sono molto esigui e la vostra vita molto sregolata.

FALSTAFF: Vorrei che fosse altrimenti: i miei mezzi più grandi e la mia vita più snella.

GIUDICE SUPREMO: Avete traviato il giovane principe.

FALSTAFF: E' il giovane principe che ha traviato me: io sono il cieco dalla gran pancia e lui il mio cane.

GIUDICE SUPREMO: Bene, non voglio inasprire una ferita da poco sanata.

La vostra giornata di servizio a Shrewsbury ha alquanto dorato la vostra impresa notturna a Gadshill: potete ringraziare l'irrequietezza di questi tempi se siete sfuggito tranquillamente alle sue conseguenze.

FALSTAFF: Mio signore?

GIUDICE SUPREMO: Ma poiché tutto è accomodato lasciatelo così: non svegliate il lupo che dorme.

FALSTAFF: Svegliare un lupo è rischioso quanto sentir l'odore di una volpe.

GIUDICE SUPREMO: Siete, perbacco, come una candela la cui miglior parte è stata bruciata.

FALSTAFF: Un doppiere da festa, mio signore, tutto sego: se avessi detto di cera, la mia allegra cera avrebbe confermato questa verità.

GIUDICE SUPREMO: Non v'è capello bianco sul vostro volto che non vi debba inculcare il sussiego.

FALSTAFF: Il sego, il sego, il sego!

GIUDICE SUPREMO: Voi seguite il giovane principe dappertutto, come il suo cattivo angelo.

FALSTAFF: Non è così, mio signore. Un angelo cattivo è leggero, ma credo che chi mi guarda mi prenderà senza pesarmi: eppure in un certo senso, ne convengo, non posso aver corso né suonare schietto. La virtù è di così poco conto in questi tempi di fruttivendoli, che gli uomini di valore devono far ballare gli orsi. L'ingegno è diventato un garzone d'osteria, e sciupa il suo agile spirito a fare i conti; tutte le altre doti che appartengono all'uomo, per la malvagità dei tempi che le trasformano, non valgono una mora. Voi che siete vecchio non considerate le disposizioni di noi giovani, misurate il calore del nostro fegato dall'amarezza della vostra bile e noi che siamo all'avanguardia della nostra giovinezza siamo, debbo pur confessarlo, alquanto scapestrati.

GIUDICE SUPREMO: Osate scrivere il vostro nome, voi, contrassegnato da tutti i caratteri della vecchiaia, nel registro della gioventù? Non avete l'occhio umido e la mano arida? la guancia gialla e la barba bianca? la gamba che s'assottiglia e la pancia che cresce sempre? la vostra voce non è fessa e il respiro corto? il mento non è ormai doppio e semplice il vostro cervello? Ogni vostro membro non è appassito dagli anni? e volete chiamarvi giovane! Andiamo, andiamo, sir Giovanni!

FALSTAFF: Mio signore, nacqui verso le tre del pomeriggio con la testa bianca e il ventre alquanto rotondo. Quanto alla mia voce, l'ho perduta a salutar festosamente il prossimo e a cantar antifone. Non voglio dar maggiori prove della mia giovinezza. Il fatto è che sono vecchio soltanto per il senno e l'intelligenza, e chi vuol fare una gara con me a far capriole per mille marchi, che mi presti il denaro e son pronto! Quanto allo schiaffo che vi diede il principe, ve lo diede da rude principe e voi ve lo prendeste da quel signore assennato che siete. Io l'ho rimproverato per questo e il giovane leoncino si pente, per la Vergine, non con la cenere e la veste di sacco ma con seta nuova e vin secco.

GIUDICE SUPREMO: Bene, che Iddio mandi un miglior compagno al principe!

FALSTAFF: Che Iddio mandi al compagno un miglior principe! non posso levarmelo di torno.

GIUDICE SUPREMO: Bene, il re vi ha separato dal principe Arrigo. Ho sentito dire che andate con lord Giovanni di Lancaster contro l'arcivescovo e il conte di Northumberland.

FALSTAFF: Già, e io ringrazio il vostro squisito acume per questo. Ma state a sentire voi che baciate Madonna Pace qui a casa: pregate che i nostri eserciti non vengano a contatto in una giornata calda perché, per Iddio, non prendo con me che due camicie e non ho intenzione di sudare eccessivamente. Se è una giornata calda e io brandisco altra cosa che una bottiglia, non voglio più sputar bianco per il resto della mia vita. Non capita mai un'azione pericolosa che non la si cacci addosso a me! Bene, non posso durar in eterno. Ma fu sempre il vezzo della nostra nazione inglese di render troppo comune quello che possiede di buono. Se intendete proprio dire che io son vecchio, dovreste allora darmi riposo. Volesse Iddio, che il mio nome non sonasse così terribile al nemico! Vorrei piuttosto essere logorato a morte dalla ruggine che esser ridotto a niente dal moto perpetuo.

GIUDICE SUPREMO: Bene, siate onesto, siate onesto, e che Dio benedica la vostra impresa.

FALSTAFF: Vuole Vostra Signoria prestarmi mille sterline per il mio equipaggiamento?

GIUDICE SUPREMO: Non un soldo, non un soldo. Siete troppo impaziente per sopportar croci e teste. State bene, ricordatemi a mio cugino Westmoreland.

 

(Escono il Lord Giudice Supremo e il Servo)

 

FALSTAFF: Se lo faccio, dammi pure un nocchino con un maglio; l'uomo non può separare la vecchiaia dall'avarizia più di quel che non possa le giovani membra dalla lussuria, ma la gotta tormenta l'uno e il mal francese pizzica l'altro e così non posso maledire né l'una né l'altra delle due età. Ragazzo!

PAGGIO: Signore?

FALSTAFF: Quanto denaro c'è nella mia borsa?

PAGGIO: Sette grossi e due denari.

FALSTAFF: Non posso trovar rimedio contro questa consunzione della borsa; a prender denaro in prestito la si fa tirare avanti alla meglio, ma la malattia è incurabile. Va', porta questa lettera a monsignore di Lancaster, questa al principe, questa al conte di Westmoreland e questa alla vecchia madama Orsola che ogni settimana ho promesso di sposare fin da quando scorsi il primo pelo bianco sul mio mento. Fa' presto, sai dove trovarmi. (Esce il Paggio) Il mal francese colga questa gotta! o una gotta a questo mal francese! poiché o l'uno o l'altra mi giuoca un tiro al dito pollice del piede. Non importa se zoppico, ho il servizio di guerra per dar colore alla cosa e la mia pensione sembrerà così tanto più ragionevole. Un bello spirito sa trarre partito da tutto, e io volgerò i miei malanni a mio vantaggio.

 

(Esce)

 

 

 

SCENA TERZA - York. Una stanza nel palazzo dell'Arcivescovo

(Entrano l'ARCIVESCOVO DI YORK, LORD HASTINGS, LORD MOWBRAY e LORD BARDOLPH)

 

ARCIVESCOVO: Così avete inteso la nostra causa e conosciuti i nostri mezzi; ora, nobilissimi amici, vi prego di esprimere francamente la vostra opinione sulle nostre speranze. Voi prima, lord maresciallo, che ne pensate?

MOWBRAY: Convengo pienamente sulla legittimità della nostra rivolta armata, ma vorrei volentieri essere persuaso in che modo, con i nostri mezzi, potremmo marciare tenendo testa con fronte ardita e salda alle forze e alla potenza del re.

HASTINGS: L'esercito che abbiamo ora radunato ammonta a venticinquemila uomini scelti, e quanto ai nostri rinforzi abbiamo grandi speranze sul potente Northumberland il cui petto arde del fuoco che vi hanno acceso tanti oltraggi.

BARDOLPH: Allora la questione è questa, lord Hastings, se i venticinquemila uomini che abbiamo oggi possono tenere testa senza Northumberland.

HASTINGS: Con lui lo possiamo.

BARDOLPH: Questo è proprio il punto: se senza di lui ci consideriamo troppo deboli, la mia opinione è che non dovremmo andar troppo oltre prima di aver il suo aiuto a portata di mano. In un'impresa che si presenta con aspetto così sanguinoso, le congetture, le possibilità o le speranze di incerti aiuti non dovrebbero esser ammesse!

ARCIVESCOVO: Ciò è verissimo, lord Bardolph, poiché questo è proprio stato il caso del giovane Hotspur a Shrewsbury.

BARDOLPH: Così avvenne, mio signore. Egli si nutrì di speranze e visse d'aria con le promesse di aiuto, si lusingò con la prospettiva di una forza assai più piccola del più piccolo dei suoi pensieri e con quella grande immaginazione propria dei pazzi portò le sue schiere alla morte saltando a occhi chiusi nell'abisso.

HASTINGS: Ma, permettete, finora non fu mai errore tener conto delle probabilità e dei motivi a bene sperare.

BARDOLPH: Lo è in una guerra come questa quando l'azione è così imminente. Una lotta iniziata vive di speranze come nella precoce primavera vediamo spuntar le gemme, e la speranza che diventino frutti non dà tanta certezza quanto il timore che le brine le facciano avvizzire. Quando vogliamo costruire, esaminiamo prima il luogo, poi disegniamo la pianta e quando vediamo la figura della casa, allora calcoliamo il costo della costruzione. Se troviamo che questo supera le nostre possibilità che facciamo allora? Riprendiamo il nostro progetto con meno vani o anche ci asteniamo dal costruire. Tanto più in questa grande opera che consiste quasi nell'abbattere un regno e metterne su un altro, dovremmo esaminare il luogo della costruzione e il progetto, assicurarci di solide fondamenta, interrogare gli esperti, conoscere i nostri mezzi per sapere se l'azione che stiamo per intraprendere potrà sostenere l'azione opposta. Senza questo noi mettiamo insieme truppe in cifre sulla carta usando i nomi degli uomini invece degli uomini stessi, come chi fa il disegno di una casa e non ha la possibilità di costruirla, che, giunto a metà, abbandona il lavoro lasciando la sua casa mezza costruita con grande dispendio, nudo oggetto al pianto delle nubi, in balìa della tirannide del crudo inverno.

HASTINGS: Ammettiamo pure che le nostre speranze, che tuttavia dan promessa di lieta nascita, vengano in luce morte e che non si possa contare su di un uomo di più di quelli che abbiamo, io penso che siamo una forza sufficiente per misurarci con quella del re.

BARDOLPH: Come! il re non ha che venticinquemila uomini?

HASTINGS: Non di più contro di noi, anzi neanche tanti, lord Bardolph, poiché le sue forze, per far fronte ai torbidi di oggi sono divise in tre: un esercito contro i Francesi, uno contro Glendower e il terzo necessariamente deve venire contro di noi; così questo re vacillante è diviso in tre e i suoi scrigni suonano a vuota miseria.

ARCIVESCOVO: Penso che non avremo a temere che egli riunisca i suoi vari eserciti e venga contro di noi con tutte le sue forze.

HASTINGS: Se facesse questo lascerebbe le sue spalle indifese e Francesi e Gallesi abbaierebbero alle sue calcagna. Non temete questo.

BARDOLPH: Chi è probabile che conduca qui le sue forze?

HASTINGS: Il duca di Lancaster e Westmoreland: contro i Gallesi andrà lui e Arrigo Monmouth, ma non so per certo chi terrà il posto del re contro i Francesi.

ARCIVESCOVO: Moviamoci, dichiariamo il motivo della nostra sollevazione armata. La nazione è stanca della scelta che ha fatto, e il bramoso amore che aveva per lui è volto in sazietà: chi costruisce sul cuore del volgo ha un'abitazione vacillante e malsicura. O folle moltitudine! con quali fragorosi applausi non scotesti il cielo benedicendo Bolingbroke avanti che fosse quello che tu volevi! e ora che sei soddisfatta nei tuoi desideri, o bestiale divoratrice, ti senti così sazia di lui che ti provochi a rigettarlo. Fu proprio così, o cagna volgare, che tu liberasti del re Riccardo il tuo vorace petto e ora vorresti ringoiarti il morto che hai vomitato e urli per ritrovarlo. Qual fiducia si può avere in questi tempi? Quelli che quando Riccardo viveva, volevano la sua morte, sono ora innamorati della sua tomba e tu, o moltitudine, che gettavi polvere sulla sua testa benedetta quando traversò la superba Londra sospirando dietro le calcagna dell'ammirato Bolingbroke, gridi adesso: "O terra, rendi a noi quel re e prenditi questo!". O pensieri di uomini maledetti! il passato e l'avvenire sembran migliori, le cose presenti le peggiori.

MOWBRAY: Andremo a raccogliere le nostre forze e partiremo?

HASTINGS: Siamo i sudditi del tempo e il tempo ci ordina di partire.

 

(Escono)

 

 

 

ATTO SECONDO

 

SCENA PRIMA - Londra. Una strada

(Entra l'Ostessa, ARTIGLIO e il suo Ragazzo, LACCIOLO li segue)

 

OSTESSA: Mastro Artiglio, avete iniziato il procedimento?

ARTIGLIO: E' già fatto.

OSTESSA: Dov'è il vostro giovanotto? E' un ragazzo robusto? glie la farà?

ARTIGLIO: Olà, dov'è Lacciolo?

OSTESSA: O Dio! buon mastro Lacciolo.

LACCIOLO: Son qui, son qui ARTIGLIO: Lacciolo, bisogna arrestare sir Giovanni Falstaff.

OSTESSA: Già, buon mastro Lacciolo, ho iniziato il procedimento contro di lui e tutto il resto che occorre.

LACCIOLO: Può darsi che ciò costi la vita a qualcuno di noi, poiché egli tirerà stoccate.

OSTESSA: Ahimè che brutta giornata! guardatevi da lui, mi ha tirato delle stoccate proprio qui in casa e in modo bestiale. Egli non si cura davvero del male che può fare una volta che ha l'arma sguainata:

dà colpi come un qualsiasi diavolo e non risparmierà né uomo né donna né bambino.

ARTIGLIO: Se posso afferrarlo, non mi curo dei suoi colpi.

OSTESSA: No, neanch'io, sarò al vostro fianco.

LACCIOLO: Se posso acciuffarlo un istante, se vien soltanto a portata delle mie grinfie...

OSTESSA:. Sono rovinata per la sua partenza, ve lo garantisco; egli tiene sul mio libro dei conti un posto infinitesimo. Buon mastro Artiglio, tenetelo stretto, buon mastro Lacciolo, non lo lasciate sfuggire. Viene incontinente al Canto dei Friggitori, con rispetto parlando, a comprare una sella, è invitato a pranzo alla festa di Leopardo in Lumbert Street, in casa di mastro Smooth il setaiolo. Vi prego, giacché la mia azione è già iniziata e il caso mio così apertamente conosciuto dal mondo, che egli sia costretto a render ragione. Cento marchi è una grossa somma perché una povera vedova la sopporti, e ho sopportato e sopportato e sono stata menata per il naso e menata per il naso di giorno in giorno, che è una vergogna pensarci.

Non v'è onestà in un tal modo di procedere, a meno che una donna non sia cambiata in un somaro, in una bestia che sopporti i torti di ogni briccone. Eccolo là che viene e con lui quel briccone di Bardolfo dal naso color di malvasia.

 

(Entrano SIR GIOVANNI FALSTAFF, il Paggio e BARDOLFO)

 

Fate il vostro dovere, fate il vostro dovere, mastro Artiglio e mastro Lacciolo; fate il vostro dovere per me.

FALSTAFF: Che c'è? a chi è morta la giumenta? Cos'è successo?

ARTIGLIO: Sir Giovanni, vi arresto su richiesta di Monna Fapresto.

FALSTAFF: Via, vassalli! tira fuori la spada, Bardolfo, taglia la testa a quel brigante, butta quella megera nel rigagnolo!

OSTESSA: Buttarmi nel rigagnolo! Ti ci butterò io te! Questo vuoi fare? questo? briccone d'un bastardo! Assassinio, assassinio! tu briccone omicida! Vuoi uccidere gli ufficiali di Dio e del re? o brigante criminale! sei un criminale, uno scannatore di uomini e di donne.

FALSTAFF: Tienli a distanza, Bardolfo.

ARTIGLIO. Soccorso, soccorso!

OSTESSA: Buona gente, portate un soccorso o due. Vuoi o non vuoi? va', briccone! va', pezzo da galera!

FALSTAFF: Vattene, marcolfa! scanfarda! squarquoia! Ti stuzzicherò la catastrofe!

 

(Entra il LORD GIUDICE SUPREMO e il suo Seguito)

 

GIUDICE SUPREMO: Cos'è accaduto? Rispettate l'ordine qui, olà!

OSTESSA: Mio buon signore, siate buono con me! vi supplico, prendete le mie difese!

GIUDICE SUPREMO: Ebbene, sir Giovanni! cosa state litigando qui?

conviene questo alla vostra posizione, alle vostre circostanze e alla vostra missione? Dovreste già essere in cammino per York. Lascialo andare, giovanotto, perché ti attacchi a lui?

OSTESSA: O mio venerato signore, piaccia a Vostra Grazia, sono una povera vedova di Eastcheap ed egli è arrestato su mia richiesta.

GIUDICE SUPREMO: Per quale valsente?

OSTESSA: Altro che val niente! mio signore, è tutto, tutto quello che io posseggo. Mi ha divorato la casa e la roba, ha messo tutta la mia sostanza in quella sua grossa pancia; ma voglio tirarne fuori una parte o ti cavalcherò la notte come un incubo.

FALSTAFF: E' più facile che ti cavalchi io, se ho il terreno adatto per saltare su.

GIUDICE SUPREMO: Come! siam venuti a questo, sir Giovanni? Vergogna!

Un uomo di cuore come può sopportare questa tempesta d'improperi? Non vi vergognate di costringere una povera vedova a ricorrere a mezzi così violenti per riavere il suo?

FALSTAFF: Qual è la somma totale che ti debbo?

OSTESSA: Per la Vergine, se tu fossi un uomo onesto mi dovresti te stesso e anche il denaro. Mi giurasti su di una coppa mezzo dorata, seduto nella mia Stanza del Delfino, al tavolo rotondo presso un fuoco di carbone d'oltremare il mercoledì della settimana di Pentecoste quando il principe ti ruppe la testa per aver paragonato suo padre a un cantore di Windsor, tu mi giurasti allora mentre ti lavavo la ferita, di sposarmi e farmi madama tua moglie. Puoi tu negarlo? E non venne in quel momento la comare Involtino, la moglie del macellaio, e mi chiamò comare Fapresto? Era venuta a chiedere in prestito qualche goccia di aceto e disse che aveva un buon piatto di gamberetti e tu dicesti che desideravi di mangiarne un pochi e io ti risposi che non erano adatti per una ferita fresca. E non mi pregasti, quando essa se ne fu andata abbasso, di non esser così familiare con simile povera gente perché tra non molto mi avrebbero dovuto chiamare signora? E non mi baciasti dicendomi di andare a prenderti trenta scellini? Ti invito ora a far giuramento sul libro sacro; nega se puoi.

FALSTAFF: Mio signore, questa è una povera anima folle e va dicendo su e giù per la città che suo figlio più grande somiglia a voi. Fu già in buone condizioni e la verità è che la povertà l'ha resa folle. Ma quanto a questi stupidi ufficiali vi prego di permettere ch'io ne ottenga riparazione.

GIUDICE SUPREMO: Sir Giovanni, sono a conoscenza del modo che avete di storcere la verità sì da farla apparire una menzogna. Né la vostra faccia tosta né la folla di parole che sgorga da voi con più che impudente impertinenza mi faranno deviare da un imparziale giudizio:

voi avete, così sembra a me, abusato dello spirito cedevole di questa donna e avete approfittato tanto della sua borsa che della sua persona.

OSTESSA: Così è, in verità, mio signore.

GIUDICE SUPREMO: Ti prego, silenzio. Pagatele il debito che le dovete e riparate alla villania che le avete fatto; potete fate una cosa con denaro sonante e l'altra colla moneta del pentimento.

FALSTAFF: Mio signore, non posso sopportare questo rimproccio senza risposta. Voi chiamate impudente impertinenza quello che è onorevole ardimento: se un uomo fa una riverenza e non dice nulla, allora è virtuoso. No, mio signore, sia detto con tutto il rispetto che vi devo, io non intendo essere vostro cortigiano; vi dico che desidero essere liberato da questi ufficiali, avendo fretta di eseguire l'incarico del re.

GIUDICE SUPREMO: Parlate come se aveste carta libera di far del male; ma riparate il male fatto alla vostra reputazione e soddisfate la povera donna.

FALSTAFF: Vieni qui, ostessa.

 

(La prende a parte)

(Entra GOWER)

 

GIUDICE SUPREMO: Ebbene, mastro Gower, che notizie?

GOWER: Il re, mio signore, e Arrigo principe di Galles sono qui presso: questo foglio vi dirà il resto.

 

(Dà una lettera)

 

FALSTAFF: Com'è vero che sono un gentiluomo.

