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Edited
by/a cura di: Giuseppe Leo Prefaced by/prefazione
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W. Bohleber J. Deutsch
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N. Janigro R.K. Papadopoulos
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Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collection/Collana: Mediterranean
Id-entities
Anno/Year:
2015
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ISBN:978-88-97479-09-3
"L'uomo
dietro al lettino" di
Gabriele Cassullo
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Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collection/Collana: Biografie
dell'Inconscio
Anno/Year:
2015
Pagine/Pages:
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"Neuroscience
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Edited by/a cura di: Giuseppe Leo Prefaced by/prefazione
di: Georg Northoff
Writings by/scritti di: D. Mann
A. N. Schore R. Stickgold
B.A. Van Der Kolk G. Vaslamatzis M.P. Walker
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collection/Collana: Psicoanalisi e neuroscienze
Anno/Year: 2014
Pagine/Pages: 300
ISBN:978-88-97479-06-2
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Vera
Schmidt, "Scritti su psicoanalisi infantile ed
educazione"
Edited by/a cura di: Giuseppe Leo Prefaced by/prefazione
di: Alberto Angelini
Introduced by/introduzione di: Vlasta Polojaz
Afterword by/post-fazione di: Rita Corsa
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana: Biografie dell'Inconscio
Anno/Year: 2014
Pagine/Pages: 248
ISBN:978-88-97479-05-5
Prezzo/Price: € 29,00
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Resnik,
S. et al. (a cura di Monica Ferri), "L'ascolto dei
sensi e dei luoghi nella relazione terapeutica"
Writings by:A.
Ambrosini, A. Bimbi, M. Ferri, G.
Gabbriellini, A. Luperini, S. Resnik,
S. Rodighiero, R. Tancredi, A. Taquini Resnik,
G. Trippi
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana: Confini della Psicoanalisi
Anno/Year: 2013
Pagine/Pages: 156
ISBN:978-88-97479-04-8
Prezzo/Price: € 37,00
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Silvio
G. Cusin, "Sessualità e conoscenza"
A cura di/Edited by: A. Cusin & G. Leo
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana/Collection: Biografie dell'Inconscio
Anno/Year: 2013
Pagine/Pages: 476
ISBN: 978-88-97479-03-1
Prezzo/Price:
€ 39,00
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AA.VV.,
"Psicoanalisi e luoghi della riabilitazione", a cura
di G. Leo e G. Riefolo (Editors)
A cura di/Edited by: G. Leo & G. Riefolo
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana/Collection: Id-entità mediterranee
Anno/Year: 2013
Pagine/Pages: 426
ISBN: 978-88-903710-9-7
Prezzo/Price:
€ 39,00
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AA.VV.,
"Scrittura e memoria", a cura di R. Bolletti (Editor)
Writings by: J.
Altounian, S. Amati Sas, A. Arslan, R. Bolletti, P. De
Silvestris, M. Morello, A. Sabatini Scalmati.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana: Cordoglio e pregiudizio
Anno/Year: 2012
Pagine/Pages: 136
ISBN: 978-88-903710-7-3
Prezzo/Price: € 23,00
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AA.VV., "Lo
spazio velato. Femminile e discorso
psicoanalitico"
a cura di G. Leo e L. Montani (Editors)
Writings by: A.
Cusin, J. Kristeva, A. Loncan, S. Marino, B.
Massimilla, L. Montani, A. Nunziante Cesaro, S.
Parrello, M. Sommantico, G. Stanziano, L.
Tarantini, A. Zurolo.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana: Confini della psicoanalisi
Anno/Year: 2012
Pagine/Pages: 382
ISBN: 978-88-903710-6-6
Prezzo/Price: € 39,00
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AA.VV., Psychoanalysis
and its Borders, a cura di
G. Leo (Editor)
Writings by: J. Altounian, P.
Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P.
Jimenez, O.F. Kernberg, S. Resnik.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana/Collection: Borders of Psychoanalysis
Anno/Year: 2012
Pagine/Pages: 348
ISBN: 978-88-974790-2-4
Prezzo/Price: € 19,00
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AA.VV.,
"Psicoanalisi e luoghi della negazione", a cura di A.
Cusin e G. Leo
Writings by:J.
Altounian, S. Amati Sas, M. e M. Avakian, W. A.
Cusin, N. Janigro, G. Leo, B. E. Litowitz, S. Resnik, A.
