William Shakespeare

 

ENRICO SESTO

(Parte Seconda)

 

 

PERSONAGGI

RE ENRICO SESTO

HUMPHREY, duca di Gloucester, suo zio

IL CARDINALE BEAUFORT, vescovo di Winchester, prozio del Re

RICCARDO PLANTAGENETO, duca di York

RICCARDO, EDOARDO: suoi figli

IL DUCA DI SOMERSET

IL DUCA DI SUFFOLK

IL DUCA DI BUCKINGHAM

LORD CLIFFORD

IL GIVANE CLIFFORD, suo figlio

IL CONTE DI SALISBURY

IL CONTE DI WARWICK

LORD SCALES, governatore della Torre

LORD SAY

SIR HUMPHREY STAFFORD

SIR GUGLIELMO STAFFORD, suo fratello

SIR GIOVANNI STANLEY

VAUX

MATTEO GOFFE

GUALTIERO WHITEMORE

Un Comandante

Un Capitano

Un Secondo

Due Gentiluomini prigionieri con Suffolk

GIOVANNI HUME e GIOVANNI SOUTHWELL, preti

BOLINGBROKE, un indovino

TOMMASO HORNER, armaiuolo

PIETRO, suo operaio

Il Segretario di Chatham

Il Sindaco di Sant'Albano

SIMPCOX, un impostore

GIANNI CADE, ribelle

GIORGIO BEVIS

GIOVANNI HOLLAND

DICK il macellaio

SMITH il tessitore

MICHELE eccetera, seguaci di Cade

ALESSANDRO IDEN, gentiluomo del Kent

Due Assassini

MARGHERITA, consorte di re Enrico

ELEONORA, duchessa di Gloucester

GHITA JOURDAIN, strega

La Moglie di Simpcox

Signori, Dame e Persone del seguito

un Araldo

Postulanti

Anziani

un Bidello

uno Sceriffo e Ufficiali

Cittadini

Apprendisti

Falconieri

Guardie

Soldati

Messi

Uno spirito

 

 

 

Scena: in diversi luoghi dell'Inghilterra

  

 

 

ATTO PRIMO

 

SCENA PRIMA - Londra. Il Palazzo

(Squillo di trombe, poi suono di oboe. Entrano da una parte il RE ENRICO, il DUCA DI GLOUCESTER, SALISBURY, WARWICK e il CARDINALE BEAUFORT; dall'altra la REGINA MARGHERITA condotta da SUFFOLK, YORK, SOMERSET e BUCKINGHAM)

 

SUFFOLK: Avendo ricevuto incarico alla mia partenza per la Francia di sposare come procuratore di Vostra Maestà imperiale la principessa Margherita, ho eseguito il mio compito e contratto gli sponsali nell'antica e famosa città di Tours alla presenza dei re di Francia e di Sicilia, dei duchi di Orléans, Calabria, Bretagna e Alençon, di sette conti, dodici baroni e venti reverendi vescovi: e ora al cospetto dell'Inghilterra e dei suoi nobili pari, piegando il ginocchio, rassegno umilmente i miei diritti sulla regina nelle vostre graziose mani che sono la sostanza di quella maestà che io adombravo.

Questa principessa è il dono più prezioso che mai sovrano ricevesse.

ENRICO: Alzati, Suffolk. Benvenuta, regina Margherita: non posso darti segno più affettuoso d'amore che questo affettuoso bacio. O Dio, che mi dai la vita, concedimi anche un cuore pieno di gratitudine, poiché in questo bel viso hai donato infinite benedizioni terrene alla mia anima, se l'armonia dell'amore terrà uniti i nostri cuori.

MARGHERITA: Gran re d'Inghilterra e mio grazioso signore, i colloqui che di giorno e di notte, nella veglia e nei sogni, in nobile compagnia o nel corso delle preghiere, ho avuto in immaginazione con voi, o dilettissimo sovrano, mi incoraggiano a salutare il mio re con le semplici parole che l'intelligenza mi consente e la grande gioia del cuore mi suggerisce.

ENRICO: Il suo aspetto mi aveva rapito, ma la grazia delle parole rivestite della maestà della saggezza, mi fa passare dallo stupore a lacrime di gioia; tale è la pienezza della mia intima felicità.

Signori, con voce lieta ed unanime salutate la mia sposa.

TUTTI (inginocchiandosi): Viva la regina Margherita, gioia dell'Inghilterra!

 

(Suono di trombe)

 

MARGHERITA: Ringrazio voi tutti.

SUFFOLK: Lord Protettore, se così piace a Vostra Grazia, questi sono gli articoli della pace conclusa per mutuo consenso fra il nostro sovrano e Carlo re di Francia per la durata di diciotto mesi.

GLOUCESTER (legge): "In primis, si conviene tra il re di Francia Carlo e Guglielmo de la Pole marchese di Suffolk, ambasciatore di re Enrico d'Inghilterra, che il detto Enrico sposerà madama Margherita figlia di Renato, re di Napoli, di Sicilia e di Gerusalemme e la coronerà regina d'Inghilterra prima del trenta maggio prossimo. Parimenti che il ducato di Angiò e la contea del Maine saranno sgomberati e consegnati al re suo padre...".

 

(Lascia cadere il foglio)

 

ENRICO: Zio, che cos'è questo?

GLOUCESTER: Perdonatemi, mio grazioso signore: un improvviso malore mi ha colpito al cuore e mi ha velato gli occhi: non posso continuare la lettura.

ENRICO: Zio Winchester, vi prego, continuate voi.

CARDINALE (legge): "Parimenti si conviene inoltre tra loro che i ducati d'Angiò e del Maine siano sgombrati e consegnati al re suo padre e che ella sia mandata in Inghilterra a costo e spese del re Enrico e senza dote alcuna".

ENRICO: Approviamo queste condizioni. Monsignor marchese, inginocchiatevi. Io ti creo primo duca di Suffolk e ti cingo con questa spada. Cugino di York, esoneriamo Vostra Grazia dall'ufficio di Reggente in terra di Francia per la durata di diciotto mesi. Grazie, zio Winchester, Gloucester, York, Buckingham, Somerset, Salisbury e Warwick; vi ringrazio tutti per il grande favore che mi avete fatto ricevendo in questo modo la principessa mia sposa. Suvvia, entriamo e diamo le disposizioni necessarie perché la sua incoronazione si celebri nel più breve tempo possibile.

 

(Escono il Re, la Regina e Suffolk)

 

GLOUCESTER: Nobili pari d'Inghilterra, colonne dello Stato, con voi il duca Humphrey deve sfogare il suo cordoglio, che è anche vostro e comune a tutto il paese. Come! non ha mio fratello Enrico spesa la sua giovinezza, dato prove di valore, prodigato denaro e sangue del popolo inglese nelle guerre? non ha spesso dormito all'addiaccio nel freddo invernale e nel calore cocente dell'estate per conquistare la Francia, suo legittimo retaggio? Non ha mio fratello Bedford rivolto l'intelligenza a mantenere con accorta politica quello che Enrico aveva conquistato? non avete voi stessi, Somerset, Buckingham, il valoroso York, Salisbury e il vittorioso Warwick, ricevuto profonde ferite in Francia e in Normandia? Mio zio Beaufort e io stesso con tutto il dotto Consiglio del regno non abbiamo meditato a lungo, non ci siamo intrattenuti nella sala delle adunanze a dibattere a tutte le ore del giorno e della notte e in tutti i modi come tenere in soggezione il re di Francia e i Francesi? E Sua Maestà non è stata coronata nell'infanzia a Parigi a dispetto dei nemici? ed ora tutte queste fatiche e questi onori debbono andare distrutti, e distrutte le conquiste di Enrico, la vigilanza politica dl Bedford, le vostre gesta di guerra e le deliberazioni del Consiglio? O pari d'Inghilterra!

vergognosa è questa lega e fatale questo matrimonio che oscurano la vostra fama, cancellano i vostri nomi dal libro della memoria, radono i segni della vostra rinomanza, sopprimono i ricordi delle conquiste francesi, disfacendo tutto come se mai fosse stato.

CARDINALE: Nipote, che significa questo discorso appassionato, questa perorazione così particolareggiata? La Francia è nostra e continueremo a tenercela.

GLOUCESTER: Sì, zio, la terremo se potremo: ma ora è impossibile farlo. Suffolk, il nuovo duca che comanda a bacchetta, ha dato i ducati dell'Angiò e del Maine al povero re Renato il cui grosso titolo mal s'accorda con la borsa striminzita.

SALISBURY: Ora per la morte di Colui che diede la vita per tutti, queste contee erano le chiavi della Normandia; ma perché piange Warwick, il mio prode figlio?

WARWICK: Per il dolore che non si possono più riconquistare; perché se vi fosse speranza di riconquistarle, i miei occhi non spargerebbero lacrime e la mia spada invece farebbe versare caldo sangue. L'Angiò e il Maine! Io li ho conquistati; queste province le hanno conquistate le mie braccia e le città che ho prese a prezzo di ferite si restituiscono con pacifiche parole? Mort Dieu!

YORK: Quanto al duca di Suffolk che ha offuscato l'onore di questa isola bellicosa, possa morire soffocato! il re di Francia m'avrebbe dovuto strappare il cuore prima che avessi acconsentito a un simile trattato. Ho sempre letto che i re d'Inghilterra ricevettero con le loro mogli grandi somme di denaro e doti! e il nostro Enrico regala il suo per unirsi a una donna che non gli reca nessun profitto.

GLOUCESTER: Bello scherzo e mai sentito prima che Suffolk dovesse chiedere un intero quindicesimo per il costo e le spese incontrate a condurla qui! Essa avrebbe dovuto rimanere in Francia a morirvi di fame prima che...

CARDINALE: Lord Gloucester, ora vi scaldate troppo: tale è stato il piacere di monsignore il re.

GLOUCESTER: Lord Winchester, conosco il vostro pensiero: non sono i miei discorsi che vi dispiacciono, ma è la mia presenza che vi disturba. Il rancore ha da venir fuori: superbo prelato, ti leggo la furia in faccia. Se rimanessi qui, ricominceremmo i nostri antichi battibecchi. Signori, addio; quando sarò morto direte che avevo presagito la perdita della Francia a breve scadenza.

 

(Esce)

 

CARDINALE: E così il nostro Protettore se ne va infuriato. Voi sapete che è mio nemico, anzi, di più, nemico di voi tutti, e, temo, non grande amico del re. Considerate, signori, che egli è il più prossimo parente ed erede presuntivo della corona inglese: se Enrico col suo matrimonio avesse acquistato un impero e tutti i più ricchi reami dell'occidente, c'è ragione di credere che il Protettore non ne sarebbe soddisfatto. Badate bene, signori, non lasciatevi affascinare il cuore dalle sue blande parole; siate prudenti e state in guardia.

Che importa se è il beniamino del popolo che lo chiama "Humphrey, il buon duca di Gloucester" e lo applaude e grida a gran voce "Gesù conservi la Vostra Reale Eccellenza" e "Dio protegga il buon duca Humphrey"? Temo, signori, che sotto questa lusinghiera apparenza scopriamo un ben pericoloso Protettore.

BUCKINGHAM: E perché dovrebbe proteggere il nostro sovrano, quando questi è in età di governarsi da sé? Cugino Somerset, unitevi a me e tutti insieme, col duca di Suffolk, sbalzeremo presto il duca Humphrey dal suo seggio.

CARDINALE: Questa importante faccenda non consente indugi, andrò subito dal duca di Suffolk.

 

(Esce)

 

SOMERSET: Cugino Buckingham, sebbene l'orgoglio di Humphrey e la grandezza del suo ufficio ci siano causa di dolore, sorvegliamo l'altero cardinale: la sua insolenza è più intollerabile che quella di tutti i principi del paese messi insieme: se Gloucester viene rimosso, diventerà Protettore lui.

BUCKINGHAM: O tu o io, Somerset, saremo il Protettore a dispetto del duca Humphrey o del cardinale.

 

(Escono Buckingham e Somerset)

 

SALISBURY: L'orgoglio era già andato innanzi e l'ambizione lo segue.

Mentre costoro lavorano a loro vantaggio, sta bene che noi lavoriamo nell'interesse del regno. Ho sempre visto Humphrey, il nobile duca di Gloucester, comportarsi da gentiluomo; mentre invece ho veduto spesso l'orgoglioso cardinale contenersi più da soldato che da uomo di Chiesa, ostinato ed altezzoso come se fosse padrone di tutto, e bestemmiare come un furfante qualunque e condursi ben diversamente da quello che si addice al reggitore d'uno Stato. Warwick, figlio mio e conforto della mia vecchiaia, coi tuoi atti, con la semplicità e con l'ospitalità ti sei acquistato tanto favore popolare che solo il duca Humphrey ti supera in questo: e quanto a te, fratello York, l'azione con cui hai ristabilito l'ordine in Irlanda e le tue gesta recenti nel cuore della Francia, quando eri Reggente pel nostro sovrano, ti hanno reso temuto e onorato presso il popolo. Uniamo dunque le nostre forze per il pubblico bene, cercando, per quanto è possibile di imbrigliare e reprimere la superbia di Suffolk e del cardinale e l'ambizione di Somerset e di Buckingham e, al tempo stesso, di favorire gli atti del duca Humphrey in quanto tendono all'utile del paese.

WARWICK: Così Dio aiuti Warwick, come è vero che ama questa terra e desidera il bene della patria!

YORK (a parte): E così dice York, che più di ogni altro ha ragione di dirlo.

SALISBURY: Dunque affrettiamoci e attenti alla mano.

WARWICK: Alla mano! Oh! padre, il Maine è perduto, quel Maine che Warwick conquistò con la forza delle armi e che avrebbe conservato finché gli fosse durata la vita: mano favorevole, volete dire, ma io voglio dire il Maine che ritoglierò alla Francia o altrimenti mi lascerò uccidere.

 

(Escono Warwick e Salisbury)

 

YORK: L'Angiò e il Maine sono ceduti alla Francia, Parigi è perduta, e, andati questi, la Normandia sta in bilico. Suffolk ha negoziato il trattato, i pari l'hanno approvato ed Enrico è stato ben felice di barattare due ducati con la bella figlia di un duca. E non so biasimarli: cos'importa ad essi? quello che regalano è mio, non loro.

I pirati possono vendere a buon mercato la preda e col ricavato farsi degli amici e regalare alle cortigiane, e spassarsela da gran signori sinché tutto sia svanito, mentre il meschino proprietario di quei beni piange, si torce le misere mani, scuote il capo e, mentre gli altri dividono il bottino e si portano via tutto, trema in disparte e si lascia morir di fame non osando neanche toccare il suo: così York deve stare con le mani alla cintola e mordersi le labbra, mentre le sue terre sono contrattate e vendute. E' come se i regni d'Inghilterra, di Francia e d'Irlanda fossero per la mia carne e per le mie ossa quello che per il cuore del principe di Calidone era il tizzo fatale che Altea bruciò. L'Angiò e il Maine ceduto ai Francesi! brutte notizie per me, poiché contavo sulla Francia come conto sul fertile suolo dell'Inghilterra. Verrà giorno che York reclamerà il suo, e perciò prenderò le parti dei Nevil, farò mostra di amare l'orgoglioso duca Humphrey, e quando vedrò giunto il momento, reclamerò la corona poiché quella è l'aurea mèta a cui miro. Il superbo Lancaster non usurperà il mio diritto, né continuerà a tenere lo scettro nel pugno fanciullesco né a portare la corona sul capo, poiché con questa mal s'accorda la sua bigotteria. Dunque, York, non muoverti se non quando sia venuta la tua ora: osserva e veglia quando gli altri dormono, per ficcar l'occhio nei segreti dello Stato, finché Enrico, sazio delle gioie amorose, non sarà in discordia con la sua sposa e regina comprata a ben caro prezzo, e Humphrey non si sarà messo in lotta coi pari; allora leverò in alto la candida rosa dal cui dolce odore l'aria sarà profumata, nella mia bandiera porterò lo stemma di York a contendere con la casa di Lancaster, e costringerò a cedermi la corona colui che col suo governo di pedante ha umiliato l'Inghilterra.

 

(Esce)

 

 

 

SCENA SECONDA - La casa del Duca di Gloucester

(Entrano GLOUCESTER e sua Moglie)

 

DUCHESSA: Perché piega il capo il mio signore come grano maturo che china la spiga sotto il rigoglioso carico di Cerere? perché il grande duca Humphrey aggrotta la fronte come se si accigliasse ai favori del mondo? Perché sono i tuoi occhi fissi sulla cupa terra, guardando quello che sembra velare la tua vista? che vedi colà? La corona di Enrico adorna di tutti gli onori del mondo? Se è cosi, continua a guardare e tieni prono il viso sino a quando essa non ti cingerà il capo. Stendi il braccio e afferra quel cerchio glorioso d'oro. Che! è troppo corto? l'allungherò col mio; e sollevando insieme la corona alzeremo entrambi le teste al cielo né mai abbasseremo i nostri occhi a degnare di un solo sguardo il terreno.

GLOUCESTER: O Nora, cara Nora, se ami il tuo signore bandisci il verme roditore degli ambiziosi pensieri: se macchinerò qualunque cosa contro il re mio nipote, il virtuoso Enrico, possa un tale pensiero segnare il mio ultimo respiro in questo mondo mortale. Quello che mi turba è un cattivo sogno che ho fatto questa notte.

DUCHESSA: Che ha sognato il mio signore? dimmelo e ti ricambierò col dolce racconto del sogno che ho fatto verso mattina.

GLOUCESTER: Mi sembrava che questo bastone, insegna del mio ufficio in corte, fosse stato spezzato in due, da chi non ricordo, ma credo dal cardinale; e sui pezzi del bastone rotto erano collocate le teste di Edmondo, duca di Somerset, e di Guglielmo de la Pole, primo duca di Suffolk. Questo è il mio sogno. Dio sa che cosa voglia presagire.

DUCHESSA: Che, che! questo voleva dire soltanto che chi romperà un solo ramo del bosco di Gloucester perderà la testa per la sua audacia.

Ma ora ascoltami, Humphrey, mio amato duca: mi sembrava di sedere sul trono nella cattedrale di Westminster, su quel trono dove sono incoronati i re e le regine, e lì mi si inginocchiavano davanti Enrico e Margherita e mi ponevano sul capo la corona.

GLOUCESTER: Via, Eleonora, allora debbo proprio rimproverarti:

presuntuosa e perversa Eleonora! Non occupi fra le donne il secondo posto nel regno e non sei la moglie del Protettore e amata da lui? Non hai a portata di mano tutti i piaceri mondani oltre quanto può giungere il tuo pensiero? e vuoi ancora macchinar tradimenti per precipitare tuo manto e te stessa dalla sommità dell'onore nell'abisso dell'infamia? Via da me e che io non abbia più a sentire cose simili.

DUCHESSA: Che mai, mio signore! siete in collera così con Eleonora perché vi ha raccontato quel che è soltanto un sogno? un'altra volta terrò per me i miei sogni e non sarò rimproverata.

GLOUCESTER: Via, non esser in collera; vedi che mi sono rabbonito di nuovo.

 

(Entra un Messo)

 

MESSO: Lord Protettore, è volere di Sua Maestà che vi prepariate a cavalcare sino a Sant'Albano dove i sovrani intendono di cacciare col falcone.

GLOUCESTER: Vengo subito. Nora, vuoi venire anche tu?

DUCHESSA: Sì, mio signore, vi seguirò tosto. (Escono Gloucester e il Messo) Debbo proprio seguire e non precedere sinché Gloucester è di animo così umile e vile. Se fossi uomo e duca e il più prossimo parente, toglierei di mezzo questi noiosi inciampi e mi spianerei la strada sui loro corpi decapitati. Ma pur essendo donna, non sarò fiacca nel far la mia parte nel dramma della fortuna. Olà, voi! Ser Giovanni! non aver paura, siamo soli: qui non ci siamo che tu e io.

 

(Entra HUME)

 

HUME: Gesù protegga la Vostra Reale Maestà!

DUCHESSA: Che dici mai? Maestà! io non sono che Vostra Grazia!

HUME: Ma per grazia di Dio e col consiglio di Hume il titolo di Vostra Grazia s'ingrandirà assai.

DUCHESSA: Che dici, il mio uomo? Hai parlato con Ghita Jourdain, l'astuta strega, e con Ruggero Bolingbroke, il mago, e s'impegnano ad aiutarmi?

HUME: Hanno promesso di mostrare a Vostra Altezza uno spirito evocato dalle profondità infernali, che risponderà alle domande che gli farà Vostra Grazia.

DUCHESSA: Basta così: alle domande penserò poi. Quando ritorneremo da Sant'Albano faremo tutte queste cose a puntino. Qui, Hume, prenditi questa ricompensa; goditela coi compagni che ti aiutano in questa importante faccenda.

 

(Esce)

 

HUME: E Hume deve godersela col denaro della duchessa? certo che lo farà. Ma suvvia, ser Giovanni Hume, suggella le tue labbra e "zitto" sia la parola d'ordine. Questo affare richiede silenzio e segretezza.

Madama Eleonora dà denaro perché venga la strega: l'oro non potrebbe fallire, anche se si dovesse far venire il diavolo. Ma poi c'è dell'oro che viene anche da altra parte: meglio non confessare che viene dal ricco cardinale e dal grande e nuovo duca di Suffolk; eppure è proprio così, poiché a dirla chiaramente, conoscendo l'ambizione della duchessa, essi mi pagano perché le scavi il terreno sotto i piedi e le faccia ronzare questi incantesimi nel cervello. Si dice che "a furfante astuto non occorre mediatore", tuttavia io sono il mediatore di Suffolk e del cardinale. Stai attento, Hume: quasi li chiamavi entrambi una coppia di astuti furfanti. Be', è proprio così, e così temo che la furfanteria di Hume finirà con l'essere la rovina della duchessa e che questa, cadendo in disgrazia, trascinerà Humphrey con sé. Ma, comunque vada a finire, avrò oro da tutti .

 

(Esce)

 

 

 

SCENA TERZA - Il Palazzo

(Entrano tre o quattro Postulanti fra cui PIETRO, l'uomo dell'armaiuolo)

 

PRIMO POSTULANTE: Messeri, stiamo vicini: il lord Protettore passerà di qui tra poco e potremo presentargli le nostre suppliche tutti.

SECONDO POSTULANTE: Dio lo protegga perché è un brav'uomo; Gesù lo benedica!

 

(Entrano SUFFOLK e la REGINA MARGHERITA)

 

PIETRO: Eccolo qui che viene, credo, e la regina è con lui. Voglio essere il primo, sicuramente.

SECONDO POSTULANTE: Indietro, imbecille! questo non è il Protettore, è il duca di Suffolk.