OSTESSA: Già, così dicevate anche prima.

FALSTAFF: Com'è vero che sono un gentiluomo, andiamo, non ne parliamo più.

OSTESSA: Per questo celeste terreno che calpesto, sarò costretta ad impegnare la mia argenteria e le tappezzerie delle mie stanze da pranzo.

FALSTAFF: Bicchieri di vetro, bicchieri di vetro è tutto quello che occorre per bere: e quanto alle pareti, qualche graziosa pittura di genere o la storia del Prodigo, o una caccia tedesca a tempera, vale mille volte di più di questi cortinaggi da letto e queste tappezzerie mangiate dalle tarme. Facciamo dieci sterline se tu puoi. Andiamo! Se non fosse per i tuoi ghiribizzi, non v'è miglior ragazza in Inghilterra. Va', lavati il viso e ritira la tua citazione. Via! non devi essere di questo umore con me; non mi conosci? Andiamo, andiamo, so bene che ti hanno messa su per far questo.

OSTESSA: Vi prego, sir Giovanni, facciamo soltanto venti nobili; in verità non me la sento d'impegnare la mia argenteria, che Dio mi salvi.

FALSTAFF: Non ne parliamo più, rimedierò in qualche altro modo: sarete sempre una sciocca.

OSTESSA: Ebbene 1'avrete, dovessi impegnare la mia sottana. Spero che verrete a cena. Mi pagherete tutto insieme?

FALSTAFF: Com'è vero che voglio vivere! Bardolfo! Va' con lei, va' con lei; sta' alle sue costole, alle sue costole.

OSTESSA: Volete che Dora Squarcialenzuola venga a cena con voi?

FALSTAFF: Non più parole, venga pure con noi.

 

(Escono l'Ostessa, Bardolfo, gli Ufficiali e il Paggio)

 

GIUDICE SUPREMO: Ho avuto altre volte migliori notizie.

FALSTAFF: Che notizie ci sono, mio buon signore?

GIUDICE SUPREMO: Dove si è fermato il re la notte scorsa?

GOWER: A Basingstoke, mio signore.

FALSTAFF: Spero, mio signore, che tutto vada bene. Che notizie ci sono?

GIUDICE SUPREMO: Tutte le sue forze sono di ritorno?

GOWER: No, millecinquecento fanti; cinquecento cavalieri sono stati mandati a monsignor di Lancaster contro Northumberland e l'arcivescovo.

FALSTAFF: Il re torna dal Galles, mio nobile signore?

GIUDICE SUPREMO: Avrete delle lettere da me immediatamente. Venite con me, buon mastro Gower.

FALSTAFF: Mio signore?

GIUDICE SUPREMO: Cosa c'è?

FALSTAFF: Mastro Gower, vorrei pregarvi di venire a pranzo con me.

GOWER: Debbo accompagnare il mio buon signore; vi ringrazio, sir Giovanni.

GIUDICE SUPREMO: Sir Giovanni, state indugiando qui troppo a lungo; dovete raccogliere soldati nelle contee man mano che avanzate.

FALSTAFF: Volete cenar con me, mastro Gower?

GIUDICE SUPREMO: Chi è quello sciocco di maestro che vi ha insegnato queste maniere, sir Giovanni?

FALSTAFF: Mastro Gower, se non mi si addicono, chi me le insegnò fu uno sciocco. Questa è la vera eleganza della scherma, mio signore, colpo per colpo e siamo pari.

GIUDICE SUPREMO: Che il Signore t'illumini, sei un gran matto!

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA - Londra. Un'altra strada

(Entrano il PRINCIPE ENRICO e POINS)

 

PRINCIPE: Dio mi sia testimonio, sono estremamente stanco.

POINS:. Siamo a questo? Credevo che la stanchezza non avrebbe osato attaccare uno di così alta nascita.

PRINCIPE: S'è davvero attaccata a me, sia pure che riconoscerlo scolori il volto della mia grandezza. Non è un po' volgare aver voglia di birra leggera?

POINS: Certo, un principe non dovrebbe studiar la parte in modo così sciatto da ricordarsi una composizione così mediocre.

PRINCIPE: In questo caso è molto probabile che il mio appetito non abbia avuto nascita principesca perché, in fede mia, mi ricordo ora di quella povera creatura che è la birra leggera. Ma queste umili preferenze mi fanno perdere davvero il piacere della mia grandezza.

Qual disonore per me di ricordare il tuo nome! o di riconoscere domani il tuo volto! o di tener nota di quante paia di calze di seta tu hai; cioè queste qui e quelle che erano color pesca! o l'inventario delle tue camicie, cioè una di superfluo e un'altra per tutto uso! ma questo lo sa meglio di me il custode del giuoco di tennis, perché la marea della tua biancheria è assai bassa, quando tu non tieni in mano la racchetta, come non hai fatto da molto tempo, perché la tela d'Olanda della tua camicia è andata a far delle brache per i tuoi Paesi Bassi e Dio sa se quelli che gridano sotto le rovine dalla tua biancheria erediteranno il suo regno, ma le levatrici dicono che la colpa non è dei bambini e perciò il mondo cresce e le famiglie si rinforzano enormemente.

POINS: Che brutta cosa che dopo aver faticato così duramente, voi dobbiate parlare in modo così insensato! Ditemi, quanti buoni principini si comporterebbero così col loro padre malato come il vostro ora?

PRINCIPE: Debbo dirti una cosa, Poins?

POINS:. Sicuro, e che sia una cosa eccellentemente buona.

PRINCIPE: Sarà buona per gente di spirito non più alto del tuo.

POINS: Andiamo, sono pronto a sostenere l'urto di questa cosa che mi volete dire.

PRINCIPE: Per la Vergine, non è conveniente che io sia triste ora che mio padre è ammalato, benché potrei dirti - come a persona che mi piace di chiamare amica in mancanza di una migliore - che avrei motivo di esser triste e triste davvero.

POINS: Non direi per un motivo simile.

PRINCIPE: Per questa mano! tu mi credi tanto avanti nel libro del diavolo per durezza e ostinazione, quanto te e Falstaff! La fine giudicherà l'uomo. Ti dirò che il cuore sanguina nell'intimo mio perché mio padre è così ammalato, ma vivendo in una compagnia vile come la tua debbo in conseguenza metter da parte ogni mostra di dolore.

POINS: E la ragione?

PRINCIPE: Cosa penseresti di me se piangessi?

POINS:. Penserei che tu sei un molto principesco ipocrita.

PRINCIPE: Sarebbe il pensiero di ognuno e tu hai sortito la ventura di pensare come pensan tutti; mai pensiero d'uomo al mondo tien la via maestra meglio del tuo; tutti mi crederebbero davvero un ipocrita. E cosa induce il vostro degno pensiero a pensar così?

POINS: Diamine, siete stato così dissoluto e tanto attaccato a Falstaff!

PRINCIPE: E a te.

POINS: Per questa luce! si parla bene di me, posso sentirlo con i miei propri orecchi. Il peggio che si possa dire di me è che sono un cadetto e di bella presenza, e confesso che non posso farci niente se le cose stanno così. Per la messa, ecco che viene Bardolfo...

 

(Entrano BARDOLFO e il Paggio)

 

PRINCIPE: ...e il ragazzo che diedi a Falstaff; glielo diedi cristiano e guarda se quel grosso briccone non lo ha trasformato in una scimmia.

BARDOLPH: Dio salvi Vostra Grazia.

PRINCIPE: E la vostra, nobilissimo Bardolfo.

BARDOLFO (al Paggio): Venite qui, virtuoso somaro, timido stupidello; dovete proprio arrossire? Perché diventate rosso? Che verginale guerriero siete diventato adesso! E' così difficile sverginare un boccale di birra?

PAGGIO: Egli mi ha chiamato or ora, mio signore, attraverso la grata rossa della taverna e io non potevo distinguere alcuna parte del suo volto dalla grata della finestra; alfine ho scorto i suoi occhi, e mi è parso ch'egli avesse fatto due fori nella sottana nuova dell'ostessa e vi guardasse attraverso.

PRINCIPE: Non ha fatto progressi il ragazzo?

BARDOLPH: Vattene, coniglio ritto uscito da una puttana, vattene.

PAGGIO: Vattene tu, briccone d'un sogno d'Altea, fuori di qui!

PRINCIPE: Spiegaci, ragazzo, qual sogno!

PAGGIO: Diamine, mio signore, Altea sognò di aver partorito un tizzone ardente, e per questo io lo chiamo il suo sogno.

PRINCIPE: Buona interpretazione che vale una corona. Eccola qui, ragazzo.

 

(Gli dà il denaro)

 

POINS:. Oh, se questo bel fiore potesse essere preservato dai vermi!

Eccoti sei denari per preservarti.

BARDOLPH: Se fra tutti voi non lo farete finire sulla forca, la forca avrà patito un torto.

PRINCIPE: E come sta il tuo padrone, Bardolfo?

BARDOLFO: Bene, mio buon signore. Ebbe notizia che Vostra Grazia veniva in città, ed ecco una lettera per voi.

POINS: Consegnata con tutto il dovuto rispetto. E come sta quell'estate di San Martino del tuo padrone?

BARDOLFO: In buona salute di corpo, signore.

POINS: Diamine! la parte immortale ha bisogno di un medico, ma ciò non lo commuove; sebbene malato non muore.

PRINCIPE: Permetto a questo bubbone di essere familiare con me come il mio cane, e lui tiene bene il suo posto poiché vedete come scrive.

POINS (legge): "Giovanni Falstaff, cavaliere": ognuno lo deve sapere ogni volta che gli capita l'occasione di nominarsi, come quelli che son parenti del re e non si pungono mai un dito che non dicano: "cola un po' di sangue reale". "Come mai?" dice qualcuno che fa finta di non capire. Allora la risposta si leva pronta come il berretto di uno che vi chiede denaro: "Sono il cugino povero del re, messere".

PRINCIPE: Già, voglion esser nostri parenti dovesser risalire fino a Giafet. Ma sentiamo la lettera.

POINS (legge): "Sir Giovanni Falstaff, cavaliere, al figlio del re più vicino a suo padre, Arrigo principe di Galles, salute". Ma questo è un certificato.

PRINCIPE: Silenzio! (Legge): "Voglio imitare gli onorati Romani in brevità".

POINS: Certo egli intende dire brevità di respiro, mancanza di fiato.

PRINCIPE (legge): "Mi raccomando a te, ti raccomando al cielo e ti lascio. Non esser troppo familiare con Poins poiché egli fa tal cattivo uso dei tuoi favori che giura che tu devi sposare sua sorella Nora. Pentiti nei tuoi momenti d'ozio come puoi, e con ciò addio.

Vostro per sì e per no (che equivale a dire: secondo che tu lo tratterai) Gianni Falstaff con i miei familiari; Giovanni con i miei fratelli e le mie sorelle e sir Giovanni con tutta l'Europa".

POINS: Mio signore, immergerò questa lettera nel vin di Spagna e gliela farò mangiare.

PRINCIPE: Ciò equivale a fargli mangiare venti delle sue parole. Ma mi trattate così, Ned? devo sposare vostra sorella?

POINS:. Che Dio non mandi peggior fortuna alla ragazza! ma io non ho mai detto questo.

PRINCIPE: Ebbene, così folleggiamo col tempo mentre gli spiriti dei savi siedon sulle nubi e ridon di noi. Il vostro padrone è qui a Londra?

BARDOLPH: Sì, mio signore.

PRINCIPE: Dove cena? il vecchio cinghiale si pasce ancora nel vecchio stabbiolo?

BARDOLFO: Nel vecchio sito, mio signore, a Eastcheap.

PRINCIPE: In che compagnia?

BARDOLFO: Gente allegra, milord, della vecchia chiesa.

PRINCIPE: Delle donne cenano con lui?

BARDOLFO: Nessuna, mio signore, eccetto la vecchia monna Fapresto e madama Dora Squarcialenzuola.

PRINCIPE: E chi può essere questa pagana?

PAGGIO: Una vera gentildonna, messere, e una parente del mio padrone.

PRINCIPE: Parente come sono le giumente della parrocchia al toro del villaggio. Se li sorprendessimo, Ned, quando sono a cena?

POINS: Sono la vostra ombra, mio signore, vi seguirò.

PRINCIPE: Olà, ragazzo! Bardolfo, non una parola al vostro padrone che sono tornato in città. Questo è per il vostro silenzio.

BARDOLPH: Non ho lingua, signore.

PAGGIO: Quanto alla mia, signore, la terrò a posto.

PRINCIPE: State bene, andate. (Escono Bardolfo e il Paggio) Questa Dora Squarcialenzuola dev'essere assai navigata.

POINS: Ve lo garantisco, battuta come la strada tra Sant'Albano e Londra.

PRINCIPE: Come potremmo vedere Falstaff rivelarsi a noi stanotte nei suoi veri colori e non farci vedere?

POINS: Mettiamoci giacchette e grembiuli di cuoio e serviamolo a tavola come due garzoni.

PRINCIPE: Da un dio a un toro è una grave caduta! fu il caso di Giove.

Da un principe a un valletto è una bassa trasformazione! Farò così poiché in ogni cosa l'esecuzione del progetto dev'essere in rapporto con la follia della sua concezione. Seguimi, Ned.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA - Warkworth. Davanti al Castello

(Entrano NORTHUMBERLAND, LADY NORTHUMBERLAND e LADY PERCY)

 

NORTHUMBERLAND: Ti prego, mia affettuosa moglie e figlia mia gentile, lasciate libera via alle mie rudi faccende; non assumete il volto dei tempi e non siate come loro tempestosi per Percy.

LADY NORTHUMBERLAND: Ci ho rinunziato e non dirò altro: fate come volete, il vostro senno sia la vostra guida.

NORTHUMBERLAND: Ahimè! diletta consorte, il mio onore è in giuoco, e se non vado, nulla potrà redimerlo.

LADY PERCY: Eppure, per amor di Dio, non andate a queste guerre! Fu un tempo, padre mio, quando voi rompeste la vostra parola, e vi era più caro tenerla che non ora, quando il vostro Percy, il diletto Arrigo del mio cuore, gettò molti sguardi verso il settentrione per vedere se suo padre accorreva con le sue schiere, ma attese invano. Chi allora vi persuase a restare a casa? Vi furono due onori perduti; il vostro e quello di vostro figlio. Quanto al vostro, possa la gloria celeste illuminarlo! quanto al suo, gli era stretto addosso come il sole alla grigia volta del cielo, e alla sua luce tutta la cavalleria d'Inghilterra si moveva a valorose azioni. Egli era invero lo specchio dinanzi al quale la giovane nobiltà si formava; non aveva gambe chi non imitava la sua andatura, e quell'ingarbugliar le parole che la natura gli aveva dato come difetto divenne il modo di parlare dei valorosi poiché quelli che potevano parlare a voce bassa e lentamente cambiavano la loro perfezione in difetto per somigliare a lui.

Cosicché nella parola, nell'andatura, nel modo di vivere per i piaceri preferiti, le abitudini militari, i capricci del carattere, egli era il modello e lo specchio, la copia e il libro che plasmava gli altri.

E fu lui, questa meraviglia e miracolo degli uomini a nessuno secondo, che voi lasciaste senza aiuto a mirare l'orrendo dio della guerra in posizione svantaggiosa; lo lasciaste a dar battaglia ove non v'era altra difesa che il suono del nome di Hotspur. O non fate mai alla sua ombra l'ingiuria di mantenere un impegno d'onore in modo più preciso e scrupoloso verso gli altri che con lui: lasciateli a loro stessi. Il maresciallo e l'arcivescovo sono forti; se il dolce Arrigo avesse avuto la metà delle loro forze, oggi stretta al collo di Hotspur avrei parlato della tomba di Monmouth.

NORTHUMBERLAND: Che Dio vi benedica, mia bella figlia! Con questi nuovi lamenti per antichi errori voi mi togliete ogni coraggio. Ma debbo partire e andare incontro al pericolo o esso verrà a trovarmi in altro luogo ove mi troverà meno preparato.

LADY NORTHUMBERLAND: Oh, fuggite in Scozia finché i nobili e i comuni armati abbiano potuto dare qualche prova della loro potenza.

LADY PERCY: Se guadagnano terreno e vantaggio sul re, allora unitevi a loro come un'armatura d'acciaio per accrescere ancora la loro forza, ma per l'amore che vi portiamo lasciate che prima tentino loro. Così fece vostro figlio e lo si lasciò fare cosi, ed io rimasi vedova e non avrò mai vita abbastanza per bagnare delle mie lacrime questo ricordo affinché possa crescere e germogliare sin sull'alto del cielo in memoria del mio nobile sposo.

NORTHUMBERLAND: Andiamo, andiamo, venite con me. Avviene nel mio spirito come per la marea che sale alla sua più grande altezza e poi si arresta e non scorre né da una parte né dall'altra: andrei volentieri a raggiungere l'arcivescovo, ma mille ragioni mi trattengono. Mi deciderò per la Scozia e rimarrò là finché il tempo e il successo non reclameranno la mia presenza.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA QUARTA - Londra. Una stanza nella taverna della Testa di Cinghiale a Eastcheap

(Entrano due Garzoni)

 

PRIMO GARZONE: Che diavolo hai portato là? delle mele San Giovanni? tu sai bene che sir Giovanni non può soffrire le mele San Giovanni.

PRIMO GARZONE: Per la messa! tu dici il vero. Il principe una volta pose un piatto di mele San Giovanni davanti a lui e gli disse che così erano sei sir Giovanni, e togliendosi il cappello aggiunse: "Adesso mi congederò da questi sei secchi, rotondi, vecchi, avvizziti, cavalieri". Questo lo punse al vivo, ma lo ha dimenticato.

PRIMO GARZONE: Bene, allora metti la tovaglia e portale via e vedi se puoi trovare la banda d'Acquacheta; madama Dora Squarcialenzuola vorrebbe volentieri un po' di musica, sbrigati. La stanza dove hanno cenato è troppo calda; verranno subito.

PRIMO GARZONE: Amico, verrà subito il principe e mastro Poins e si metteranno due delle nostre giacchette e grembiuli e sir Giovanni non ne deve saper nulla, ce ne ha avvertito Bardolfo.

PRIMO GARZONE: Per la messa! sarà uno scherzo coi fiocchi e una eccellente trovata.

SECONDO GARZONE: Vedrò se posso scovare Acquacheta.

 

(Esce)

(Entrano l'Ostessa e DORA SQUARCIALENZUOLA)

 

OSTESSA: Davvero, cuor mio, mi pare che ora voi siate in eccellente avena: il vostro bolso batte tanto irregolare quanto il cuore può desiderarlo e il vostro colorito, ve lo assicuro, è davvero rosso come qualsiasi rosa, proprio! ma vi assicuro che avete bevuto troppo vino delle Canarie, un vino che vi arriva in fondo e vi profuma il sangue prima che possiate dire: "Che cosa è questo?". Come va ora?

DORA: Meglio di prima, hem!

OSTESSA: Ben detto, un buon cuore vale dell'oro. Guarda che viene sir Giovanni.

 

(Entra FALSTAFF cantando)

 

FALSTAFF: "Quando Arturo apparve a corte"... vuota il pitale. (Esce il Primo Garzone) "Ed era un degno re". Eh! come va, madama Dora?

OSTESSA: Ha avuto un capogatto, proprio così.

FALSTAFF: Così fan tutte quelle come lei; se hanno un capogatto, gatta ci cova.

DORA: Lurido briccone, è questo tutto il conforto che mi date?

FALSTAFF: Voi li fate grassi, i vostri bricconi, madama Dora.

DORA: Io li faccio! li fanno la ghiottoneria e le malattie, non li faccio io.

FALSTAFF: Se il cuoco aiuta a far le ghiottonerie voi aiutate a far le malattie, Dora; le prendiamo da voi, Dora, da voi le prendiamo, riconoscilo, mia povera virtù, riconoscilo DORA: Già, per la Vergine! e voi prendete le nostre catenelle e i nostri gioielli.

FALSTAFF: "I fermagli, le perle, i gingilli". Perché servire valorosamente, sapete, vuol dire tornarsene zoppicando, uscir dalla breccia con la picca ben dritta, e andar poi coraggiosamente dal chirurgo, e sapere azzardarsi bravamente sulle colubrine cariche.

DORA: Impiccati! lurida anguilla, impiccati!

OSTESSA: Andiamo, è il vecchio vezzo: voi due non v'incontrate mai senza venire a male parole. Siete tutti e due collirici come due crostini risecchi, non potete sopportare le confermità reciproche.

Alla buon'ora! bisogna bene che uno sopporti, e dovete esser voi, voi che siete il vaso più fragile, come suol dirsi, il vaso più vuoto.

DORA: Può un fragile vaso vuoto sopportare una così immensa botte piena? V'è in lui un intero carico di un mercante di vini di Bordeaux; voi non avete mai visto un bastimento con la stiva più piena. Andiamo, voglio esser tua amica, Gianni, te ne vai alle guerre, e se io mai ti rivedrò o no, nessuno se ne cura.