Sabatini Scalmati, G. Schneider, M. Šebek,
F. Sironi, L. Tarantini.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana/Collection: Id-entità mediterranee
Anno/Year: 2011
Pagine/Pages: 400
ISBN: 978-88-903710-4-2
Prezzo/Price: € 38,00
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"The Voyage Out" by Virginia
Woolf
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-97479-01-7
Anno/Year: 2011
Pages: 672
Prezzo/Price: € 25,00
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"Psicologia
dell'antisemitismo" di Imre Hermann
Author:Imre Hermann
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-903710-3-5
Anno/Year: 2011
Pages: 158
Prezzo/Price: € 18,00
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"Id-entità mediterranee.
Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo
(editor)
Writings by: J.
Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A.
Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y.
Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M.
Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-903710-2-8
Anno/Year: 2010
Pages: 520
Prezzo/Price: € 41,00
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"Vite soffiate. I vinti della
psicoanalisi" di Giuseppe Leo
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Edizione: 2a
ISBN: 978-88-903710-5-9
Anno/Year: 2011
Prezzo/Price: € 34,00
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"La Psicoanalisi e i suoi
confini" edited by Giuseppe Leo
Writings by: J.
Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D.
Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik
Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini
ISBN: 978-88-340155-7-5
Anno/Year: 2009
Pages: 224
Prezzo/Price: € 20,00
"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi
Confini"
Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.
Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas,
Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.
Publisher: Schena Editore
ISBN 88-8229-567-2
Price: € 15,00
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A corpo a corpo con il mistero
Nota introduttiva di Laura Montani
In armonia con gli
intenti con cui lo Spazio Rosenthal è nato, continuiamo a ospitare
qui le voci di psicoanaliste impegnate a ricercare all'interno di
quello che compare ancora come un enigma per la psicoanalisi
contemporanea: la donna e il suo desiderio.
Nel numero di Frenis Zero precedente
a questo, si era tentato di rendere visibile un'alterità insita
nel dispositivo desiderante materno sottoponendo a critica la forma
monolitica con cui il desiderio femminile viene rappresentato nella
contemporaneità e nelle sue narrazioni, psicoanalitiche e non.
La vita e le opere di A. Rosselli, così come le
presenta nella sua lettura Rita Corsa, psicoanalista e psichiatra,
vengono a disordinare il " reliquario della cattiva madre" (Hillman,
1990), in cui alcuni critici la hanno posta e a renderci visibile
questa figura femminile nel suo pieno" fulgore," acceso
dalla passione civile e dalla follia.
Entrambe, passione civile e follia , fecero sentire
Amelia in profonda consonanza con Sylvia Plath, che, non a caso,
tradusse.
Come le vite sofferenti di tanti pionieri del
movimento psicoanalitico al suo sorgere, tra cui Tatiana Rosenthal, da
cui questo spazio prende nome, sembrano essersi intrecciate tra di
loro, nella narrazione fattane da alcuni, con appassionata attenzione
, così nella sua scrittura Rita Corsa intreccia le vite e l'opera di
A. Rosselli e di S. Plath, con altrettanta passione e rispetto per il
loro mistero .
Una scrittura lieve, che non usa dello strumento
psicoanalitico per forzare l'opera e la vita di queste due poetesse,
indubbiamente sofferenti, schiacciate, anche se in maniera diversa,
dalla Kultur dell'epoca. E come A. Rosselli ai tempi
contrastò R. Rossanda, contestandone la riduttiva interpretazione
della sofferenza di S. Plath, in cui Amelia stessa si riconosceva,
così Rita Corsa evita di fare ricorso al fantasma della "cattiva
madre" per porsi in risonanza con i versi delle due autrici e con
la loro vita narrata in versi.
E' piuttosto "lo spirito dell'epoca" che
emerge tra le righe di questo saggio: il peso della Kultur e
dei prezzi che dovettero pagare le donne che crebbero al suo interno,
nel primo dopoguerra, sia in Europa che in America, paesi entrambi
reduci dal secondo conflitto mondiale. Così la lettura di questo
saggio, pur nel suo contenuto doloroso, ci apre un orizzonte di
riflessione arioso, allargato, libero dai gravami pesanti degli
stereotipi psicoanalitici contemporanei per godere dell' alta lezione
lasciataci da due donne infelici, con il loro canto.
Buona lettura.
«Perduta nella vasca d’ombre
le ragnatele bianche e la polvere per le ciglie,
granelli e piccole perle sotto una pioggia
miserissima
decidevano per il meglio una vita chiusa»
(Amelia Rosselli, Serie Ospedaliera) .
La felicità non è del
poeta
La parola poetica, invero, è il più affidabile
sestante per orientarsi negli oceani immensi e minacciosi dell’esistenza,
ma pare sempre indicare le gelide acque del Nord: «V’è la luce
della mente, fredda e planetaria». La stessa luna creatrice, «bianca»
e «terribilmente sconvolta», «porta dietro di sé il
mare come un oscuro crimine». E «il messaggio» è «la
nerezza-nerezza e silenzio».