SUFFOLK: Che hai, il mio uomo? vuoi qualche cosa da me?

PRIMO POSTULANTE: Vi prego, mio signore, scusatemi: vi avevo preso per il lord Protettore.

MARGHERITA (legge): "Al lord Protettore!", le vostre suppliche sono per Sua Signoria? Lasciatemele vedere: cosa dice la tua?

PRIMO POSTULANTE: La mia, se piace a Vostra Maestà, è contro Giovanni Goodman, l'uomo del cardinale, che mi ha preso la casa, le terre, la moglie, e se le tiene.

SUFFOLK: Anche la moglie! questo è un grosso torto davvero. E la tua, di che tratta? Ma che c'è qui? (Legge) "Contro il duca di Suffolk che ha cintato a suo favore i terreni pubblici di Melford". Come mai, furfante?

SECONDO POSTULANTE: Ahimè! signore; la mia non è che una petizione a nome di tutta la città.

PIETRO: Contro il mio padrone, Tommaso Horner, che ha detto che il duca di York è legittimo erede della corona.

MARGHERITA: Che dici? che il duca di York afferma che è il legittimo erede della corona?

PIETRO: Che il mio padrone lo era? no davvero: il mio padrone ha detto che egli, il duca, lo era e che il re era un usurpatore.

SUFFOLK: Chi è là? (Entrano alcuni Servi) Conducete via questo individuo e mandate subito un birro a chiamare il suo padrone. Ne riparleremo alla presenza del re.

 

(Escono i Servi con Pietro)

 

MARGHERITA: E quanto a voi che amate cercar protezione sotto le ali di Sua Grazia il Protettore, rifate le vostre suppliche e presentatele a lui. (Lacera la petizione) Via, canaglia! Suffolk, lasciateli andare.

TUTTI: Suvvia, andiamocene.

 

(Escono i Postulanti)

 

MARGHERITA: Monsignore di Suffolk, sono questi i modi e i costumi della corte d'Inghilterra? è questo il governo delle Isole Britanniche, è questa la regalità del re d'Albione? Che! Re Enrico deve essere ancora come uno scolaretto sotto l'autorità dell'arcigno duca di Gloucester? e io che ho titolo e stile di regina, debbo essere trattata come la suddita di un duca? Te lo dico francamente, De la Pole, quando nella città di Tours prendesti parte alla giostra in onore delle mie nozze e rubasti i cuori delle dame di Francia, credevo che re Enrico ti assomigliasse per coraggio, cortesia e prestanza: ma tutta la sua mente è volta alla santità, a contare le avemarie sul rosario; i suoi campioni sono i profeti e gli apostoli; le sue armi i santi motti della Sacra Scrittura, il suo studio è la sua lizza e tutto quel che ama sono le statue di bronzo dei santi canonizzati.

Vorrei che il collegio dei cardinali lo eleggesse papa, se lo portasse a Roma e gli mettesse in testa la tiara: questa è la dignità che ci vorrebbe per la sua santocchieria SUFFOLK: Madama, abbiate pazienza; come fui strumento della venuta di Vostra Altezza in Inghilterra, così mi adoprerò qui per la vostra piena felicità.

MARGHERITA: Oltre all'altero Protettore ci sono Beaufort, il prete autoritario, Somerset, Buckingnam e l'imbronciato York; e colui che fra costoro è da meno è sempre in Inghilterra più potente del re.

SUFFOLK: E quello che è da più non può fare in Inghilterra più dei Nevil: Salisbury e Warwick non sono dei pari come tutti gli altri.

MARGHERITA: Nessuno di questi signori mi irrita tanto come quella dama orgogliosa, la moglie del Protettore: gira tronfia per il palazzo con gran seguito di gentildonne e pare più un'imperatrice che la moglie del duca Humphrey. Chi è nuovo a corte la scambia per la regina: porta indosso il reddito di un ducato e in cuor suo sprezza la mia povertà.

Non camperò tanto da vendicarmi di lei? Da quella spregevole e plebea donnaccia che è, l'altro giorno s'è vantata fra le sue favorite che lo strascico della peggiore delle sue gonne da strapazzo valeva più di tutte le terre di mio padre, finché Suffolk non gli diede due ducati in cambio di sua figlia.

SUFFOLK: Madama, io stesso ho invischiato un cespuglio a suo danno e posto a zimbello un covo di tali uccelli che la duchessa vi calerà sopra per udirne i canti e non risalirà più a disturbarvi. Sicché, lei è servita; e, madama, ascoltatemi, perché mi prenderò la libertà di consigliarvi. Sebbene il cardinale non ci vada molto a genio, dobbiamo unirci a lui e agli altri signori sino a che non ci sia riuscito di far cadere in disgrazia il duca Humphrey. Quanto al duca di York, la petizione che abbiamo udita testé, non è certo a suo vantaggio: così a uno a uno, li estirperemo tutti e voi da sola prenderete felicemente il timone dello Stato.

 

(Suona una fanfara. Entrano il RE ENRICO, il DUCA DI GLOUCESTER, il CARDINALE BEAUFORT, BUCKINGHAM, YORK, SOMERSET, SALISBURY, WARWICK e la DUCHESSA DI GLOUCESTER)

 

ENRICO: Per parte mia, nobili signori, non m'importa: Somerset o York per me è tutt'uno.

YORK: Se York si è comportato male in Francia gli si tolga la reggenza.

SOMERSET: Se Somerset è indegno dell'ufficio, sia pure York il Reggente: cederò di fronte a lui.

WARWICK: Non è neanche il caso di discutere se Vostra Grazia sia degno o no: certo York è il più degno.

CARDINALE: Ambizioso Warwick, lascia parlare chi è da più di te.

WARWICK: Il cardinale non è da più di me in campo.

BUCKINGHAM: Tutti i presenti sono da più di te, Warwick.

WARWICK: Warwick può vivere tanto da superarvi tutti.

SALISBURY: Zitto, figlio mio! e tu, Buckingham, di' perché dovrebbe essere preferito Somerset per questo ufficio.

MARGHERITA: Davvero? perché il re lo vuole.

GLOUCESTER: Madama, il re è abbastanza vecchio per giudicare da sé:

queste non sono faccende di donne.

MARGHERITA: Se è così, che bisogno c'è che Vostra Grazia faccia da Protettore a Sua Maestà?

GLOUCESTER: Madama, sono Protettore del regno ma, quando vorrà,, rassegnerò il mio ufficio.

SUFFOLK: E allora rassegnalo e finiscila con questa insolenza. Da quando sei re - poiché chi è re se non tu solo? - lo Stato è andato in rovina ogni giorno di più, il Delfino è stato vittorioso oltremare, e i nobili e i pari del regno sono stati schiavi del tuo potere sovrano.

CARDINALE: Tu hai tormentato la borghesia, e le casse del clero sono magre e vuote per le tue estorsioni.

SOMERSET: I tuoi edifici sontuosi e i vestiti di tua moglie hanno assorbito una gran parte del pubblico tesoro.

BUCKINGHAM: Nell'eseguire con crudele rigore le sentenze contro i rei hai ecceduto la legge e così hai ridotto te stesso alla mercé della legge.

MARGHERITA: Si sospetta fondatamente che in Francia tu abbia venduto città e uffici; se ciò fosse provato ci rimetteresti il capo. (Esce Gloucester e la Regina lascia cadere il ventaglio) Dammi il ventaglio:

che, serva, non sai farlo? (Schiaffeggia la Duchessa) Oh! scusate, signora, eravate voi?

DUCHESSA: Io? sì, io, superba Francese: se potessi mettere le unghie sulla vostra bellezza vi lascerei in faccia il segno dei miei dieci comandamenti ENRICO: Calmatevi, buona zia, non l'ha fatto di proposito.

DUCHESSA: Non l'ha fatto di proposito? buon re, pensaci finché sei in tempo se non vuoi che ti fasci e ti culli come un bambino; ma sebbene qui il capoccia non porti calzoni, sappi che si accorgerà di non avere schiaffeggiato madama Eleonora impunemente.

 

(Esce)

 

BUCKINGHAM: Monsignor cardinale, seguirò Eleonora e cercherò di sapere quel che fa Humphrey: ora è punta sul vivo, la sua ira non ha più bisogno di sprone, e correrà difilato in perdizione.

 

(Esce)
(Rientra GLOUCESTER)

 

GLOUCESTER: Signori, ora che ho sfogato la collera facendo un giro intorno al cortile, sono ritornato per parlare delle cose dello Stato.

Quanto alle vostre maligne accuse menzognere, provatele, e sono pronto a sottomettermi al rigore della legge: ma Dio mi usi misericordia, come è vero che amo il re e la patria! Ma venendo alla questione che abbiamo tra mano, dico, sire, che York è proprio l'uomo che ci vuole per la reggenza di Francia.

SUFFOLK: Prima di nominarlo lasciate che vi dica qualche ragione, e grave per di più, per cui mi par che York sia fra tutti il meno adatto.

YORK: Te lo dirò, Suffolk, perché sono il meno adatto: prima di tutto perché non so lusingare il tuo orgoglio; in secondo luogo, perché, se sarò nominato, lord Somerset non mi darà né indennità, né danaro, né equipaggiamento per tenermi qui sinché il Delfino non abbia riconquistato tutta la Francia. Anche l'ultima volta dovetti aspettare i suoi comodi sinché Parigi non fu assediata, affamata e presa.

WARWICK: Ne sono buon testimonio, né mai atto più turpe fu commesso da un traditore in questo paese.

SUFFOLK: Zitto, insolente Warwick!

WARWICK: E tu, immagine dell'orgoglio, perché dovrei star zitto?

 

(Entrano HORNER, l'armaiuolo, e il suo uomo PIETRO, accompagnati dalle Guardie)

 

SUFFOLK: Perché fra i presenti c'è un uomo accusato di tradimento:

pregate Dio che il duca di York riesca a giustificarsi.

YORK: C'è alcuno che accusa York di tradimento?

ENRICO: Che vuoi dire, Suffolk? dimmi chi sono costoro.

SUFFOLK: Di grazia, Maestà, questi è l'uomo che accusa il suo padrone di alto tradimento e precisamente di aver detto che Riccardo duca di York è legittimo erede della corona e che Vostra Maestà è un usurpatore.

ENRICO: Di': hai proprio detto questo?

HORNER: Piaccia a Vostra Maestà, io non ho mai detto né pensato una cosa simile. Dio mi è testimonio: questo birbante mi accusa falsamente.

PIETRO (alzando le mani): Per queste dieci ossa, miei signori, me l'ha detto una sera in soffitta, mentre stavamo lustrando l'armatura del duca di York.

YORK: Sozzo furfante, vil meccanico! pagherai con la testa questo discorso di traditore. Supplico la Maestà Vostra di fargli sentire il rigore della legge.

HORNER: Ahimè, signore! fatemi impiccare se ho detto queste parole.

L'accusatore è il mio apprendista, e l'altro giorno, quando lo picchiai per un malestro, giurò in ginocchio che me l'avrebbe fatta pagare: c'è chi può testimoniarlo; perciò supplico Vostra Maestà di non rovinare un brav'uomo per le accuse di un furfante.

ENRICO: Zio, come si deve giudicare in questo caso secondo la legge?

GLOUCESTER: Secondo me la sentenza dovrebbe essere questa: Somerset sia nominato Reggente in Francia, poiché quello che abbiamo sentito or ora fa nascere sospetti intorno a York; e quanto a costoro si fissi un giorno perché combattano in luogo opportuno, dal momento che l'armaiuolo può portar testimoni circa il malanimo del suo servo.

Questa è la legge, e questa sarebbe la sentenza del duca Humphrey.

SOMERSET: Ringrazio umilmente Vostra Maestà.

HORNER: Accetto volentieri il combattimento.

PIETRO: Ahimè, mio signore, non posso combattere; per amor di Dio abbiate pietà di me! Sono una povera vittima dell'astio di quell'uomo.

O Dio, abbiate pietà di me! non saprò assestare neanche un colpo. O Dio! Ahimè!

GLOUCESTER: Gaglioffo, o combattere o essere impiccato.

ENRICO: Conduceteli in prigione; il combattimento avrà luogo l'ultimo giorno del mese prossimo: andiamo, Somerset, a dare le disposizioni per la tua partenza.

 

(Squillo di trombe. Escono)

 

 

 

SCENA QUARTA - Il giardino di Gloucester

(Entrano GHITA JOURDAIN, HUME, SOUTHWELL e BOLINGBROKE)

 

HUME: Venite, signori miei; la duchessa, vi dico, aspetta l'adempimento delle vostre promesse.

BOLINGBROKE: Mastro Hume, abbiamo preparato quanto occorre. Sua Signoria la duchessa vuol vedere e udire i nostri esorcismi?

HUME: Sì; che mai? non dubitate del suo coraggio.

BOLINGBROKE: Ho sentito dire che è una donna intrepida; ma converrà, mastro Hume, che voi le stiate vicino, lassù, mentre noi lavoriamo qui sotto; e così, vi prego, andatevene in nome di Dio e lasciateci. (Esce HUME) Mamma Jourdain, sdraiatevi bocconi a terra, e voi, Giovanni Southwell, leggete; e tutti all'opera.

 

(Entra la DUCHESSA in alto e HUME la segue)

 

DUCHESSA: Benissimo, miei signori, e benvenuti. Cominciate; e più presto sarà, tanto meglio.

BOLINGBROKE: Pazienza, buona signora; gli stregoni sanno cogliere il momento opportuno: la notte profonda, la notte oscura, la notte silenziosa. L'ora della notte in cui Troia fu incendiata; il momento in cui le civette stridono, i cani alla catena ululano, gli spiriti camminano e i fantasmi erompono dalle tombe: questo è il momento migliore per il lavoro che abbiamo tra mano. Madama, sedete e non temete: gli spiriti che evocheremo, li chiuderemo entro un circolo magico.

 

(A questo punto fanno gli scongiuri del caso e tracciano il cerchio; Bolingbroke o Southwell legge "Conjuro te" eccetera. Tuona e lampeggia terribilmente, poi sorge lo spirito)

 

SPIRITO: Adsum GHITA JOURDAIN: Asmath! Per l'eterno Dio al cui nome e alla cui potenza tu tremi, rispondi a quello che ti chiederò, poiché non te ne andrai di qua sinché tu non abbia parlato.

SPIRITO: Domanda quello che vuoi: oh! avessi parlato e fosse finita!

BOLINGBROKE (leggendo da una carta): "Prima di tutto, circa il re: che sarà di lui?" SPIRITO: E' ancor vivo il duca che Enrico deporrà; ma gli sopravviverà e morrà di morte violenta.

 

(Mentre lo Spirito parla Southwell scrive la risposta)

 

BOLINGBROKE: "Che destino attende il duca di Suffolk?".

SPIRITO: Egli morirà e perirà per acqua.

BOLINGBROKE: "Che accadrà del duca di Somerset?".

SPIRITO: Eviti i castelli: sarà più sicuro su pianure sabbiose che dove stanno castelli montani. Finisci, perché non reggo più.

BOLINGBROKE: Discendi all'oscurità e al lago di fuoco: falso demonio, via!

 

(Tuoni e lampi. Esce lo Spirito)

(Entrano rapidamente YORK e BUCKINGHAM con le Guardie)

 

YORK: Prendete questi traditori e le loro cianfrusaglie. Strega, vi abbiamo spiata da vicino. Come! anche voi, madama, siete qui? Il re e lo Stato vi sono obbligati per tanto disturbo che vi siete preso. Il Protettore senza dubbio vi ricompenserà per tutti questi meriti.

DUCHESSA: Non tanto cattivi quanto i tuoi verso il re d'Inghilterra, duca villano, che minacci senza motivo.

BUCKINGHAM: Verissimo, signora, proprio nessuno. Come chiamate questo?

Conduceteli via; metteteli in prigione e isolati. Voi, madama, verrete con noi. Stafford, conducila con te.

 

(Escono dall'alto la Duchessa e Hume scortati)

 

E produrremo in giudizio tutti questi gingilli. Via tutti!

 

(Escono le Guardie con Southwell, Bolingbroke, eccetera)

 

YORK: Lord Buckingham, davvero l'avete spiata bene: un bel piano e ben scelto per costruirvi su! Ora, per favore, signor mio, vediamo che cosa ha scritto il diavolo. Che c'è qui? "E' ancor vivo il duca che Enrico deporrà; ma gli sopravviverà e morrà di morte violenta". Già, ma questo è come "Aio te, Aeacida, Romanos vincere posse". Bene, andiamo avanti: "Dimmi che destino attende il duca di Suffolk. Egli morirà e perirà per acqua. Che accadrà al duca di Somerset? Eviti i castelli: sarà più sicuro su pianure sabbiose che dove stanno castelli montani". Via, via, signori, questi oracoli sono difficili a comprendersi e di non facile compimento. Il re è ora in viaggio per Sant'Albano e con lui è il marito di quest'amabile signora: e là andranno queste notizie quanto più presto un cavallo può portarle: una triste colazione per il Protettore.

BUCKINGHAM: Monsignore di York, Vostra Grazia deve permettermi di fare da corriere e di ricevere la meritata ricompensa.

YORK: Come desiderate, mio buon signore. Chi è costà? (Entra un Servo) Invitate i signori di Salisbury e di Warwick a cenare con me domani sera. Andate.

 

(Escono)

 

 

 

ATTO SECONDO

 

SCENA PRIMA - Sant'Albano

(Entrano il RE ENRICO, la REGINA MARGHERITA, GLOUCESTER, il CARDINALE e SUFFOLK con Falconieri che emettono il loro grido)

 

MARGHERITA: Credetemi, signori; nella caccia presso il fiume non mi sono divertita tanto da molti e molti anni: eppure, se non erro, il vento era assai forte e v'era ogni probabilità che la vecchia Gianna non si levasse a volo.

ENRICO: Ma che buona posta ha preso il vostro falco e come ha volato sopra tutti gli altri! Vedete come Dio opera in tutte le sue creature!

sì, uomini e uccelli amano assai di salire in alto.

SUFFOLK: Non c'è da stupire, piaccia a Vostra Maestà, che i falchi del Protettore vadano tanto in su: sanno che il loro padrone ama le altezze e manda i pensieri dove un falcone non saprebbe giungere.

GLOUCESTER: Mio signore, bassa, ignobile mente è quella che non sa levarsi più in alto di un uccello.

CARDINALE: Lo sapevo già: egli vorrebbe sovrastare alle nubi.

GLOUCESTER: Sì, monsignor cardinale? che vorreste dire? non piacerebbe a Vostra Grazia di saper volare al cielo?

ENRICO: Il tesoro dell'eterna gioia.

CARDINALE: Il tuo cielo è sulla terra; i tuoi occhi e i tuoi pensieri si appuntano a una corona, tesoro del tuo cuore; pernicioso Protettore, pericoloso lord, che ti stemperi in adulazione al re e allo Stato!

GLOUCESTER: Come! Cardinale, Vostra Preteria è diventata così violenta? "Tantaene animis caelestibus irae"? uomini di Chiesa così collerici? buono zio, nascondete tanto malanimo: un sant'uomo come voi!

SUFFOLK: Niente malanimo, o almeno quanto sta bene in una contesa così giusta e contro un pari così cattivo.

GLOUCESTER: Così cattivo, e come chi, signor mio?

SUFFOLK: Come voi, se piace a Vossignoria, Protettore illustrissimo.

GLOUCESTER: Come, Suffolk! l'Inghilterra conosce la tua insolenza.

MARGHERITA: E la tua ambizione, Gloucester.

ENRICO: Zitta, ti prego, buona regina: non aizzare questi pari infuriati; poiché benedetti sono i pacificatori sulla terra.

CARDINALE: Dio mi benedica per la pace che farò con la spada contro questo superbo Protettore.

GLOUCESTER (a parte al Cardinale): In fede mia, zio santo, fosse vero che si venisse a questo!

CARDINALE (a parte a Gloucester): Per la Vergine, quando l'oserai!

GLOUCESTER (a parte al Cardinale): Non chiamarti intorno una banda di partigiani per questa faccenda; rispondi di questa offesa con la tua sola persona.

CARDINALE (a parte a Gloucester): Sì, dove non oserai mostrare la testa; ma, se osi, trovati questa sera al lato orientale dei boschetto.

ENRICO: Che state dicendo, miei signori?

CARDINALE: Credetemi, cugino Gloucester, se il vostro uomo non avesse fatto levare la selvaggina così improvvisamente, avremmo avuto caccia migliore. (A parte a Gloucester) Vieni con la spada a due mani.

GLOUCESTER: E' vero, zio.

CARDINALE (a parte a Gloucester): Avete capito bene? il lato orientale del boschetto.

GLOUCESTER (a parte al Cardinale): Cardinale, vi sarò.

ENRICO: Ebbene, che c'è, zio Gloucester?

GLOUCESTER: Parlavamo di falchi, nient'altro, sire. (A parte al Cardinale) Ora, per la madre di Dio, prete, vi raderò il cocuzzolo o non so più tirar di spada.

CARDINALE (a parte a Gloucester): "Medice te ipsum..." Protettore, in guardia! proteggi te stesso.

ENRICO: Il vento cresce e così la vostra irritazione, miei signori.

Quanto fastidiosa è questa musica al mio cuore! Quando queste corde non sono intonate, che speranza c'è di armonia? Vi prego, miei signori, lasciatemi comporre questa contesa.

 

(Entra uno gridando "Miracolo")

 

GLOUCESTER: Che vuol dire questo chiasso? amico, che miracolo è questo che annunci?

UNO: Miracolo! miracolo!

SUFFOLK: Vieni a dire al re di che miracolo si tratta.

UNO: Mezz'ora fa al santuario di Sant'Albano un cieco ha acquistata la vista, un uomo che non ha mai veduto prima in vita sua.

ENRICO: Sia lodato Iddio che a coloro che credono concede luce nell'oscurità, e conforto nella disperazione!

 

(Entrano il SINDACO di Sant'Albano e i suoi Colleghi; SIMPCOX portato da due persone su di una sedia e sua Moglie seguita da una gran moltitudine)

 

CARDINALE: Ecco qua i cittadini in processione che vengono a condurre l'uomo da Vostra Maestà.

ENRICO: Grande è il sollievo che ha ricevuto in questa valle terrena, sebbene la vista moltiplichi in lui l'occasione di peccare.

GLOUCESTER: Largo, signori miei, conducetelo vicino al re: Sua Maestà vuole parlargli.

ENRICO: Buon uomo, raccontaci i particolari affinché possiamo render gloria per te al Signore. Dunque, tu sei stato a lungo cieco e ora ci vedi ?

SIMPCOX: Cieco nato, così piaccia a Vostra Maestà.

MOGLIE: Sì, davvero, lo era proprio.