 

(Rientra il Garzone)

 

GARZONE: Messere, l'alfiere Pistola è qui abbasso e vorrebbe parlarvi.

DORA: Che s'impicchi, quella canaglia di spaccone! Non lo lasciate venir qui, è il più sboccato briccone d'Inghilterra.

OSTESSA: Se viene per attaccar briga, non lo lasciate venir qui no, in fede mia! io devo vivere tra i miei vicini e non voglio attaccar brighe; ho buon nome e reputazione tra i migliori; chiudete la porta, niente attaccabrighe qui - non ho vissuto sinora per aver delle baruffe adesso - chiudete la porta, vi prego.

FALSTAFF: Mi stai a sentire, ostessa?

OSTESSA: Vi prego, state tranquillo, sir Giovanni, qui non vengono attaccabrighe.

FALSTAFF: Mi stai a sentire? è il mio alfiere.

OSTESSA: Lallerallà, sir Giovanni, non mi fate discorsi; il vostro alfiere attaccabrighe non passa dalla mia porta. L'altro giorno ero stata chiamata da mastro Catarro, lo scabbino, ed egli mi disse, non più tardi di mercoledì scorso: "Vicina Fapresto - dice lui; mastro Mutolo, il nostro parroco, era allora presente - vicina Fapresto - dice lui - ricevete coloro che sono morigelati perché - dice lui - avete una cattiva reputazione". Io so bene perché parlava così e potrei dirlo: " perché - dice lui - voi siete una donna onesta e della quale si pensa bene; perciò state attenta quali ospiti ricevete, non ricevete - dice lui - compari attaccabrighe". Non ce ne viene qui: vi parrebbe di toccare il cielo con un dito a sentire quello che disse.

No, non voglio attaccabrighe.

FALSTAFF: Non è un attaccabrighe, ostessa, è un mansueto mariolo, in verità, che potete accarezzare dolcemente come un levriere cucciolo; non litigherebbe con una gallina di Barbaria se questa rizzasse le penne e facesse mostra di resistere. Fallo salire, garzone.

 

(Esce il Garzone)

 

OSTESSA: Mariolo, lo chiamate? Non sbatterò la porta in faccia ad alcun uomo onesto o mariolo che sia, ma non mi piacciono i litigi, e in verità io mi sento male quando sento dire "litigio". Sentite come tremo, padroni miei, guardate, ve lo assicuro

DORA: E' proprio così, ostessa.

OSTESSA: Non è vero che tremo? tremo proprio come se fossi una foglia di pioppo... non posso soffrire gli attaccabrighe.

 

(Entrano PISTOLA, BARDOLFO, e il Paggio)

 

PISTOLA: Dio vi salvi, sir Giovanni!

FALSTAFF: Benvenuto, alfiere Pistola. Qui, Pistola, io ti carico con una coppa di vino di Spagna: tu scarica sulla mia ostessa.

PISTOLA: Scaricherò su di lei, sir Giovanni, con due palle.

FALSTAFF: E' a prova di pistola, messere; sarà difficile che le rechiate offesa.

OSTESSA: Andiamo, non berrò prove né palle; non berrò più di quello che mi farà bene per far piacere ad alcun uomo.

PISTOLA: Allora a voi, madonna Dorotea, caricherò voi.

DORA: Caricare me! Vi disprezzo, miserabile! Come! un povero diavolo senza camicia, una vile canaglia, truffatore! Via, briccone ammuffito, andatevene; io son vivanda per il vostro padrone.

PISTOLA: Vi conosco, madonna Dorotea.

DORA: Via di qua, briccone d'un lestofante! sozzo ladro! Per questo vino, ficcherò il mio coltello nelle vostre mascelle ammuffite, se fate con me l'impertinente tagliaborse! Via di qua, canaglia d'un ubriacone, giocoliere di spadone da strapazzo! Da quando tante arie, vi prego, messere? Per la luce di Dio! con due spalline? Corbezzoli!

PISTOLA: Ch'io possa morire, se non ucciderò la vostra gorgiera per quello che avete detto.

FALSTAFF: Basta Pistola! non voglio che spariate qui; scaricateci della vostra compagnia, Pistola.

OSTESSA: No, buon capitano Pistola, non qui, mio caro capitano.

DORA: Capitano! detestabile e dannato truffatore, non ti vergogni di farti chiamare capitano? Se i capitani la pensassero come me, ti metterebbero alla porta a bastonate per aver preso il loro grado prima di averlo guadagnato. Voi capitano? miserabile! e perché mai? per aver lacerato la gorgiera di una povera puttana in un bordello? Lui capitano! impiccatelo, il birbone! Vive di prugne cotte ammuffite e di torte secche. Capitano, questi briganti renderanno la parola capitano odiosa come la parola "possedere" che era un'eccellente e buona parola prima che fosse usata in un brutto senso; perciò bisogna che i capitani facciano attenzione.

BARDOLFO: Ti prego, scendi giù, mio buon alfiere.

FALSTAFF: Stammi a sentire, madama Dora.

PISTOLA: Non io! ti dirò, caporale Bardolfo, potrei farla a pezzi; voglio vendicarmi di lei.

PAGGIO: Ti prego, scendi.

PISTOLA: Voglio prima vederla dannata, nel lago dannato di Plutone, per questa mano! nell'abisso infernale con Erebo e i più vili tormenti. Tien fermo l'amo e la lenza, dico io. Giù, giù, cani! giù felloni! Non c'è qui Irene?

OSTESSA: Buon capitano Pistola, state tranquillo! è molto tardi, proprio. Vi supplizio, aggravate la vostra collera.

PISTOLA: Queste son baie! cavalli da tiro E flaccide impinguate brenne d'Asia Che posson far sol trenta milia al dì, Ed i Greci Troiani? Sian dannate Compararsi coi Cesari e i Cannibali Col re Cerbero e il ciel ruggisca pure.

Dovremo far baruffa per sciocchezze simili?

OSTESSA: In fede mia, capitano, queste son parole molto amare.

BARDOLFO: Vattene, buon alfiere: finiremo con una rissa.

PISTOLA: Che gli uomini muoiano come cani; date via corone come spille! Non c'è qui Irene?

OSTESSA: Sulla mia parola, capitano, non c'è niente di simile qui.

Alla buon'ora! pensate forse che la nasconderei? Per amor del cielo, state tranquillo.

PISTOLA: Allora mangiate e ingrassate, mia bella Callipoli. Su, dateci del vino di Spagna. "Se fortuna mi tormenta, la speranza mi contenta".

Abbiamo paura delle bordate? no! che il demonio faccia fuoco, dammi del vin di Spagna e, beneamata, tu sta' qui. (Posa la sua spada) Facciamo punto fermo qui e il resto non conta nulla?

FALSTAFF: Pistola, vorrei star tranquillo.

PISTOLA: Dolce cavaliere, ti bacio il pugno! Eh, abbiamo visto le sette stelle.

DORA: Per amor di Dio, buttalo giù dalle scale; non posso sopportare una simile tronfia canaglia.

PISTOLA: Buttarmi giù dalle scale! non sappiamo chi sono le giumente di Galloway?

FALSTAFF: Buttalo giù, Bardolfo, come uno scellino al rimbalzino; se non sa far altro che dir sciocchezze non ha niente da fare qui.

BARDOLFO: Venite, scendete abbasso.

PISTOLA: Come? avremo un salasso? verseremo sangue? (Afferrando la spada) Allora, o morte, cullami al tuo sonno. I mesti dì m'abbrevia! e gravi, orrende, Boccheggianti ferite orsù dipanino Le Tre Sorelle! Vieni, Atropo, m'odi!

OSTESSA: Finiremo con una bella zulfa!

FALSTAFF: Dammi la mia spada, ragazzo.

DORA: Ti prego, Gianni, ti prego, non tirar fuori la spada.

FALSTAFF: Vattene abbasso.

 

(Traendo la spada)

 

OSTESSA: Ecco un bel tumulto! Rinunzio a tener su osteria, se mi devo trovare a questi territori e spaventi. Ora si ammazzeranno, ne son certa. Ohimè! ohimè! rinfoderate le spade nude! rinfoderate le spade nude!

 

(Escono Bardolfo e Pistola)

 

DORA: Ti prego, Gianni, sta' quieto, il briccone se n'è andato. Ah!

fegatinaccio d'un figlio di puttana che non sei altro!

OSTESSA: Non siete ferito all'inguine? mi parve che vibrasse un maledetto colpo alla vostra pancia.

 

(Rientra BARDOLFO)

 

FALSTAFF: L'hai cacciato fuori della porta?

BARDOLFO: Sì, messere, il briccone è ubriaco. Lo avete ferito, messere, alla spalla.

FALSTAFF: Una canaglia, sfidarmi!

DORA: Ah! bricconcello, mia povera scimmietta, come sudi! vieni, lascia che ti asciughi il viso, vieni ciccione d'un figlio di puttana.

Ah! briccone, ti amo davvero: sei valoroso come Ettore di Troia, vali cinque Agamennoni e sei dieci volte più grande dei Nove Eroi; bricconcello!

FALSTAFF: Miserabile, birbante! farò saltare lo scellerato in una coperta.

DORA: Fa' pure, se ne hai cuore; se lo fai io ti sballotterò tra due lenzuola.

 

(Entrano dei Sonatori)

 

PAGGIO: I sonatori son venuti, messere.

FALSTAFF: Che suonino! sonate, messeri! Siediti sul mio ginocchio, Dora. Miserabile birbone d'un millantatore! il mariolo è fuggito via davanti a me come l'argento vivo.

DORA: Proprio così; e tu gli andasti dietro svelto come la fabbrica di San Pietro. Mio grazioso maialetto della fiera di San Bartolomeo, quando smetterai tu di combatter di giorno e tirar di scherma di notte, e comincerai a rattoppare le tue vecchie cuoia per il cielo?

 

(Entrano di dietro il PRINCIPE ENRICO e POINS, travestiti da garzoni d'osteria)

 

FALSTAFF: Zitta, mia buona Dora! non parlare come una testa di morto, non mi far ricordare la mia fine.

DORA: Mariolo, che tipo è il principe?

FALSTAFF: Un buon ragazzo senza cervello, sarebbe stato un buon dispensiere, avrebbe tagliato bene il pane.

DORA: Dicono che Poins ha molto spirito.

FALSTAFF: Lui, molto spirito? impiccamelo quel babbuino! il suo spirito è denso come la mostarda di Tewksbury; non v'è più fantasia in lui che in un mazzapicchio.

DORA: E perché allora il principe gli vuol tanto bene?

FALSTAFF: Perché le loro gambe sono della stessa grossezza e giuoca bene agli anelli e mangia anguille col finocchio e ingoia mozziconi di candela accesi all'acquavite, e fa all'altalena coi ragazzi e salta a piè pari al di sopra degli sgabelli e bestemmia con buona grazia e porta stivali ben lisci come quello che serve d'insegna e non fa nascere baruffe raccontando storielle indiscrete. E' per queste ed altre strambe qualità ch'egli possiede e che mostrano un cervello debole e un corpo robusto, che il principe lo tiene in favore, perché lo stesso principe è simile a lui; il peso d'un capello farebbe pendere l'equilibrio dei lor pesi sulla bilancia.

PRINCIPE: Questo bricco non meriterebbe che gli tagliassimo gli orecchi?

POINS:. Bastoniamolo davanti alla sua scanfarda.

PRINCIPE: Guarda come questo vecchio avvizzito si fa grattare la capoccia come un pappagallo.

POINS: Non è strano che il desiderio sopravviva di tanti anni all'azione?

FALSTAFF: Baciami, Dora.

PRINCIPE: Saturno e Venere sono in congiunzione quest'anno! che dice l'almanacco di questo fatto?

POINS: E guarda l'infocato trigòno, il suo uomo, che se ne sta sussurrando dolcemente all'antica agenda, al libro dei conti, alla consigliera del suo padrone!

FALSTAFF: E' per lusingarmi che tu mi dai dei baci?

DORA: Sulla mia fede, ti bacio di cuor sincero.

FALSTAFF: Son vecchio, son vecchio.

DORA: Amo più te che non uno di quei miseri giovincelli.

FALSTAFF: Di che stoffa vuoi una sottana? Giovedì riscoterò del denaro. Domani avrai un cappello. Andiamo, un'allegra canzone; si fa tardi, ce ne andremo a letto. Tu mi dimenticherai quando sarò partito.

DORA: Mi metterò davvero a piangere se tu dici così: sta' certo che non mi vestirò più dei miei begli abiti finché tu non ritornerai.

Bene, ascoltiamo la fine.

FALSTAFF: Del vino di Spagna, Cecco!

PRINCIPE: e POINS: Subito, subito, signore.

 

(Avanzando)

 

FALSTAFF: Ah! un figlio bastardo del re! e non sei tu Poins, suo fratello?

PRINCIPE: Ecco, mappamondo di continenti pieni di peccati, che vita conduci!

FALSTAFF: Migliore della tua: io sono un gentiluomo, tu un tirapiedi.

PRINCIPE: Verissimo, messere, e vengo per tirarvi fuori di qui per le orecchie.

OSTESSA: O che il Signore conservi Vostra Grazia! in verità, benvenuto a Londra. Che il cielo benedica quel tuo dolce viso! O Gesù, siete venuto dal paese di Galles?

FALSTAFF: O tu folle e lussuriosa miscela di maestà! per questa frivola carne e questo sangue corrotto (appoggiando la mano su Dora) tu sei benvenuto.

DORA: Come sarebbe a dire, stupido grassone! vi disprezzo.

POINS: Mio signore, vi distoglierà dalla vostra vendetta volgendo tutto in scherzo, se non battete il ferro finché è caldo.

PRINCIPE: O tu, miniera di sego, come vilmente hai or ora parlato di me davanti a questa onesta, virtuosa e compita donna?

OSTESSA:. La benedizione di Dio sul vostro buon cuore! ella è proprio così, in fede mia.

FALSTAFF: Mi hai ascoltato?

PRINCIPE: Già, e voi mi avevate riconosciuto come quando scappaste via a Gadshill: sapevate che ero alle vostre spalle e parlaste a quel modo a bella posta per mettere alla prova la mia pazienza.

FALSTAFF: No, no, no, non è così; non pensavo tu fossi a portata d'orecchio.

PRINCIPE: Vi costringerò allora a confessare il vostro premeditato insulto, e poi so io come servirvi.

FALSTAFF: Nessun insulto, Rigo, sul mio onore, nessun insulto.

PRINCIPE: No! disprezzarmi e chiamarmi dispensiere e tagliapane e non so che altro!

FALSTAFF: Nessun insulto, Rigo.

POINS: Nessun insulto?

FALSTAFF: Nessun insulto al mondo, Ned: mio onesto Ned, nessuno. Io l'ho denigrato agli occhi dei malvagi affinché questi non s'innamorassero di lui: così facendo ho fatto la parte di un premuroso amico e di un fedele suddito e tuo padre mi deve render grazie per questo. Nessun insulto, Rigo... nessuno, Ned, nessuno; in fede mia, ragazzi, nessuno.

PRINCIPE: Vedi ora se per genuina paura e viltà tu non fai torto a questa virtuosa gentildonna pur di far la pace con noi? Appartiene essa ai malvagi? E la tua ostessa qui o il ragazzo, son tra i malvagi?

O l'onesto Bardolfo, il cui zelo gli arde nel naso, è tra i malvagi?

POINS: Rispondi, olmo morto, rispondi.

FALSTAFF: Il demonio ha già segnato Bardolfo in modo irrevocabile, e il suo volto è la cucina privata di Lucifero dove non fa altro che arrostire i bevitori di birra. Quanto al ragazzo, v'è un angelo buono al suo fianco, ma il diavolo soverchia pure lui.

PRINCIPE: E quanto alle donne?

FALSTAFF: Una di loro è già all'inferno e brucia, povera anima. Quanto all'altra, le devo denaro, e se sarà dannata per questo, io non lo so.

OSTESSA: No, ve lo garantisco.

FALSTAFF: No, penso anch'io che non lo sarai, per questo te la cavi.

Per la Vergine! c'è un'altra accusa contro di te: quella di permettere che si mangi carne nella tua casa contrariamente alla legge; e per questo penso che tu urlerai.

OSTESSA: Tutti i locandieri lo fanno: cos'è una coscia di montone o due nell'intera quaresima?

PRINCIPE: Voi, madama...

DORA: Che dice Vostra Grazia?

FALSTAFF: Sua Grazia dice cose contro cui la sua carne si ribella.

 

(Si ode bussare)

 

OSTESSA: Chi bussa così forte all'uscio? guarda all'uscio, Cecco.

 

(Entra PETO)

 

PRINCIPE: Ebbene Peto, che notizie?

PETO: Il re vostro padre è a Westminster; vi sono venti corrieri stanchi ed esausti che vengono dal settentrione e, mentre io stavo venendo, ho incontrato e raggiunto una dozzina di capitani, a capo nudo, sudati, che bussavano alle taverne e tutti domandavano di sir Giovanni Falstaff.

PRINCIPE: Per il cielo, Poins, mi sento molto in colpa di profanare in ozio un tempo prezioso, allorché la tempesta della ribellione, come il vento del mezzogiorno carico di neri vapori, comincia a sciogliersi e a cadere sulle nostre teste disarmate. Dammi la spada e il mantello.

Falstaff, buona notte.

 

(Escono il Principe Enrico, Poins, Peto e Bardolfo)

 

FALSTAFF: Ora viene il più dolce boccone della notte, e noi dobbiamo andarcene da qui senza coglierlo. (Si ode bussare) Bussano ancora!

 

(Rientra BARDOLFO)

 

Ebbene, cos'è successo?

BARDOLPH: Dovete andare a corte subito, messere: una dozzina di capitani stanno alla porta ad attendervi.

FALSTAFF (al Paggio): Paga i sonatori, ragazzo. Addio, ostessa, addio Dora. Voi vedete, mie buone ragazze, come si ricercano gli uomini di merito: i buoni a nulla posson dormire, quando l'uomo d'azione è chiamato. Arrivederci, buone ragazze: se non mi fanno partire in tutta fretta, vi rivedrò prima.

DORA: Non posso parlare; se il mio cuore non sta per scoppiare...

andiamo, Giannino mio, prendi cura di te.

FALSTAFF: Addio, addio.

 

(Escono Falstaff e Bardolfo)

 

OSTESSA: Suvvia, buona fortuna! quando torna la stagione dei piselli saranno ventinove anni che ti conosco, ma un uomo più onesto, di cuore più sincero... suvvia, buona fortuna!

BARDOLFO (dal di dentro): Madama Squarcialenzuola !

OSTESSA: Che c'è?

BARDOLFO (dal di dentro): Dite a madama Squarcialenzuola che venga dal mio padrone.

OSTESSA: Oh! correte, Dora, correte; correte, buona Dora (Dora viene tutta in lacrime) Sì, volete venire, Dora?

 

(Escono)

 

 

 

ATTO TERZO

 

SCENA PRIMA - Una stanza nel Palazzo

(Entra ENRICO QUARTO, in veste da camera, con un Paggio)

 

ENRICO: Va', chiama i conti di Surrey e di Warwick, ma prima che vengan qui, di' loro di leggere queste lettere e di meditarvi sopra.

Fa' presto. (Esce il Paggio) Quante migliaia dei miei più poveri sudditi dormono a quest'ora! O sonno, o dolce sonno, soave riparatore della Natura, in che modo ti ho io spaventato che tu non vuoi più pesare sulle mie palpebre e immergere i miei sensi nell'oblio? Perché, o sonno, riposi piuttosto nelle fumose capanne, disteso su duri pagliericci, assopito dal ronzio degl'insetti notturni piuttosto che nelle profumate stanze dei grandi, sotto i sontuosi baldacchini, cullato dai suoni della più soave melodia? O stupida divinità! perché giaci tu con gli abietti, in luridi giacigli, e lasci che il talamo regale divenga una cassa d'orologio o una soneria d'allarme? Tu puoi sull'alto e vertiginoso albero della nave chiuder gli occhi al mozzo cullando il suo cervello al moto del rude e impetuoso flutto, tra gli incessanti venti che battono sulla cima degli implacabili flutti, arricciando le lor teste mostruose e sospendendoli alle nubi che passano con sì assordante tumulto che al fragore la morte stessa si desta? Puoi tu, o sonno ingiusto, dare il tuo riposo al mozzo molle di pioggia in un'ora sì rude, e nella più calma e tranquilla notte negarlo a un re che possiede ogni agio e ogni mezzo per ottenerlo?

allora, o umili felici, riposate! riposa a disagio una testa che cinge una corona.

 

(Entrano WARWICK e SURREY)

 

WARWICK: Molte volte buon giorno a Vostra Maestà!

ENRICO: E già l'ora del giorno, signori?

WARWICK: E l'una passata.

