Enrico V (Henry V) di Kenneth Branagh - Gran Bretagna 1989 - 2h 17
LA COMMEDIA DEGLI EQUIVOCI di William
Shakespeare. Adattamento e regia di Tato Russo. Al Festival della
Magna Grecia di Taranto. *
In questo ibrido di spettacolo che unisce le commedie di
Shakespeare e vari testi plautini, era forse unottima idea
precipitare il tutto non nella Efeso degli incantesimi ma in una
Napoli stregonesca delle allucinazioni. Ma gli spettacoli
teatrali sono essenzialmente di due tipi: quelli che si svolgono
negli interni, dove si sviluppano gli intrighi psicologici più
acuti; e quelli che amano gli esterni, come La commedia degli
equivoci, che si svolge tutto nei quadrivi e davanti al portone
di casa. E queste commedie vivono di azione, azione, azione, ed
evitano le combinazioni intimiste. Il testo è di fonte plautina,
e sviluppa tutti gli equivoci che possono nascere da due coppie
due di gemelli identici (padroni e servitori), in libertà in una
città smarrita dalla sequela fatale delle coincidenze
imbarazzanti, esaurendo le possibilità combinatorie degli scambi
di persona, come è tradizione nel teatro comico da Menandro a
Feydeau.
Tato Russo (nella foto) alterna delle scene originarie con
squarci di una Napoli labirintica e onirica che fatalmente
rallentano lazione. Quando Napoli agisce - a volte
ottimamente - nelle fantasie partenopee del regista Russo, che è
anche interprete principale, egli contempla lo scenario della sua
immaginazione seduto in scena e non fa niente, invece di
contribuire alla trama portante. La figura del padre sventato,
che qui comprende anche il ruolo del suocero, è male inserita
nella struttura para-shakespeariana che questo spettacolo
prodotto dallEstate teatrale veronese vorrebbe mantenere.
Peccato, perché Russo è attore e regista di strepitoso talento;
ma qui gli equivoci sono sacrificati al surreale, e di
conseguenza il riso alla malinconia.
30.08.'96
LA
DODICESIMA NOTTE
TWELFTH NIGHT
Un naufragio terribile. Un
fratello, Sebastian e una sorella, Viola, si credono dispersi a
vicenda. LIlliria immaginata come il paese dei tormenti
damore. Il conte Orsini appunto tormentato per i rifiuti di
Olivia, cui sono morti padre e fratello e che ha deciso di vivere
reclusa nella sua dimora. Viola travestito da Cesario si innamora
del conte. Infine una cricca assortita formata dal giullare
Feste, Sir Toby Belch, cugino di Olivia, ubriaco e impenitente,
Sir Andrew Aguecheek e Maria la governante distruggeranno fama e
vita del maggiordomo Malvolio facendogli credere nellamore
di Olivia per lui. Il tutto sullo sfondo di una imprecisata
guerra civile che coinvolge il salvatore di Sebastian e lo porta
prigioniero di Orsini. Ma il finale tetramente umoristico è in
agguato. E' Shakespeare, signori, è La dodicesima notte,
commedia scritta per magnificare il giorno dellepifania che
scioglie tutti gli enigmi della vita, quelli che ci portiamo
appresso per sempre: il mio amore è davvero puro? mi amerà e
quanto? verso quale sesso si dispone la mia passione?
Per i più Enrico V è uno dei tanti
monarchi inglesi (1413-1422). Un minimo di cultura superiore ed
ecco spuntare il grande William Shakespeare (il suo dramma è del
1599). Fino a ieri infine la citazione cinematografica rimandava
a sir Laurence Oliver (il suo Enrico V, del 1944, apriva
la triade conclusa da Amleto -1944- e Riccardo III
-1955), ma da oggi sarà d'obbligo fare riferimento anche
all'irlandese Kenneth Branagh (Belfast 1960): enfant prodige
del teatro britannico, fondatore della "Theatre Renaissance
Company", già biografo di se stesso (Beginners -
1988), e ora sceneggiatore, regista ed interprete di questa nuova
versione dell'opera shakespeariana.
Con il titolo di "Branagh the Conqueror" la rivista
Time gli ha dedicato una copertina, definendolo "l'uomo che
vorrebbe essere Olivier"; lui sta al gioco, rinverdisce il
divismo autoriale, si propone come "legittimo erede",
ma evita le trappole del paragone: "La mia versione è
completamente diversa; non ho mai avuto intenzione di competere
con un classico del cinema, un magnifico film come quello di
Olivier. Ma le commedie di Shakespeare devono venire
continuamente reinterpretate: lo si fa a teatro ma non al cinema.
L'ultimo film è stato il Macbeth di Roman Polanski che è
del 1971!".
Vivo è infatti il rimando a Polanski in questo Henry V
e così pure si sentono le influenze di Welles e Kurosawa, ma il
taglio moderno delle psicologie, l'incombere della delusione e
della violenza, il senso tragico della guerra sono
caratteristiche di stile che Kenneth Branagh rivendica come
visceralmente personali:"Il mio è un film scuro,
sinistro e preoccupante, che sottolinea la suspense, il tono
cospiratorio della corte inglese, l'atmosfera di paranoia...
Volevo che lo spettatore si trovasse dentro la battaglia, come i
combattenti, con una visione di pochi metri quadrati intorno a
loro, senza potersi muovere, ognuno impegnato nella lotta per la
sopravvivenza... La guerra è soprattutto orrore e brutalità.
Più ci pensavo e più mi convincevo che questa tragedia doveva
essere riscattata dallo sciovinismo e dall'associazione con la
seconda guerra mondiale."
L'idea di base è semplice. Realizzare una specie di documentario su un'ipotetica mesa in scena di Riccardo III. Perché non è affatto vero che Shakespeare sia amato e conosciuto come si pensa... Ne esce un film colto e divertente insieme, una specie di work in progress: che assembla prove di lettura, interviste a teatranti di varia formazione (da Sir John Gielgud a Kenneth Branagh), nozioni utili sui "pentametri giambici", pareri di illustri saggisti, pellegrinaggi alla casa natale di Shakespeare e in quello che resta del mitico Globe Theatre. Tutto molto leggero e spiritoso, montato in modo che lo spettatore si accosti senza troppa reverenza al testo shakespeariano, sintonizzandosi con esso... E lui, Pacino, giganteggia nel ruolo che fu di Olivier. Dovreste sentirlo, in originale, quando sospira rapace, pregustando il corpo di Lady Anna, "I'll have her" o quando in sottofinale urla la celebre invocazione "Il mio regno per un cavallo"...