SUFFOLK: Chi è questa donna?

MOGLIE: Sua moglie, se piace a Vostra signoria.

GLOUCESTER: Se fossi stata sua madre, l'avresti potuto dire con maggiore sicurezza.

ENRICO: Dove sei nato?

SIMPCOX: A Berwick nel settentrione, così piaccia a Vostra Maestà.

ENRICO: Povero diavolo! grande è stata la bontà di Dio con te: non lasciar passare né giorno né notte senza santificarli con la preghiera, e ricorda sempre quello che il Signore ha fatto per te.

MARGHERITA: Dimmi, buon uomo; sei venuto qui a questo santuario per caso o per devozione?

SIMPCOX: Per pura devozione, Dio lo sa perché sono stato chiamato cento volte e più nel sonno dal buon Sant'Albano che mi diceva:

"Simpcox, vieni, fa' un'offerta al mio santuario e ti aiuterò".

MOGLIE: Vero, verissimo; e molte volte ho udito io stessa una voce che gridava così.

CARLO: Come! sei anche storpio?

SIMPCOX: Si, Dio Onnipotente mi aiuti!

SUFFOLK: E come mai lo sei diventato?

SIMPCOX: Cadendo da un albero.

MOGLIE: Da un susino, signore.

GLOUCESTER: E da quanto tempo sei cieco?

SIMPCOX: Oh! dalla nascita, signore.

GLOUCESTER: Come? e salivi sugli alberi?

SIMPCOX: Fu una volta sola in vita mia, quand'ero giovane.

MOGLIE: Purtroppo; e l'arrampicarsi gli è costato caro.

GLOUCESTER: Santa Messa! per arrischiarti così vuol dire che le susine ti piacevano assai.

SIMPCOX: Ahimè, signor mio, è stata mia moglie che voleva delle amoscine, e mi ha fatto arrampicare a rischio della vita.

GLOUCESTER: Furbacchione, poco ti gioverà! Lasciami vedere gli occhi:

chiudili; ora aprili. A mio parere, non mi sembra che tu ci veda ancor bene.

SIMPCOX: Sì? signore, chiaro come il giorno grazie a Dio e a Sant'Albano.

GLOUCESTER: Proprio davvero? Di che colore è questo mantello?

SIMPCOX: Rosso, signore; rosso come il sangue.

GLOUCESTER: Bene, è giusto. E di che colore è la mia tunica?

SIMPCOX: Nera, nerissima come il giaietto.

GLOUCESTER: Come! allora sai di che colore è il giaietto.

SUFFOLK: Eppure, credo, non ha mai visto il giaietto in vita sua.

GLOUCESTER: Ma molti mantelli e tuniche prima d'oggi.

MOGLIE: Mai prima d'oggi in vita sua.

GLOUCESTER: E dimmi, qual è il mio nome?

SIMPCOX: Ahimè, signore, non lo so.

GLOUCESTER: E qual è il nome di lui?

SIMPCOX: Non lo so GLOUCESTER: Né il suo?

SIMPCOX: No, davvero, signore.

GLOUCESTER: E qual è il tuo nome?

SIMPCOX: Saunder Simpcox per servirvi, signore.

GLOUCESTER: E allora, Saunder, siediti qui, il più bugiardo furfante della Cristianità. Se tu fossi stato cieco nato, conoscere tutti i nostri nomi non ti sarebbe stato più difficile che conoscere il nome dei diversi colori che portiamo. Può darsi che gli occhi distinguano i colori, ma nominarli tutti così presto ed esattamente è impossibile.

Miei signori, Sant'Albano ha fatto proprio un vero miracolo; ma non vi sembrerebbe grande la valentia di colui che restituisse a questo storpio l'uso delle gambe?

SIMPCOX: O, signore, se lo sapeste fare!

GLOUCESTER: Miei signori di Sant'Albano, non avete bidelli in città e quelle cose che chiamano fruste?

SINDACO: Si, se piace a Vostra Grazia.

GLOUCESTER: Allora chiamatene uno subito.

SINDACO: Va' subito a chiamare qui il bidello.

 

(Esce un Servo)

 

GLOUCESTER: E ora portatemi qui uno sgabello e tu, briccone, se ti vuoi risparmiare delle buone frustate, salta questo sgabello e corri via.

 

(Entra un Bidello)

 

SIMPCOX: Ahimè, signore; non mi reggo sulle gambe da solo: volete proprio torturarmi invano!

GLOUCESTER: Bene, amico mio; vogliamo solo che tu ricuperi l'uso delle gambe. Bidello, frustalo finché non salta quello sgabello.

BIDELLO: Sissignore. Avanti, tu, levati il farsetto subito.

SIMPCOX: Ahimè! signor mio, che debbo fare? non riesco a stare in piedi.

 

(Il Bidello lo colpisce una volta; egli salta lo sgabello e scappa; e la Gente lo segue e grida "Miracolo!")

 

ENRICO: Oh, Signore! come puoi tu veder questo e tollerarlo con tanta pazienza?

MARGHERITA: Ho riso proprio di gusto a vedere il furfante darsela a gambe.

GLOUCESTER: Seguite il mariuolo e conducete in prigione questa baldracca.

MOGLIE: Ahimè! Signore, l'abbiamo fatto proprio per bisogno.

GLOUCESTER: Siano frustati in ogni mercato, finché non arrivino a Berwick, donde sono venuti .

 

(Escono il Sindaco, il Bidello, la Moglie, eccetera)

 

CARDINALE: Il duca Humphrey oggi ha fatto un miracolo.

SUFFOLK: Verissimo; ha fatto balzare in piedi e scappar via lo storpio.

GLOUCESTER: Ma voi avete fatto più miracoli di me: in un sol giorno, mio signore, avete fatto scappar via intere città.

 

(Entra BUCKINGHAM)

 

ENRICO: Che notizie ci porta nostro cugino Buckingham?

BUCKINGHAM: Tali notizie che mi trema il cuore a comunicarle. Un branco di malvagi e corrotti, con l'appoggio di madama Eleonora, la moglie del Protettore, e in concerto con lei, ideatrice e anima di questo complotto, hanno tramato contro la vostra autorità in commercio con streghe e maghi. Li abbiamo colti sul fatto, mentre evocavano spiriti maligni dall'inferno e li interrogavano intorno alla vita e alla morte di re Enrico e di altri membri del Consiglio privato, come Vostra Maestà sarà poi più minutamente informata.

CARDINALE: E così, lord Protettore, vedremo vostra moglie comparire in giudizio a Londra. Questa notizia, credo, ha tolto il filo alla vostra spada; è molto probabile, mio signore, che non manterrete l'appuntamento.

GLOUCESTER: Prete ambizioso, smetti di affliggere il mio cuore: il dolore mi toglie le forze, e, vinto come sono, mi arrendo a te, come mi arrenderei al più vile staffiere.

ENRICO: Oh Dio! che mai fanno i cattivi, accumulando confusione sul loro capo.

MARGHERITA: Gloucester, guarda come è insozzato il tuo nido: e cerca almeno tu di apparire innocente.

GLOUCESTER: Signora, quanto a me, chiamo in testimonio il cielo che ho sempre amato il re e lo Stato: quanto a mia moglie, non so come sia.

Quello che ho sentito mi riempie di dolore: ma, nobile com'è, se ha dimenticato l'onore e la virtù e si è mischiata a gente che, come la pece, insozza la nobiltà, la bandisco dal mio letto e dalla mia compagnia, e abbandono alla legge e all'infamia colei che ha disonorato il chiaro nome di Gloucester.

ENRICO:. Ebbene, per questa notte riposeremo qui: domani ritorneremo a Londra per esaminare a fondo questi fatti, per costringere i turpi rei alla resa dei conti, e pesare la causa sull'esatta bilancia della giustizia il cui ago indica sicuramente chi è dalla parte della ragione.

 

(Squillo di trombe. Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA - Londra. Il giardino del Duca di York

(Entrano YORK, SALISBURY E WARWICK)

 

YORK: Miei buoni signori di Salisbury e di Warwick, ora che abbiamo frugalmente cenato, permettetemi in questo viale appartato di chiedervi che cosa pensate del mio indiscutibile diritto alla corona d'Inghilterra.

SALISBURY: Mio signore, bramo di sentire da voi tutto per minuto.

WARWICK: Caro York, incomincia; e, se le tue pretese sono fondate, potrai disporre dei Nevil come ti piace.

YORK: Allora così stanno le cose. Edoardo Terzo, miei signori, ebbe sette figli; il primo, Edoardo il Principe Nero e principe di Galles; il secondo, Guglielmo di Hatfield; il terzo, Lionello duca di Clarence; dopo di lui vi fu Giovanni di Gand, duca di Lancaster; il quinto fu Edmondo Langley, duca di York; il sesto fu Tommaso di Woodstock, duca di Gloucester; Guglielmo di Windsor fu il settimo e ultimo. Edoardo il Principe Nero premorì al padre e lasciò un unico figlio, Riccardo, che dopo la morte di Edoardo Terzo occupò il trono finché Enrico Bolingbroke, duca di Lancaster, primogenito ed erede di Giovanni di Gand, incoronato col nome di Enrico Quarto, s'impadronì del regno, depose il legittimo sovrano, mandò la povera regina in Francia donde era venuta e lui a Pomfret, dove, come tutti sapete, l'innocente Riccardo fu assassinato a tradimento.

WARWICK: Padre, il duca ha detto la verità: proprio così la casa di Lancaster si è impossessata del trono.

YORK: E ora lo tiene con la forza e non per diritto; poiché, essendo morto Riccardo, erede del primo figlio, avrebbero dovuto regnare i discendenti del secondo.

SALISBURY: Ma Guglielmo di Hatfield morì senza lasciare eredi.

YORK: Il terzo figlio, duca di Clarence, discendendo dal quale io reclamo la corona, ebbe una figlia, Filippa, che sposò Edmondo Mortimer, conte di March, e da lui ebbe Ruggero, da cui nacquero Edmondo, Anna ed Eleonora.

SALISBURY: E questo Edmondo, durante il regno di Bolingbroke, come ho detto, avanzò pretese alla corona, e sarebbe divenuto re, se Owen Glendower non l'avesse tenuto in prigionia sino alla morte. Ma sentiamo il resto.

YORK: Anna, sua sorella primogenita, madre mia, ed erede della corona, sposò Riccardo conte di Cambridge nato da Edmondo Langley, quinto figlio di Edoardo Terzo: e io reclamo il regno come figlio di Anna:

ella era erede di Ruggero conte di March, che era figlio di Edmondo Mortimer, sposo di Filippa, sola figlia di Lionello duca di Clarence:

così, se i discendenti di chi nacque prima sono preferiti a quelli di chi nacque dopo, io sono re.

WARWICK: Quale semplicissimo procedimento è più semplice di questo?

Enrico dice di aver diritto alla corona in quanto discende da Giovanni di Gand, quarto figlio, e York in quanto discende dal terzo; quella discendenza non è ancora venuta meno, ma fiorisce in te e nei tuoi figli, bei ramoscelli di tal tronco. Padre Salisbury, inginocchiamoci e in questo luogo appartato salutiamo per primi il nostro legittimo sovrano, onorando il suo diritto alla corona.

A DUE: Viva il nostro sovrano, Riccardo re d'Inghilterra!

YORK: Vi ringraziamo, signori! Ma non sarò vostro re finché non sarò coronato e la mia spada non si sarà bagnata nel sangue del cuore della casa di Lancaster; e ciò non si può fare d'un tratto, ma con ponderazione e nel segreto del silenzio. Fate come faccio io in questi giorni pericolosi: chiudete un occhio sull'insolenza del duca di Suffolk, sull'orgoglio di Beaufort, sull'ambizione di Somerset, su Buckingham e sul resto della banda, finché non abbiano irretito il pastore di questo bel gregge, quel principe virtuoso, il buon duca Humphrey: è questo quel che cercano e cercandolo vi troveranno la morte, se York sa leggere nel futuro.

SALISBURY: Mio signore separiamoci; ora sappiamo bene come la pensate.

WARWICK: Il mio cuore mi assicura che il conte di Warwick porrà un giorno sul trono il duca di York.

YORK: Nevil, di questo sono certo: che Riccardo vivrà tanto a lungo da fare del conte di Warwick l'uomo più grande d'Inghilterra dopo il sovrano.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA - Un tribunale

(Suonano trombe. Entrano RE ENRICO, la REGINA MARGHERITA, GLOUCESTER, YORK, SUFFOLK SALISBURY; e scortati dalle Guardie, la DUCHESSA DI GLOUCESTER, GHITA JOURDAIN, SOUTHWELL, HUME e BOLINGBROKE)

 

ENRICO: Avanzate, madama Eleonora Cobham, moglie di Gloucester. Agli occhi di Dio e nostri la vostra colpa è grande: ascoltate la sentenza della legge per peccati a cui libri divini comminano la morte. Voi quattro sarete ricondotti di qui in prigione e dalla prigione al patibolo: la strega sarà ridotta in ceneri a Smithfield e voi tre sarete strozzati sulla forca. Voi, madama, poiché siete di più nobile nascita, dopo tre giorni di pubblica penitenza, sarete confinata qui nel vostro paese a vivere privata di ogni onore in bando perpetuo presso Sir Giovanni Stanley nell'isola di Man.

DUCHESSA: Grato mi è il bando e grata mi sarebbe la morte.

GLOUCESTER: Eleonora, la legge ti ha giudicata e io non posso giustificare colei che la legge condanna. (Escono la Duchessa e gli altri prigionieri accompagnati dalle Guardie) I miei occhi sono pieni di lacrime e il cuore di cordoglio. Ah, Humphrey! questo disonore alla tua età ti farà chinare il capo sino a terra per il dolore. Supplico Vostra Maestà di darmi il permesso di andare; l'affanno richiede conforto e la mia vecchiaia quiete.

ENRICO: Fermati, Humphrey, duca di Gloucester: prima di andare consegna il bastone; Enrico sarà Protettore di se stesso: e Dio sarà speranza, sostegno, guida e lucerna al mio cammino. E va' in pace, Humphrey, non meno amato di quand'eri Protettore del tuo re.

MARGHERITA: Non vedo perché un re uscito di minorità debba essere protetto come un fanciullo. Dio e re Enrico governino il reame d'Inghilterra! restituite, messere, il vostro bastone e il regno al sovrano.

GLOUCESTER: Il mio bastone? eccolo qua, nobile Enrico; tanto volentieri lo riconsegno quanto volentieri tuo padre Enrico me lo diede; e altrettanto volentieri lo depongo ai tuoi piedi quanto volentieri altri lo prenderebbero per soddisfare la loro ambizione.

Addio, buon re! Quando sarò morto possa una pace onorata circondare sempre il tuo trono.

 

(Esce)

 

MARGHERITA: Ebbene; solo ora Enrico è re e Margherita regina; e Humphrey duca di Gloucester non è quasi più se stesso, avendo sofferto così crudele mutilazione. Due colpi in una volta sola: la moglie bandita e un membro amputato: voglio dire questo bastone, insegna del suo onore, strappatogli di mano: e stia lì dove è meglio che si trovi, in mano di Enrico.

SUFFOLK: Così questo superbo pino langue e lascia cadere a terra i suoi rami: così l'orgoglio dl Eleonora muore all'inizio.

YORK: Lasciatelo andare, signori. Se piace a Vostra Maestà, questo è il giorno fissato per il combattimento; se Vostra Altezza vuole vedere il duello. Lo sfidante e lo sfidato, l'armaiuolo e il suo uomo, sono pronti a entrare in lizza.

MARGHERITA: Sì, sì, mio buon signore; ho lasciato la corte apposta per vedere la soluzione di questa contesa.

ENRICO: In nome di Dio, vedete che la lizza e ogni altra cosa siano come si deve: qui la finiscano e Dio protegga il buon diritto.

YORK: Non ho mai visto un individuo più a mal partito o più pauroso di combattere di quello che sia lo sfidante, il servo di quest'armaiuolo.

 

(Da una porta entra l'ARMAIUOLO con gli Amici che bevono con lui alla sua salute tanto da ubriacarlo. Un tamburo lo precede. Egli ha un bastone a cui è legato un sacchetto pieno di sabbia. Da un'altra porta entra PIETRO, pure preceduto da un tamburo e fornito di bastone con sacchetto. Lo accompagnano alcuni Apprendisti che bevono alla sua salute)

 

PRIMO AMICO: Ecco qua, amico Horner, bevo alla vostra salute questo bicchiere di vin di Spagna: non temete, vi andrà benone.

SECONDO AMICO: E qui, amico, un bicchiere di vin chiaro.

TERZO AMICO: E qui c'è un boccale di birra forte, amico. Bevete, e non abbiate paura del vostro garzone.

HORNER: Fate girare il bicchiere e berrò alla salute di voi tutti; di Pietro non m'importa un fico.

PRIMO APPRENDISTA: Bevo alla tua salute, Pietro, non aver paura.

SECONDO APPRENDISTA: In gamba, Pietro, e non aver paura del padrone:

dagliene per l'onore degli apprendisti.

PIETRO: Grazie a tutti. Bevete e pregate per me, per favore, perché credo di aver bevuto il mio ultimo sorso in questo mondo. Certo, se muoio, ti lascio il mio grembiule: e tu, Memmo, avrai il martello: e tu, Maso, prenditi tutti i miei quattrini. Dio mi benedica! non saprò tener testa al mio padrone che è così buon schermitore.

SALISBURY: Suvvia, finitela di bere e venite ai colpi. Tu, come ti chiami?

PIETRO: Pietro, in fede mia.

SALISBURY: Pietro! e poi?

PIETRO: Pietro Picchia.

SALISBURY: Picchia? e allora picchia per bene il tuo padrone.

HORNER: Signori, sono venuto qui, per così dire, provocato dal mio garzone per provare che è furfante e che io sono galantuomo: e riguardo al duca di York possa io morire se ho mai voluto male a lui, al re o alla regina; e perciò, Pietro, fatti sotto a prendere qualche buona legnata.

YORK: Presto: la lingua si incomincia a ingarbugliare a questo gaglioffo. Trombettieri, date il segnale ai duellanti.

 

(Segnale. Combattono, e Pietro abbatte l'avversario)

 

HORNER: Basta, Pietro! basta! Confesso, confesso il mio tradimento.

 

(Muore)

 

YORK: Portategli via l'arma. Caro il mio uomo, ringrazia Dio e il vino che ha fatto incespicare il tuo padrone.

PIETRO: O Dio! ho proprio vinto i miei nemici davanti a tutti questi signori? O Pietro, il tuo diritto ha trionfato!

ENRICO: Portate lontano dalla nostra vista quel traditore; la sua morte prova che era colpevole e Dio nella sua giustizia ci ha rivelato la sincerità e l'innocenza di questo povero diavolo che egli avrebbe voluto assassinare a torto. E tu, giovanotto, seguici e riceverai una ricompensa.

 

(Squillo di trombe. Escono)

 

 

 

SCENA QUARTA - Una strada

(Entrano GLOUCESTER e i suoi Servi in abito da lungo)

 

GLOUCESTER: Così anche il giorno più sereno ha talvolta la sua nube e dopo l'estate vien sempre lo sterile inverno col freddo iroso e mordente; così si alternano gioie e dolori, fuggevoli come le stagioni. Che ora è, messeri?

SERVI: Le dieci, signore.

GLOUCESTER: E' l'ora che mi fu indicata perché assistessi al passaggio della duchessa punita: ella non potrà sopportare i selci della strada, a doverli calcare coi suoi teneri piedi! Cara Nora! la tua nobile mente non potrà tollerare il popolaccio che malignamente ti scruterà in viso, e riderà di questa umiliazione, mentre prima seguiva le ruote del tuo cocchio maestoso quando passavi in trionfo per le vie! Ma zitto! Credo che stia venendo; preparerò i miei occhi pieni di lacrime a vedere le sue miserie.

 

(Entra la DUCHESSA DI GLOUCESTER avvolta in un lenzuolo bianco, i piedi nudi e una candela accesa in mano; sono con lei SIR GIOVANNI STANLEY, lo SCERIFFO ed Ufficiali)

 

SERVI: Se Vostra Grazia vuole, la libereremo dalle mani dello Sceriffo.

GLOUCESTER: No, non movetevi se vi è cara la vita, lasciatela passare.

DUCHESSA: Siete venuto, mio signore, a vedere la mia pubblica vergogna? Ora tu pure fai penitenza! Vedi come la gente mi guarda; vedi come la volubile moltitudine ti addita e tutti fissano gli occhi su di te e accennano col capo! Ah, Gloucester! nasconditi ai loro sguardi odiosi, e rinchiuso nella tua stanza compiangi la mia vergogna e impreca contro i tuoi nemici, tuoi e miei.

GLOUCESTER: Sii paziente, Nora; cerca di dimenticare questo dolore.

DUCHESSA: Ah, Gloucester! Insegnami a dimenticare me stessa, poiché quando penso che sono tua moglie e tu un principe e Protettore di questo regno, sento solo che non dovrei esser condotta così, tutta avvolta nella vergogna con cartelli di infamia sul dorso, e seguita da una plebaglia che gode a vedere le mie lacrime e a udire i gemiti che mi vengono dal profondo del cuore. Quando i selci senza pietà mi tagliano i teneri piedi e io trasalisco, la plebaglia maligna ride, e mi dice di guardare dove cammino. Ah, Humphrey! come posso sopportare questo giogo vergognoso? credi tu che giungerò mai a guardare il mondo o a considerare felici coloro che godono il sole? no, le tenebre saranno la mia luce e la notte il mio giorno: e pensare al fasto che godetti sarà un inferno. Talora dirò: "Sono la moglie del duca Humphrey, ed egli un principe e reggitore del paese: eppure così resse e fu tal principe, che dovette starsene fra gli spettatori mentre io, sua desolata duchessa, ero oggetto di meraviglia e segnata a dito da ogni ozioso furfante che mi seguisse". Ah! sii pur mite e non arrossire alla mia infamia, né muoverti mai finché la mannaia non ti penda sul collo, come sarà certo fra breve, poiché Suffolk, che può volgere a piacer suo colei che odia te e noi tutti, e York e l'empio Beaufort, quel falso prete, hanno invescato i cespugli per insidiarti le ali, e, per quanto tu cerchi di svolazzare, riusciranno ad acchiapparti; ma continua pure a non temere e a non far nulla contro i tuoi nemici, finché non avrai il piede nel lacciolo.