ENRICO: Allora buon giorno a tutti voi, miei signori. Avete letto le lettere che vi ho mandato?

WARWICK: Le abbiamo lette, mio sovrano.

ENRICO: Allora avete visto come il corpo del nostro regno sia infetto, quali veementi malattie crescono vicino al suo cuore e con quanto pericolo.

WARWICK: E' soltanto un corpo ancora in disordine che può ricuperare la sua prima vigoria con buoni consigli e qualche medicina. Monsignor di Northumberland presto si raffredderà.

ENRICO: O Dio, se uno potesse leggere un libro del destino e vedere le rivoluzioni del tempo spianare le montagne e il continente, stanco della sua solida consistenza, sciogliersi nel mare; e vedere talvolta la cintura di sabbia dell'oceano troppo ampia per i fianchi di Nettuno, o come le circostanze si ridon di noi e i mutamenti riempiono di liquori diversi la coppa delle vicissitudini! Oh, se si potesse vedere tutto questo, il più felice dei giovani scorgendo l'intero suo viaggio e i pericoli passati e gli ostacoli ancor da venire chiuderebbe il libro e si lascerebbe cascar le braccia in attesa della morte. Non sono ancora trascorsi dieci anni da quando Riccardo e Northumberland, grandi amici, facevano festa insieme, e due anni dopo erano in guerra. Soltanto otto anni fa questo Percy era l'uomo più vicino alla mia anima e, come un fratello, lavorava per me e poneva il suo affetto e la sua vita ai miei piedi e, per amor mio, sfidava Riccardo a faccia a faccia. Ma chi di voi era presente? (A Warwick) Voi, cugino Nevil, per quanto ricordo; quando Riccardo con gli occhi gonfi di lagrime, rimproverato e oltraggiato da Northumberland, disse queste parole che si sono ora dimostrate profetiche? "Northumberland, scala con la quale mio cugino Bolingbroke sale al mio trono" eppure Dio lo sa, io non avevo allora simile intenzione, se non che la necessità tanto piegò lo Stato che io e la sovranità dovemmo abbracciarci. "Tempo verrà - così seguitò egli - tempo verrà, che il turpe peccato, venendo a capo, scoppierà nella corruzione", e seguitò a parlare in tal modo prevedendo la situazione di quest'ora e la fine della nostra amicizia.

WARWICK: V'è una storia nella vita di tutti gli uomini che rappresenta la natura dei tempi defunti; osservando questa storia un uomo può profetizzare quasi a colpo sicuro le principali cose probabili ancora non nate a vita e che stanno chiuse come tesori nel loro seme e nelle lor timide gemme. Simili cose son la prole e la progenie del tempo, e per codesta necessaria norma re Riccardo poteva fare una sicura previsione che il gran Northumberland, allora falso a lui, sarebbe da quel seme cresciuto a più grande falsità e non avrebbe trovato altro terreno su cui prender radice, se non a vostro danno.

ENRICO: Son dunque queste cose necessarie? Affrontiamole allora come necessità, e questa parola ci chiama ora a gran voce. Si dice che il vescovo e Northumberland sono forti di cinquantamila uomini.

WARWICK: Non può essere, mio signore: la fama raddoppia come la voce e l'eco il numero di quelli che temiamo. Piaccia a Vostra Grazia di coricarsi; per la mia vita, mio signore, le forze che avete mandato avanti riporteranno la vittoria molto facilmente Per darvi ancora maggior fiducia, io ho ricevuto sicura notizia che Glendower è morto.

Vostra Maestà è malato da quindici giorni e queste veglie prolungate devono per forza peggiorare la vostra malattia.

ENRICO: Seguirò il vostro consiglio e una volta che queste guerre intestine saranno terminate, partiremo, cari signori, per la Terra Santa.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA - Una corte davanti alla casa del giudice Sommario in Gloucestershire

(SOMMARIO e SILENZIO s'incontrano entrando. MUFFITO, OMBRA, VERRUCA, FIACCO, TORELLO e Servi li seguono)

 

SOMMARIO: Venite avanti, venite avanti, venite avanti, messere; datemi la mano, messere, datemi la mano, messere; siete mattiniero, per la croce! E come sta il mio buon cugino Silenzio?

SILENZIO: Buon giorno, buon cugino Sommario.

SOMMARIO: E come sta mia cugina, la vostra compagna di letto? e la vostra bellissima figlia e mia, la mia figlioccia Elena?

SILENZIO: Ahimè, un merlo nero, cugino Sommario.

SOMMARIO: Senza dubbio credo che mio cugino Guglielmo sarà diventato un bravo studente. E' sempre a Oxford, non è vero?

SILENZIO: E' così, messere, a mie spese.

SOMMARIO: Dovrà andare presto alla scuola di legge. Un tempo io appartenni a quella di San Clemente dove credo che parleranno ancora di quel matto di Sommario.

SILENZIO: Vi chiamavano allora "l'arzillo Sommario", cugino.

SOMMARIO: Per la messa, mi chiamavano con qualsiasi nome! e io avrei fatto qualunque cosa e di buzzo buono pure. C'ero io, e il piccolo Giovanni Doit di Staffordshire e il nero Giorgio Barnes e Francesco Pickbone e Memmo Squele, uomo del Cotswold; non ci sono stati più quattro guappi come questi in tutte le scuole di legge; e vi posso dire che sapevano dove stava la "bona roba", e la migliore era a nostra disposizione. E poi c'era Gianni Falstaff, ora sir Giovanni, un ragazzo e paggio di Tommaso Mowbray, duca di Norfolk.

SILENZIO: Quel sir Giovanni, cugino, che verrà tra poco qui per i soldati?

SOMMARIO: Lo stesso sir Giovanni, proprio lo stesso. Lo vidi rompere la testa di Skogan alla porta del collegio quand'era un monello neanche alto così, e lo stesso giorno mi battei con un certo Sansone Stoccafisso, un fruttivendolo, dietro Gray's Inn. Gesù, Gesù, che giorni pazzi che ho passato! e vedere quante delle mie vecchie conoscenze sono morte!

SILENZIO: Seguiremo tutti, cugino.

SOMMARIO: Certo, è certo; sicurissimo, sicurissimo; la morte, come dice il salmista, è certa per tutti; tutti morranno. Quanto costa un buon paio di torelli alla fiera di Shamford?

SILENZIO: In fede, cugino, non c'ero.

SOMMARIO: La morte è certa. Il vecchio Double della vostra città è ancora vivo?

SILENZIO: Morto, signore.

SOMMARIO: Gesù, Gesù, è morto! Sapeva tirar bene con l'arco ed è morto! buon arciere, un bell'arciere; Giovanni di Gand lo amava molto e scommetteva grosse somme sulla sua testa. Morto! era capace di colpire il segno a duecentoquaranta passi e poteva mandarvi un quadrello a duecentottanta e anche a duecentonovanta passi, ch'era un piacere a vederlo. A che prezzo una ventina di buone pecore, adesso?

SILENZIO: Secondo come sono; una ventina di buone pecore può valere dieci sterline.

SOMMARIO: E il vecchio Double è morto?

SILENZIO: Ecco che vengono due uomini di sir Giovanni Falstaff, mi pare.

 

(Entra BARDOLFO e un altro con lui)

 

BARDOLFO: Buon giorno, onesti signori; vi prego, chi è il giudice Sommario?

SOMMARIO: Sono Roberto Sommario, messere, un povero scudiero di questa contea e uno dei giudici di pace del re. Cosa desiderate da me?

BARDOLFO: Il mio capitano, signore, vi manda a salutare; il mio capitano, sir Giovanni Falstaff, gagliardo gentiluomo, per il cielo, e valente condottiero.

SOMMARIO: I suoi saluti son benvenuti, messere; lo ricordo buon spadaccino. Come sta il buon cavaliere? posso domandare come sta la signora sua moglie?

BARDOLFO: Scusate, messere, ma un soldato sta più comodevole senza moglie.

SOMMARIO: Ben detto davvero, messere, proprio ben detto. Sta più comodevole! bene davvero! le buone frasi sono e furono sempre sicuramente molto raccomandabili. Più comodevole! deriva da "comodo":

benissimo, una buona frase.

BARDOLFO: Scusate, messere, ho sentito questa parola. Frase, la chiamate? per questa luce del giorno, io non conosco la frase, ma sosterrò con la mia spada che la parola è una parola da soldato, una parola di comando veramente eccellente, per il cielo! Comodevole, vale a dire quando un uomo è, come si dice, comodevole, o quando è in quello stato per cui può passare per comodevole, il che è una cosa eccellente.

SOMMARIO: E' giustissimo; guardate, ecco che viene il buon sir Giovanni.

 

(Entra FALSTAFF)

 

Datemi la vostra buona mano, datemi la buona mano di Vostra Grazia; in fede mia, state bene e portate benissimo i vostri anni: benvenuto buon sir Giovanni.

FALSTAFF: Son contento di vedervi in buona salute, buon mastro Roberto Sommario; mastro Cartasicura, mi pare?

SOMMARIO: No, sir Giovanni, è mio cugino Silenzio che è in commissione con me.

FALSTAFF: Buon mastro silenzio, vi si addice molto bene essere un uomo di pace.

SILENZIO: Vostra Signoria è il benvenuto.

FALSTAFF: Perbacco, è tempo molto caldo. Mi avete provveduto qui una mezza dozzina di uomini abili?

SOMMARIO: Diamine, sicuro, messere. Volete sedervi?

FALSTAFF: Fatemeli vedere, vi prego.

SOMMARIO: Dov'è il ruolo? dov'è il ruolo? dov'è il ruolo? vediamo, vediamo, vediamo; già, già, già, sì, diamine, messere. Dolfo Muffito!

che si presentino quando li chiamo: che facciano così, che facciano così. Vediamo, dov'è Muffito?

MUFFITO: Qui, se non vi dispiace.

SOMMARIO: Che ne pensate, sir Giovanni? robusto di membra, giovane, forte e di buona famiglia.

FALSTAFF: Ti chiami Muffito?

MUFFITO: Già, se non vi dispiace.

FALSTAFF: Allora è tempo di far uso di te.

SOMMARIO: Ah, ah, ah! eccellente, in verità! le cose muffite hanno bisogno di essere usate; singolarmente buono! in verità, sir Giovanni, ben detto, benissimo detto.

FALSTAFF (a Sommario): Segnatelo.

MUFFITO: Ero già stato abbastanza segnato prima d'ora, avreste potuto lasciarmi in pace; la mia vecchia madre non saprà come fare senza uno che le badi ai campi, e alle altre faccende. Non c'era bisogno che mi segnaste, vi sono altri più adatti di me per partire.

FALSTAFF: Andiamo, calmatevi, Muffito; voi partirete, Muffito, è tempo che siate consumato.

MUFFITO: Consumato!

SOMMARIO: Silenzio, mio uomo, silenzio, fatevi da parte, sapete dove siete? all'altro, sir Giovanni, vediamo: Simon Ombra!

FALSTAFF: Perbacco, datemelo per sederci sotto: è probabile che sia un soldato freddo.

SOMMARIO: Dov'è Ombra?

OMBRA: Qui, signore.

FALSTAFF: Ombra, di chi sei figlio?

OMBRA: Figlio di mia madre, signore.

FALSTAFF: Figlio di tua madre! è probabile, e l'ombra di tuo padre:

così il figlio della femmina è l'ombra del maschio; è spesso così davvero, con pochissimo della sostanza del padre.

SOMMARIO: Vi piace, sir Giovanni?

FALSTAFF: Ombra servirà per l'estate... segnatelo; poiché abbiamo già un bel numero di ombre per riempire il registro dei quadri.

SOMMARIO: Tommaso Verruca!

FALSTAFF: Dov'è?

VERRUCA: Qui, signore.

FALSTAFF: Ti chiami Verruca?

VERRUCA: Sì, signore.

FALSTAFF: Sei una verruca molto sfilacciata.

SOMMARIO: Devo appuntarlo, sir Giovanni?

FALSTAFF: Sarebbe superfluo: poiché il suo vestiario è tenuto assieme dal suo dorso e tutto il centone si regge cogli spilli: non lo appuntate più.

SOMMARIO: Ah, ah, ah! sapete dirle, messere; sapete dirle, mi rallegro con voi. Francesco Fiacco!

FIACCO: Qui, signore.

FALSTAFF: Che mestiere fai, Fiacco?

FIACCO: Sarto da donna, signore.

SOMMARIO: Debbo appuntarlo, signore?

FALSTAFF: Fate pure, ma se egli fosse stato un sarto da uomo avrebbe lui messo dei punti a voi. Farai tanti fori in un battaglione nemico quanti ne hai fatti nella sottana di una donna?

FIACCO: Farò tutto quello che posso, signore, non potrete aver di più.

FALSTAFF: Ben detto, bravo sarto da donna! ben detto, coraggioso Fiacco! Tu sarai valoroso come l'irata colomba o il più magnanimo topo. Appuntate bene il sarto da donna, mastro Sommario; appuntatelo forte, mastro Sommario.

FIACCO: Avrei voluto che Verruca fosse stato preso, signore.

FALSTAFF: E io vorrei che tu fossi un sarto da uomo, così avresti potuto rabberciarlo e renderlo adatto a partire. Non posso far di lui un semplice soldato, visto che è il condottiero di tante migliaia; e ora basta, veemente Fiacco.

FIACCO: Basterà, signore.

FALSTAFF: Te ne sono obbligato, onorato Fiacco. Chi viene ora?

SOMMARIO: Pietro Torello del prato!

FALSTAFF: Sì, perbacco, vediamo Torello.

TORELLO: Qui, signore.

FALSTAFF: Per Dio, un uomo aitante! Andiamo, appuntate Torello finché muggisca.

TORELLO: O Dio, mio buon monsignor capitano FALSTAFF: Che, tu muggisci prima di sentir la punta?

TORELLO: O Dio, signore, sono un uomo malato.

FALSTAFF: Che malattia hai?

TORELLO: Un raffreddore ruffiano, signore, una tosse, signore, che presi a sonar le campane per l'avvento del re, il giorno della sua incoronazione, signore.

FALSTAFF: Andiamo, tu andrai alla guerra in veste da camera: ti faremo passare il raffreddore e prenderò le misure perché i tuoi consorti suonino per te. Son tutti qui?

SOMMARIO: Se ne sono chiamati due di più del vostro numero, non dovete averne che quattro da qui, signore. E ora vi prego di venire a pranzo con me.

FALSTAFF: Andiamo, verrò a bere con voi, ma non posso restare a pranzo. Son contento di vedervi, in fede mia, mastro Sommario.

SOMMARIO: O sir Giovanni, vi ricordate quando passammo tutta la notte nel mulino a vento nel campo di San Giorgio?

FALSTAFF: Non ne parliamo più, buon mastro Sommario, non ne parliamo più.

SOMMARIO: Ah, fu una notte allegra. E Gianna Faticalanotte è sempre viva?

FALSTAFF: Vive ancora, mastro Sommario, SOMMARIO: Non mi poté mai soffrire.

FALSTAFF: Mai mai; diceva sempre che non poteva sopportare mastro Sommario.

SOMMARIO: Per la messa, sapevo farla accorare dalla rabbia. Allora era una "bona roba". Si mantiene bene?

FALSTAFF: Vecchia, vecchia, mastro Sommario.

SOMMARIO: Già, dev'essere vecchia; non può fare a meno di essere vecchia; certo che è vecchia; aveva avuto Berto Faticalanotte dal vecchio Faticalanotte prima che io venissi al collegio di San Clemente.

SILENZIO: Son cinquantacinque anni fa.

SOMMARIO: Ah, cugino Silenzio, se tu avessi visto quello che questo cavaliere ed io abbiamo visto! Eh, sir Giovanni, ho detto bene?

FALSTAFF: Abbiamo sentito le campane di mezzanotte, mastro Sommario.

SOMMARIO: Le abbiamo sentite, le abbiamo sentite, le abbiamo sentite, in fede mia, sir Giovanni, le abbiamo sentite: la nostra parola d'ordine era "hem! ragazzi!". Venite, andiamo a pranzo, venite, andiamo a pranzo. Gesù, che giorni che abbiamo veduti! Venite, venite.

 

(Escono Falstaff, Sommario e Silenzio)

 

TORELLO: Buon signore, capolare Bardolfo, siatemi amico, ed ecco qui per voi l'equivalente in corone francesi di quattro pezzi di dieci scellini d'Enrico. In verità, signore, vorrei piuttosto essere impiccato che partire, signore; ma, quanto a me non m'importa; ma piuttosto perché non ne ho voglia, e quanto a me ho desiderio di restare con i miei consorti, altrimenti per parte mia non mi importerebbe gran che di partire.

BARDOLFO: Andiamo, fatevi da parte.

MUFFITO: Buon signore caporale capitano, per amore della mia vecchia mamma, siatemi amico; non ha nessuno per badare a lei quando io me ne sarò andato, ed è vecchia e non può far nulla da sé. Ne avrete quaranta, signore.

BARDOLFO: Andiamo, fatevi da parte.

FIACCO: In fede mia, non m'importa; un uomo non può morire che una volta sola; dobbiamo a Dio la morte. Non avrò mai un'anima vile; se è mio destino, sia; se non lo è, sia così. Nessun uomo è troppo buono per servire il suo principe, e vada come vuole, chi muore quest'anno non dovrà morire l'anno venturo.

BARDOLFO: Ben detto, sei un brav'uomo.

FIACCO: In fede mia, non avrò mai un'anima vile.

 

(Rientrano FALSTAFF e i Giudici)

 

FALSTAFF: Vediamo, signore, quali uomini prenderò?

SOMMARIO: I quattro che vi piacciono di più.

BARDOLFO: Signore, una parola. Ho tre sterline per liberare Muffito e Torello.

FALSTAFF: Va', sta bene.

SOMMARIO: Vediamo, sir Giovanni, quali sono i quattro che prendete?

FALSTAFF: Scegliete pure per me.

SOMMARIO: Per la Vergine! allora Muffito, Torello, Fiacco, e Ombra.

FALSTAFF: Muffito e Torello: quanto a voi, Muffito restate a casa finché siate inabile al servizio, e quanto a voi, Torello, crescete finché sarete un toro, non ne voglio di voi.

SOMMARIO: Sir Giovanni, sir Giovanni, non fate torto a voi stesso:

sono tra i più abili e io vorrei che foste servito dai migliori.

FALSTAFF: Volete insegnare a me, mastro Sommario, come scegliere un uomo? Che mi importa delle membra, dei muscoli, della statura, del peso e di tutta la corporatura di un uomo? Datemi lo spirito, mastro Sommario. Ecco qui Verruca; vedete com'è tutto sfilacciato, ma egli vi caricherà e scaricherà il suo archibugio con la rapidità del martello di un peltraio, andrà avanti e indietro più svelto di colui che solleva le secchie del birraio. E quest'Ombra, secco come un uscio, datemi quest'uomo; egli non presenta bersaglio al nemico, l'avversario potrebbe altrettanto facilmente mirare al filo di un coltello. E in una ritirata, con qual rapidità questo Fiacco, sarto da donna, fuggirà via! Oh, datemi uomini secchi e non seccate i grandi. Mettete un moschetto in mano a Verruca, Bardolfo.

BARDOLFO: Vieni, Verruca, marcia avanti e indietro, così così, così.

FALSTAFF: Andiamo, manovra adesso il tuo moschetto: così, benissimo!

avanti, benissimo, magnificamente! Oh, datemi sempre per fuciliere uno di questi piccoli uomini magri, secchi, avvizziti e pelati. Ben detto, in fede mia, Verruca: tu sei un bel bubbone; tieni, eccoti sessanta centesimi.

SOMMARIO: Non è ancora padrone della sua arma, non la manovra bene. Mi ricordo che sul prato di Mile End, quando ero al collegio di San Clemente - facevo la parte del buffone Dagonetto alla rappresentazione di re Artù - c'era un piccolo individuo tutto fuoco che manovrava così la sua arma: era qui e là e dappertutto: ra-ta-ta, diceva; pum, diceva, e volava via e tornava indietro. Non vedrò mai più un suo pari.

FALSTAFF: Questa gente farà benissimo, mastro Sommario. Che Dio vi mantenga, mastro Silenzio: non vi farò dei lunghi discorsi. State bene entrambi, signori: vi ringrazio, devo fare una dozzina di miglia stanotte. Bardolfo, da' dei vestiti ai soldati.

SOMMARIO: Sir Giovanni, che il Signore vi benedica e faccia prosperare i vostri affari! Che Iddio ci mandi la pace! Quando tornate, venite a casa mia e rinnoviamo la nostra vecchia amicizia; forse verrò a corte con voi.

FALSTAFF: Perdio! vorrei che veniste davvero, mastro Sommario.

SOMMARIO: Andiamo, ormai l'ho detto, state bene.

FALSTAFF: State bene, cortesi signori. (Escono Sommario e Silenzio) Bardolfo, porta via questi uomini. (Esce Bardolfo con le Reclute) Al mio ritorno concerò ben io questi giudici: vedo chiaro cosa c'è in fondo al giudice Sommario. O signore, signore, come noi vecchi andiamo soggetti a questo vizio della menzogna! questo morto di fame di giudice non ha fatto che raccontarmi della sua scapestrata giovinezza e delle gesta compiute a Turnbull Street, e su ogni tre parole una era una menzogna pagata con più esattezza al suo ascoltatore che i tributi al Gran Turco. Me lo ricordo al collegio di San Clemente come una di quelle figure che si taglian dopo cena in una crosta di formaggio; quand'era nudo era proprio come un ravanello forcuto con sopra una testa fantasticamente scolpita con un coltello: era talmente magro che le sue dimensioni erano invisibili a chi non avesse una vista eccellente; era il vero spirito della carestia, pure era lussurioso come una scimmia e le puttane lo chiamavano mandragora. Era sempre in ritardo sulla moda e cantava alle sue bagasce più volte frustate quelle canzoni che aveva sentito fischiettare dai carrettieri e giurava che erano i suoi madrigali o le sue serenate. E ora questa spatola di arlecchino è diventato uno scudiero e parla con familiarità di Giovanni di Gand come se fosse suo fratello giurato, e potrei giurare che non lo ha visto che una sola volta al torneo quando gli ruppe la testa perché si era andato a cacciare tra gli uomini del giudice di campo. Io vidi questo e dissi a Giovanni di Gand che egli bastonava il suo nome poiché quello sarebbe entrato in un guanto; lo avreste potuto ficcare con tutti gli abiti dentro una pelle d'anguilla; l'astuccio di un clarinetto sarebbe stato per lui un castello, una corte, e ora possiede terre e buoi. Bene se ritorno, rinnoverò la sua conoscenza e andrà male per me se non ci cavo due volte il valore della pietra fìlosofale. Se il giovane ghiozzo è esca per il vecchio luccio, non vedo ragione secondo legge di natura perché io non lo acchiappi. Venga l'occasione e la cosa è fatta.

 

(Esce)

 

 

 

ATTO QUARTO

 

SCENA PRIMA - Yorkshire. La Foresta di Gaultree

(Entrano l'ARCIVESCOVO DI YORK, MOWBRAY, HASTINGS ed altri)

 

ARCIVESCOVO: Come si chiama questa foresta?

HASTINGS: E' la foresta di Gaultree, piaccia a Vostra Grazia.

ARCIVESCOVO: Fermiamoci qui, miei signori, e mandiamo avanti degli esploratori per conoscere il numero dei nostri nemici.

HASTINGS: Li abbiamo già mandati.

ARCIVESCOVO: Ben fatto. Amici e fratelli miei in questa grande impresa, devo informarvi che ho ricevuto lettere di fresca data da Northumberland ed eccone qui il senso, il tenore e la sostanza in tutta la loro freddezza. Egli vorrebbe essere qui in persona con forze che rispondessero degnamente alla sua posizione; queste forze non le poté reclutare e per questo si è ritirato in Scozia per attendere che le sue fortune siano più mature; e conclude augurando di tutto cuore che la vostra impresa possa vincere gli azzardi del destino e il formidabile urto con l'avversario.

MOWBRAY: Così le speranze che avevamo in lui cadono a terra e vanno in frantumi.

 

(Entra un Messo)

 

HASTINGS: Ebbene, che notizie?

MESSO: A occidente di questa foresta, appena a un miglio di distanza, il nemico avanza in buon ordine e dallo spazio che occupa giudico che il suo numero sia presso a poco di trentamila.

MOWBRAY: E' proprio la cifra che avevamo supposto. Marciamo avanti e diamo loro battaglia.

 

(Entra WESTMORELAND)

 

ARCIVESCOVO: Chi è questo condottiero così bene equipaggiato che ci viene incontro?

MOWBRAY: Credo sia monsignore di Westmoreland.

WESTMORELAND: Salute e complimenti dal nostro generale il principe monsignor Giovanni e duca di Lancaster.

ARCIVESCOVO: Diteci, monsignore di Westmoreland,in tutta tranquillità, a che dobbiamo la vostra visita?

WESTMORELAND: In questo caso, signore, è a Vostra Grazia che io rivolgerò particolarmente la sostanza del mio discorso. Se questa ribellione apparisse per quella che è, con orde basse e abbiette, guidate da gente giovane e selvaggia, vestita di stracci e sostenuta da una ragazzaglia di mendicanti, io dico che se questa dannata ribellione si fosse mostrata nella sua vera forma nativa quale le si conviene veramente, voi reverendo padre e questi nobili signori non sareste stati qui a ornare con la vostra nobile dignità la turpe figura di una bassa e sanguinosa insurrezione. Voi, monsignore arcivescovo, il cui seggio vescovile è fondato sull'ordinata pace, la vostra barba è stata toccata dalla mano d'argento della pace, e la vostra cultura e le belle lettere si sono formate sotto l'egida della pace, le vostre bianche vesti sono il simbolo dell'innocenza, della colomba e del beato spirito di pace; perché cambiate la parola della pace, così piena di grazia, nell'aspra e rumorosa voce della guerra mutando i vostri libri di cuoio in gambali, il vostro inchiostro in sangue, le vostre penne in lance e la vostra parola di sacerdote in sonante tromba e squilla di guerra?

ARCIVESCOVO: Perché agisco in questo modo? tale è la domanda, e vi risponderò brevemente. Noi siamo tutti malati, e a causa delle nostre ore di stravizi e di follie ci siamo tirati addosso una febbre ardente che richiede si tolga sangue. Di questa malattia il nostro ultimo re Riccardo fu colpito e ne morì. Ma, mio nobile monsignore di Westmoreland, io non pretendo di far ora il medico, né qual nemico della pace mi unisco alla folla dei soldati, ma per il momento mostro il volto terribile della guerra per curare le menti insane, malate per l'eccesso di benestare, e purgare le oppilazioni che cominciano a ostruire le stesse nostre arterie vitali. Parlerò in modo ancor più chiaro: ho pesato equamente su giusta bilancia i mali che possono fare le nostre armi e i torti di cui noi soffriamo, e ho trovato che i torti fatti a noi sono più pesanti delle nostre offese. Noi vediamo da qual parte fluisce la corrente del tempo e siamo costretti a lasciare la nostra quiete dall'impetuoso torrente delle circostanze. Abbiamo l'elenco delle nostre lagnanze che a tempo opportuno mostreremo nei suoi particolari e che molto tempo fa volevamo presentare al re, ma non si riuscì a ottenere udienza, malgrado tutte le nostre preghiere.

Quando ci son fatti dei torti e vorremmo esporre le nostre lagnanze, ci vien negato l'accesso alla sua persona proprio per opera di coloro che più ci hanno fatto torto. I pericoli dei giorni appena trascorsi, il cui ricordo è scritto sulla terra con sangue ancora visibile, e le prove che vi si offrono ad ogni minuto ed oggi stesso, ci hanno fatto prendere queste armi disdicevoli non per rompere in alcun modo la pace ma per stabilire qui la vera pace, di nome e di fatto.

WESTMORELAND: Quando mai si rifiutò la vostra domanda? In che cosa siete stati offesi dal re? Qual pari è stato istigato a recarvi oltraggio, che voi dobbiate sigillare con divino suggello il libro sanguinoso e senza legge di una ribellione macchinata freddamente, e consacrare la crudele spada della ribellione?

ARCIVESCOVO: Quanto a me, sono i torti fatti ai miei fratelli in generale, i concittadini, nonché in particolare la crudeltà verso il mio fratellastro, che formano oggetto della mia contesa.

WESTMORELAND: Non v'è motivo di simili rivendicazioni o, se ci fosse, non spetterebbe a voi.

MOWBRAY: Perché non a lui, in parte almeno, e a noi tutti che sentiamo le offese dei giorni passati e soffriamo sotto la mano rude e ingiusta che la tirannia di questi tempi tiene sul nostro onore?

WESTMORELAND: O mio buon lord Mowbray, comprendete le necessità dei tempi, e vedrete allora che è il tempo e non il re che vi reca offesa.

Tuttavia, per quanto vi riguarda, mi sembra che né il re né i tempi presenti vi abbiano dato un pollice di terreno su cui costruire le vostre lagnanze. Non foste voi reintegrato in tutte le signorie del duca di Norfolk, il vostro nobile padre di buona memoria?

MOWBRAY: Che cosa aveva perduto mio padre nell'onore perché fosse necessario ridargli in me vita e respiro? Il re che lo amava fu costretto per esigenze di Stato a bandirlo; ma quando Arrigo Bolingbroke e mio padre eran già a cavallo e ritti in sella, i loro corsieri nitrenti come per invitar lo sprone, le lance in resta, la visiera abbassata, i loro occhi di fuoco scintillanti attraverso le fenditure d'acciaio, e la sonora tromba squillante l'attacco, e quando nulla avrebbe impedito a mio padre di toccare il petto di Bolingbroke, il re gettò a terra il bastone al quale stava appesa la sua vita, e gettandolo mise a terra se stesso e la vita di coloro che per processo o per la spada perirono sotto Bolingbroke.

WESTMORELAND: Voi parlate, lord Mowbray, di quello che non sapete. Il conte di Hereford era allora considerato il più valoroso cavaliere d'Inghilterra. Chi sa a chi avrebbe sorriso allora la fortuna? Se vostro padre fosse stato allora vittorioso non avrebbe portato la sua vittoria oltre Coventry, poiché tutto il paese con una sola voce gli gridava addosso odio, e tutte le sue preghiere e il suo amore si posavano su Hereford che tutti amavano ardentemente e benedivano e onoravano più del re. Ma questa è una semplice digressione che mi allontana dal mio scopo. Io vengo da parte del principe nostro generale per conoscere le vostre lagnanze e per dirvi da parte di Sua Grazia che vi darà udienza; se allora apparirà che le vostre domande sono giuste esse saranno accordate e si allontanerà ogni cosa che possa far pensare a voi come a nemici.

MOWBRAY: Ma è lui che ci ha costretti a strappargli questa offerta fatta ora per politica e non per amore.

WESTMORELAND: Mowbray, siete molto presuntuoso a prender la cosa in questo modo. Questa offerta viene da clemenza, non da paura, poiché, guardate, il nostro esercito è in vista e, sul mio onore, troppo fiducioso in se stesso per lasciarsi cogliere da un pensiero di paura.

Le nostre schiere son più ricche di grandi nomi che non le vostre, i nostri uomini più esperti nell'uso delle armi, le nostre armature altrettanto forti, la nostra causa è la migliore, cosicché ragione vuole che i nostri cuori siano altrettanto saldi; non dite dunque che la nostra offerta è forzata.

MOWBRAY: Bene, se dipende da me, non accetteremo trattative.

WESTMORELAND: Ciò dimostra soltanto l'ignominia della vostra offesa:

una causa marcita non regge alla discussione.

HASTINGS: Il principe Giovanni ha pieni poteri, ampi quanto la sovranità di suo padre per ascoltare e decidere delle condizioni che stipuleremo?

WESTMORELAND: Ciò è implicito nel nome del generale; mi stupisco che facciate una domanda così frivola.

ARCIVESCOVO: Prendete allora, monsignore di Westmoreland, questa scheda che contiene l'esposizione generale delle nostre lagnanze; che a ognuna di queste sia rimediato, che tutti i federati alla nostra causa, tanto qui presenti che altrove, legati a questa azione, siano salvaguardati in modo sicuro e leale, che l'esecuzione immediata delle nostre richieste ci sia garantita in quanto concerne le nostre persone e i nostri scopi, e noi torneremo entro le nostre obbedienti sponde a unir saldamente le nostre forze al braccio della pace.

WESTMORELAND: Mostrerò questo al generale. Non vi dispiaccia, signori, d'incontrarvi con noi in vista di entrambi i nostri eserciti, e si concluda una pace col favore di Dio, o sul terreno stesso della nostra disputa sguainiamo le spade che devono deciderla.

ARCIVESCOVO: Signore, così faremo.

 

(Esce Westmoreland)

 

MOWBRAY: Qualche cosa nell'anima mi dice che nessuna delle nostre condizioni di pace sarà durevole.

HASTINGS: Non temete questo; se possiamo fare la nostra pace in termini ampi e assoluti come quelli reclamati nelle nostre condizioni, la pace poserà salda come montagna rocciosa.

MOWBRAY: Sì, ma l'opinione che si avrà di noi sarà tale che per il più lieve e infondato motivo, per ogni vana futile e fantastica ragione, il re si ricorderà di questa nostra impresa e se anche fossimo martiri per la fede verso il re, saremmo vagliati con un vento così violento che anche il nostro grano sembrerebbe leggero come pula e non si separerebbe il buono dal cattivo.

ARCIVESCOVO: No, no, mio signore. Ricordate che il re è stanco di queste frivole e arzigogolate lagnanze, poiché ha scoperto che sbarazzarsi di una persona sospetta con la morte è farne rivivere due più pericolose tra quelle che vengon dopo; perciò egli vorrà cancellare del tutto le sue tavolette e non tenere ricordo che possa far rivivere la storia dei suoi rovesci. Egli sa benissimo che non può sradicare le male erbe da questa terra quando i suoi sospetti gliene presentano l'occasione; i suoi nemici sono così intricati coi suoi amici che quando darà uno strappo per svellere un nemico egli smoverà e farà vacillare un amico. Cosicché questa terra, simile a una sposa che lo ha esasperato sino a minacciarla di colpi, al momento che egli sta per colpire gli mette innanzi il suo bambino fermando il castigo già deciso nel braccio che si alzava per infliggerlo.

HASTINGS: Inoltre il re ha consumato tutte le sue verghe sugli ultimi ribelli e ora gli mancano gli stessi strumenti del castigo, e la sua potenza, come leone senza artigli, può minacciare ma non far presa.

ARCIVESCOVO: E' verissimo e perciò state sicuro, mio buon maresciallo, che se ora facciamo bene la nostra riconciliazione, la nostra pace, simile a un membro rotto e poi riattaccato, diverrà più forte per la frattura.

MOWBRAY: Sia così. Ecco che è tornato monsignore di Westmoreland.

 

(Rientra WESTMORELAND)

 

WESTMORELAND: Il principe è qui vicino; Vostra Signoria vuol compiacersi di andare incontro a Sua Grazia a eguale distanza dai nostri due eserciti?

MOWBRAY: In nome di Dio, che Vostra Grazia York avanzi allora.

ARCIVESCOVO: Precedetemi e salutate Sua Grazia. Mio signore, veniamo.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA - Un'altra parte della foresta

(Entrano da una parte MOWBRAY, l'ARCIVESCOVO, HASTINGS e altri; dall'altra parte il PRINCIPE GIOVANNI DI LANCASTER, WESTMORELAND, Ufficiali e Seguito)

 

LANCASTER: Sono felice d'incontrarvi qui, mio cugino Mowbray; buon giorno a voi, gentil monsignore arcivescovo, e anche a voi, lord Hastings e a voi tutti. Monsignore di York, voi facevate miglior figura quando il vostro gregge radunato dalla campana si stringeva intorno a voi per ascoltare con rispetto la vostra spiegazione del testo sacro, che non qui a mirarvi vestito di ferro, in atto d'incoraggiare col vostro tamburo una banda di ribelli e di cambiare il verbo di Dio in un nerbo di guerra e la vita in morte. Se l'uomo che è vicino al cuore di un monarca e prospera al sole del suo favore volesse abusare della protezione del re, quanti mali, ahimè, potrebbero scaturire all'ombra di tanta grandezza! Così è accaduto a voi, monsignore arcivescovo. Chi non ha sentito dire quanto è profonda la vostra conoscenza dei libri di Dio? voi eravate per noi l'oratore del suo parlamento, vi pensavamo la voce stessa di Dio, l'interprete e il mediatore tra la grazia e le cose sante del cielo e le nostre misere azioni. Chi non crederà che voi abusate del carattere sacro del vostro ufficio impiegando il favore e la grazia del cielo come uno sleale favorito usa il nome del suo principe per atti disonesti? Avete sollevato, sotto il falso sigillo di Dio, i sudditi di mio padre suo rappresentante e contro la pace del cielo e la sua li avete radunati in folte schiere.

ARCIVESCOVO: Mio buon signore di Lancaster, io non son qui contro la pace di vostro padre, ma come già dissi a monsignore di Westmoreland, sono questi tempi pieni di ogni disordine che ci hanno costretti, secondo il nostro buon senso, a radunarci e stringerci in questo modo mostruoso onde affermare la nostra sicurezza. Ho mandato a Vostra Grazia un'esposizione particolareggiata delle nostre lagnanze che era stata respinta con disprezzo dalla corte, dal che nacque questa Idra della guerra i cui occhi pericolosi possono ben essere assopiti per incanto, acconsentendo ai nostri giusti e legittimi desideri; allora la leale obbedienza, guarita di questa folla, si poserà sommessa ai piedi della maestà del re.

MOWBRAY: Altrimenti siamo pronti a tentare la nostra fortuna fino all'ultimo uomo.

HASTINGS: E se siamo battuti qui, abbiamo alleati per continuare la nostra impresa; se anche questi andassero incontro a disastri, i loro amici continueranno l'impresa, e cosi nascerà un seguito di rovine, e di erede in erede si continuerà questa disputa finché l'Inghilterra avrà generazioni di uomini.

LANCASTER: Siete troppo superficiale, Hastings, troppo superficiale invero, per scandagliare il fondo dei tempi avvenire.

WESTMORELAND: Piaccia a Vostra Grazia di risponder loro chiaramente fino a qual punto accettate e loro richieste.

LANCASTER: Le accetto tutte e le accordo di buon volere; giuro qui sull'onore del mio sangue che le intenzioni di mio padre sono state mal comprese; che alcune persone intorno a lui hanno troppo leggermente abusato della sua autorità e delle sue intenzioni. Mio signore, questi torti saranno rimediati in tutta fretta; sulla mia fede così sarà fatto. Se questo vi soddisfa, rimandate i vostri soldati alle loro varie contee come faremo anche noi, e qui, tra i due eserciti, beviamo in amicizia e abbracciamoci affinché tutti i loro occhi possan vedere e riferire alle loro case su questi pegni della restaurazione dell'affetto e dell'amicizia tra noi.

ARCIVESCOVO: Prendo la vostra parola di principe per queste promesse di riparazioni.

LANCASTER: Vi do la mia parola e la manterrò; e ora bevo alla salute di Vostra Grazia.

 

(Beve)

 

HASTINGS (a un Ufficiale): Andate, capitano, a riferire all'esercito queste notizie di pace; date loro la paga, e che partano; so che questo farà loro molto piacere, affrettati capitano.

 

(Esce l'Ufficiale)

 

ARCIVESCOVO: Alla vostra salute, mio nobile signore di Westmoreland.

 

(Beve)

 

WESTMORELAND: E a quella di Vostra Grazia. (Beve) Se sapeste quante pene mi son dato per generare la pace di oggi, voi berreste di gran cuore; ma il mio affetto per voi si rivelerà in modo più chiaro nell'avvenire.

ARCIVESCOVO: Non dubito di voi.

WESTMORELAND: Ne sono contento. Salute a monsignore e mio cortese cugino Mowbray. (Beve)

MOWBRAY: Mi augurate la salute in un buon momento, poiché mi sento d'un tratto alquanto male.

ARCIVESCOVO: Gli uomini son sempre allegri quando la cattiva fortuna sta per colpirli, ma la tristezza prelude a lieti eventi.

WESTMORELAND: Siate dunque allegro, cugino, poiché l'improvvisa tristezza ci permette di dire: "qualche lieta cosa si prepara domani".

ARCIVESCOVO: Credetemi, sono gaio oltre ogni dire.

MOWBRAY: Tanto peggio, se il vostro precetto dice il vero.

 

(Grida all'interno)

 

LANCASTER: La parola di pace è stata detta: ascoltate come acclamano!

MOWBRAY: Ciò sarebbe stato bello dopo la vittoria.

ARCIVESCOVO: Una pace è simile a una conquista, poiché in questo caso entrambe le parti sono onorevolmente sottomesse e nessuna delle due ha perduto.

LANCASTER: Andate, mio signore, che anche il nostro esercito sia congedato. (Esce Westmoreland) E, mio buon signore, abbiate la compiacenza di far marciare le vostre forze davanti a noi affinché possiamo vedere gli uomini che avremmo dovuto affrontare.

ARCIVESCOVO: Andate, buon lord Hastings, e prima che siano congedati fateli sfilare qui davanti.

 

(Esce Hastings)

 

LANCASTER: Confido, signori, che stanotte dormiremo sotto lo stesso tetto.

 

(Rientra WESTMORELAND)

 

Ebbene, cugino, perché il nostro esercito sta ancora fermo?

WESTMORELAND: I condottieri che ebbero ordine da voi di stare ai loro posti non vogliono muoversi se non sentono voi stesso.