GLOUCESTER: Ah! Nora, taci: tu sei del tutto fuori di strada: prima di essere accusato debbo essere in colpa, e se i nemici fossero venti volte più numerosi e ciascuno di essi avesse una potenza venti volte superiore, non potrebbero farmi nulla di male sinché continuerò ad essere leale, sincero e innocente. Vorresti forse che ti strappassi a questa vergogna? Ebbene, la tua infamia non sarebbe cancellata e io mi troverei in grave pericolo per aver offeso la legge. Nella calma puoi trovare il migliore conforto, Lenuccia; ti prego, piega il cuore alla pazienza: tra poco si esaurirà questa morbosa curiosità della gente.

 

(Entra un Araldo)

 

ARALDO: Invito Vostra Grazia al Parlamento di Sua Maestà che si terrà a Bury il primo del prossimo mese.

GLOUCESTER: Né si è mai chiesto prima il mio parere! queste sono mene occulte. Ebbene vi sarò. (Esce l'Araldo) Lena mia, ti saluto, e voi, sceriffo, fate in modo che la sua penitenza non vada oltre gli ordini del re.

SCERIFFO: Se piace a Vostra Grazia, sin qui giungono gli ordini che ho ricevuti, da questo momento Sir Giovanni Stanley è incaricato di condurla all'isola di Man.

GLOUCESTER: Sir Giovanni, dovete tenerla là sotto la vostra giurisdizione?

STANLEY: Così mi è stato ingiunto, se piace a Vostra Grazia.

GLOUCESTER: Non trattatela peggio proprio perché vi prego di trattarla bene. Può darsi il caso che tornino tempi migliori, e potrei vivere tanto da farvi del bene se ne farete a lei; e così addio, sir Giovanni.

DUCHESSA: Come? mio signore, ve ne andate senza dirmi addio?

GLOUCESTER: Le mie lacrime ti dicono che non posso parlare.

 

(Escono Gloucester e i Servi)

 

DUCHESSA: Dunque te ne sei andato? Ogni mia consolazione se ne va con te! Nessuna me ne resta: la mia gioia è la morte, al cui nome ho spesso tremato perché avrei voluto che questo mondo durasse eterno.

Stanley, ti prego, conducimi via di qua; non m'importa dove, poiché non chiedo alcun favore; conducimi solo dove ti è stato ordinato.

STANLEY: All'isola di Man, dunque, madama, dove sarete trattata secondo il vostro rango.

DUCHESSA: Malissimo; perché il mio rango è rango d'infamia: e dovrò allora essere trattata infamemente?

STANLEY: Sarete trattata come richiede la vostra condizione di duchessa e di moglie di Humphrey.

DUCHESSA: Addio, sceriffo, possa tu essere più felice di me, sebbene tu mi abbia guidata su questo umiliante cammino.

SCERIFFO: E' il mio ufficio, madama, perdonate.

DUCHESSA: Sì, sì, addio; hai fatto il tuo dovere. Suvvia, Stanley, dobbiamo andare?

STANLEY: Madama, la vostra penitenza è finita: gettate via questo lenzuolo e andate a vestirvi per il viaggio.

DUCHESSA: Col lenzuolo non se ne andrà l'obbrobrio; no, mi resterà appiccicato alle vesti più ricche e apparirà comunque mi vesta. Su, precedimi; mi par mill'anni di vedere la mia prigione.

 

(Escono)

 

 

 

ATTO TERZO

 

SCENA PRIMA - L'Abbazia di Bury Saint Edmunds

(Fanfara. Entrano in Parlamento RE ENRICO, la REGINA MARGHERITA, BEAUFORT, SUFFOLK, YORK, BUCKINGHAM, SALISBURY e WARWICK)

 

ENRICO: Non so perché lord Gloucester non sia ancor venuto: non è suo costume arrivare per ultimo, qualunque sia la ragione che lo fa ritardare ora.

MARGHERITA: Non avete occhi per vedere? o non volete proprio osservare quanto stranamente ha mutato contegno? che alterigia di portamento è la sua, e come da poco tempo in qua è diventato insolente e orgoglioso e brusco di moti, e così cambiato da quel che era? Ricordiamo bene quando era mite e affabile, e bastava un nostro sguardo un po' freddo per farlo cadere subito in ginocchio, cosicché tutta la corte lo ammirava per il contegno sottomesso: ma se lo incontriamo ora la mattina, quando tutti danno il buon giorno, aggrotta la fronte, fa la faccia scura, e passa oltre senza piegare il ginocchio e senza degnarci dell'atto di ossequio a cui abbiamo ben diritto. Nessuno fa caso ai botoli quando ringhiano, ma, quando il leone rugge, anche i grandi uomini tremano e Humphrey non è uomo di scarso conto in Inghilterra. Prima di tutto notate che è il vostro più stretto parente e sarebbe il primo a salire se voi cadeste. Considerando il suo livore e il vantaggio che avrebbe dalla vostra morte, non è accortezza, mi sembra, che egli stia tanto presso alla vostra reale persona o che sia ammesso al Consiglio di Vostra Maestà. Con l'adulazione ha conquistato il cuore dei borghesi e, se gli piacerà di provocare qualche agitazione, c'è da temere che tutti lo seguiranno. Ora è primavera e la gramigna non ha ancora messo radici profonde; se la lasciate fare, invaderà tutto il giardino e, per mancanza di cura, soffocherà tutte le erbe buone. L'affetto reverente che ho per il mio signore mi ha fatto rilevare queste pericolose disposizioni nel duca; se è cosa sciocca, dite che è paura di donna: se più folti ragioni riusciranno a cacciarla, lo riconoscerò francamente e dirò che ho fatto torto al duca. Miei signori di Suffolk, Buckingham e York, confutate le mie asserzioni se potete; altrimenti ammettete il buon fondamento delle mie parole.

SUFFOLK: Vostra Maestà ha letto bene nell'animo di questo duca: se fossi stato invitato a dir per primo il mio pensiero, avrei espresso le stesse idee di Vostra Grazia. La duchessa, lo giuro sulla mia vita, istigata da lui ha iniziato le sue pratiche diaboliche, o egli, se anche non era al corrente di questi atti criminosi, ha spinto quel cervello bacato della pazza duchessa a macchinare con mille arti la caduta del nostro sovrano, vantando la propria alta nobiltà come colui che aveva diritto al trono immediatamente dopo il re. L'acqua corre liscia dove il letto è profondo ed egli nasconde il tradimento sotto le apparenze della innocuità. La volpe non latra quando vuol rubare l'agnello: no, no, mio sovrano. Gloucester è un uomo non sondato abbastanza e pieno di profondi inganni.

CARDINALE: Non ha inventato strane morti per piccoli reati, contro ogni forma di legge?

YORK: E, mentre era Protettore, non ha imposto gravi tributi nel regno per il soldo delle truppe in Francia che poi in realtà non ha mai mandato? In conseguenza di ciò vi sono state nelle città ribellioni giornaliere.

BUCKINGHAM: Eh, queste sono piccole colpe rispetto a quelle che non si conoscono e che il tempo rivelerà nel duca Humphrey, che sembra un uomo così liscio.

ENRICO: Ve lo dico senz'altro, miei signori: la cura con cui recidete le spine che molesterebbero il nostro piede è degna di lode, ma a dirvi quello che sento in coscienza, il nostro parente Gloucester è tanto innocente di mene traditrici contro la nostra reale persona quanto lo sono l'agnello di latte o l'innocua colomba. Il duca è virtuoso, mite e di troppo buoni costumi per sognare il male o per adoperarsi per la mia rovina.

MARGHERITA: Ah! non c'è nulla di più pericoloso che questa stolta fiducia. Vi sembra una colomba? sono penne prese a prestito, poiché il suo carattere è quello del corvo odioso. Vi pare un agnello? la pelle non gli appartiene, perché le sue disposizioni sono quelle del lupo vorace. Qual è il macchinatore d'inganni che non sa assumere un'apparenza d'accatto? Attento, mio signore! la sicurezza di noi tutti dipende dalla morte di questo fraudolento.

 

(Entra SOMERSET)

 

SOMERSET: Salute al mio grazioso sovrano.

ENRICO: Benvenuto, lord Somerset. Che notizie di Francia?

SOMERSET: Che siete stato privato di ogni autorità in quei territori:

tutto è perduto.

ENRICO: Brutte notizie, lord Somerset, ma sia fatta la volontà del cielo!

YORK (a parte): Brutte notizie per me perché speravo tanto fermamente di ottenere la Francia quanto spero di ottenere la fertile Inghilterra. Così i miei fiori periscono in boccio e i bruchi rodono le foglie. Ma riparerò a questo prima che passi molto tempo o darò il mio titolo in cambio di una tomba gloriosa.

 

(Entra GLOUCESTER)

 

GLOUCESTER: Ogni felicità al re mio signore! Perdonatemi, mio sovrano, se ho tardato tanto.

SUFFOLK: Anzi, Gloucester, sappi che sei venuto anche troppo presto, a meno che tu non sia più leale di quello che sembri. Ti dichiaro qui in arresto per alto tradimento.

GLOUCESTER: Ebbene, Suffolk, non mi vedrai per questo arrossire o cambiare in viso: un cuore senza macchia non si spaventa per poco. La sorgente più pura non è così libera dal fango quanto sono puro di tradimento verso il mio sovrano. Chi può accusarmi? di che sono colpevole?

YORK: Si crede, mio signore, che vi siate lasciato corrompere dal re di Francia e che quando eravate Protettore vi siate trattenuto il soldo delle truppe e che per questo Sua Maestà abbia perduto la Francia.

GLOUCESTER: Così si crede? e chi lo crede? Io non ho mai derubato i soldati della loro paga né ho mai avuto un soldo dal re di Francia.

Così mi aiuti Iddio, ho persino vegliato la notte, anzi una notte dietro l'altra nel cercare il bene dell'Inghilterra. Se ho tolto un quattrino al re o se ho risparmiato un grosso per mio uso, mi sia contestato il giorno del giudizio. Al contrario, non volendo tassare la borghesia bisognosa, ho speso molto del mio per pagare le truppe e non ne ho mai chiesto la restituzione.

CARDINALE: Dite questo, mio signore, perché vi giova.

GLOUCESTER: Quello che dico è la pura e semplice verità, ne chiamo Dio a testimonio.

YORK: Quando eravate Protettore avete inventato strane e inaudite torture per rei e il governo inglese si è acquistato per questo fama di tirannico.

GLOUCESTER: Invece tutti sanno che quand'ero Protettore la compassione era il mio solo difetto, poiché mi commovevo alle lacrime dei rei e mi bastavano le loro umili parole per mandarli assolti da ogni colpa. Non ho mai dato ai colpevoli il castigo che meritavano a meno che non si trattasse di omicidi sanguinari o di turpi ladroni che spogliavano i poveri viandanti: ma l'assassinio, sanguinoso reato, ho punito con tormenti più gravi che la fellonia o qualsiasi altra colpa.

SUFFOLK: Mio signore, queste colpe sono relativamente lievi e se ne risponde facilmente; ma siete accusato di reati assai più gravi, dei quali non potete altrettanto facilmente giustificarvi. Vi arresto in nome di Sua Maestà e vi affido al lord cardinale perché vi tenga in prigionia sino al giorno del giudizio.

ENRICO: Monsignore di Gloucester, è mia viva speranza che riusciate a giustificarvi pienamente di ogni sospetto: la coscienza mi dice che siete innocente.

GLOUCESTER: Ah, grazioso sovrano! Questi sono tempi pericolosi: la virtù è soffocata dalla turpe ambizione e la carità cacciata di qui dal rancore; l'istigazione al male domina e l'equità è esulata dalle terre di Vostra Altezza. So che costoro hanno tramato di togliermi la vita; se la mia morte potesse rendere felice quest'isola e porre termine alla loro tirannia, la soffrirei assai di buon animo; ma non sarebbe che il prologo della tragedia, poiché migliaia di altre vittime che non sospettano pericolo, non basteranno a metter fine al loro sanguinoso dramma. Gli occhi rossi e scintillanti di Beaufort tradiscono la malvagità del suo cuore, e la fronte rannuvolata di Suffolk il suo odio tempestoso; il furbo Buckingham sfoga con la lingua il carico di invidia che gli grava sull'anima; l'ostinato York, che cerca di afferrare la luna e il cui braccio presuntuoso ho trattenuto più volte, ha preso di mira la mia vita con false accuse; e voi, mia sovrana, in lega con gli altri, senza alcun motivo, mi avete accumulato il disonore sul capo, e avete fatto del vostro meglio per inimicarmi l'amatissimo sovrano. Sì, vi siete concertati tutti, ed io stesso sapevo dei vostri segreti convegni, e tutto per toglier di mezzo la mia vita innocente. Non mancheranno falsi testimoni contro di me né invenzioni di tradimenti di ogni specie per ingrandire la mia colpevolezza e si avvererà l'antico proverbio che per battere un cane, un bastone è subito trovato.

CARDINALE: Mio signore, i suoi rimbrotti sono intollerabili; se al reo si concede tanta libertà di parola, e se coloro che cercano di difendere la vostra reale persona dall'arma occulta del tradimento e dalla furia del traditore sono così rimproverati, rimbeccati e svillaneggiati, si raffredderanno nel loro zelo verso la Maestà Vostra.

SUFFOLK: Non ha egli rinfacciato alla nostra sovrana in sua presenza con parole ignominiose, sebbene destramente espresse, di aver subornato qualcuno a dire il falso per scalzare la sua autorità?

MARGHERITA: A chi perde do licenza di accusare a piacer suo.

GLOUCESTER: Parole assai più vere che sentite: perdo, è vero, e maledetti siano quelli che vincono, perché mi hanno ingannato in questo giuoco! e chi perde così ha ben diritto di parlare.

BUCKINGHAM: Torce a piacer suo il senso delle nostre parole e vuol tenerci qui tutto il giorno. Lord cardinale, egli è vostro prigioniero.

CARDINALE: Messeri, conducete via il duca e custoditelo diligentemente.

GLOUCESTER: Ah! Così re Enrico gitta via il bastone prima che le gambe abbiano la forza di sostenergli il corpo; così il pastore è allontanato a forza dal tuo fianco e i lupi ringhiano contendendo chi ti addenterà per primo. Ah! fossero pur infondate le mie paure; poiché, buon re Enrico, temo la tua rovina.

 

(Esce accompagnato dalle Guardie)

 

ENRICO: Miei signori, fate o disfate come sembra meglio alla vostra saggezza, e come se noi stessi fossimo qui.

MARGHERITA: Come? Vostra Maestà vuole ora lasciare il Parlamento?

ENRICO: Sì, Margherita. Mi sento il cuore oppresso dal dolore, e la sua piena incomincia a traboccarmi negli occhi, e il mio corpo è come avvolto nella sofferenza; poiché, che vi è di più penoso del malcontento? Ah! zio Humphrey, nel tuo viso vedo la mappa dell'onore, della fedeltà e della lealtà: non vi è mai stato momento, buon Humphrey, in cui ti abbia trovato falso o abbia dovuto dubitare della tua fede. Che maligna stella invidia ora la tua fortuna al punto che questi grandi signori e Margherita nostra regina cerchino la rovina della tua vita innocente? Tu non hai mai fatto torto né a loro né ad alcun altro. Come il beccaio trascina il vitello e lega l'infelice e lo batte se recalcitra mentre lo conduce al macello, così senza alcuna pietà lo hanno condotto via; e come la madre corre muggendo qua e là, cercando dove sia andato il suo piccolo innocente e può solo lamentar la perdita del suo caro, così compiango il caso del buon Gloucester con tristi lacrime vane e lo seguo con occhi velati dal pianto senza potergli dare alcun aiuto, tanto potenti sono i suoi nemici. Lamenterò la sua fortuna e tra un gemito e l'altro dirò "chi è traditore? non certamente Gloucester".

 

(Escono tutti, eccetto la Regina, il Cardinale, Suffolk e York. Somerset sta in disparte)

 

MARGHERITA: Magnanimi signori, la fredda neve si liquefa ai caldi raggi del sole: Enrico, mio signore, è troppo freddo nelle grandi occasioni, troppo pieno di futile pietà, e l'apparente bontà di Gloucester lo inganna come il coccodrillo lacrimoso sorprende con quella finzione di dolore i creduli viandanti; o come il serpente che con pelle lucida e screziata sta attorcigliato su una riva fiorita e punge un fanciullo che lo crede buono perché e tanto bello. Credetemi, signori, se nessuno fosse più saggio di me - eppure in questo caso mi credo di buon senso - Gloucester dovrebb'essere spacciato al più presto via da questo mondo se vogliamo liberarci dal timore che egli ci incute.

CARDINALE: E' assai opportuno che egli muoia; ma abbiamo bisogno di un buon pretesto per la sua morte; è giusto che sia condannato secondo le forme di legge.

SUFFOLK: No, questa a mio avviso non sarebbe buona politica: il re s'adoprerà di salvargli la vita; probabilmente la borghesia si solleverà per salvargli la vita; e d'altra parte non abbiamo che futili argomenti, poco più che sospetti, per dichiararlo meritevole di morte.

YORK: E così, ragionando a questo modo, non vorreste che morisse.

SUFFOLK: Ah! York, non c'è nessuno che più di me lo voglia morto.

YORK: E' York che più di tutti ha ragione di volerlo morto. Ma voi, lord cardinale, e voi, lord Suffolk, dite quello che pensate nell'intimo del cuore, non è tutt'uno mettere Humphrey a proteggere il re o un'aquila con lo stomaco vuoto a difesa del pollame contro l'astore affamato?

MARGHERITA: Così i poveri polli sarebbero sicuri della morte.

SUFFOLK: Madama, è vero; e non sarebbe pazzia fare la volpe guardiana dell'ovile, e sebbene sia giudicata astuta e sanguinaria, passare sopra alla sua inclinazione alla colpa solo perché non ha ancora effettuati i suoi propositi? No, muoia per il solo fatto che è volpe.

La natura la dichiara nemica del gregge prima ancora che le sue fauci si tingano di sangue, allo stesso modo che la ragione dichiara Humphrey nemico del mio re. E non state a guardare tanto pel sottile come l'ucciderete: sia con trappole o con lacciuoli, sia per astuzia, nel sonno o nella veglia, poco importa come, purché muoia; poiché onesto è quell'inganno che confonde colui che ha tramato inganni per primo.

MARGHERITA: Nobilissimo Suffolk, queste sono parole risolute.

SUFFOLK: Per niente risolute, se non si traducono in pratica; perché spesso si parla e raramente si vuole agire. Ma, trattandosi di azione meritoria, il mio cuore e la mia lingua sono d'accordo, e, per salvare il re dal suo nemico, dite una sola parola e gli darò io gli estremi conforti religiosi.

CARDINALE: Ma, Suffolk, vorrei che morisse prima che possiate prendere gli ordirli sacri: se acconsentite e ritenete giusto questo atto, ditelo e gli troverò il boia, tanto mi sta cuore la salvezza del sovrano.

SUFFOLK: Qua la mano: val la pena di farlo.

MARGHERITA: E così la penso anch'io.

YORK: E io pure: e ora che noi tre abbiamo parlato, poco importa se altri impugna la nostra condanna.

 

(Entra un Corriere)

 

CORRIERE: Grandi signori, vengo dall'Irlanda a marce forzate, per informarvi che i ribelli sono in armi e passano gli Inglesi a fil di spada. Mandate soccorsi, signori, e arrestate questa furia in tempo, prima che la ferita sia incurabile, poiché sinché è fresca, v'è grande speranza che si sani.

CARDINALE: E' una breccia che deve essere subito chiusa! che consiglio date in questo frangente?

YORK: Che Somerset sia mandato là come Reggente. E' giusto che si impieghi un reggitore così fortunato: basta pensare al successo che ha avuto in Francia!

SOMERSET: Se York con tutta la sua sottile politica fosse stato Reggente in vece mia non sarebbe rimasto in Francia così a lungo.

YORK: No certo, né l'avrei perduta tutta come hai fatto tu. Avrei preferito morire subito piuttosto che, restando là finché tutto fu perduto, riportare a casa un tal carico di disonore. Mostrami il segno d'una sola cicatrice sulla pelle: chi la conserva così intatta raramente vince.

MARGHERITA: Ma via; questa è una scintilla che diventerà un grande incendio se si portano a nutrirla esca e vento. Chetatevi, buon York; e voi, caro Somerset, state zitto: se tu, York, fossi stato Reggente colà, la tua fortuna sarebbe stata forse peggio della sua.

YORK: Come! peggio di nulla? allora, vergogna a tutti.

SOMERSET: E a te fra gli altri che auguri vergogna.

CARDINALE: Monsignore di York, mettete alla prova la vostra fortuna. I barbari Irlandesi sono in armi e stemperano la creta col sangue degli Inglesi: volete condurre in Irlanda un corpo di truppe scelte da ciascuna contea e tentar la vostra fortuna contro costoro?

YORK: Lo farò, mio signore, se piace a Sua Maestà.

SUFFOLK: Come! la nostra autorità implica il suo consenso e quello che decidiamo noi egli conferma: allora, nobile York, assumiti senz'altro questo compito YORK: Sta bene: provvedetemi di soldati, signori, mentre metto in ordine i miei affari.

SUFFOLK: Penserò io a sbrigare questa incombenza, monsignore di York.

Ma ritorniamo al falso duca Humphrey.

CARDINALE: Non parliamone più, perché lo tratterò in modo tale che non ci darà altra molestia. E così separiamoci, la giornata è quasi finita. Lord Suffolk, voi e io dobbiamo parlare di quell'avvenimento.

YORK: Monsignore di Suffolk, aspetto i miei soldati a Bristol entro due settimane e là li farò imbarcare per l'Irlanda.

SUFFOLK: Sarà fatto a puntino monsignore di York.

 

(Escono tutti tranne York)

 

YORK: Ora o mai, York, devi irrigidire i tuoi pavidi pensieri e mutare i vacillanti propositi in risolutezza: sii quello che speri di essere, o abbandona alla morte quello che sei, ché non val la pena di goderlo.

La paura pallida stia col plebeo e non trovi asilo in un cuore regale.