LANCASTER: Sanno il loro dovere.

 

(Rientra HASTINGS)

 

HASTINGS: Mio signore, il nostro esercito è già disperso. Come giovani torelli liberi dal giogo prendon la lor via a oriente, occidente, nord e sud, e come scolaresca che rompe le file, ciascuno s'affretta verso la sua casa o il luogo dei suoi divertimenti.

WESTMORELAND: Buone notizie, lord Hastings, per le quali ti arresto per alto tradimento, traditore; e voi, monsignore arcivescovo, e voi lord Mowbray, vi dichiaro entrambi colpevoli di alto tradimento.

MOWBRAY: E' questo modo di procedere giusto e onorevole?

WESTMORELAND: E il vostro assembramento lo è forse?

ARCIVESCOVO: Volete rompere così la fede data?

LANCASTER: Non ho preso alcun impegno con te. Ho promesso di riparare a quei torti di cui vi lamentavate, e sul mio onore, terrò la mia promessa con scrupolo più che cristiano; ma quanto a voi ribelli, preparatevi ad assaporare la dovuta ricompensa per la vostra ribellione e i vostri atti. Chiamaste alle armi i vostri uomini con molta leggerezza, stupidamente li avete condotti qui e follemente li avete congedati. Battete i nostri tamburi, inseguite i dispersi; Dio e non noi ha combattuto con successo questa giornata. Alcuni di voi accompagnino questi traditori al ceppo della morte, il vero letto dove il tradimento manda il suo ultimo respiro.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA - Un'altra parte della foresta

(Allarmi: scorrerie. Entrano FALSTAFF e COLEVILE incontrandosi)

 

FALSTAFF: Come vi chiamate, signore? qual è la vostra condizione e di che paese siete, vi prego?

COLEVILE: Son cavaliere, signore, e il mio nome è Colevile della valle.

FALSTAFF: Bene, dunque, Colevile è il vostro nome, cavaliere e il vostro grado e il vostro posto la valle: Colevile sarà ancora il vostro nome, traditore il vostro grado e la prigione il vostro posto - una valle abbastanza profonda - così sarete ancora Colevile della valle.

COLEVILE: Non siete voi sir Giovanni Falstaff?

FALSTAFF: Buono quanto lui, signore, chiunque io mi sia. Vi arrendete, signore, o dovrò sudare per avervi? Se io sudo, le gocce saranno le lagrime delle tue amanti ed esse piangeranno la tua morte; perciò desta in te paura e tremito e rimettiti alla mia clemenza.

COLEVILE: Penso che voi siate sir Giovanni Falstaff e con questo pensiero mi arrendo.

FALSTAFF: Ho un'intera scuola di lingue in questa mia pancia e non ve n'è una che pronunci altra parola che il mio nome. Se avessi soltanto una pancia alquanto moderata, sarei semplicemente l'uomo più attivo d'Europa: il mio ventre, il mio ventre, il mio ventre mi rovina. Ecco che viene lì nostro generale.

 

(Entrano il PRINCIPE GIOVANNI DI LANCASTER, WESTMORELAND, BLUNT ed altri)

 

LANCASTER: L'ardore è passato, non inseguite più oltre e richiamate le truppe, buon cugino Westmoreland. (Esce Westmoreland) Ebbene, Falstaff, dove siete stato tutto questo tempo? Voi venite quando tutto è finito; questi vostri scherzi da poltrone una volta o l'altra, ve lo assicuro, spezzeranno il dorso di qualche forca.

FALSTAFF: Sarei desolato, mio signore, se fosse così: non avevo mai saputo sinora che rimproveri e rabbuffi fossero la ricompensa del valore. Mi prendete forse per una rondine, una freccia o una palla? ho io nelle mie povere e vecchie gambe la speditezza del pensiero? Sono corso qui con la maggior rapidità possibile; ho sfiancato nove ventine e più di cavalli di posta, e qui, sudicio del viaggio come sono, col mio puro e immacolato valore ho preso sir Giovanni Colevile della valle, un furiosissimo cavaliere e valoroso nemico. Ma che importa questo? egli mi vide e si arrese, cosicché io ho ragione di dire con quel tal romano dal naso a becco: "Venni, vidi e vinsi".

LANCASTER: Fu più per sua cortesia che per vostro merito.

FALSTAFF: Non lo so; eccolo qui, e qui ve lo cedo supplicando Vostra Grazia perché questo fatto venga segnalato insieme agli altri di questo giorno, o, per Iddio, lo farò narrare in una speciale ballata con sopra la mia figura con Colevile che mi bacia il piede.

Costringetemi a far questo e se tutti voi non farete la figura di monete di quattro soldi dorate in confronto a me, mentre io nel limpido cielo della fama vi offuscherò come la luna piena offusca le scintille del firmamento che sembrano capocchie di spilli accanto a lei, non credete più alla parola dei nobili. Rendetemi dunque giustizia e lasciate che il merito salga in alto.

LANCASTER: Il tuo è troppo pesante per salire.

FALSTAFF: Lasciatelo brillare, allora.

LANCASTER: E' troppo denso per brillare.

FALSTAFF: Lasciategli fare qualche cosa, mio buon signore, che possa giovarmi, e chiamatelo come volete.

LANCASTER: E' il tuo nome Colevile?

COLEVILE: Così è, mio signore.

LANCASTER: Sei un famoso ribelle, Colevile.

FALSTAFF: E un famoso suddito leale lo ha preso prigioniero.

COLEVILE: Sono, signore, come i miei capi che mi condussero qui; se si fossero lasciati guidare da me, vi avrebbero fatto pagare assai più cara la vostra vittoria.

FALSTAFF: Non so a che prezzo si siano venduti, ma tu, da bravo ragazzo, ti sei dato via gratis e per questo ti ringrazio.

 

(Rientra WESTMORELAND)

 

LANCASTER: Ebbene, avete sospeso l'inseguimento?

WESTMORELAND: Ci siamo ritirati e il massacro è cessato.

LANCASTER: Mandate Colevile con i suoi complici a York per essere subito giustiziato. Blunt, conducetelo via di qua e badate di fargli buona guardia. (Esce Colevile, scortato) Ed ora affrettiamoci a corte, signori. Ho saputo che il re mio padre è assai malato; le nostre notizie dovranno precederci presso Sua Maestà, e voi, cugino, gliele porterete per confortarlo mentre noi vi seguiremo più rapidi che potremo.

FALSTAFF: Signore, vi prego di darmi il permesso di passare per la contea di Gloucester, e quando sarete a corte siatemi amico, vi prego, nel vostro buon rapporto sul mio conto.

LANCASTER: State bene, Falstaff, per quanto dipende da me parlerò di voi meglio che non meritiate.

 

(Esce)

 

FALSTAFF: Vorrei che aveste soltanto dello spirito; sarebbe meglio del vostro ducato. In fede mia, questo ragazzotto dal sangue tiepido non mi ama; nessun uomo lo può far ridere, ma ciò non è meraviglia, non beve vino. Non v'è nessuna di queste nappefredde di ragazzi che concluda gran cosa, perché le bevande insipide gelano il loro sangue e facendo molti pasti di pesce essi cadono in una specie di clorosi maschile e quando sposano mettono al mondo delle figlie. Sono generalmente sciocchi e codardi e così saremmo anche alcuni di noi se non fosse per il riscaldamento. Un buon vin di Spagna secco ha in sé una doppia azione: vi sale al cervello e vi asciuga tutti i vapori sciocchi, pesanti e acri che lo ravvolgono e ve lo rende aperto, pronto, inventivo, pieno di lievi, ardenti e deliziose concezioni che, consegnate alla voce e alla lingua che dà loro vita, divengono spirito eccellente. La seconda proprietà del nostro eccellente vin di Spagna è che vi riscalda il sangue, che prima, freddo e stagnante, lasciava il fegato bianco e pallido, segno di pusillanimità e codardia; ma il vin di Spagna lo riscalda e lo fa scorrere dall'interno alle estremità, illumina il volto che, come un faro, ordina a tutto il resto di questo piccolo regno, cioè l'uomo, di armarsi, e allora tutta la borghesia degli spiriti vitali e di altri piccoli spiriti interiori si schierano attorno al loro capitano, il cuore, che possente e gonfio di tutta questa schiera fa qualsiasi atto di coraggio; e tutto questo valore viene dal vin di Spagna. Perciò l'abilità nelle armi non è nulla senza il vin di Spagna che la mette in opera: il sapere non è che un semplice mucchio d'oro tenuto da un diavolo, finché il vin di Spagna non lo inaugura e gli dà vita e impiego. Ecco perché il principe Arrigo è valoroso: il sangue freddo ch'egli ereditò da suo padre egli lo ha, come un terreno magro, sterile e nudo, concimato, coltivato e arato con l'eccellente lavoro del bere una buona provvista di fertile vin di Spagna; ed egli è diventato assai ardente e valoroso. Se avessi mille figli, il primo principio umano che insegnerei loro sarebbe di abiurare le bevande insipide e dedicarsi al vin di Spagna (Entra BARDOLFO)

Ebbene, Bardolfo?

BARDOLFO: L'esercito è tutto congedato e partito.

FALSTAFF: Che se ne vadano pure. Io me ne andrò per la contea di Gloucester a far visita a mastro Roberto Sommario, scudiero. Lo tengo già molle molle tra il mio indice e il pollice e tra breve lo sigillerò. Andiamocene.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA QUARTA - Westminster. La sala di Gerusalemme

(Entrano ENRICO QUARTO, CLARENCE, GLOUCESTER, WARWICK ed altri)

 

ENRICO: Ora, signori, se Dio fa terminare con successo questa contesa che sanguina alle nostre porte, noi condurremo la nostra gioventù su più nobili campi di battaglia e non trarremo spada che per un santo fine. La nostra flotta è pronta, le nostre forze radunate, i nostri luogotenenti investiti dell'autorità in nostra assenza. Ogni cosa risponde ai nostri desideri, manca solo l'energia alle nostre persone; riposiamoci dunque finché questi ribelli ora in armi vengano cotto il giogo del nostro governo.

WARWICK: Non dubitiamo che Vostra Maestà avrà presto questa doppia gioia.

ENRICO: Humphrey di Gloucester, figlio mio, dov'è il principe vostro fratello?

GLOUCESTER: Credo che sia andato a caccia, mio signore, a Windsor.

ENRICO: In compagnia di chi?

GLOUCESTER: Non so, signore.

ENRICO: Suo fratello Tommaso di Clarence non è con lui?

GLOUCESTER: No, mio buon signore, è qui presente CLARENCE: Che cosa desidera il mio signore e padre?

ENRICO: Null'altro che bene per te, Tommaso di Clarence. Com'è che non sei col principe tuo fratello? egli ti ama e tu lo trascuri, Tommaso.

Tu tieni un posto più grande nel suo affetto di tutti i tuoi fratelli; tienlo caro, ragazzo mio, e quando io sarò morto tu potrai compiere nobile ufficio di mediazione tra la sua eccelsa posizione e gli altri suoi fratelli; perciò non lo trascurare, non smussare il suo affetto per te e non perdere il grande vantaggio del suo favore mostrandoti freddo o indifferente ai suoi desideri. Egli è gentile quando lo si tratta con riguardo, ha una lagrima per la pietà e una mano aperta come il giorno per la dolce carità; tuttavia quando è irritato diviene di sasso, capriccioso come l'inverno e improvviso come i refoli di vento che si congelano all'alba del giorno. Bisogna dunque osservare bene il suo carattere, rimproverarlo per i suoi falli, ma con riguardo, quando scorgete che il suo umore è in vena di allegria; ma quando è di umor nero, lasciategli briglia sciolta finché la sua collera, come balena portata a terra, si sia consumata dimenandosi.

Ricordati questo, Tommaso, e tu diverrai una difesa per i tuoi amici, un cerchio d'oro nel quale stringere i tuoi fratelli, di modo che il vaso ove il loro sangue è unito, anche se misto al veleno delle maligne insinuazioni che il tempo vi verserà certamente, non si incrinerà anche se il veleno avesse la forza dell'aconito o della polvere da sparo.

CLARENCE: Mi occuperò di lui con ogni cura e affetto.

ENRICO: Perché non sei a Windsor con lui, Tommaso?

CLARENCE: Egli non è là oggi, pranza a Londra.

ENRICO: E in compagnia di chi? puoi informarmi di questo?

CLARENCE: Con Poins ed altri suoi compagni abituali.

ENRICO: Il suolo più fertile è soggetto alle male erbe ed egli, nobile immagine della mia giovinezza, ne è tutto cosparso; perciò la mia ansia si estende al di là dell'ora della mia morte. Il mio cuore sanguina quando la mia immaginazione si rappresenta i giorni di smarrimento e i corrotti tempi che voi vedrete quando io dormirò con i miei antenati. Allorché la sua ostinata licenza non avrà più freno, e collera e violenza saranno i suoi consiglieri, quando ricchezza e abitudini di prodigalità si uniranno, oh! con quali ali voleranno le sue passioni verso il minaccioso pericolo e la nemica rovina!

WARWICK: Mio grazioso signore, voi andate troppo oltre nei suoi riguardi. Il principe non fa che studiare i suoi compagni come una lingua straniera: per impossessarci di una lingua è necessario che anche le parole più immodeste siano vedute e imparate. Fatto questo, Vostra Altezza lo sa, esse non servono più, sono conosciute e detestate. Così, a tempo opportuno, il principe respingerà i suoi compagni come si respingono le parole grossolane, mentre il loro ricordo servirà a Sua Grazia come modello e misura per giudicare la vita degli altri uomini; così il male passato si cambierà in vantaggio.

ENRICO: Avvien di rado che l'ape lasci il suo favo in una carogna morta. Chi siete? Westmoreland?

 

(Entra WESTMORELAND)

 

WESTMORELAND: Salute al mio sovrano e che nuova felicità s'aggiunga a quella che devo comunicargli! Il principe Giovanni vostro figlio bacia la mano di Vostra Grazia; Mowbray, il vescovo Scroop, Hastings e tutti gli altri devono subire il rigore della vostra legge. Non v'è ora spada sguainata di ribelle e la pace germoglia ovunque con i suoi rami di olivo. Il modo come si è svolta quest'azione Vostra Altezza lo potrà leggere qui a suo agio con ogni episodio nei suoi particolari.

 

(Porge un plico)

 

ENRICO: O Westmoreland, tu sei un uccello estivo che a tergo dell'inverno canti il crescer della luce.

 

(Entra HARCOURT)

 

Guardate, ecco altre notizie.

HARCOURT: Che il cielo guardi Vostra Maestà dai nemici, e quando essi si rizzano contro di voi, possano essi cadere come quelli di cui son venuto a parlarvi! Il conte di Northumberland e lord Bardolph con numerose forze d'Inglesi e Scozzesi sono stati sbaragliati dallo sceriffo della contea di York. Questo plico, piaccia a Vostra Altezza, contiene con ampi particolari il modo e l'ordine esatto della battaglia.

 

(Consegna il plico)

 

ENRICO: E per qual motivo queste buone notizie mi fanno star male? Non verrà mai la Fortuna con entrambe le mani piene senza scrivere sempre le sue belle parole con le più detestabili lettere? Essa o dà appetito e nessun nutrimento com'è dei poveri pieni di salute; o altrimenti vi dona un festino e vi toglie ogni appetito; così avviene per i ricchi che hanno ogni abbondanza e non la godono. Io dovrei esser pieno di gioia per queste felici notizie, e ora la vista mi manca e il cervello è preso da vertigine. Oh, venitemi vicino, sto molto male adesso.

GLOUCESTER: Coraggio, Maestà!

CLARENCE: Padre mio e re!

WESTMORELAND: Mio sovrano, fatevi animo, aprite gli occhi!

WARWICK: Abbiate pazienza, principi: voi sapete che questi accessi sono molto frequenti in Sua Altezza; scostatevi da lui, dategli aria e starà subito bene.

CLARENCE: No, no, non può resistere a lungo a questi spasimi; le cure incessanti e il lavorìo della sua mente hanno reso così sottile il muro destinato a racchiudere la sua vita che questa vi guarda attraverso e ne eromperà fuori.

GLOUCESTER: Il popolo mi spaventa, poiché ha visto nascere figli senza padre e mostruosi parti di natura; le stagioni han mutato carattere come se l'anno avesse trovato dei mesi addormentati e li avesse saltati.

CLARENCE: Il fiume è straripato tre volte senz'alcun riflusso nell'intervallo, e i vecchi, queste vaneggianti cronache del tempo, dicon che così avvenne poco tempo prima che nostro bisnonno Edoardo si ammalasse e morisse.

WARWICK: Parlate più piano, principe, il re riprende i sensi.

GLOUCESTER: Quest'apoplessia sarà di certo la sua fine.

ENRICO: Vi prego, sollevatemi e portatemi via da qui, in qualche altra stanza; piano, vi prego.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA QUINTA - Un'altra stanza

(ENRICO QUARTO giace su di un letto; CLARENCE, GLOUCESTER, WARWICK ed altri del Seguito presso di lui)

 

ENRICO: Non si faccia rumore, miei cortesi amici, a meno che qualche mano discreta e soccorrevole non mormori della musica al mio spirito stanco.

WARWICK: Fate venire dei sonatori nell'altra stanza.

ENRICO: Mettete la corona qui, su questo mio guanciale.

CLARENCE: Ha l'occhio infossato e il suo volto si altera.

WARWICK: Meno rumore, meno rumore!

 

(Entra il PRINCIPE ENRICO)

 

PRINCIPE: Chi ha visto il duca di Clarence?

CLARENCE: Son qui, fratello, pieno di tristezza.

PRINCIPE: Che c'è dunque! piove qui dentro e per nulla fuori! come sta il re?

GLOUCESTER: Malissimo.

PRINCIPE: Ha saputo ancora le buone notizie? ditegliele.

GLOUCESTER: Fu nell'apprenderle che egli si aggravato.

PRINCIPE: Se si è ammalato di gioia, guarirà senza bisogno di medicina.

WARWICK: Non tanto strepito, signori; mio dolce principe, parlate piano, il re vostro padre si dispone al sonno.

CLARENCE: Ritiriamoci nell'altra stanza.

WARWICK: Piace a Vostra Grazia di venir con noi?

PRINCIPE: No, starò qui seduto a vegliare il re. (Escono tutti meno il Principe Enrico) Perché la corona sta qui sul suo guanciale, essa che è una compagna così irrequieta? o lucida inquietudine! ansia dorata!

che tieni spalancate le porte del sonno in tante notti di veglia!

Dormi ora con essa, pur non così profondamente né con tanta intensa dolcezza come chi, la fronte cinta da rustico cappuccio, russa durante l'intera notte. O maestà! quando tu stringi chi t'indossa, tu pesi come una ricca armatura indossata nel calore del giorno che, proteggendo, brucia! Presso le porte del suo respiro v'è una lieve piuma che non si muove: se egli respirasse, quella leggera e aerea piuma dovrebbe per forza muoversi. Mio grazioso signore! padre mio!

questo sonno è profondo davvero; è quel sonno che ha diviso tanti re inglesi da questo cerchio d'oro. Ciò che ti debbo sono le lagrime e il dolore profondo del mio sangue che natura, amore e tenerezza di figlio ti pagheranno largamente; quello che tu mi devi è questa corona imperiale che viene a me come erede immediato della tua posizione e del tuo sangue. Ecco, l'ho messa! (Mettendola sul capo) che il cielo la protegga! e se anche tutta la forza del mondo fosse unita nel braccio di un gigante, non mi strapperà questa insegna ereditaria che dopo di te io lascerò ai miei come è stata lasciata a me.

 

(Esce)

 

ENRICO: Warwick! Gloucester! Clarence!

 

(Rientrano WARWICK e gli altri)

 

CLARENCE: Il re chiama?

WARWICK: Cosa desidera Vostra Maestà? come sta Vostra Grazia?

ENRICO: Perché mi lasciate qui solo, signori?

CLARENCE: Mio sovrano, noi lasciammo qui il principe mio fratello che s'incaricò di restare a vegliarvi.

ENRICO: Il principe di Galles? dov'è? che io lo veda: egli non è qui.

WARWICK: Questa porta è aperta: è uscito di qui.

GLOUCESTER: Non ha traversato la stanza dove eravamo noi.

ENRICO: Dov'è la corona? chi la tolse dal mio guanciale?

WARWICK: Quando ci ritirammo, mio sovrano, la lasciammo qui.