Più fitti che acquazzoni primaverili i pensieri sopravvengono l'uno all'altro, e non ve n'è uno che non si riferisca al potere. Il cervello, più affaccendato d'un ragno laborioso, intesse moleste reti per impigliarvi i miei nemici. Bene, signori, bene; astuti davvero a spedirmi lontano con un esercito! Temo che vi stiate riscaldando in seno il serpe affamato, che, ristorato, vi pungerà al cuore. Gli uomini erano proprio quello che mi mancava e voi me li date. Ve ne sono grato: eppure siate certi che è come se metteste armi affilate in mano ad un pazzo. Mentre mi formerò in Irlanda un possente esercito, susciterò in Inghilterra una tenebrosa tempesta che manderà migliaia di anime in paradiso o le precipiterà all'inferno; e questo tremendo turbine non cesserà di infuriare finché l'aureo serto sul mio capo, come i raggi luminosi dello splendido sole, non calmi la furia di questo pazzo uragano. Come strumento dei miei propositi ho indotto un risoluto uomo del Kent, Giovanni Cade di Ashford, ad agitare il popolo col nome di Giovanni Mortimer, e bene vi riuscirà. In Irlanda ho visto questo Cade tener testa con fermezza a una schiera di armati, e combattere così a lungo che le sue cosce erano coperte di frecce come un istrice irto di aculei, e alla fine, appena salvato, l'ho visto balzare in piedi e sgambettare come un danzatore di moresca, scuotendo quei dardi insanguinati come il ballerino fa coi sonagli. E spesso, travestito sì da parere un furbo e irsuto Irlandese, si è messo in comunicazione coi nemici, e, senza essere scoperto, è ritornato nuovamente da me a informarmi delle loro furfanterie. Questo demonio sarà qui mio luogotenente, poiché rassomiglia il defunto Mortimer al viso, all'andatura, all'accento: per mezzo suo scandaglierò gli umori del popolo e vedrò che cosa pensa della casa di York e delle sue pretese. E se fosse preso, straziato e torturato, so che nessun tormento che gli si possa infliggere gli farà mai dire che l'ho persuaso io a prendere le armi. Se ha fortuna, come è molto probabile, ebbene, ecco che io torno dall'Irlanda con le truppe e mieto dove quel furfante ha seminato; poiché, morto Humphrey, come certamente sarà, e deposto Enrico, il primo a farsi avanti sarò io.

 

(Esce)

 

 

 

SCENA SECONDA - Bury Saint Edmunds. Una sala di parata

(Entrano a passo rapido alcuni Assassini)

 

PRIMO ASSASSINO: Correte da monsignor di Suffolk e ditegli che abbiamo spacciato il duca secondo i suoi ordini.

SECONDO ASSASSINO: Oh! fosse ancor da fare! Che abbiamo mai fatto? hai mai sentito un uomo così pieno di contrizione?

PRIMO ASSASSINO: Ecco che viene monsignore.

 

(Entra Suffolk)

 

SUFFOLK: Avete sbrigato questa faccenda?

PRIMO ASSASSINO: Sì, mio buon signore, è morto.

SUFFOLK: Ottimamente. Andate a casa mia e riceverete la ricompensa per questo atto rischioso. Il re e i pari stanno per venire. Avete acconciato bene il letto? Sta tutto in ordine come vi ho detto di fare?

PRIMO ASSASSINO: Sì, mio buon signore.

SUFFOLK: Via! andatevene.

 

(Escono gli Assassini)

(Suono di trombe. Entrano RE ENRICO, la REGINA MARGHERITA, il CARDINALE, BEAUFORT e SOMERSET con persone del Seguito)

 

ENRICO: Andate subito a convocare nostro zio alla nostra presenza; ditegli che intendiamo di giudicar Sua Grazia oggi e di vedere se è colpevole come si è affermato.

SUFFOLK: Vado subito a chiamarlo, sire.

ENRICO: Signori, prendete i vostri posti; e vi prego tutti di non esser severi contro il nostro zio di Gloucester, se non in quanto veritiere testimonianze di persone probe dimostrino che egli ha ordito colpevoli macchinazioni.

MARGHERITA: Dio non voglia che il malanimo la vinca a tal punto da far condannare un patrizio innocente. Preghiamo il cielo che possa liberarsi da ogni sospetto!

ENRICO: Grazie, Margherita, queste tue parole mi danno molto sollievo.

 

(Rientra SUFFOLK)

 

Come! perché sei così pallido? e perché tremi? dov'è nostro zio? che c'è, Suffolk?

SUFFOLK: Morto nel suo letto, sire: Gloucester è morto.

MARGHERITA: Dio non voglia!

CARDINALE: Segreto giudizio di Dio: ho sognato questa notte che il duca era muto e non poteva proferir parola.

 

(Il Re sviene)

 

MARGHERITA: Che ha il mio signore? Aiuto, signori! Il re è morto!

SOMERSET: Sollevatelo, strizzategli il naso.

MARGHERITA: Correte, andate, aiuto, aiuto! Oh! Enrico, apri gli occhi!

SUFFOLK: Ritorna in sé madama, calmatevi.

ENRICO: O Dio del cielo!

MARGHERITA: Come sta il mio grazioso signore?

SUFFOLK: Confortatevi, mio sovrano; grazioso Enrico, confortatevi!

ENRICO: Come? Monsignor di Suffolk mi conforta? Poco fa è venuto a gracchiare la nota del corvo, il cui tetro suono mi ha tolto le forze vitali ed ora crede che il cinguettio di uno scricciolo, invitandomi con cuor falso a confortarmi, scacci l'impressione del primo suono?

Non nascondere il veleno sotto queste melate parole, non mi metter le mani addosso, desisti, dico: il loro tocco mi spaventa come la puntura di un serpe. Tu, funesto messaggero, nasconditi alla mia vista! nelle tue pupille sta la violenza sanguinaria e in truce maestà spaventa il mondo. Non guardarmi, poiché i moi occhi mi feriscono: o piuttosto non andartene; vieni e come un basilisco uccidi coi tuoi sguardi l'innocente che ti contempla, poiché nell'ombra della morte troverò gioia, e nella vita solo una doppia morte, ora che Gloucester è spirato.

MARGHERITA: Perché rimproverate così monsignore di Suffolk? Sebbene il duca gli fosse nemico, pure egli da buon cristiano ne lamenta la morte: e quanto a me, sebbene mi fosse ostile, se lacrime profuse o gemiti che spezzano il cuore o sospiri che consumano il sangue potessero richiamarlo in vita, vorrei essere accecata dal pianto, alterata dai gemiti, e pallida come la primula pei sospiri che mi bevessero il sangue, se tutto questo servisse a far rivivere il nobile duca. Chissà quel che il mondo può pensare di me? poiché è risaputo che non eravamo buoni amici e si può ritenere che il duca lo abbia fatto uccidere io: e così la mia reputazione sarà ferita dalla lingua velenosa della calunnia, e le corti dei principi si riempiranno di voci della mia infamia. Questo è tutto quello che guadagno con la sua morte: ahimè infelice! essere regina e coronata di infamia.

ENRICO: Ahimè, Gloucester sciagurato!

MARGHERITA: Dovresti dolerti per me più sciagurata di lui. Come! torci il viso da un'altra parte e lo nascondi? Non sono una lebbrosa che metta ribrezzo: guardami. Che! sei diventato sordo come una vipera?

Sii allora anche velenoso e uccidi la tua desolata regina. E' ogni tuo conforto chiuso nella tomba di Gloucester? Vuol dire allora che madonna Margherita non è mai stata la tua gioia: fa' a lui una statua e venerala, e fa' della mia immagine un'insegna d'osteria. E' dunque per questo che ho fatto quasi naufragio, e per questo il vento contrario mi ha dalle spiagge d'Inghilterra respinta per ben due volte alla mia terra natale? Che voleva dir questo se non che il vento con sicura profezia sembrava esortarmi a non cercare questo nido di scorpioni né a metter piede su questa spiaggia ostile? E allora io maledicevo quegli amorevoli venti e chi li aveva scatenati dalla loro ferrea caverna, e li esortavo a spirare verso la benedetta spiaggia inglese o, altrimenti, a spingere la nostra poppa contro un terribile scoglio! Ma Eolo non volle uccidermi per lasciare a te questo compito odioso: il bel mare caracollante ricusò di affogarmi sapendo che tu mi avresti affogata sulla spiaggia con lacrime amare come la salsedine, provocate dalla tua durezza: gli scogli che tutto infrangono si nascosero nel fondo sabbioso e non vollero urtarmi con le irte punte affinché il tuo cuore di selce, più duro di loro, uccidesse Margherita nel tuo stesso palazzo. Rimasi sulla tolda della nave nella tempesta ad osservare per quanto potei le tue rupi biancastre, mentre dalla tempesta venivamo respinti lontano dalla riva, e quando il cielo oscurandosi celò ai miei occhi ansiosi la vista della tua terra, mi levai dal collo un costoso gioiello: era in forma di cuore circondato di diamanti; e lo gettai verso la terra, e il mare lo accolse, e così mi augurai che il tuo corpo potesse fare del mio cuore: e proprio in quel momento non vedendo più la bella Inghilterra, dissi ai miei occhi di seguire il mio cuore e li chiamai ciechi e appannati occhiali per aver perduto di vista la desiderata costa di Albione. Quante volte ho invitato Suffolk strumento della tua vergognosa incostanza, a sedere presso di me e a incantarmi con la sua lingua, come faceva Ascanio con Didone pazza d'amore quando le raccontava le gesta di suo padre a cominciare dall'incendio di Troia! Non sono stregata come lei? o non sei tu falso come lui? Ahimè! non posso più parlare. Muori, Margherita, poiché Enrico si duole che tu sia vissuta così a lungo.

 

(Rumore dall'interno. Entrano WARWICK SALISBURY, e molti Borghesi)

 

WARWICK: Corre voce, possente sovrano, che il buon duca Humphrey sia stato fatto assassinare a tradimento da Suffolk e dal cardinale Beaufort. I borghesi sono come un furioso sciame di api che hanno perduto la regina, si sparpagliano qua e là, e non badano a chi pungono pur di vendicarlo. Io stesso ho calmato il loro fermento sedizioso, almeno finché non si sappia il modo della sua morte.

ENRICO: Che egli sia morto, buon Warwick, è purtroppo vero; ma come sia morto lo sa Dio e non Enrico. Entrate nella sua stanza, guardate il corpo esanime e poi avrete di che spiegare la sua morte improvvisa.

WARWICK: Lo farò, mio sire. Salisbury, resta col popolo irritato finché non ritorno.

 

(Escono Warwick e Salisbury)

 

ENRICO: Tu, sommo giudice di tutte le cose, arresta i miei pensieri che tentano di persuadermi che mani violente abbiano attentato alla vita di Humphrey. Se il mio sospetto è infondato perdonami, o Dio, poiché tu solo puoi giudicare. Vorrei ben riscaldare con innumerevoli baci le sue pallide labbra e versare sul suo viso infinite lacrime amare e dire alla sua muta ed esanime spoglia quanto io lo abbia amato, e toccare con la mia mano la sua che non risponde: ma vane sono tutte queste meschine onoranze, e vedere la sua morta immagine terrena non farebbe che accrescere la mia afflizione.

 

(Rientrano WARWICK e gli altri portando il cadavere di GLOUCESTER su un letto)

 

WARWICK: Venite qui, grazioso sire, e guardate questo cadavere.

ENRICO: Sì, per vedere quanto sia profonda la mia tomba; poiché con la sua anima se ne è andato ogni mio conforto terreno e veder lui è vedere la mia vita sotto le sembianze della morte.

WARWICK: Come è vero che la mia anima vuol vivere eternamente con quel temuto re che assunse forma mortale per liberarci dalla maledizione e dalla collera di Dio padre, credo fermamente che questo duca illustre sia stato ucciso da mani violente.

SUFFOLK: Tremenda asserzione espressa con solenni parole! ma che prove può portare lord Warwick per questa sua asseverazione?

WARWICK: Vedete come il sangue gli stagna sul viso. Ho visto molte persone morte naturalmente, cineree, smunte, pallide perché tutto il sangue discende al cuore affannato, che ve lo trae per averne aiuto nella lotta che combatte contro la morte, e questo sangue si raggela colà e non torna più ad abbellire la guancia col rossore. Ma vedete la sua faccia è nera e piena di sangue, gl occhi sporgono più di quando era vivo, orrendamente sbarrati come quelli di un uomo strangolato, i capelli irti, le narici dilatate dallo sforzo, le mani stese come quelle di chi si sia divincolato negli ultimi aneliti e sia stato sopraffatto dalla violenza. Guardate: i suoi capelli sono appiccicati al lenzuolo; la barba, sempre accuratamente tenuta, è confusa e scompigliata come grano d'estate allettato dalla tempesta; il meno importante di questi indizi prova sicuramente che è stato assassinato su questo letto.

SUFFOLK: Come, Warwick! chi avrebbe dovuto uccidere il duca? io stesso e Beaufort l'avevamo in consegna; e vorrei sperare, signor mio, che noi non siamo assassini.

WARWICK: Ma eravate entrambi nemici giurati del duca Humphrey e proprio voi l'avevate in consegna: è naturale che non gli faceste festa come a un amico, e infatti è evidente che ha trovato un nemico.

MARGHERITA: Questo è come dire che ritenete questi nobili colpevoli della morte prematura del duca.

WARWICK: Se si trova una mucca morta e sanguinante di fresco, e si vede lì presso un beccaio con la scure, chi non penserà che l'uccisore è lui? chi trova la pernice nel nido del nibbio, immagina come l'uccello sia morto, sebbene il nibbio voli in alto col becco non insanguinato. Altrettanto sospetta si presenta questa tragedia.

MARGHERITA: Siete voi il beccaio, Suffolk? e dov'è il vostro coltello?

e Beaufort un nibbio? ma dove sono i suoi artigli?

SUFFOLK: Non porto coltello per uccidere i dormienti; ma ecco qui una spada vendicatrice arrugginita nell'ozio che ripulirò nel cuore maligno di colui che mi calunnia con la taccia sanguinosa dell'omicidio. Di', se l'osi, superbo signore di Warwick, che io sono colpevole della morte del duca.

 

(Escono il Cardinale e altri)

 

WARWICK: Che cosa non ardisce Warwick, se il falso Suffolk ardisce sfidarlo?

MARGHERITA: Non ardirà calmare il suo spirito ribelle né cesserà di essere un detrattore arrogante, anche se Suffolk lo sfidasse ventimila volte.

WARWICK: Madama, state zitta, sia detto con tutto il rispetto, poiché ogni parola che dite a suo favore è un'offesa alla vostra reale dignità.

SUFFOLK: Stolto signore e ignobile nella tua condotta! Se mai si può credere che una dama abbia fatto tal torto al marito, non vi è dubbio che tua madre deve aver accolto nel suo letto di peccato qualche rozzo villanzone ignorante, e che sul nobile tronco è stato innestato un ramo di pianta selvatica, e tu ne sei il frutto; tu, che non puoi aver mai appartenuto alla nobile razza dei Nevil.

WARWICK: Se non fosse che la tua stessa colpa d'omicida ti difende e che non voglio rubare il mestiere al boia liberandoti da un'infamia senza nome, e se non fosse ancora che la presenza del sovrano m'impone moderazione, falso e vile assassino, ti farei chieder perdono in ginocchio delle tue parole, e ti obbligherei a riconoscere che parlavi di tua madre e che questa ti ha fatto bastardo: e dopo averti costretto a questo pavido atto di sottomissione, ti pagherei a dovere e manderei l'anima all'inferno, pernicioso succhiatore di sangue di dormienti!

SUFFOLK: E tu sarai sveglio quando ti caverò sangue, se avrai il coraggio di seguirmi fuori di qui WARWICK: Via anche subito, o ti trascinerò a forza fuori di qui:

sebbene tu ne sia indegno, incrocerò la spada con la tua e darò qualche conforto allo spirito del duca Humphrey.

 

(Escono Suffolk e Warwick)

 

ENRICO: Non vi è corazza più forte di un cuore incontaminato! tre volte armato è chi difende il giusto; e inerme, sebbene coperto di ferro, è colui la cui coscienza è corrotta dall'ingiustizia.

 

(Rumore interno)

 

MARGHERITA: Che rumore è questo?

 

(Rientrano SUFFOLK e WARWICK con le spade sguainate)

 

ENRICO: Che mai, signori! qui in nostra presenza con armi che vi ha messe in mano la collera! che ardire è questo? come! e che è questo clamore tumultuoso?

SUFFOLK: Il traditore Warwick e gli uomini di Bury mi hanno assaltato, possente sovrano.

 

(Rientra SALISBURY)

 

SALISBURY (al Popolo che entra): Messeri, state in disparte: è giusto che il re sappia che cosa pensate. Venerato sovrano, il popolo vi fa sapere per bocca mia che, se Suffolk non è immediatamente messo a morte o bandito dalla bella Inghilterra, sarà strappato a forza dal vostro palazzo e torturato con lenta e atroce morte. Dicono che è stato lui a uccidere il duca Humphrey e che quindi temono che farà altrettanto con Vostra Altezza, e che un impulso di amore e lealtà, libero da ogni intento di caparbia opposizione, come di contrastare i vostri voleri, fa loro chiedere così insistentemente che sia messo al bando. A tutela della vostra reale persona dicono che se Vostra Maestà volesse dormire e desse ordine di non essere disturbato, pena il vostro risentimento o la morte, nonostante tale ordine perentorio, se si vedesse un serpente con lingua forcuta strisciare di soppiatto verso di voi, sarebbe pur necessario svegliarvi; poiché altrimenti, se vi si lasciasse in questo pernicioso sonno, il serpe velenoso potrebbe renderlo eterno; e perciò gridano che, lo vogliate o no, cercheranno di difendervi da serpenti così feroci com'è il falso Suffolk, che col morso velenoso ha turpemente privato della vita il vostro amato zio che valeva venti volte più di lui.

POPOLO (dall'interno): Una risposta dal re, monsignor di Salisbury!

SUFFOLK: E' proprio da plebei rozzi e zotici mandare tal ambasciata al loro sovrano; ma voi, mio signore, avete gradito l'incarico che vi permetteva di mettere in mostra la vostra forbita eloquenza: però tutto l'onore che Salisbury si è acquistato è l'esser divenuto ambasciatore di calderai.

POPOLO (dall'interno) Una risposta dal re, o entreremo a forza!

ENRICO: Va', Salisbury, e di' loro da parte mia che li ringrazio per le loro amorevoli premure, e che anche se non vi fossi così spinto da loro, già mi proponevo di fare quello che ora chiedono, poiché continui presentimenti m'avvertono che Suffolk cercherà di minare la mia autorità; e perciò giuro per la maestà di Colui di cui sono indegno rappresentante in terra che egli non infetterà col respiro quest'aria per altri tre giorni, pena la morte.

 

(Esce Salisbury)

 

MARGHERITA: O Enrico, lasciami perorare per il nobile Suffolk.

ENRICO: Regina poco nobile, se chiami nobile Suffolk! basta, dico; se lo difenderai non farai che accrescere in me la collera. Anche se l'avessi soltanto detto, manterrei la parola; ma quando ho giurato, essa diventa irrevocabile. Se dopo tre giorni sarai trovato su alcuna terra del regno, il mondo intero non ti riscatterà la vita. Suvvia, Warwick, suvvia, buon Warwick, vieni con me; ho gravi cose da comunicarti.

 

(Escono tutti tranne la Regina e Suffolk)

 

MARGHERITA: Il malanno e il dolore vi accompagnino! Struggicuore e amara ambizione siano i vostri compagni di giuoco. Che bel paio! il diavolo faccia da terzo e vendetta a tre doppi segua i vostri passi!

SUFFOLK: Lascia, nobile regina, queste maledizioni, e permetti a Suffolk di accomiatarsi dolorosamente da te.

MARGHERITA: Vergogna! vile donnicciuola e miserabile infrollito! non hai fiato da maledire i tuoi nemici?

SUFFOLK: La peste li colga! Ma perché li maledirei? Se le maledizioni uccidessero come i gemiti della mandragora, inventerei termini amari e aspri e duri e orribili a udire, che proferirei energicamente a denti stretti con segni di odio mortale quali possono essere quelli dell'invidia sparuta nella sua aborrita grotta. Le mie parole sarebbero così piene di passione che la lingua incespicherebbe a pronunciarle; mi scintillerebbero gli occhi come selce percossa; mi si rizzerebbero i capelli in capo come a un pazzo, sì, ogni parte del corpo sembrerebbe maledirli e bestemmiarli e sin da ora il cuore oppresso si spezzerebbe, se non lo facessi. Veleno sia la loro bevanda! Fiele, peggio che fiele, il più prelibato sapore che possano gustare; l'ombra più dolce, un folto di cipressi, e basilischi mortiferi lo spettacolo più attraente! il tocco più morbido dia loro tanto bruciore quanto la puntura della lucertola, la loro musica sia spaventosa come il sibilo del serpente e civette di malaugurio completino il concerto! Tutti i più sozzi terrori dell'inferno tenebroso...

MARGHERITA: Basta, amato Suffolk: tu ti tormenti; e queste terribili maledizioni come il sole contro il vetro e come un fucile troppo carico possono rimbalzare e rivolgere le loro forze contro te stesso.

SUFFOLK: M'hai fatto maledire ed ora mi dici di smetterla? Per questo suolo da cui sono bandito, potrei maledire una intiera notte d'inverno, stando nudo sulla cima di un monte, dove il freddo mordente non lasciasse crescere erba, e mi parrebbe un minuto passato in giuoco.

MARGHERITA: Oh! lasciati persuadere da me, cessa. Dammi la mano, ché possa bagnarla con tristi lacrime; né la pioggia del cielo possa cancellare le tracce della mia mestizia. Oh! potesse questo bacio imprimersi sulla tua mano perché tu potessi, dal loro suggello, pensare a queste labbra attraverso a cui s'esalan per te mille sospiri; ma vattene, perché io possa conoscere il mio dolore; è solo immaginario finché mi stai vicino: è come pensare alla privazione quando si è nell'abbondanza. Riuscirò a farti richiamare dal bando, o, stanne pur sicuro, cercherò di far bandire me pure; e bandita sono già, se non altro da te. Vattene, non parlarmi, vattene subito. Oh, non andare ancora: così due amici condannati si abbracciano, si baciano, e si congedano mille volte, assai più restii a lasciarsi che a morire. Eppure, addio; e addio alla vita quando te ne sarai andato.

SUFFOLK: Così il povero Suffolk è dieci volte bandito, una volta dal re e nove da te medesima. Non è questa terra che mi importi, quando tu non ci sia; il deserto sarebbe anche troppo popolato se Suffolk avesse la tua celestiale compagnia, perché dove sei tu, colà è il mondo con tutti i piaceri che può dare; e dove non sei tu, non è che desolazione. Non posso più parlare, vivi e godi: io stesso avrò gioia soltanto dal sapere che tu vivi.

 

(Entra VAUX)

 

MARGHERITA: Dove si dirige Vaux con tanta fretta? Che notizie, di grazia?

VAUX: A informare Sua Maestà che il cardinale Beaufort è in punto di morte; perché lo ha colpito improvvisamente un grave malore che gli toglie il respiro, gli fa sbarrare gli occhi e lo fa boccheggiare, bestemmiando Dio e maledicendo gli uomini sulla terra. Talvolta parla come se lo spettro del duca Humphrey gli fosse a fianco del letto, talvolta chiama il re e sussurra al suo guanciale, come bisbigliasse a lui i segreti dell'anima oppressa; e mi si manda a informare Sua Maestà che anche ora lo invoca a gran voce.

MARGHERITA: Andate pure a portare questa triste notizia al re. (Esce Vaux) Ahimè, che mondo è mai questo! che notizie son queste! ma perché mi dolgo di una perdita di così poco conto, dimenticando il bando di Suffolk, tesoro dell'anima mia? perché, Suffolk, non piango solo per te, gareggiando in lacrime con le nubi del mezzogiorno? le loro per accrescere la fertilità della terra, le mie per aumentare il mio dolore? Ed ora, vattene: il re, lo sai, sta per venire; se ti trova presso di me, sei morto.

SUFFOLK: Se mi allontano da te, non posso vivere, e morire sotto i tuoi occhi sarebbe come dormire piacevolmente con la testa nel tuo grembo; qui potrei mandare l'ultimo respiro quietamente e dolcemente come un bambino in culla che muoia con la mammella materna fra le labbra. Invece, lontano dalla tua vista, impazzirei e ti invocherei perché mi chiudessi gli occhi e la bocca coi baci: così ricacceresti indietro l'anima fuggente o io la spirerei così entro al tuo corpo che vi vivrebbe in dolce Eliso. Morire presso di te sarebbe un giuoco, e lontano da te una tortura peggiore della morte stessa. Oh! lasciami rimanere, accada quel che vuole accadere.

MARGHERITA: Via! sebbene la separazione sia un doloroso corrosivo, dobbiamo applicarlo a una ferita che sarebbe altrimenti mortale. In Francia, caro Suffolk; mandami tue notizie, poiché, dovunque tu sia su questa terra, scoprirò un'Iride che saprà trovarti.

SUFFOLK: Vado.

MARGHERITA: E portati il mio cuore con te.

SUFFOLK: Un gioiello chiuso nel più doloroso scrigno che abbia mai contenuto cosa di valore. Ci separiamo come una barca che si spacca in due: da questa parte io cado verso la morte.

MARGHERITA: E io da quest'altra.

 

(Escono da parti diverse)

 

 

 

SCENA TERZA - Una camera da letto

(Entrano RE ENRICO, SALISBURY, WARWICK e si avvicinano al letto del Cardinale)

 

ENRICO: Come sta monsignore? parla, Beaufort al tuo sovrano.

CARDINALE: Se tu sei la morte ti darò il tesoro dell'Inghilterra, quanto basti per comprare un'altr'isola simile a questa, purché tu mi lasci vivere e non mi faccia più sentir dolore.

ENRICO: Ah! che segno di cattiva vita, quando 1'avvicinarsi della morte appare terribile!

WARWICK: Beaufort, è il tuo sovrano che ti parla.

CARDINALE: Portatemi ai giudizio quando volete. Non è morto a letto? e dove avrebbe dovuto morire? e so io far vivere la gente, voglia o non voglia? Oh! non torturatemi più! confesserò! Tornate in vita? allora mostratemi dov'è: darei mille sterline per poterlo vedere. Non ha occhi, la polvere li ha accecati. Pettinategli in giù i capelli:

guardate, guardate! gli si rizzano sul capo come rami invischiati a prendere le ali della mia anima. Datemi da bere e dite allo speziale di portarmi il veleno potente che ho comprato da lui.

ENRICO: Tu che muovi eternamente i cieli guarda con occhio pietoso questo sciagurato; allontana l'intrigante demonio instancabile che strettamente assedia l'anima di questo sciagurato, e libera il suo petto da questa nera disperazione.

WARWICK: Vedete come le trafitture della morte lo fanno ghignare!

SALISBURY: Non turbatelo, lasciatelo morire in pace.

ENRICO: E pace all'anima sua, se così piace a Dio. Cardinale, se pensi alla beatitudine celeste, alza la mano, da' segno che speri. Egli muore e non dà segno. Oh! Dio, perdonagli.

WARWICK: Da così brutta morte si può arguire quanto mostruosa sia stata la sua vita.

ENRICO: Astenetevi dal giudicare, perché siamo tutti peccatori.

Chiudetegli gli occhi; abbassate le cortine, e andiamo tutti a meditare.

 

(Escono)

 

 

 

ATTO QUARTO

 

SCENA PRIMA - La costa del Kent

(Allarme. Si combatte sul mare. Sparo di cannoni. Entrano un COMANDANTE, un CAPITANO e un SECONDO, GUALTIERO WHITMORE e altri; con loro SUFFOLK e altri Prigionieri)

 

COMANDANTE: Il gaio giorno propalatore e pietoso a poco a poco è calato in seno al mare: ora i lupi ululanti svegliano le brenne che tirano il melanconico e tragico carro della notte; con le ali sonnolente, pigre e cadenti esse sfiorano le tombe dei morti e dalle fauci nebbiose spirano nell'aria una turpe oscurità infetta. Traete dunque fuori i prigionieri, perché mentre la nostra pinaccia è ancorata presso i Downs, stabiliscano che riscatto sono pronti a pagare, o tingano del loro sangue questa spiaggia macchiandola.

Capitano, ti dono questo prigioniero, e tu che sei il suo secondo prenditi quest'altro come sua preda; e il terzo è la tua parte, Gualtiero Whitmore.

PRIMO GENTILUOMO: Qual è il mio riscatto, capitano? dimmelo.

CAPITANO: Mille corone o ci rimetti la testa SECONDO: E altrettanto darete voi o perderete la vostra.

CAPITANO: Come! vi par molto pagare duemila corone voi che avete nome e stile di gentiluomini? Tagliate le gole a entrambi questi furfanti!

A morte: la vita di quelli che abbiamo perduti in combattimento non si compensa con una somma così meschina!

PRIMO GENTILUOMO: Le darò, messere, e perciò risparmiatemi la vita.

SECONDO GENTILUOMO: E così farò io, e scriverò subito a casa.

WHITMORE: Nell'andare all'arrembaggio ho perduto un occhio e per questo morirai, a Suffolk) e così sarebbe di costoro se potessi fare a modo mio.

COMANDANTE: Non essere così precipitoso: prendi il riscatto e lascialo vivere.

SUFFOLK: Guarda il mio San Giorgio: sono un gentiluomo; fissa il prezzo che credi e sarai pagato.

WHITMORE: Sono anch'io un gentiluomo, il mio nome è Walter Whitmore. E come! perché trasalisci? ti spaventa la morte?

SUFFOLK: Mi spaventa il tuo nome, il cui suono è morte. Un indovino trasse l'oroscopo dalla mia nascita e mi disse che sarei morto per l'acqua, per "water"; ma questo non t'ispiri idee di sangue: il tuo nome è Gualtiero, "Walter", se è pronunciato come si deve.

WHITMORE: Gualtiero o Walter, qualunque sia poco importa. Il vile disonore non deturperà mai il mio nome che non lavassi subito la macchia col sangue: perciò se mercanteggerò mai la vendetta, spezzate pure la mia spada, sfigurate e rompete il mio stemma, proclamatemi codardo dappertutto.

SUFFOLK: Fermati, Whitmore, poiché il tuo prigioniero è un principe, il duca di Suffolk, Guglielmo de la Pole.

WHITMORE: Il duca di Suffolk avvolto in cenci!

SUFFOLK: Sì; ma questi cenci non sono il duca: talvolta Giove assumeva sembianze non sue: perché non potrei farlo io?

COMANDANTE: Ma Giove non fu mai ucciso e tu lo sarai.

SUFFOLK: Villanaccio oscuro, il sangue di re Enrico, l'onorato sangue dei Lancaster non deve essere versato da un vile staffiere. Non mi hai tu baciata la mano e tenuta la staffa? e non hai a testa nuda trottato a fianco della mia mula ingualdrappata, ritenendoti felice se ti facevo un cenno con la testa? Quante volte non sei stato pronto a riempirmi la coppa, non ti sei nutrito degli avanzi del mio tagliere e non ti sei inginocchiato presso la tavola quando banchettavo con la regina Margherita? Ricordatene e siine mortificato, sì, e tempera il tuo orgoglio imbozzacchito. Di', quante volte hai atteso in anticamera rispettosamente finché uscissi? Questa mia mano che con un tratto di penna ti ha conferito favori ora fermerà per incanto la tua lingua sfrenata.

WHITMORE: Parla, comandante, debbo pugnalare questo desolato giovinotto?

COMANDANTE: Lascia prima che le mie parole lo pugnalino come ha fatto con me.

SUFFOLK: Vile marrano, le tue parole son ottuse e così sei tu.

COMANDANTE: Portatelo via di qua e sul bordo del palischermo tagliategli la testa.

SUFFOLK: Non l'oserai se non vuoi perdere la tua.

COMANDANTE: Sì, Pole.

SUFFOLK: Pole!

COMANDANTE: Sì, Pole, ser Pol... tiglia, canile, pozzanghera, sentina, sudiciume e sporcizia che intorbida l'acqua limpida dove l'Inghilterra beve. Ora ti tapperò codesta bocca sempre spalancata a divorare il tesoro del regno: le tue labbra che han baciato la regina, leccheranno la terra; e tu che sorridesti alla morte del buon duca Humphrey ghignerai invano contro i venti insensibili che ti fischieranno in viso per dispregio: e possa tu sposarti alle furie dell'inferno per aver osato di fidanzare un possente signore alla figlia di un re che non val nulla, poiché non ha né sudditi né ricchezze né corona. Con arti diaboliche sei divenuto grande e ti sei saziato dei pezzi insanguinati del cuore della tua madre patria, come fece l'ambizioso Silla. Tu vendesti alla Francia l'Angiò e il Maine e per causa tua i falsi Normanni rivoltosi sdegnano di riconoscere la nostra signoria, e la Picardia ha ucciso i suoi governatori, sorprese le fortezze e rimandati a casa i nostri soldati feriti e in cenci. In odio a te si levano in armi il principesco Warwick e tutti i Nevil, le cui terribili spade non furono mai sguainate invano; ora la casa di York privata della corona dall'uccisione vergognosa di un re incolpevole e dalla superba tirannide usurpatrice, arde del fuoco della vendetta. Le sue bandiere piene di speranza levano in alto il sole che, celato a mezzo, tenta di risplendere col motto "Invitis nubibus". Il popolo del Kent si è levato in armi, e per concludere, vituperio e miseria sono entrati nel palazzo del nostro sovrano, e tutto per causa tua. Via!

portatelo via di qua.

SUFFOLK: Fossi un dio per fulminare questi miserabili schiavi, servili e abbietti! Gli uomini dappoco s'inorgogliscono di nulla: questo furfante, perché è comandante di una barchetta, alza la voce più minacciosamente di Bargulo, il forte pirata illirico. I fuchi non succhiano il sangue delle aquile, ma saccheggiano gli alveari. E' impossibile che io muoia per mano di un basso vassallo come sei tu. Le tue parole suscitano in me collera, non dolore: io porto un messaggio da parte della regina in Francia: ti ordino di traghettarmi sano e salvo attraverso lo stretto.

COMANDANTE: Walter!

WHITMORE: Via, Suffolk, debbo traghettarti alla morte.

SUFFOLK: "Gelidus timor occupat artus": è te che io temo.

WHITMORE: Avrai ragione di temere prima che ti lasci. Come! avete paura ora? Consentite a piegarvi?

PRIMO GENTILUOMO: Mio grazioso signore, supplicatelo, parlategli come si deve.

SUFFOLK: La lingua imperiosa di Suffolk è severa, ruvida, e, usa a comandare, non ha appreso a supplicar favori. Dio mi guardi dall'onorare gente come codesta con umili preghiere: no, il mio capo si china sul ceppo piuttosto che queste ginocchia si pieghino davanti ad alcuno che non sia il re del cielo o il mio sovrano; e la mia testa danzi sulla picca insanguinata piuttosto che stare scoperta in presenza di un volgare staffiere. La vera nobiltà non sa che sia la paura: io posso sopportare assai più di quello che non osiate far voi.

COMANDANTE: Trascinatelo via e che non parli più.

SUFFOLK: Suvvia, soldati, usatemi tutta la crudeltà che potete, perché questa mia morte non sia mai dimenticata. Molti grandi uomini sono morti per mano di ignobili straccioni. Il soave Tullio fu assassinato da uno spadaccino romano, uno sgherro; la mano bastarda di Bruto pugnalò Giulio Cesare e selvaggi isolani uccisero Pompeo Magno:

Suffolk muore per mano di pirati.

 

(Escono Whitmore e altri con Suffolk)

 

COMANDANTE: Quanto a costoro per cui abbiamo stabilito il riscatto, consentiamo che uno di loro se ne vada: parta pure e voi altri venite con me.

 

(Escono tutti tranne un Gentiluomo. Rientra WHITMORE col cadavere di SUFFOLK)

 

WHITMORE: Qui stiano la sua testa e il corpo esanime finché la regina sua amante non dia loro sepoltura.

 

(Esce)

 

PRIMO GENTILUOMO: O barbaro e sanguinoso spettacolo! Porterò il suo corpo al re: se non lo vendicherà, lo faranno i suoi amici; e certamente lo farà la regina che lo ebbe caro in vita.

 

(Esce col cadavere)

 

 

 

SCENA SECONDA - Blackheath

(Entrano GIORGIO BEVIS e GIOVANNI HOLLAND)

 

GIORGIO: Via, trovati una spada, anche di legno: essi sono in ballo da due giorni.

GIOVANNI: E avranno bisogno di dormire.

GIORGIO: Te l'assicuro: Gianni Cade, il lanaiolo, vuol dare nuova veste allo Stato, o rivoltarla e farvi nuovo pelo.

GIOVANNI: E ne ha bisogno perché è tutta sdrucita. Proprio vero: non c'è mai stato bene in Inghilterra da quando i signori son venuti di moda.

GIORGIO: O tempi miserabili! La virtù degli operai non è per niente considerata.

GIOVANNI: Sì, i nobili non soffrirebbero di andare in giro in grembiale di cuoio.

GIORGIO: E c'è di più; nel Consiglio del re non c'è voglia di lavorare.

GIOVANNI: Verissimo; eppure si dice "lavora al tuo mestiere": e questo è come dire "i magistrati siano lavoratori"; dunque noi dovremmo essere i magistrati.

GIORGIO: Giusto così, perché non c'è nessun miglior segno di un buon cervello che una mano incallita.

GIOVANNI: Eccoli! eccoli! c'è il figlio di Best, il conciatore di Wingham...

GIORGIO: Gli daremo le pelli dei nemici da farne pelle di cane per guanti.

GIOVANNI: E Dick il macellaio...

GIORGIO: E allora vedremo abbattere il peccato come un bue e tagliare la gola all'iniquità come a un vitello.

GIOVANNI: E Smith il tessitore...

GIORGIO: Ergo, la loro vita è attaccata a un filo.

GIOVANNI: Suvvia, uniamoci a loro.

 

(Suono di tamburi. Entrano CADE, DICK il macellaio, SMITH il tessitore, un Segantino, seguiti da una grandissima folla)

 

CADE: Noi, Giovanni Cade, così chiamato dal nome del nostro supposto padre...

DICK (a parte): O piuttosto dall'aver rubato un cado o barile di aringhe.

CADE: Poiché i nostri nemici cadranno davanti a noi, animati come siamo dallo spirito di buttar giù re e principi... Di' loro di far silenzio.

DICK: Silenzio!

CADE: Mio padre era un Mortimer...

DICK (a parte): Un galantuomo e buon muratore.

CADE:. Mia madre una Plantageneta...

DICK: La conoscevo benissimo; faceva la levatrice.

CADE: Mia moglie discende dai Lacy.

DICK (a parte): Già: era figlia di un merciaio ambulante e vendeva molti lacci da scarpe.

SMITH (a parte): Ma da qualche tempo in qua, non potendo più girare con la gerla coperta di pelliccia, fa la lavandaia a casa sua.

CADE: Perciò appartengo a un'onorevole casa.

DICK: Proprio: in araldica il campo è una cosa onorevole, ed egli è nato in un campo sotto una siepe, perché suo padre non ha avuto mai altra casa che la prigione.

CADE: Io sono coraggioso.

SMITH (a parte): Bisogna bene, perché la miseria è sempre coraggiosa.

CADE: So sopportare di tutto.

DICK (a parte): Non c'è dubbio, perché l'ho visto frustare in mercato per tre giorni di seguito.

CADE: Non temo né spada né fuoco.

SMITH (a parte): Non ha da aver paura della spada, perché ha una cotta a tutta prova.

DICK (a parte): Ma però dovrebbe aver paura del fuoco perché è stato bollato col ferro rovente su una mano per aver rubato una pecora.

CADE: Siate coraggiosi allora, perché il vostro capitano è coraggioso e giura di fare una riforma generale. In Inghilterra le pagnotte da sette soldi e mezzo saranno vendute per un soldo; la capacità del boccale sarà triplicata, e stabilirò che sia delitto bere birra leggera. Tutto il regno sarà di tutti e il mio palafreno andrà à pascolare in Cheapside. E quando sarò re, e lo sarò...

TUTTI: Dio salvi Vostra Maestà!

CADE: Grazie a tutti, brava gente: dunque, quando sarò re, non ci sarà più denaro, tutti mangeranno e berranno a mie spese, e vi vestirò tutti con la stessa livrea perché andiate d'accordo da buoni fratelli e mi riveriate come vostro signore.

DICK: E la prima cosa che faremo sarà di ammazzare tutti gli avvocati.

CADE: Sì; questo lo voglio proprio fare. Non è una maledetta cosa che dalla pelle di un agnello innocente si faccia cartapecora? che la cartapecora con quattro sgorbi sopra sia la rovina di un uomo? C'è chi dice che l'ape punge; ma io dico che è la cera dell'ape che punge, perché avendo messo una volta il sigillo a un documento non sono mai più stato padrone di me stesso. Oh, chi arriva ora?

 

(Entrano alcuni conducendo il Segretario di Chatham)

 

Smith. Il segretario di Chatham, uno che sa leggere e scrivere e fare di conto.

CADE: Oh, cosa mostruosa!

SMITH: L'abbiamo preso che faceva modelli di calligrafia pei ragazzi.

CADE: Che furfante!

SMITH: In tasca ha un libro con lettere rosse.

CADE: Oilà! dev'essere uno stregone.

DICK: sicuro; sa stendere obbligazioni e scrivere in carattere cancelleresco.

CADE: Me ne dispiace; dev'essere un brav'uomo, sul mio onore, e a meno che non lo trovi colpevole, non morirà. Vieni qui, uomo mio. Debbo interrogarti. Come ti chiami?

SEGRETARIO: Emanuele.

DICK: Lo scrivono di solito al principio delle lettere: vedrai che ti va male.

CADE: Lasciatemi dire. Hai l'abitudine di scrivere il tuo nome o fai il segno di croce come qualsiasi altro galantuomo?

SEGRETARIO: Signore, ringrazio Dio di essere stato allevato così bene da saper scrivere il mio nome.

TUTTI: Ha confessato: portatelo via! è un furfante e un traditore.

CADE: Via, via! dico: impiccatelo con la penna e il calamaio legati al collo.

 

(Esce uno col Segretario)

(Entra MICHELE)

 

MICHELE: Dov'è il nostro generale?

CADE: O tu particolare, eccolo qui.

MICHELE: Scappate, scappate, scappate! Sir Humphrey Stafford e suo fratello sono qui vicino con le truppe del re.

CADE: Fermati, furfante, fermati o ti ammazzo. Egli deve scontrarsi con un suo pari: egli non è che cavaliere, non è vero?

MICHELE: Già?

CADE: E allora per essere suo pari, mi farò subito cavaliere.

(S'inginocchia) Alzati, sir Giovanni Mortimer. E ora addosso!

 

(Entrano SIR HUMPHREY STAFFORD e suo Fratello con tamburi e Soldati)

 

STAFFORD: Ribelli villani, pattume e schiuma del Kent, destinati alla forca, deponete le armi, ritornate alle vostre case; abbandonate questo stalliere: se lo farete, il re userà misericordia.

FRATELLO: Ma sarà adirato, collerico, e pronto al sangue, se persistete: perciò, arrendersi o morire.

CADE: Quanto a questi schiavi vestiti di seta non me ne importa nulla:

buona gente, parlo a voi, perché su voi spero di regnare in seguito, essendo legittimo erede della corona.

STAFFORD: Furfante, tuo padre era muratore e tu un cimatore, non è vero?

CADE: E Adamo era giardiniere.

FRATELLO: E che c'entra?

CADE: C'entra per questo: Edmondo Mortimer conte di March sposò la figlia del duca di Clarence, non è vero?

STAFFORD: Sicuro.

CADE: E da lei ebbe due gemelli.

FRATELLO: Questo è falso.

CADE: Qui sta la questione; ma io vi dico che è vero. Il più vecchio messo a balia fu rapito da una mendicante e, non sapendo da chi era nato e a che famiglia apparteneva, quando fu grande divenne muratore; e io sono suo figlio; negatelo se potete.

DICK: E' verissimo, e perciò sarà re.

SMITH: Signore, ha fatto un camino in casa di mio padre, e i mattoni sono ancor vivi là ad attestarlo, dunque non negatelo.

STAFFORD: E crederete alle parole di questo vile meccanico che non sa neanche lui quel che si dice?

TUTTI: Sì, diamine, perciò andatevene.

FRATELLO: Gianni Cade, è il duca di York che te l'ha insegnato.

CADE (a parte): Mente, perché sono io che l'ho inventato. Andate un po', compare; dite al re da parte mia che per riguardo a suo padre Enrico Quinto, al tempo del quale i ragazzi giocavano corone francesi a testa e croce, permetto che regni ma gli farò da Protettore.

DICK: E inoltre vogliamo la testa di lord Say perché ha venduto il ducato del Maine.

CADE: Ottima ragione; perché l'Inghilterra così è stata storpiata, e andrebbe col bastone se la mia potenza non la tenesse su. Re miei compagni, vi dico che lord Say ha castrato lo Stato e ne ha fatto un eunuco; e di più sa parlare francese e perciò è un traditore.

STAFFORD: O ignoranza grossolana e miserabile!

CADE: Rispondete, se potete: i Francesi sono nostri nemici; e allora, venite via, vi domando solo questo: chi parla con lingua del nemico può essere un buon consigliere, o no?

TUTTI: No, no, e per questo vogliamo la sua testa.

FRATELLO: Bene; visto che le buone parole non servono a nulla, attacchiamoli con le truppe del re.

STAFFORD: Via, araldo, e per ogni città proclama traditori quelli che sono in armi con Cade; di' che coloro che cercheranno di fuggire prima della fine della battaglia saranno impiccati come esempio alle porte delle loro case, sotto gli occhi delle mogli e dei figli. E voi che siete amici del re, seguitemi.