ENRICO: Il principe l'ha tolta di qua: andate a cercarlo. Ha tanta fretta da supporre che il mio sonno sia la mia morte? Cercatelo, monsignore di Warwick, conducetelo qui e rimproveratelo. (Esce Warwick) Questa sua azione si combina con la malattia e l'aiuta a finirmi. Vedete, figli, che cosa siete! Con quanta rapidità la natura cade nella ribellione quando l'oro diviene la sua mira! è per questo che i padri sciocchi e troppo solleciti hanno i loro sonni rotti dalle inquietudini, il loro cervello dalle ansie, le ossa dalla fatica, per questo essi hanno raccolto e ammucchiato i guasti cumuli di un oro conquistato in strano modo; per questo si sono dati pensiero di educare i loro figli nelle arti e negli esercizi guerreschi! quando, come l'ape che coglie da ogni fiore le dolci essenze, noi portiamo all'alveare le nostre cosce cariche di cera, le nostre bocche di miele, allora come le api siamo uccisi per le nostre fatiche. Questo è l'amaro sapore che danno al padre morente le fatiche econome della sua vita.

 

(Rientra WARWICK)

 

Dov'è dunque colui che non vuole aspettar che la malattia sua amica abbia deciso di me?

WARWICK: Mio signore, ho trovato il principe nella stanza vicina che bagnava le sue guance soavi di tenere lagrime, e in tale stato di profondo dolore che al vederlo la tirannide, che non si è mai dissetata che di sangue, avrebbe lavato il suo pugnale con le dolci stille dei suoi occhi. Eccolo che viene.

ENRICO: Ma perché ha portato via la corona?

 

(Rientra il PRINCIPE ENRICO)

 

Ecco che viene. Vieni qui da me, Arrigo. Uscite da questa camera e lasciateci qui soli.

 

(Escono Clarence, Gloucester e gli altri)

 

PRINCIPE: Non pensavo mai di udirvi ancora parlare.

ENRICO: Il tuo desiderio, Arrigo, è stato padre di quel pensiero: io rimango troppo a lungo presso di te, io ti stanco. Tu aneli tanto di avere vuoto il mio trono che vuoi vestirti delle mie insegne prima che l'ora sia matura? o folle giovine! tu vai cercando quella grandezza che ti schiaccerà. Aspetta soltanto un poco; la nube della mia dignità è trattenuta dal cadere a terra da un vento così debole, che presto precipiterà; il mio giorno è già al crepuscolo. Tu hai rubato quello che dopo qualche ora sarebbe stato tuo senza colpa; alla mia morte tu hai confermato quanto io mi aspettavo: la tua vita mi ha reso manifesto che tu non mi amavi e ora vuoi che io muoia con questa certezza. Tu nascondi nei tuoi pensieri mille pugnali che hai affilato sul tuo cuore di pietra per colpire l'ultima mezz'ora della mia vita.

Come, non puoi concedermi una mezz'ora? Va' dunque a scavare tu la mia fossa e ordina alle allegre campane di sonare ai tuoi orecchi che tu sei incoronato, non che io son morto. Che tutte le lagrime che dovrebbero irrorare la mia bara siano gocce di balsamo per santificare il tuo capo; gettami soltanto insieme alla polvere dimenticata, abbandona ai vermi chi ti diede la vita. Deponi i miei ufficiali, spezza i miei decreti, è venuto il tempo di deridere ogni decoro:

Enrico Quinto è coronato! in alto, o Vanità! a terra ogni dignità regale! tutti voi, saggi consiglieri, via di qua! alla corte inglese radunatevi adesso da ogni regione, scimmie dell'ozio! Ora, paesi vicini, liberatevi della vostra schiuma! avete qualche briccone che bestemmia, beve, balla, gozzoviglia di notte, ruba, uccide e sa commettere i vecchi peccati nel modo più nuovo? State allegri, costui non vi darà più molestia: due volte l'Inghilterra coprirà d'oro il suo triplice disdoro, l'Inghilterra gli darà una posizione, l'onore, il potere poiché il quinto Enrico alla frenata licenza toglierà la museruola che la tiene a posto, e il cane selvaggio affonderà le sue zanne nella carne di ogni innocente. O povero mio regno malato per i colpi della guerra civile! tu che tutte le mie arti di governo non poterono strappare ai tuoi disordini, cosa farai quando il disordine soltanto ti governerà? Tu sarai di nuovo un deserto popolato di lupi, i tuoi antichi abitanti!

PRINCIPE (inginocchiandosi): Oh, perdonatemi, mio sovrano! se non fossero state le mie lacrime, umido ostacolo alla mia parola, io avrei prevenuto questo acerbo e grave rimprovero prima che il dolore vi avesse fatto parlare e io vi avessi ascoltato fino a questo punto.

Ecco là la vostra corona e Quegli che porta la corona immortale ve la conservi a lungo! Se io l'amo in altro modo che come simbolo del vostro onore e della vostra fama, ch'io non mi alzi più da questa posizione, da questo atteggiamento esteriore di sommissione che il mio rispetto leale e profondo mi comanda di prendere. Dio mi sia testimonio come il cuore mi si agghiacciasse quando entrai qui e non trovai alito di vita in Vostra Maestà! Se io mento, lasciatemi allora morire nella mia presente dissipazione e non vivere mai per mostrare al mondo incredulo il nobile cambiamento che io mi sono proposto!

Avvicinandomi a voi e pensandovi morto e quasi morto io stesso, mio sovrano, al pensarvi tale, io ho parlato alla corona come se fosse dotata di sentimento e così l'ho rimproverata: "Le ansie che si accompagnano a te si sono nutrite del corpo di mio padre, perciò tu che sei il miglior oro ne sei anche il peggiore. Altro oro di meno carati e più prezioso e in bevanda medicinale conserva la vita, ma tu che sei l'oro più bello, più onorato e famoso hai divorato chi ti portava". Con queste accuse, o mio regale sovrano, io l'ho posta sul mio capo per impegnare con lei, come con un nemico che avesse ucciso mio padre sotto i miei occhi, la lotta di legittimo erede Ma se mai essa ha avvelenato di gioia il mio sangue o gonfiato i miei pensieri di un impeto d'orgoglio, se alcun mio spirito vanitoso o ribelle mi ha mai spinto ad accogliere la sua potenza col pur minimo segno di piacere, che Dio la tenga per sempre lontana dal mio capo e faccia di me il più povero vassallo che s'inginocchia davanti a lei con rispetto e terrore!

ENRICO: O figlio mio, Dio ti mise in mente d toglierla da qui perché tu potessi più facilmente guadagnarti l'amore di tuo padre parlando con tanta saggezza per scusarti. Vieni qui, Arrigo, siedi presso il mio letto e ascolta, credo, l'ultimo consiglio ch'io potrò mai darti.

Dio sa, figlio mio, per quali sentieri traversi e con quali mezzi indiretti e contorti io venni incontro a questa corona; io stesso so bene di quanta irrequietezza essa cinse il mio capo: scenderà a te con più serenità, più rispettata e meglio accolta poiché tutta la lordura del suo acquisto scende nella terra con me. In me sembrava soltanto un onore strappato con mano prepotente, e v'erano molti a rinfacciarmi il loro aiuto per guadagnarla; onde nacquero di giorno in giorno conflitti e spargimenti di sangue, ferendo così una pace fittizia. Tu vedi con quanto pericolo io ho dovuto affrontare tutte queste audaci minacce; tutto il mio regno non è stato che la rappresentazione di questa vicenda. Oggi la mia morte cambia le cose; quello che per me era cosa acquistata, viene a te in modo più felice, ché tu porti la corona per diritto di successione. Però sebbene tu ti regga più saldo che io non lo fossi, non lo sei abbastanza, perché i rancori sono ancora freschi e tutti i miei amici, che tu devi fare tuoi amici, hanno appena perduto i loro pungiglioni e i loro denti. Io fui elevato dapprima con il loro pericoloso aiuto, e la loro potenza poteva ben farmi temere che sarei stato di nuovo deposto; per evitare questo ne tolsi alcuni di mezzo e ora mi proponevo di condurne un gran numero in Terra Santa per timore che il riposo e la tranquillità potesse far loro indagare troppo da vicino nelle cose del mio governo. Per questo, Arrigo mio, sia tua regola di occupare gli spiriti irrequieti in dispute straniere; l'attività portata così fuori dei confini può far dimenticare il ricordo dei giorni passati. Più vorrei dire, ma i miei polmoni sono così esausti che la forza della voce mi viene completamente a mancare. Che Iddio mi perdoni il modo come venni in possesso della mia corona e conceda che essa possa vivere in vera pace con te!

PRINCIPE: Mio grazioso sovrano, voi l'avete conquistata, portata e mantenuta e ora l'avete data a me; il mio diritto alla successione dev'esser dunque chiaro e legittimo: io saprò tenerla di diritto contro il mondo intiero con vigore più che ordinario.

 

(Entrano GIOVANNI DI LANCASTER, WARWICK, Signori e altri)

 

ENRICO: Guardate, guardate, ecco che viene il mio Giovanni di Lancaster.

LANCASTER: Salute, pace e felicità al mio regale padre!

ENRICO: Tu mi porti la felicità e la pace, figlio Giovanni, ma la salute, ahimè, è volata via con le sue giovani ali da questo nudo tronco disseccato: ora che ti ho veduto, il mio compito terreno giunge alla fine. Dov'è monsignore di Warwick?

PRINCIPE: Monsignore di Warwick!

ENRICO: L'appartamento dove svenni la prima volta porta un qualche nome particolare?

WARWICK: Si chiama Gerusalemme, sire.

ENRICO: Lodi sian rese a Dio! è là che deve finire la mia vita. Mi fu predetto molti anni fa che io non sarei morto che a Gerusalemme, che io vanamente supposi fosse la Terra Santa. Ma portatemi in quella stanza; voglio coricarmi là e in quella Gerusalemme, Arrigo dovrà morire.

 

(Escono)

 

 

 

ATTO QUINTO

 

SCENA PRIMA - Gloucestershire. La casa di Sommario

(Entrano SOMMARIO, FALSTAFF, BARDOLFO e il Paggio)

 

SOMMARIO: Perdindirindina, messere, non ve ne andrete stasera. Olà, Davy, dico!

FALSTAFF: Dovete scusarmi, mastro Roberto Sommario.

SOMMARIO: Non voglio scusarvi, non sarete scusato, le scuse non saranno ammesse, non v'è scusa che tenga, non sarete scusato. Ma Davy!

 

(Entra DAVY)

 

DAVY: Ecco, messere.

SOMMARIO: Davy, Davy, Davy, vediamo, Davy vediamo: già, perbacco; il cuoco Guglielmo? ditegli di venire qui. Sir Giovanni, voi non sarete scusato.

DAVY: Perbacco, messere, così è; quei precetti non si possono eseguire, e poi, messere, semineremo di frumento la proda del campo?

SOMMARIO: Di frumento rosso, Davy, Ma veniamo al cuoco Guglielmo; non vi sono piccioni giovani?

DAVY: Sì, signore. C'è ora il conto del fabbro per dei ferri di cavallo e ferri d'aratro.

SOMMARIO: Che sia verificato e pagato. Sir Giovanni, non sarete scusato.

DAVY: Ora, messere, bisogna mettere un nuovo anello alla secchia e, messere, intendete trattenervi parte del salario di Guglielmo per il sacco che perdette l'altro giorno alla fiera di Hinckley?

SOMMARIO: Ne risponderà. Dei piccioni, Davy; un paio di galline dalle gambe corte, una coscia di montone e altre piccole leccornie. Ditelo al cuoco Guglielmo.

DAVY: Quell'uomo di guerra passerà qui tutta la notte, messere?

SOMMARIO: Sì, Davy. Voglio trattarlo bene. Un amico a corte è meglio di un soldo nella borsa. Tratta bene i suoi uomini, Davy, perché son bricconi matricolati e ci morderanno la schiena.

DAVY: Non più di quanto son morsi loro signore, perché hanno una biancheria meravigliosamente sudicia.

SOMMARIO: Ben detto, Davy. Sbriga le tue faccende, Davy.

DAVY: Vi supplico, messere, di sostenere Guglielmo Visor di Woncot contro Clemente Perkes del colle.

SOMMARIO: Vi sono molte lagnanze, Davy, contro quel Visor: quel Visor è un briccone matricolato, per quanto ne so io.

DAVY: Son d'accordo con Vostra Signoria che è un briccone, signore; ma pure, Dio non voglia, messere, che un briccone non abbia protezione a richiesta del suo amico. Un galantuomo, messere, è in grado di parlare in proprio favore mentre un briccone non lo può. Ho servito Vostra Signoria fedelmente per otto anni, e se non posso una volta o due per trimestre sostenere un briccone contro un galantuomo, io ho pochissimo credito presso Vostra Signoria. Il briccone è mio onesto amico, messere, perciò io supplico Vostra signoria di far sì che sia aiutato.

SOMMARIO: Va' là, ti dico che non gli sarà fatto alcun torto.

Sbrigati, Davy. (Esce Davy) Dove siete, sir Giovanni? venite, venite, venite; toglietevi gli stivali. Datemi la mano, mastro Bardolfo.

BARDOLFO: Son contento di vedere Vostra signoria.

SOMMARIO: Ti ringrazio di tutto cuore, gentile signor Bardolfo: (al Paggio) e benvenuto, mio ragazzone. Venite, sir Giovanni.

FALSTAFF: Vi seguirò, buon mastro Roberto Sommario. (Esce Sommario) Bardolfo, bada ai nostri cavalli. (Escono Bardolfo e il Paggio) Se io fossi segato a fette, farei quattro dozzine di tali bastoni d'eremiti barbuti qual è mastro Sommario. E' una cosa meravigliosa vedere la perfetta somiglianza che esiste tra lo spirito della sua gente e il suo: essi osservando lui si comportano come stupidi giudici; lui a forza di conversare con loro si è cambiato in un servo che si dà l'aria di un giudice; i loro spiriti si sono così bene sposati a forza di star sempre in compagnia che s'imbrancano insieme di comune accordo come tante oche selvatiche. Se avessi una richiesta da fare a mastro Sommario, accarezzerei i suoi uomini con la pretesa di esser un amico del loro padrone; se ai suoi uomini, io adulerei mastro Sommario dicendogli che nessuno potrebbe meglio comandare ai suoi servi. E' certo che gli uomini prendono uno dall'altro un saggio contegno o una condotta ignorante così come prendono le malattie, perciò gli uomini devono fare attenzione alla compagnia che frequentano. Io caverò da questo Sommario materia sufficiente per far ridere di continuo il principe Enrico per la durata di sei nuove mode, ciò che equivale a quattro sessioni o a due processi, ed egli riderà senza ferie. Oh, com'è meraviglioso l'effetto che una bugia accompagnata da una leggera bestemmia e uno scherzo a viso serio farà su di un compare che non ha mai avuto dolori alla schiena! Oh, lo vedrete ridere finché la sua faccia sarà come un mantello bagnato e mal piegato.

SOMMARIO (dal di dentro): Sir Giovanni!

FALSTAFF: Vengo, mastro Sommario, vengo, mastro Sommario.

 

(Esce)

 

 

 

SCENA SECONDA - Westminster. Una stanza nel Palazzo

(Entrano, separatamente, WARWICK e il LORD GIUDICE SUPREMO)

 

WARWICK: Ebbene, lord Giudice Supremo, dove andate?

GIUDICE SUPREMO: Come sta il re?

WARWICK: Estremamente bene: tutti i suoi mali sono ora finiti.

GIUDICE SUPREMO: Spero che non sia morto.

WARWICK: Ha seguito il sentiero della natura e, per quanto ci concerne, non vive più.

GIUDICE SUPREMO: Vorrei che Sua Maestà mi avesse chiamato con sé: i servigi che io gli resi fedelmente durante la sua vita mi hanno lasciato esposto ad ogni offesa.

WARWICK: In verità penso che il giovine re non vi ami.

GIUDICE SUPREMO: So che non mi ama e mi armo per far buon viso ai nuovi tempi che non possono minacciarmi in modo più terribile di quello ch'io mi sono dipinto nella fantasia.

 

(Entrano GIOVANNI DI LANCASTER, GLOUCESTER, CLARENCE, WESTMORELAND ed altri)

 

WARWICK: Ecco venire i figli addolorati del morto Arrigo. O perché mai il vivo Arrigo non ha il carattere del peggiore di questi tre principi! quanti nobili che dovranno ora fuggir le vele davanti ad anime vili non conserverebbero invece le loro posizioni!

GIUDICE SUPREMO: O mio Dio, temo che tutto sarà ora sconvolto.

LANCASTER: Buon giorno, cugino Warwick, buon giorno.

GLOUCESTER e CLARENCE: Buon giorno, cugino.

LANCASTER: C'incontriamo come uomini che hanno dimenticato la parola.

WARWICK: La ricordiamo, ma il nostro argomento è troppo doloroso per ammettere lunghe conversazioni.

LANCASTER: La pace sia con lui che ci ha tanto addolorati!

GIUDICE SUPREMO: La pace sia anche con noi per tema che il nostro dolore non aumenti!

GLOUCESTER: O mio buon signore, voi avete perduto davvero un amico e, oserei giurare, che il dolore che appare sul vostro volto non è preso in prestito ma è sicuramente vostro.

LANCASTER: Benché nessuno sia sicuro del favore che potrà trovare, voi siete nella più desolata aspettativa; ne sono tanto più dispiacente e vorrei che fosse altrimenti.

CLARENCE: Andiamo, ora dovrete parlare con rispetto a sir Giovanni Falstaff, e questo per il vostro carattere è come nuotare contro corrente.

GIUDICE SUPREMO: Amabili principi, quello che feci lo feci per onore, guidato dalla imparziale norma della mia coscienza, e voi non mi vedrete mai mendicare un perdono sbrindellato e screditato. Se la verità e una limpida coscienza non sono riconosciute, io andrò dal re mio signore che è morto e gli dirò chi mi ha mandato dietro a lui.

WARWICK: Ecco, viene il principe.

 

(Entra RE ENRICO QUINTO con seguito)

 

GIUDICE SUPREMO: Buon giorno e Dio protegga Vostra Maestà!

RE: Questo nuovo e splendido manto, la maestà, non mi riveste così comodamente come voi pensate. Fratelli, voi mescolate alquanto timore alla vostra tristezza: questa è la corte d'Inghilterra e non quella di Turchia, non è un Amurat che succede a un Amurat ma un Arrigo a un altro Arrigo. Tuttavia siate tristi, buoni fratelli, poiché per dire la verità la tristezza ben vi si addice e il dolore appare in voi con un aspetto così regale che io voglio adottare devotamente la moda e portarla nel mio cuore. Siate dunque tristi, ma portate la vostra tristezza soltanto come un fardello che è ugualmente imposto a tutti noi. Quanto a me, per il cielo, vi assicuro che sarò vostro padre e vostro fratello insieme; lasciatemi portare il vostro affetto e io porterò le vostre cure. Piangete pure l'Arrigo che è morto e io piangerò con voi; ma vive un Arrigo che cambierà il numero di quelle lagrime in ore di felicità.

LANCASTER: Non speriamo altro dalla Maestà Vostra.

RE: Mi guardate tutti in modo strano: (al Lord Giudice Supremo) e voi più di tutti: siete sicuro, credo, che io non vi amo.

GIUDICE SUPREMO: Son sicuro che se mi si pesa secondo giustizia, Vostra Maestà non ha alcun giusto motivo di odiarmi.

RE: No! come potrebbe un principe di così grandi speranze dimenticare le grosse indegnità che gli faceste? Come! sgridare, rimproverare e mandare brutalmente in prigione l'erede presunto al trono d'Inghilterra! vi par facile questo? e può essere lavato nel Lete e dimenticato?

GIUDICE SUPREMO: Io rappresentavo allora la persona di vostro padre, l'immagine del suo potere era allora in me, e mentre amministravo la sua giustizia, prendendo cura del pubblico benessere, Vostra Altezza si compiacque dimenticare la mia posizione, la maestà e la potenza della legge e della giustizia, l'immagine del re che io rappresentavo, e mi colpiste proprio nel mio seggio di giudice, e perciò quale offensore di vostro padre usai audacemente della mia autorità facendovi arrestare. Se questo atto fu colpevole, allora tenete per fortuna, ora che portate la corona, di avere un figlio che metta in non cale i vostri decreti, che rovesci la giustizia del vostro temuto seggio sviando il corso della legge e smussando la spada che custodisce la pace e la sicurezza della vostra persona, e, peggio ancora, disprezzi la vostra regale immagine facendosi beffa dei vostri atti nella persona di colui che vi rappresenta. Interrogate i vostri reali pensieri, fate vostro questo caso, siate ora il padre e immaginate di avere un figlio; ascoltate la vostra dignità così profanata, guardate le vostre temute leggi così malamente disprezzate, vedetevi sdegnato da un figlio, e poi immaginate me che rappresento la vostra parte e, investito della vostra autorità, reprimo paternamente vostro figlio. Quando avrete freddamente esaminato questo caso, date il vostro giudizio su di me e poiché siete re, dite in nome della vostra autorità cosa io ho fatto che disdica alla mia posizione, alla mia persona e alla sovranità del mio signore.