 

(Escono i due Stafford e Soldati)

 

CADE: E voi che amate il popolo, seguite me. Ora siate uomini; è per la libertà. Non lasceremo vivo un solo nobile, un solo gentiluomo: non risparmiate se non chi va in scarponi: questi soli sono galantuomini e prenderebbero le nostre parti se osassero.

DICK: Sono tutti in ordine e marciano contro di noi.

CADE: Il nostro ordine è il massimo disordine. Suvvia: avanti, in marcia!

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA - Un'altra parte di Blackheath

(Allarme. Combattimento. Entrambi gli STAFFORD sono uccisi. Entrano CADE e gli altri)

 

CADE: Dov'è Dick, il macellaio di Ashford ?

DICK: Eccomi, messere.

CADE: Sono caduti davanti a te come pecore e buoi, e ti sei comportato come se fossi nella tua beccheria: e questa sarà la tua ricompensa: la quaresima sarà lunga il doppio e tu avrai licenza di macellare per novantanove persone.

DICK: Non desidero di più.

CADE: A dire la verità non meriti di meno. Porterò questo trofeo della mia vittoria, e i cadaveri di costoro saranno trascinati alla coda del mio cavallo sinché non arriviamo a Londra, dove la spada del sindaco sarà portata in processione davanti a noi.

DICK: Se vogliamo che ci vada bene, apriamo le prigioni e lasciamo in libertà i prigionieri.

CADE: Ve lo garantisco, statene sicuri. Suvvia, marciamo verso Londra.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA - Un'altra parte di Blackheath

(Entrano RE ENRICO con una supplica, la REGINA con la testa di Suffolk, il DUCA DI BUCKINGHAM e LORD SAY)

 

MARGHERITA: Ho sentito dire spesso che il dolore indebolisce la mente e la rende paurosa e degenere; pensiamo perciò alla vendetta e cessiamo di piangere. Ma chi, se continua a guardare questo capo, può cessare dal piangere? La tua testa può riposare qui sul mio petto; ma dov'è il corpo che dovrei abbracciare?

BUCKINGHAM: Che risposta dà Vostra Maestà alla supplica dei ribelli?

ENRICO: Manderò qualche santo vescovo per cercare di persuaderli; perché Dio non voglia che tante anime semplici periscano di spada, e piuttosto che la guerra li uccida, io stesso parlamenterò col loro capo, Gianni Cade. Ma aspettate, voglio rileggerla.

MARGHERITA: Ah! barbari; questo bel viso che ha dominato come un pianeta sopra di me, non poté commuovere quelli che erano indegni di guardarlo?

ENRICO: Lord Say, Gianni Cade ha giurato di aver la tua testa.

SAY: Sì, ma spero che Vostra Maestà avrà prima la sua.

ENRICO: Che mai, signora! continui ancora a far lamenti e lutto per la morte di Suffolk? Temo che, se io fosse morto, non avresti fatto tanti pianti per me, amor mio.

MARGHERITA: Amor mio, no; per te non farei pianti: morirei addirittura.

 

(Entra un Messo)

 

ENRICO: Che notizie porti? perché vieni con tanta fretta?

MESSO: I ribelli sono in Southwark, fuggite, sire. Gianni Cade si proclama lord Mortimer, disceso dalla casa del duca di Clarence, apertamente dichiara Vostra Maestà usurpatore e giura di farsi incoronare re in Westminster. Il suo esercito è una moltitudine cenciosa di servi e contadini rozzi e spietati. La. morte di sir Humphrey Stafford e di suo fratello li ha incoraggiati e rianimati a procedere. Chiamano falsi parassiti i dotti, gli avvocati, i cortigiani, i gentiluomini e vogliono metterli a morte.

ENRICO: Disgraziati! non sanno quello che fanno.

BUCKINGHAM: Amato signore, ritiratevi a Killingworth, sinché non abbiamo raccolto un esercito per domarli.

MARGHERITA: Se il duca di Suffolk fosse vivo questi ribelli del Kent sarebbero ben presto quietati.

ENRICO: Lord Say, i traditori ti odiano, vieni con me a Killingworth.

SAY: Ciò potrebbe mettere in pericolo la persona di Vostra Maestà. La vista mia è odiosa ai loro occhi; e perciò resterò in questa città e vivrò, per quanto è possibile, solo e nascosto.

 

(Entra un altro Messo)

 

MESSO: Gianni Cade si è impadronito del Ponte di Londra; i cittadini fuggono e abbandonano le loro case; la plebaglia assetata di preda si unisce al traditore; e tutti insieme giurano di saccheggiare la città e la vostra corte reale.

BUCKINGHAM: Allora non indugiate, sire; via di qua! montate a cavallo.

ENRICO: Vieni, Margherita: Dio, che è la nostra speranza, ci soccorrerà.

MARGHERITA: Ogni mia speranza se n'è andata ora che Suffolk è morto.

ENRICO (a Lord Say): Addio, signore, non fidarti dei ribelli del Kent.

BUCKINGHAM: Non fidatevi di nessuno, se non volete essere tradito.

SAY: Confido soltanto nella mia innocenza, e perciò sono ardito e risoluto.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA QUINTA - Londra. La Torre

(Entra LORD SCALES e cammina sulle mura della Torre. Sotto entrano due o tre Cittadini)

 

SCALES: Che c'è? Gianni Cade è ucciso?

PRIMO CITTADINO: No, signore, né è probabile che lo sarà, perché hanno preso il ponte, uccidendo tutti quelli che resistevano. Il sindaco chiede che Vostro Onore gli mandi soccorso dalla Torre, per difendere la città dai ribelli.

SCALES: Disponete pure di quel tanto di aiuto che vi posso dare; ma ho anch'io i miei guai: i ribelli hanno cercato di impadronirsi della Torre. Andate a Smithfield e raccogliete gente; là vi manderò Matteo Goffe. Combattete per il re, per il paese, per la vostra vita stessa; e così addio perché debbo andarmene via di qua.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SESTA - Londra. Cannon Street

(Entra GIANNI CADE con gli altri e batte col bastone sulla Pietra di Londra)

 

CADE: Ora è Mortimer signore di questa città. E qui, seduto sulla Pietra di Londra, ordino e prescrivo che a spese della municipalità, la fontanella non getti che chiaretto durante il primo anno di regno; e d'ora innanzi, se qualcuno non mi chiama lord Mortimer, sarà reo di alto tradimento.

 

(Entra un Soldato correndo)

 

SOLDATO: Gianni Cade! Gianni Cade!

CADE: Ammazzatelo, voi laggiù.

 

(Lo uccidono)

 

SMITH: Se questo individuo ha un filo di criterio, non vi chiamerà più Gianni Cade: in ogni caso ha avuto la lezione che gli spettava.

DICK: Mio signore, si sta raccogliendo un esercito in Smithfield.

CADE: Suvvia, andiamo a combattere contro di loro. Ma prima date fuoco al Ponte di Londra, e se potete bruciate anche la Torre. Via, andiamo.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SETTIMA - Londra. Smithfield

(Allarmi. MATTEO GOFFE e tutti gli altri sono uccisi. Poi entra GIANNI CADE con la sua compagnia)

 

CADE: Va bene, messeri. Alcuni vadano a demolire la Savoy; altri alle scuole di diritto, e radete tutto al suolo.

DICK: Ho una supplica da fare a Vostra Signoria.

CADE: Accordato, anche se si trattasse di una signoria, in grazia di quella parola "Signoria".

DICK: Vogliamo soltanto che le leggi dell'Inghilterra escano tutte dalla vostra bocca.

GIOVANNI (a parte): Allora sarà una legge dolorosa, perché ha avuto in bocca un colpo di lancia e non è ancora guarito.

SMITH (a parte): Anzi, Giovanni, sarà legge fetente, perché pel formaggio abbrustolito che mangia gli puzza il fiato.

CADE: Vi avevo già pensato e così sarà! Via! bruciate tutti gli atti del regno: la mia bocca sarà il parlamento d'Inghilterra.

GIOVANNI (a parte): Allora probabilmente avremo leggi che mordono, a meno che non gli leviamo i denti.

CADE: E d'ora innanzi tutto sarà in comune.

 

(Entra un Messo)

 

MESSO: Mio signore, preda grossa, preda grossa! Ecco qui lord Say che ha venduto le città alla Francia, quello che ci ha fatto pagare ventun quindicesimi e uno scellino per sterlina quando fu messa l'ultima imposta.

 

(Entra GIORGIO BEVIS con LORD SAY)

 

CADE: Bene; per questo sarà decapitato dieci volte. Ah! tu lord di saia, di sargia, anzi di bucherame! Ora tu sei venuto a tiro della nostra reale giurisdizione. Cos'hai da dire alla mia Maestà per aver consegnato la Normandia a "Monsieur baise-mon-cul" il Delfino di Francia? Ti comunico con la presente, cioè con la presenza presente di lord Mortimer, che io sono la scopa che deve ripulire la corte dal sudiciume pari tuo. Hai corrotto a tradimento la gioventù del regno fondando una scuola di grammatica, e mentre prima i nostri padri non avevano altro libro che le tacche e le taglie hai introdotto l'uso della stampa e contrariamente alla maestà e dignità del re hai costruito una cartiera. Si proverà in faccia tua che intorno a te hai degli uomini che spesso discorrono di nomi e verbi e simili abominevoli parole che nessun orecchio cristiano può tollerare. Hai nominato giudici di pace perché chiamino davanti a sé dei poveruomini per cose a cui questi non sono in grado di rispondere. Inoltre li hai fatti mettere in prigione e perché non sapevano leggere li hai fatti impiccare; mentre proprio per questa sola ragione sarebbero stati quanto mai degni di vivere. Quando cavalchi fai uso di una ricca gualdrappa, non è vero?

SAY: Ebbene?

CADE: Tu non dovresti permettere al tuo cavallo di portare un mantello, quando gente più onesta di te non ha che panni di gamba e farsetto.

DICK: E lavora in maniche di camicia come me, per esempio, che sono macellaio.

SAY: Uomini del Kent...

DICK: Che hai da dire del Kent?

SAY: Soltanto questo: che è "bona terra, mala gens".

CADE: Portatelo via! parla latino.

SAY: Lasciatemi parlare e poi portatemi dove volete. Cesare scrisse nei suoi Commentari che il Kent è il posto più civile di tutta questa isola: bello è il paese perché pieno di ricchezze e perché la gente è generosa, valorosa, alacre e ricca; e questo mi fa sperare che non siate privi di pietà. Non ho venduto il Maine né ceduto la Normandia; eppure, per ricuperarli, darei la vita. Ho sempre reso giustizia con indulgenza; mi sono lasciato commuovere dalle preghiere e dalle lacrime; non mai dai donativi. Quando mai ho preteso qualche cosa da voi, se non a vantaggio del re, del re mio e di voi stessi? Ho dato larghi doni ai dotti perché il mio sapere mi aveva procurato il favore del sovrano e perché vedevo che l'ignoranza è la maledizione di Dio e il sapere è l'ala con cui voliamo al cielo. Se non siete posseduti da spiriti maligni vi asterrete dall'uccidermi: questa lingua ha parlamentato nel vostro interesse con monarchi stranieri...

CADE: Vien via, quando mai hai menato un colpo in campo?

SAY: I grandi uomini hanno le braccia lunghe; spesso ho colpito, e colpito a morte gente che non vedevo.

GIOVANNI: Mostruoso vigliacco! come? prendere la gente alle spalle!

SAY: Il mio viso è pallido perché ho vegliato per il vostro bene.

CADE: Dategli un ceffone e riacquisterà il colorito.

SAY: Una lunga vita sedentaria, spesa a decidere le cause dei poveri, mi ha riempito di disturbi e di malanni.

CADE: Ti daremo come porzione un pezzo di corda e l'assistenza di una scure.

DICK: Perché tremi?

SAY: E' la parlasia, e non la paura.

CADE: Vedete: scuote la testa come se volesse dire "me la pagherete":

vedremo se la testa starà più ferma in cima a una picca. Portatelo via e tagliategli la testa.

SAY: Ditemi qual è la mia colpa più grave. Ho desiderato ricchezze e onori? Dite: sono i miei scrigni pieni d'oro estorto con violenza? i miei abiti sontuosi a vedersi? chi ho offeso perché cerchiate così la mia morte? Queste mani son pure di sangue innocente, questo petto non ha mai contenuto pensieri ingannatori. Oh! lasciatemi vivere.

CADE (a parte): Sento dentro di me una certa pietà alle sue parole, ma la reprimerò. Morirà, non fosse altro perché parla così bene in difesa della sua pelle. Portatelo via! ha un diavolo sotto la lingua; non parla in nome di Dio. Su, portatelo via, dico, e tagliategli subito la testa, e poi forzate la casa di suo genero, sir Giacomo Cromer, tagliate la testa anche a lui, e portatele qua entrambe su due picche.

TUTTI: Sarà fatto.

SAY: Ah, concittadini! se quando pregate, Dio fosse duro come voi, che sorte avrebbero le vostre anime dopo la morte? Muovetevi dunque a pietà e risparmiatemi la vita.

CADE: Portatelo via! e fate come vi dico. (Escono alcuni con Lord Say) Il più superbo pari del regno non porterà testa sulle spalle se non mi paga tributo; e non si sposerà ragazza che non mi dia il tributo della sua verginità, prima che l'abbiano gli altri. Gli uomini saranno miei vassalli diretti; inoltre ordiniamo e comandiamo che le loro Mogli siano tanto libere quanto il cuore sa desiderare o lingua sa dire.

DICK: Mio signore, quando potremo andare in Cheapside a mettere i negozi all'asta?

CADE: Subito.

TUTTI: Oh, bello!

 

(Rientrano con le teste)

 

CADE: E questo non è ancora più bello? Lasciate che si bacino perché da vivi si son voluti molto bene; e ora separateli ancora perché non si concertino di cedere altre città alla Francia. Soldati, differite sino a notte il saccheggio della città, perché vogliamo fare una solenne cavalcata attraverso alle strade preceduti da queste teste anziché da mazzieri; e ad ogni crocicchio le faremo baciare l'una l'altra. Via!

 

(Escono)

 

 

 

SCENA OTTAVA - Southwark

(Allarme e ritirata. Entrano Cade e tutta la sua ciurmaglia)

 

CADE: Su per Fish Street e giù da Saint Magnus' Corner! Abbattete e uccidete! Annegateli nel Tamigi! (Si suona a parlamento) Che rumore è questo che sento? Chi è così ardito da suonare a ritirata o parlamento quando ho comandato di uccidere?

 

(Entrano BUCKINGHAM e CLIFFORD con Seguito)

 

BUCKINGHAM: Sì, ecco qui quelli che osano disturbarti. Sappi, Cade, che noi veniamo come ambasciatori da parte del re al popolo che hai traviato; e qui offriamo amnistia a tutti quelli che ti abbandoneranno e andranno a casa tranquillamente.

CLIFFORD: Che dite, concittadini? volete cedere e arrendervi a quella mercé che vi viene offerta o vi lascerete condurre a Morte da un ribelle? Chi ama il re e ne accetta il perdono getti in aria il berretto e dica "Dio salvi Sua Maestà!". Chi odia lui e non onora la memoria di suo padre Enrico Quinto che fece tremare tutta la Francia, continui a brandire minacciosamente l'arma e passi oltre.

TUTTI: Viva il re! viva il re!

CADE: Come? Buckingham e Clifford, siete così audaci? voi, villani, gli credete? Volete proprio essere impiccati con l'amnistia legata al collo? La mia spada si è aperta il passo attraverso le porte di Londra, solo perché aveste a lasciarmi in asso al Cervo Bianco in Southwark? Credevo che non avreste deposte queste armi finché non aveste recuperato la vostra antica libertà; ma siete vili e codardi e gradite di vivere schiavi dei nobili. Possano gravarvi la schiena di pesi sino a spezzarla, vi portino via le case di sopra la testa e sotto i vostri occhi vi sforzino le mogli e le figlie: quanto a me mi industrierò io e la Maledizione di Dio vi prenda tutti!

TUTTI: Seguiremo Cade, seguiremo Cade!

CLIFFORD: E' forse Cade il figlio di Enrico Quinto che voi gridate così forte di voler andare con lui? Credete che vi condurrà nel cuore della Francia e farà dei più bassi di voi altrettanti conti e duchi?

Ahimè! egli non ha né casa né luogo dove rifugiarsi, e non sa come vivere se non di saccheggio, salvo che non derubi i vostri amici e noi. Non sarebbe vergogna che, mentre siete così discordi, i paurosi Francesi, che avete vinto or non è molto, facessero un balzo attraverso il mare e vi battessero? Mi sembra già, per causa di queste lotte civili, vederli fare da padroni per le strade di Londra, gridando "vigliacco" a tutti quelli che incontreranno. Meglio che mille Cade malnati vadano a rovina piuttosto che voi abbiate a piegarvi alla mercé dei Francesi. In Francia, in Francia a ricuperare quello che avete perduto; risparmiate l'Inghilterra che è la vostra patria. Enrico ha mezzi, voi siete uomini forti; se Dio è dalla nostra parte, non dubitate della vittoria.

TUTTI: Clifford! Clifford! seguiremo il re e Clifford.

CADE: Ci fu mai piuma che si movesse al vento come questa moltitudine?

Il nome di Enrico Quinto li trascina verso mille guai e io resto qui abbandonato. Vedo che parlottano per sorprendermi. Spada mia, aprimi un varco, perché non c'è da star qui. A dispetto dei diavoli e dell'inferno, mi farò strada in mezzo a voi! e il cielo e l'onore mi sono testimoni: non è mancanza di coraggio in me, ma solo il tradimento vile e vergognoso dei miei seguaci che mi obbliga a darmela a gambe.

 

(Esce)

 

BUCKINGHAM: Come! è fuggito? qualcuno lo segua; e chi ne porta la testa al re avrà mille corone di ricompensa. (Alcuni escono) Seguitemi, soldati: troveremo il modo di rappacificarvi col sovrano.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA NONA - Il Castello di Killingworth

(Suono di trombe. Entrano sulla terrazza RE ENRICO, la REGINA MARGHERITA e SOMERSET)

 

ENRICO: Ci fu mai monarca che occupasse un trono in terra e fosse meno felice di me? Appena uscito di culla fui fatto re all'età di nove mesi; e non vi fu mai suddito che desiderasse di esser sovrano quanto io desidero di essere suddito.

 

(Entrano BUCKINGHAM e CLIFFORD)

 

BUCKINGHAM: Salute e felici notizie a Vostra Maestà!

ENRICO: Ebbene, Buckingham, il traditore Cade è stato sorpreso? o si è soltanto ritirato per raccogliere forze?

 

(Entra sotto una gran moltitudine con corde al collo)

 

CLIFFORD: E' fuggito, sire, e tutte le sue forze si arrendono, e umilmente e con la corda al collo aspettano da Vostra Maestà sentenza di vita o di morte.

ENRICO: Allora, cielo, apri le tue eterne porte per accogliervi il mio rendimento di grazie e di lode. Soldati, oggi col pentimento avete riscattato le vostre vite e avete dimostrato quanto amate il principe e la patria: persistete in queste lodevoli disposizioni e siate certi che Enrico, per quanto possa essere sfortunato, non vi negherà mai la sua benevolenza, e così con grazia ed amnistia per tutti vi rimando ai vostri paesi.

TUTTI: Viva il re! Viva il re!

 

(Entra un Messo)

 

MESSO: Piaccia a vostra Maestà di sapere che il duca di York è appena ritornato dall'Irlanda e che con un forte esercito di animosi fanti e gialdonieri irlandesi marcia a questa volta con superbo schieramento di forze; e cammin facendo continua a proclamare che è in armi solo per allontanare dal tuo fianco il duca Somerset che egli chiama traditore.

ENRICO: Tale è la mia situazione, angustiato fra Cade e York, come una nave che essendo sfuggita a una tempesta è improvvisamente sorpresa dalla calma e assalita da un pirata. Cade è appena respinto, i suoi uomini dispersi, e York è già in armi a spalleggiarlo. Ti prego, Buckingham, va' incontro a lui a chiedergli per che motivo viene in armi. Digli che manderò il duca Edmondo alla Torre; e, Somerset, ti faremo rinchiudere colà finché egli non abbia licenziato il suo esercito.

SOMERSET: Sire, volentieri andrò in prigionia o a morte per fare il bene del mio paese.

ENRICO: In ogni caso, moderate le parole poiché egli è fiero e non tollera che gli si parli duramente.

BUCKINGHAM: Lo farò, mio signore, e non dubito di fare in modo che tutto riesca a vostro vantaggio.

ENRICO: Moglie, entriamo e impariamo a governar meglio, poiché può darsi che l'Inghilterra giunga ancora a maledire il mio miserabile regno.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA DECIMA - Kent. Il giardino di Iden

(Entra CADE)

 

CADE: Maledetta l'ambizione! e maledetto me stesso che ho una spada, e pur tuttavia sto per morir di fame! Da cinque giorni sono nascosto in questi boschi e non oso metter fuori la testa perché in tutto il paese ci sono guardie per prendermi; ma ora ho tanta fame che, se mi promettessero anche mille anni di vita, non potrei restar più qui.

Perciò mi sono arrampicato su un muro di mattoni e sono entrato in questo giardino per vedere se posso mangiare erba o trovare insalata che non sarebbe fuori di posto per rinfrescare lo stomaco in una giornata calda come questa. E credo che questa parola "insalata" sia di buon augurio: poiché molte volte, se non fossi stato "in celata" la mia zucca sarebbe stata spaccata da una partigiana, e molte altre volte, quando avevo sete durante le marce gagliarde, mi ha servito di boccale per bervi dentro ed ora codesta che si chiama "insalata" Mi deve servire di cibo.

 

(Entra IDEN)

 

IDEN: Dio! chi vorrebbe vivere angustiato in corte quando potesse godere di viali tranquilli come questi? Questo piccolo patrimonio che mio padre mi ha lasciato mi soddisfa e per me vale una monarchia. Non cerco di ingrandirmi con la rovina del prossimo o di accumulare ricchezza provocando in altri chissà che invidia: quello che ho mi mantiene decorosamente e mi permette di mandar via i mendicanti contenti dalla mia porta.

CADE: Ecco qui il padrone della terra che vuole arrestarmi come vagabondo perché sono entrato nella sua proprietà senza permesso. Ah!

furfante, vuoi tradirmi e avere dal re mille corone portandogli la mia testa. Ma io ti farò mangiare ferro come uno struzzo e ingoiare questa spada come uno spillone prima che ci separiamo.

IDEN: Villanzone, chiunque tu sia, non ti conosco: perché dovrei tradirti? Non basta che tu sia penetrato nel mio giardino come un ladro per derubarmi, arrampicandoti sul muro a dispetto di me proprietario: vuoi anche sfidarmi con le tue impertinenze?

CADE: Sfidarti? sì, per il miglior sangue che sia mai stato spillato, e farti affronto anche. Guardami bene: non mangio carne da cinque giorni; eppure se ti fai avanti coi tuoi cinque uomini e non vi lascio tutti morti stecchiti, prego Dio di non mangiar più erba in vita mia.

IDEN: Non si dirà mai, finché esiste l'Inghilterra, che Alessandro Iden, scudiere del Kent, abbia combattuto contro un povero affamato approfittando della sua inferiorità. Fissami bene e vedi se riesci coi tuoi occhi a farmi abbassare lo sguardo: confronta membro a membro e vedrai quanto tu sia da meno: la tua mano è come un dito rispetto al mio pugno, la tua gamba un bastoncello rispetto a questa mia poderosa colonna, il mio piede ha più forza a combattere che tutto il tuo corpo; e se alzo il braccio fa' conto che la tua fossa sia già scavata. Invece delle parole, giacché l'una val l'altra, la mia spada ti dirà quello che la lingua tace.

CADE: Pel mio valore! il più gran capitano che ho mai sentito parlare!

Spada mia, se perdi il filo e non fai costole di bove di questo pezzo di contadino prima di riprender sonno nel fodero, prego Dio in ginocchio che ti cambi in bullette. (A questo punto combattono e Cade è atterrato) Oh, sono ucciso! la fame soltanto mi ha ucciso: se mi deste i dieci pasti che ho perduto e se diecimila diavoli venissero contro di me, li sfiderei tutti. Disseccati, giardino; e d'ora innanzi sii un cimitero per quelli che vivono in questa casa perché l'anima invitta di Cade parte da questa terra.

IDEN: E' proprio Cade che ho ucciso, quel mostruoso traditore? Spada, ti terrò sacra per tale atto e ti farò mettere sulla mia tomba quando sarò morto: non tergerò mai questo sangue dalla punta e tu lo porterai sempre come un'impresa araldica per proclamare l'onore che il tuo signore si guadagnato.

CADE: Iden, addio! e insuperbisci pure della tua vittoria. Di' al Kent da parte mia che ha perduto il suo uomo migliore ed esorta tutti ad essere vili; perché io che non ho mai avuto paura di nessuno, sono vinto dalla fame e non dal valore.

 

(Muore)

 

IDEN: Chiamo a testimonio il cielo che tu mi fai torto. Muori, dannato miserabile, maledizione di colei che ti generò! e come caccio questa spada nel tuo corpo, così vorrei poter cacciare la tua anima nell'inferno. Di qua ti trascinerò pei talloni a un immondezzaio che sarà la tua tomba e là ti taglierò la testa inonorata e la porterò in trionfo al re lasciando il tronco in pasto ai corvi.

 

(Esce)

 

 

 

ATTO QUINTO

 

SCENA PRIMA - Campi fra Dartford e Blackheath

(Entra YORK col suo Esercito irlandese, tamburi e bandiere)

 

YORK: Dall'Irlanda viene York in armi per rivendicare il suo diritto e togliere la corona dal capo del debole Enrico: sonate forte, campane; bruciate, fuochi di gioia, chiari e luminosi, per accogliere il legittimo re della grande Inghilterra. Ah! santa maestà, chi non vorrebbe comprarti a caro prezzo? Obbediscano coloro che non sanno comandare, questa mano fu fatta per non toccare altro che oro: ma non può dare debita esecuzione alle mie parole se non l'equilibrano una spada o uno scettro; e, come è vero che la mia anima esiste, avrò uno scettro su cui agiterò i fiordalisi di Francia.

 

(Entra BUCKINGHAM)

 

Chi si avanza? Buckingham, per molestarmi? Il re certamente lo manda:

debbo dissimulare.

BUCKINGHAM: Se le tue intenzioni sono buone, York, ti do un cordiale saluto.

YORK: Humphrey di Buckingham, accetto il tuo saluto. Sei mandato, o vieni di tua volontà?

BUCKINGHAM: Sono inviato da Enrico, nostro venerato sovrano, per sapere la ragione di queste armi in tempo di pace; o perché tu, essendo suddito come lo sono io, contro il giuramento che prestasti di leale sudditanza, hai raccolto un così grande esercito senza il suo consenso e osi portarlo così vicino alla corte.

YORK (a parte): Quasi non mi riesce di parlare, tanto grande è la mia collera: oh, potrei svellere le rocce e battagliare coi macigni, tanto sono sdegnato a queste abbiette parole, e come Aiace Telamonio potrei sfogare la mia furia sulle pecore e sui buoi. Sono di origine più alta del re, più regale all'aspetto e nei pensieri, ma debbo adattarmi per un poco, finché Enrico non sia più debole e io più forte. Buckingham, ti prego, perdonami se non ti ho ancora risposto ma la mente era turbata da una profonda tristezza. Il motivo per cui ho portato qui questo esercito è che desidero di allontanare dal re l'orgoglioso Somerset, pronto a ribellarsi a Sua Maestà e allo Stato.

BUCKINGHAM: Tu presumi troppo; ma se le tue armi non hanno altro scopo, il re ha già acceduto alla tua richiesta: il duca di Somerset è nella Torre.

YORK: E' proprio prigioniero, sul tuo onore?

BUCKINGHAM: Sì, lo è, sul mio onore.

YORK: Allora, Buckingham, congedo le mie forze. Grazie, soldati, scioglietevi: domani trovatevi nel campo di San Giorgio dove riceverete il soldo e ogni cosa che desiderate. Il mio sovrano, il virtuoso Enrico, disponga del mio primogenito; anzi dei miei figli tutti, come pegno della mia fedeltà e del mio affetto; come è vero che vivo, li manderò ben volentieri: terre, beni, cavalli, armi, ogni cosa che ho, usi come vuole, purché Somerset muoia.

BUCKINGHAM: York, lodo questa amorosa sottomissione: andremo entrambi alla tenda di Sua Maestà..

 

(Entra RE ENRICO col Seguito)

 

ENRICO: Buckingham, dunque York non intende farci nulla di male, se viene così con te sottobraccio.

YORK: York si presenta a Vostra Maestà con tutta sottomissione e umiltà.

ENRICO: E qual è allora lo scopo di tutte queste truppe?

YORK: Per cacciare di qua il traditore Somerset e per combattere contro il mostruoso ribelle Cade, che, però, come ho sentito in seguito, è già stato sconfitto.

 

(Entra IDEN con la testa di CADE)

 

IDEN: Se uno così rozzo e di così bassa condizione può presentarsi a un re, offro a Vostra Maestà la testa di un traditore, la testa di Cade che ho ucciso in combattimento.

ENRICO: La testa di Cade! Gran Dio, quanto sei giusto! Oh, lasciate che io veda, ora che è morto, la testa di colui che in vita mi diede tanto affanno. Dimmi, amico, sei tu che l'hai ucciso?

IDEN: Sì, se piace a Vostra Maestà.

ENRICO: Come ti chiami e qual è il tuo rango?

IDEN: Il mio nome è Alessandro Iden, povero scudiero del Kent che ama il suo re.

BUCKINGHAM: Se piace a Vostra Maestà, non sarebbe fuor di luogo crearlo cavaliere per questo servizio.

ENRICO: Iden, inginocchiati. (Egli s'inginocchia) Alzati cavaliere.

Per tua ricompensa ti diamo mille marchi e vogliamo che d'ora innanzi tu presti servizio presso la nostra persona.

IDEN: Possa Iden vivere tanto da meritare così grande beneficio, mantenendosi sempre fedele al suo sovrano.

ENRICO: Guarda, Buckingham: Somerset sta venendo con la regina. Va' a dirle di nasconderlo prontamente agli occhi del duca.

 

(Entrano la REGINA e SOMERSET)

 

MARGHERITA: Anche se ci fossero qui mille York egli non nasconderà la testa, ma starà qui arditamente e gli terrà fronte viso a viso.

YORK: Come mai! Somerset in libertà? Allora, York, schiudi i tuoi pensieri a lungo celati e lascia che la tua lingua vada di pari col tuo cuore. Dovrò tollerare la vista di Somerset? Falso re! perché sei venuto meno alla fede data sapendo che non tollero le offese? Ti ho chiamato re? No, tu non sei re! né atto a governare e a reggere moltitudini, tu che non osi né sai importi a un traditore. Alla tua testa non si addice una corona; la tua mano è fatta per stringere un bordone di pellegrino e non per onorare lo scettro temuto del principe. Codesta corona d'oro deve cingere la mia fronte, che spianandosi o accigliandosi può, come la lancia di Achille, uccidere o sanare. Ecco qua una mano adatta a tenere alto uno scettro e con quello sancire leggi sovrane. Cedimi il tuo posto: pel cielo! tu non governerai più colui che Dio ha creato tuo signore.

SOMERSET: Traditore mostruoso! ti arresto, York, per alto tradimento contro il re e la corona. Obbedisci, audace traditore, e inginocchiati a chieder grazia.

YORK: Vuoi che m'inginocchi? Prima lascia che chieda a costoro se permettono che m'inginocchi davanti a un uomo. Tu chiama qui i miei figli perché mi facciano sicurtà. (Esce una Persona del seguito) So che impegneranno le spade per la mia libertà, piuttosto che lasciarmi imprigionare.

MARGHERITA: Chiamate qui Clifford, ditegli di venire subito a dichiarare se i bastardi di York debbano far malleveria per il loro padre traditore.

 

(Esce Buckingham)

 

YORK: O napoletana dal sangue guasto, rifiuto di Napoli e flagello sanguinoso dell'Inghilterra; i figli di York, che ti son superiori per nascita, si offriranno a garanzia del loro padre, e maledizione a coloro che li respingeranno!

 

(Entrano EDOARDO e RICCARDO)

 

Eccoli qua: son certo che lo faranno.

 

(Entra CLIFFORD con suo Figlio)

 

MARGHERITA: Ed ecco qui Clifford per fare opposizione.

CLIFFORD: Salute e felicità al re mio sovrano!

 

(Si inginocchia)

 

YORK: Grazie, Clifford: che notizie ci porti ? non cercare di spaventarci coi tuoi sguardi irati: il tuo sovrano sono io, inginocchiati ancora; se hai errato ti perdoniamo.

CLIFFORD: Questo è il mio re, York; non sbaglio, ma tu erri molto credendo che io erri. Via, all'ospedale dei pazzi! Quest'uomo e ammattito.

ENRICO: Sì, Clifford. Un umore pazzesco e ambizioso lo mette contro il suo sovrano.

CLIFFORD: E' un traditore, conducetelo alla Torre e gli si mozzi quella testa faziosa.

MARGHERITA: Egli è già stato dichiarato in arresto, ma non vuole obbedire: dice che i suoi figli impegneranno la loro parola per lui.

YORK: Lo farete voi, figli miei?

EDOARDO: Sì, padre, se la nostra parola serve a qualche cosa.

RICCARDO: E se non serviranno le parole serviranno le armi.

CLIFFORD: Come! che razza di traditori è questa!

YORK: Guardati allo specchio e chiama con tal titolo la tua immagine; io sono il tuo re e tu sei falso in cuore e traditore. Chiamate qui al palo i miei due coraggiosi orsi che, soltanto scotendo le loro catene.

sbigottiranno questi cagnacci fieri all'aspetto, ma pronti a nascondersi: dite a Salisbury e a Warwick di venire da me.

 

(Entrano i CONTI Dl SALISBURY e WARWICK)

 

CLIFFORD: Sono questi i tuoi orsi? li tormenteremo a morte e con le loro catene legheremo il guardiano, se oserai portarli nell'arena.

RICCARDO: Spesso ho visto un cane bastardo, accanito e presuntuoso, rivoltarsi e mordere perché lo trattenevano, ma, ferito dalla zampa crudele dell'orso, mettersi la coda fra le gambe e urlare: lo stesso farete voi se sfidate lord Warwick.

CLIFFORD: Via di qua, ammasso di collera, turpe e deforme massello, tanto storto nei modi quanto lo sei nell'aspetto.

YORK: Tra poco ti faremo ardere ben bene.

CLIFFORD: Sta' attento a non ardere te stesso con la tua propria vampa.

ENRICO: Come! Warwick, il tuo ginocchio ha disimparato a piegarsi?

Vecchio Salisbury, vergogna alla tua canizie che ha pazzamente traviato quel mentecatto di tuo figlio. Come! con un piede nella fossa fai la parte del prepotente e con le lenti vai in cerca di guai ?

Dov'è la fede, dov'è la lealtà? Se sono bandite dalle teste canute, dove mai troveranno rifugio in terra? vuoi tu, in cerca di guerra, scavarti la tomba e infamare col sangue codesta vecchiaia onorata? Che ti serve l'essere vecchio se manchi di esperienza, o perché non l'usi a dovere se la possiedi? Vergogna! piega dinanzi a me quel ginocchio che si inclina verso la fossa per la tarda età.

SALISBURY: Mio signore, ho attentamente esaminato il titolo di questo famoso duca e in coscienza ritengo che Sua Signoria sia legittimo erede del trono d'Inghilterra.

ENRICO: Non mi hai giurato fedeltà?

SALISBURY: Sì.

ENRICO: E eredi di poter essere in regola col cielo venendo meno a tal giuramento?

SALISBURY: E' peccato grande giurare di commettere un peccato, ma è un peccato anche maggiore rispettare un giuramento peccaminoso. Chi sarà vincolato da un giuramento solenne a commettere omicidio, rubare, stuprare una vergine pura, togliere il suo all'orfano o privare la vedova dei suoi diritti, non avendo per questi torti altra ragione che il vincolo dell'impegno formale assunto da lui?

MARGHERITA: Un sottile traditore non ha bisogno di sofismi che lo aiutino.

ENRICO: Chiamate Buckingham e ditegli di armarsi.

YORK: Chiama pur Buckingham e tutti gli amici che hai; sono deciso a incontrare la morte o a difendere la mia dignità.

CLIFFORD: Ti assicuro della prima se i sogni si avverano.

WARWICK: Faresti meglio a coricarti e a sognare ancora, così ti terresti lontano dal turbine della battaglia.

CLIFFORD: Sono risoluto a sopportare una qualsiasi tempesta più forte di quella che puoi provocare oggi; e te ne lascerò il segno sull'elmo se ti riconoscerò dall'emblema della tua casa.

WARWICK: Ora, per l'emblema della mia casa, l'antico cimiero dei Nevil, l'orso rampante incatenato al bastone nodoso, oggi porterò alto il mio elmo per farti paura, come sulla cima di una montagna si mostra il cedro che sa conservare le foglie a dispetto di qualsiasi bufera.

CLIFFORD: E dal tuo elmo ti strapperò l'orso e lo calpesterò con disprezzo, sebbene il guardiano lo protegga.

CLIFFORD JUNIOR: Prendiamo dunque le armi, padre vittorioso, per schiacciare i ribelli e i loro complici.

RICCARDO: Ohibò! carità! non parlate con tanto rancore perché questa sera cenerete con Gesù Cristo.

CLIFFORD JUNIOR: O turpe segnato da Dio, questo è più di quanto tu possa dire.

RICCARDO: Se non in cielo, certamente cenerete all'inferno.

 

(Escono da parti diverse)

 

 

 

SCENA SECONDA - Sant'Albano

(Allarme per il combattimento. Entra WARWICK)

 

WARWICK: Clifford di Cumberland, è Warwick che ti chiama: e se non fuggi davanti all'orso, ora che la tromba suona furiosamente l'allarme e le grida dei morenti riempiono la vacua aria, vieni fuori a combattere con me! Orgoglioso signore, Clifford di Cumberland, Warwick è rauco per averti tanto chiamato a battaglia.

 

(Entra YORK)

 

Dunque, nobile signore, siamo già in movimento?

YORK: Clifford che ha la morte in mano, mi ha ucciso il cavallo; ma l'ho ripagato di ugual moneta e ho fatto carogna per nibbi e corvi del bell'animale che amava tanto.

 

(Entra CLIFFORD)

 

WARWICK: L'ora è sonata per l'uno o per l'altro di noi.

YORK: Fermati, Warwick, cercati qualche altra selvaggina, perché questo è un cervo che io stesso voglio inseguire a morte.

WARWICK: Allora buona fortuna, York: tu combatti per una corona. Come è vero che spero di farmi onore oggi, Clifford, mi duole nell'anima di lasciarti senza combattere.

 

(Esce)

 

CLIFFORD: Che vedi in me, York? perché ti fermi?

YORK: Se tu non fossi mio nemico giurato, proverei la più alta ammirazione per il tuo valoroso contegno.

CLIFFORD: Né mancherebbe di lode e stima da parte mia la tua prodezza se non fosse dimostrata per difendere un ignobile tradimento.

YORK: La mia prodezza mi aiuti ora contro la tua spada, mentre la esercito per la causa della giustizia e del diritto.

CLIFFORD: Pongo in giuoco l'anima e il corpo.

YORK: Terribile scommessa! In guardia!

CLIFFORD: "La fin couronne les oeuvres".

 

(Combattono; Clifford cade e muore)

 

YORK: Così la guerra ti ha dato pace poiché sei finalmente quieto.

Pace sia con l'anima sua, o cielo, se questa è la tua volontà.

 

(Esce)

(Entra il giovane CLIFFORD)

 

CLIFFORD JUNIOR: Vergogna e confusione! tutto è in rotta: la paura semina il disordine e il disordine ferisce dove dovrebbe essere di aiuto. Guerra figlia dell'inferno che il cielo nella sua collera fa propria ministra, suscita nei petti gelidi di nostra parte le fiamme della vendetta! Nessuno fugga: chi serve fedelmente la guerra, non sente più l'amor di se stesso; chi ama se medesimo non può essere valoroso nella sua intima natura, ma solo per puro caso. (Vede il cadavere del padre) Il vile mondo perisca e le fiamme preordinate del Giudizio avvolgano insieme terra e cielo; ora la tromba universale squilli e faccia cessare ogni altro particolare e minor suono! Caro padre, eri tu destinato a logorare la tua giovinezza nella pace e a rivestire l'argentea livrea della saggia vecchiaia, per poi, nella tua età venerabile e sedentaria, morir nella facinorosa battaglia? A questa vista il mio cuore diventa di sasso, e così sarà finché vivrò.

York non risparmia i nostri vecchi, e io non risparmierò i loro bambini: le lacrime delle vergini saranno per me quello che la rugiada è per il fuoco, e la bellezza che spesso converte i tiranni, sarà alla mia collera ardente come olio e stoppa. Da qui innanzi niente pietà:

se incontrerò un fanciullo della casa di York, lo farò in pezzi come Medea selvaggia fece del giovane Assirto, e cercherò di diventar famoso per la mia crudeltà. Suvvia, tu, nuova rovina dell'antica casa dei Clifford, come Enea col vecchio Anchise, così ti levo sulle mie virili spalle; ma Enea portava un carico vivente, mentre nulla pesa così come il mio dolore.

 

(Esce portando via il padre)

(Entrano per combattere RICCARDO e SOMERSET. SOMERSET è ucciso)

 

RICCARDO: E qui stattene! poiché sotto una meschina insegna d'osteria, il Castello di Sant'Albano, Somerset morendo ha reso famoso l'indovino. Spada, mantieni la tua tempra; cuore, sii ancora irato: i preti pregano per i nemici, ma i principi li uccidono.

 

(Esce)

(Combattimento. Scorrerie. Entrano RE ENRICO, la REGINA MARGHERITA e altri)

 

MARGHERITA: Via, mio signore! Siete troppo lento: vergogna, via!

ENRICO: Possiamo correre più presto dei cieli? Buona Margherita, rimani.

MARGHERITA: Di che cosa siete fatto? Non volete né combattere né fuggire; ora è saggia difesa virile dare campo al nemico e salvarsi come si può, cioè soltanto con la fuga. (Allarme lontano) Se siete preso, toccheremo il fondo delle nostre fortune, ma se riusciamo a fuggire, come può darsi nonostante la vostra neghittosità, giungeremo a Londra dove avete partigiani e dove questa breccia fatta ora nelle nostre fortune può essere chiusa prontamente.

 

(Rientra il giovane CLIFFORD)

 

CLIFFORD JUNIOR: Se non fosse che il mio cuore medita soltanto future vendette, bestemmierei anziché dirvi di fuggire; ma fuggire dovete assolutamente: lo spirito della sconfitta regna senza rimedio nel cuore dei nostri partigiani: andate se volete salvarvi! E speriamo di vivere sino al giorno della loro sconfitta e del loro rovescio di fortuna. Via, via! mio signore.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA - Campo vicino a Sant'Albano

(Allarme. Ritirata. Entrano YORK, RICCARDO, WARWICK e Soldati con tamburi e bandiere)

 

YORK: Chi mi sa dire qualche cosa di Salisbury, quel canuto leone che nella furia dimentica le vecchie ferite e tutti gli acciacchi del tempo, e come un valoroso nel fiore della giovinezza riesce a riaversi tutto, quando il bisogno lo richiede? Questo non è di per sé un giorno felice e la nostra vittoria è nulla, se abbiamo perduto Salisbury.

RICCARDO: Mio nobile padre, tre volte oggi l'ho aiutato a salire a cavallo e tre volte l'ho difeso col mio corpo; tre volte l'ho condotto lontano dalla battaglia persuadendolo a non combatter più: ma tuttavia l'ho sempre ritrovato dov'era il pericolo. La volontà nel suo vecchio e debole corpo era come un ricco arazzo in una casa modesta. Ma eccolo là che viene in tutta la sua nobiltà.

 

(Entra SALISBURY)

 

SALISBURY: Ecco, per questa mia spada hai combattuto bene oggi, e tutti abbiamo fatto altrettanto. Vi ringrazio, Riccardo: Dio solo sa quanto mi resta ancora da vivere; ma certo Egli ha voluto che oggi mi salvaste tre volte da morte imminente. Però, signori miei, non abbiamo ancora ottenuto quello che volevamo: non basta che i nostri nemici siano fuggiti questa volta, pronti come sono a riaversi.

YORK: So benissimo che la nostra salvezza sta nel dar loro la caccia, poiché, come sono stato informato, il re è fuggito a Londra per convocare subito il Parlamento: incalziamolo prima che siano mandate le convocazioni. Che dice lord Warwick? dobbiamo inseguirli?

WARWICK: Inseguirli? certamente! anzi precederli, se è possibile. Ora in fede mia, signori, questa è stata una gloriosa giornata: la battaglia di Sant'Albano vinta dal famoso York resterà celebre in tutti i tempi avvenire. Rullino i tamburi e suonino le trombe! e tutti a Londra: e il cielo ci mandi molti altri giorni come questo!

 

(Escono)