RE: Avete ragione, giudice, voi pesate bene la cosa; perciò tenete ancora la bilancia e la spada; vi auguro che i vostri onori possano crescere finché possiate vedere un figlio mio che vi offenda e vi obbedisca come feci io. E possa io vivere per ripetere le parole di mio padre: "Me felice che ho un uomo così coraggioso che osa far giustizia sul mio proprio figlio, e non meno felice di avere un figlio che può consegnare la sua grandezza nelle mani della giustizia!". Voi mi metteste in prigione e io metto in vostra mano la spada senza macchia che siete abituato a portare, ricordandovi di usarne con lo stesso spirito imparziale, energico e giusto che mostraste verso di me. Ecco la mia mano, voi sarete come un padre per la mia giovinezza:

la mia voce parlerà secondo ciò che voi suggerite al mio orecchio, e saprò sottomettere con umiltà la mia volontà alla vostra guida saggia e sperimentata. E ora, tutti voi, principi, credetemi, vi scongiuro:

mio padre è sceso dissoluto nella tomba, poiché nel suo sepolcro giacciono le mia scapestrataggini e io sopravvivo con il suo spirito grave per deridere le aspettative del mondo e frustrare le profezie distruggendo la guasta opinione che mi ha giudicato secondo le apparenze. L'onda del mio sangue ha finora orgogliosamente seguito un vano corso; ora si rivolge e rifluisce verso il mare dove si mescolerà con il possente oceano scorrendo per l'avvenire con solenne maestà.

Ora convocheremo la nostra alta corte del parlamento e sceglieremo i membri del nobile Consiglio in modo che il grande corpo del nostro Stato potrà stare alla pari con le nazioni meglio governate e la pace o la guerra, o tutte e due ad un tempo, saranno per noi cose conosciute e familiari. (Al Lord Giudice Supremo) In questo, padre mio, voi avrete la più gran parte. Dopo la nostra incoronazione convocheremo, come ho già ricordato, tutto il nostro Consiglio, e se Dio vorrà esaudire le mie buone intenzioni, nessun principe né pari avrà giusto motivo di dire: Iddio abbrevi la felice vita di Arrigo di un sol giorno.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA - Gloucestershire. Il verziere di Sommario

(Entrano FALSTAFF, SOMMARIO, SILENZIO, BARDOLFO, il Paggio e DAVY)

 

SOMMARIO: Via, dovete vedere il mio verziere dove sotto un pergolato ci vogliam mangiare una mela renetta dell'anno scorso proprio innestata da me, e insieme un piatto di semi d'anice e altre coserelle - venite, cugino Silenzio - e poi a letto.

FALSTAFF: Perdio, avete qui una bella e ricca dimora.

SOMMARIO: Povera, povera, povera, tutti miserabili, miserabili tutti, sir Giovanni, però aria buona. Metti la tovaglia, Davy, metti la tovaglia, Davy; benissimo, Davy.

FALSTAFF: Questo Davy vi rende buoni servizi, è il vostro valletto e il vostro fattore.

SOMMARIO: Un buon valletto, un buon valletto, un buonissimo valletto, sir Giovanni... per la messa! ho bevuto troppo vin di Spagna a cena...

un buon valletto. Ora accomodatevi, ora accomodatevi, venite, cugino.

SILENZIO: Ah! briccone, disse lui noi... (Canta) Non farem che mangiare e far cagnara, e lodar Dio per l'annata rara, che la carne rinvilia e la donna rincara, e i bei giovanotti folleggiano a gara, così allegramente e sempre così allegramente!

FALSTAFF: Ecco un cuore allegro! Buon mastro Silenzio, vi farò ora un brindisi per questa canzone.

SOMMARIO: Date del vino a mastro Bardolfo, Davy.

DAVY: Mio caro signore, sedete, verrò subito da voi; mio carissimo signore, sedete. Mastro paggio, buon mastro paggio, sedete. (Bardolfo e il Paggio siedono a un'altra tavola) Prosit! quello che vi mancherà di carne vi daremo in bevanda, dovete scusarci, il cuore è tutto.

 

(Esce)

 

SOMMARIO: State allegro, signor Bardolfo, e voi costì, soldatino mio, state allegro.

SILENZIO (canta):

Allegri, allegri, mia moglie ha ogni cosa; ché la donna è bisbetica, piccola o grossa, allegra è la sala ove ogni barba è mossa, e ben venga il carnevale, allegri, allegri state!

FALSTAFF: Non credevo che mastro Silenzio fosse un uomo di questa tempra.

SILENZIO: Chi, io? sono stato allegro una volta o due anche prima d'ora.

 

(Rientra DAVY)

 

DAVY: C'è un piatto di mele ruggine per voi (Mettendole davanti a Bardolfo)

SOMMARIO: Davy!

DAVY: Vostra Signoria? Son subito da voi. (A Bardolfo) Un bicchiere di vino, messere?

SILENZIO (canta):

Un bicchier di vino frizzante e chiaro io lo bevo all'amor mio caro, cuor contento cent'anni camperà!

FALSTAFF: Ben detto, mastro Silenzio.

SILENZIO: Vogliamo stare allegri, ora vien la dolcezza della sera.

FALSTAFF: Salute e lunga vita a voi, mastro Silenzio.

SILENZIO (canta):

Riempite il nappo e passatelo in tondo, io lo brindo a voi, fosse un miglio profondo.

SOMMARIO: Onesto Bardolfo, siete benvenuto: se ti occorre qualche cosa e non la chiedi la colpa è tutta tua. Benvenuto, mio piccolo ladruncolo (al Paggio), benvenuto davvero. Berrò alla salute di mastro Bardolfo e di tutti i caballeros di Londra.

DAVY: Spero una volta di vedere Londra prima di morire.

BARDOLFO: Se potessi vedervi là, Davy!...

SOMMARIO: Per la messa! tracannerete una foglietta insieme, eh! non è così, mastro Bardolfo?

BARDOLFO: Sì, signore, e in un gran boccale.

SOMMARIO: Per Iddio! ti ringrazio, il briccone si attaccherà a te, te lo assicuro; non ti deluderà, è di buona razza.

BARDOLFO: E io mi attaccherò a lui messere.

SOMMARIO: Ecco! così parlò un re. Non vi fate mancar nulla, state allegri.

(Si sente bussare) Guardate chi è là alla porta! olà chi bussa?

 

(Esce Davy)

 

FALSTAFF (a Silenzio che tracanna un boccale): Ecco, mi avete restituito il brindisi.

SILENZIO (canta):

Brindami il tuo bicchiere, e fammi cavaliere, Samingo...

Non è così?

FALSTAFF: E' così.

SILENZIO: E' così? Ma allora dite che un vecchio può far qualche cosa.

 

(Rientra DAVY)

 

DAVY: Piaccia a Vostra Signoria, c'è un certo Pistola che è venuto dalla corte con notizie.

FALSTAFF: Dalla corte! che entri pure.

 

(Entra PISTOLA)

 

Ebbene, Pistola?

PISTOLA: Sir Giovanni, che Dio vi benedica!

FALSTAFF: Che vento ti ha portato qui, Pistola?

PISTOLA: Non quel cattivo vento che non porta bene a nessuno. Dolce cavaliere, tu sei ora uno dei più grandi uomini del reame.

SILENZIO: Per Nostra Donna! credo che egli lo sia veramente, se si eccettua quel buon uomo di Puff di Barson.

PISTOLA: Puff! ripigliati il tuo Puff tra i denti, codardo e vile rinnegato! sir Giovanni, io sono il tuo Pistola e tuo amico, e sono venuto qui da te a cavallo a rompicollo e ti porto notizie e fortunose gioie ed aurei tempi e felici e preziose novelle.

FALSTAFF: Ti prego ora di darmele nella lingua di un uomo di questo mondo.

PISTOLA: Alla malora il mondo e i vili mondani! io parlo dell'Africa e di auree letizie.

FALSTAFF: O vile cavaliere assiro quali notizie porti? che il re Cofetua sappia ciò che c'è di vero.

SILENZIO (canta):

E Robin Hood, Scarlatto e Gianni.

PISTOLA: Dei cagnacci da concimaia si misureranno con gli Eliconi? e le buone notizie saranno disprezzate? Allora, Pistola, poni il tuo capo nel grembo delle Furie.

SOMMARIO: Onesto signore, non so di che razza siete.

PISTOLA: Allora hai ben donde dolerti.

SOMMARIO: Vi chiedo perdono, messere; se, messere, voi venite con notizie dalla corte, io ritengo che non vi siano che due modi: o le dite o le nascondete. Io ho, messere, una posizione di qualche autorità sotto il re.

PISTOLA: Sotto qual re, saccardo? parla o muori.

SOMMARIO: Sotto re Enrico.

PISTOLA: Enrico Quarto o Quinto?

SOMMARIO: Enrico Quarto.

PISTOLA: Un corno per il tuo posto! sir Giovanni, il tuo dolce agnellino è ora re: Enrico Quinto è l'uomo. Dico la verità: se Pistola mente, fammi così; fammi le fiche come un vantatore spagnolo.

FALSTAFF: Come! il vecchio re è morto?

PISTOLA: Come un chiodo nella porta: le cose che dico sono giuste.

FALSTAFF: Avanti, Bardolfo! sella il mio cavallo. Mastro Roberto Sommario, scegli il posto che tu vuoi in questo regno ed è tuo.

Pistoia, ti affogherò di onori.

BARDOLFO: O giorno felice! non vorrei il titolo di cavaliere per la mia fortuna.

PISTOLA: E che! non ho portato buone notizie?

FALSTAFF: Portate mastro Silenzio a letto. Mastro Sommario, milord Sommario, sii quello che vuoi, io sono il castaldo della fortuna. O caro Pistola! Andiamo, Bardolfo. (Esce Bardolfo) Vieni Pistola, dammi altre notizie e pensa anche a qualche cosa che ti possa giovare. Gli stivali, gli stivali, mastro Sommario; so che il giovane re sospira per me. Prendiamo i cavalli di chi si sia; le leggi d'Inghilterra sono ai miei ordini. Beati coloro che sono stati miei amici e guai al lord Giudice Supremo!

PISTOLA: Che i vili avvoltoi gli aggranfino anche i polmoni! "Dov'è la vita che menavo prima?" dicono essi: ebbene, eccola qui. Salute a questi piacevoli giorni!

 

(Escono)

 

 

 

SCENA QUARTA - Londra. Una strada

(Entrano dei Birri che trascinano l'Ostessa FAPRESTO e DORA SQUARCIALENZUOLA)

 

OSTESSA: No, briccone matricolato; volesse Iddio che io morissi per poterti fare impiccare: mi hai slogato una spalla.

PRIMO BIRRO: I caporali me l'hanno consegnata ed essa sarà frustata pel dì delle feste, glielo garantisco. E' stato ucciso un uomo o due di recente in casa sua.

DORA: Aguzzino, aguzzino, mentite! Vieni via, te lo dirò io che cosa, dannato briccone dal viso di trippa. Se il bambino che porto nasce male sarebbe meglio tu avessi battuto tua madre, birbante dal viso di cartapecora.

OSTESSA: O signore, se sir Giovanni fosse venuto! avrebbe fatto di questa una giornata di sangue per qualcuno. Ma prego Iddio che il frutto delle sue viscere nasca prima del tempo!

PRIMO BIRRO: In questo caso voi avrete di nuovo una dozzina di cuscini; ora ne avete soltanto undici. Andiamo, vi ordino di venire tutte e due con me poiché l'uomo che voi e Pistola avete bastonato è morto.

DORA: Ve lo dirò io, omiciattolo stampato in rilievo su di un incensiere; vi farò frustare sonoramente per questo, briccone in veste turchina. Sozzo boia morto di fame! Se non sarai frustato non porterò più sottane!

PRIMO BIRRO: Venite, venite, cavaliera errante, venite.

OSTESSA: O Dio, che il diritto debba così sopraffare la forza! Bene, dalla sofferenza viene il benessere.

DORA: Venite, birbone, venite, portatemi da un giudice.

OSTESSA: Sì, venite, segugio affamato!

DORA: Compare morte secca! compare stinco di morto!

OSTESSA: Scheretro che sei!

DORA: Vieni, tisichello, vieni, briccone.

PRIMO BIRRO: Bene, bene.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA QUINTA - Una piazza vicino all'Abbazia di Westminster

(Entrano tre Valletti che stendono delle stuoie)

 

PRIMO VALLETTO: Altre stuoie, altre stuoie!

SECONDO VALLETTO: Le trombe hanno sonato due volte TERZO VALLETTO: Saranno le due, prima che tornino dalla incoronazione.

PRIMO VALLETTO: Su presto, presto!

 

(Escono i Valletti)

(Entrano FALSTAFF, SOMMARIO, PISTOLA BARDOLFO e il Paggio)

 

FALSTAFF: State qui accanto a me, mastro Roberto Sommario; voglio che il re vi prenda in favore. Gli farò cenno con l'occhio quando passa, e notate soltanto la faccia che mi farà.

PISTOLA: Dio benedica i tuoi polmoni, buon cavaliere.

FALSTAFF: Vieni qua, Pistola: sta' dietro a me. (A Sommario) Oh, se avessi avuto tempo di farmi fare delle livree nuove, avrei speso le mille sterline che ho preso in prestito da voi. Ma non importa, questo povero equipaggio starà meglio; mostra lo zelo che avevo di vederlo.

SOMMARIO: Proprio così.

FALSTAFF: Mostra la serietà del mio affetto...

SOMMARIO: Proprio così.

FALSTAFF: La mia devozione...

SOMMARIO: Proprio così, proprio così, proprio così.

FALSTAFF: Apparirà che ho cavalcato giorno e notte senza riflettere, senza ricordar nulla, senza neanche aver agio di cambiarmi...

SOMMARIO: E' più che sicuro.

FALSTAFF: Per trovarmi qui tutto sudicio del viaggio, tutto sudato per il desiderio di vederlo, senza pensare ad altro, dimenticando ogni altro affare, come se non vi fosse altra cosa al mondo da fare che veder lui.

PISTOLA: E' "semper idem", ché "obsque hoc nihil est": è tutto in ogni parte.

SOMMARIO: Proprio così davvero.

PISTOLA: Mio cavaliere, infiammerò il tuo nobile fegato e ti farò montar sulle furie; la tua Dora, l'Elena dei tuoi nobili pensieri, è in vile prigionia, in un contagioso carcere, trascinata là da mano mercenaria e sozza. Sveglia la vendetta dalla negra spelonca col serpente della crudele Aletto, poiché Dora è rinchiusa. Pistola non dice che la verità.

FALSTAFF: La libererò.

 

(Grida e suono di trombe, di dentro)

 

PISTOLA: Ecco che rugge il mare ed echeggia il clangor delle trombe.

 

(Entra RE ENRICO QUINTO e il suo Seguito)

 

FALSTAFF: Dio protegga Tua Grazia, re Righetto, mio regale Righetto.

PISTOLA: Che i cieli ti proteggano e ti preservino, regale rampollo della fama!

FALSTAFF: Dio ti protegga, mio dolce fanciullo!

RE: Lord Giudice Supremo, parlate a quell'uomo vanitoso.

GIUDICE SUPREMO: Avete il cervello a posto? sapete a chi parlate?

FALSTAFF: Mio re! mio Giove! parlo a te, cuor mio!

RE: Non ti conosco, vecchio; di' le tue preghiere! come mal si addicono i capelli bianchi a uno sciocco e buffone! Ho a lungo sognato di un simile uomo, così gonfio di grasso, così vecchio e così sboccato, ma ora che sono desto, disprezzo il mio sogno. D'ora in poi tratta meno bene il tuo corpo e meglio la tua virtù, rinuncia alla ghiottoneria, sappi che la fossa si spalanca per te tre volte più grande che per gli altri uomini. Non mi rispondere con uno scherzo da scemo: non presumere che io sia quello che ero, perché sa Iddio e se ne accorgerà il mondo, che mi sono tolto di dosso quello che ero prima e così farò di quelli che mi tenevano compagnia. Quando tu sentirai dire che sono ancora quello che ero, vieni da me e sarai di nuovo quello che fosti: il precettore e l'alimentatore dei miei disordini.

Fino allora io ti bandisco, sotto pena di morte, a dieci miglia di distanza dalla nostra persona, così come ho fatto per gli altri miei traviatori. Vi accorderemo i mezzi per vivere affinché la mancanza di mezzi non vi spinga al mal fare, e quando sentiremo che vi siete emendati, noi vi daremo promozione secondo la vostra capacità e il vostro merito. Sia vostro compito, mio signore, di fare eseguire il tenore delle nostre parole. Andiamo.

 

(Esce il Re e il suo Seguito)

 

FALSTAFF: Mastro Sommario, vi debbo mille sterline.

SOMMARIO: Sì, perbacco, sir Giovanni, e vi prego di farmele portare a casa con me.

FALSTAFF: Sarà assai difficile, mastro Sommario. Non vi affliggete per questo, mi manderà a chiamare perché vada da lui in privato. Vedete, egli deve apparire così davanti al mondo; non temete per la vostra promozione; io sarò sempre l'uomo che vi farà grande.

SOMMARIO: Non so concepire come, a meno che non mi diate il vostro farsetto e mi imbottiate di paglia. Vi prego, buon sir Giovanni, fatemi avere cinquecento delle mie mille sterline.

FALSTAFF: Signore, terrò la mia parola. Ciò che avete udito non era che un colore.

SOMMARIO: Un colore, sir Giovanni, nel quale ho paura che sarete intinto ed estinto.

FALSTAFF: Non abbiate paura dei colori; venite con me a pranzo.

Andiamo, luogotenente Pistola, venite, Bardolfo, mi manderanno a chiamare presto stasera.

 

(Rientra GIOVANNI DI LANCASTER, il Lord GIUDICE SUPREMO, Ufficiali, eccetera)

 

GIUDICE SUPREMO: Andate, conducete sir Giovanni Falstaff alla prigione della Flotta e con lui tutta la sua compagnia.

FALSTAFF: Mio signore! mio signore!...

GIUDICE SUPREMO: Non posso parlarvi adesso: vi ascolterò tra poco.

Conduceteli via.

PISTOLA: "Se fortuna mi tormenta, la speranza mi contenta".

 

(Escono Falstaff, Sommario, Pistola, Bardolfo, il Paggio e Ufficiali)

 

LANCASTER: Mi è piaciuto molto questo onesto procedimento del re: egli intende che i suoi compagni abituali siano molto ben provvisti di denaro, ma son tutti banditi finché non abbian dato alla loro condotta più saggezza e moderazione.

GIUDICE SUPREMO: Così è.

LANCASTER: Il re ha convocato il suo parlamento, mio signore.

GIUDICE SUPREMO: Lo ha convocato.

LANCASTER: Scommetterei che prima che finisca l'anno noi porteremo le spade delle nostre guerre civili e il nostro fuoco nativo fino in Francia. Udii un uccello che cantava così e la sua musica, mi parve, piacque al re. Andiamo, volete venire?

 

(Escono)

 

 

 

EPILOGO - Detto da un Ballerino

 

Prima il mio timore, poi il mio inchino e infine il mio discorso. Il mio timore è di dispiacervi il mio inchino è mio dovere, e il mio discorso è per chiedere il vostro perdono. Se vi aspettate ora un buon discorso, voi mi rovinate, perché quello che ho da dire è di mia propria fattura, e quello che in verità vi dirò sarà tutto, ne dubito, a mio danno. Ma veniamo al fatto e affrontiamo il rischio. Sia a vostra conoscenza, e lo e benissimo, che io fui qui di recente alla fine di un dramma spiacevole per pregarvi di aver pazienza per questo e promettervene uno migliore. Avevo davvero intenzione di pagarvi con questo, ma se, come una cattiva speculazione, fa fiasco, io fallisco e voi, miei gentili creditori, perdete. Vi avevo promesso che sarei venuto qui e qui affido la mia persona alla vostra clemenza: fate un qualche ribasso e vi pagherò parte del debito e, come tanti debitori, vi farò promesse all'infinito.

Se la mia lingua non può decidervi a perdonarmi, volete comandarmi di far uso delle mie gambe? eppure sarebbe pagarvi con leggerezza, sottrarmi al debito danzando. Ma una buona coscienza vuol dare ogni soddisfazione possibile, e così vuo' far io. Tutte le signore qui mi hanno perdonato; se i signori non mi perdoneranno, allora i signori non vanno d'accordo con le signore, il che non fu mai veduto prima in una simile assemblea.

Un'altra parola, vi scongiuro. Se non siete ancora troppo sazi di carne grassa, il nostro umile autore continuerà la storia con sir Giovanni e vi divertirà con la bella Caterina di Francia; e in questa storia Falstaff morrà per una sudata, a meno che non sia già stato ucciso dalla vostra cattiva opinione, perché Oldcastle morì martire, ma questo non è lo stesso uomo.

La mia lingua è stanca; quando anche le mie gambe lo saranno, vi darò la buona notte e così m'inginocchio davanti a voi, ma, veramente, per pregare per la regina.