Spiega Clementina Pavoni: «La scrittura poetica […]
può con grande agilità incamminarsi nei territori oscuri dell’ignoto.
In questo corpo a corpo con il mistero, la parola in poesia assume un
valore privilegiato di svelamento e di conoscenza».
La parola poetica è gesto psichico, narrazione che
tocca e cura, ma che non preserva dalla morte.
E’ un canto dalle melodie sinistre, quello
intonato a due voci da Amelia Rosselli e da Sylvia Plath, le leonesse
malate della poesia del Novecento.
In questo contributo mi soffermerò ad osservare
con occhio incantato i fatali rispecchiamenti delle due donne:
identificazioni, distanziamenti e trasfigurazioni in una cavità di
tenebre. Lo sguardo si poserà su Amelia che intreccia la sua lingua
con quella di Sylvia, in un furioso e funesto amplesso letterario.
Amelia Rosselli inizia a divulgare l’opera di
Sylvia Plath nella metà degli anni Settanta, quando l’afflizione
psichica che la tormenta sin da ragazza le occupa la mente con sempre
più invadenza.
«[…] Il vento non
spazza via il sasso, quelle fosse, quei
resti d’ombra, quel vivere di sogni
pesanti» .
Amelia dirada la produzione poetica e la sua
creatività pare girare a vuoto, ferma nell’ora nera ed eterna della
sofferenza. Finché la parola plathiana non la uncina. Comincia così
a tradurre i suoi versi. E gli aliti, i venti e i crucci del pensiero
rosselliano subiscono l’inesorabile transustanziazione nel
paralitico uovo plathiano, pietroso e glaciale.
- «Succede. Continuerà? -
- Il mio cervello una pietra,
- senza dita per afferrare, senza lingua,
[…]
Uovo morto, giaccio
intero
su un intero mondo che non posso toccare,
[…]».
Il mio cuore è un geranio paralizzato
Il 7 marzo 1976, Rosselli legge la propria versione
di La luna e il tasso (Plath, 1961) ad un programma radiofonico
del terzo canale. Nel fascicolo di luglio-agosto 1975 di Nuovi
Argomenti sono già comparse 14 poesie della Plath, tradotte dalla
poetessa italiana.
Intanto, la mente di Amelia è attanagliata da un
dolore feroce.
La Rosselli patisce di gravi problemi psichici sin
dalla giovane età: è tormentata da idee persecutorie e da floride
dispercezioni visive e acustiche, dapprima sporadiche e non ben
strutturate, ma che a partire dalla metà degli anni Sessanta
diventano continue e sempre più minacciose, fino a dominare
completamente il suo quotidiano. Dopo la morte della madre entra in
trattamento analitico con Nicola Perrotti, l’analista freudiano che,
nel dopoguerra, rifondò a Roma, insieme a Servadio e Musatti, la
Società Italiana di Psicoanalisi, sciolta dal regime fascista nel
1938.
Nel 1954, a ventiquattro anni, in seguito alla
morte precoce dell’amico Rocco Scotellaro, "il poeta
contadino", le condizioni psichiche della poetessa – da sempre
sofferente di brusche oscillazioni dell’umore, insonnia
incoercibile, scoppi d’ira e di non ben precisati "esaurimenti
nervosi" – peggiorano drammaticamente e si complicano con seri
propositi autolesionistici. Viene ricoverata in una clinica
psichiatrica romana e sottoposta ad elettroshock e a terapia
insulinica, contro il volere dei familiari, che si preoccupano di
trasferirla nella prestigiosa clinica svizzera Bellevue di Kreuzlingen,
diretta da Binswanger. La degenza da Binswanger durerà un anno e
mezzo e sarà la prima di una lunga serie. La diagnosi di dimissione
sarà quella di schizofrenia paranoide. Tutta la vita di Amelia sarà
scandita da ripetute e protratte ospedalizzazioni, sia in Svizzera, da
Binswanger, sia in cliniche psichiatriche italiane. Negli anni
Cinquanta la poetessa si avvale del trattamento dell’analista
junghiano Ernst Bernhard, con il quale manterrà a lungo i contatti,
rimanendo profondamente influenzata dai suoi saggi psicoanalitici.
Fu il grande intellettuale triestino Bobi Bazlen a
suggerirle il nome di Bernhard: «Aveva una calma eccezionale nei suoi
rapporti con i pazienti, rapporti, occorre dirlo, non legalizzati
dalla psichiatria ordinaria. […] Bisogna aggiungere che era ostile
all’iscrizione [di Amelia] al PCI». La stessa Rosselli racconta a
Spagnoletti che molti anni dopo e in seguito a dei dissidi, abbandonò
la cura con Bernhard, per rivolgersi nuovamente alla scuola freudiana.
Vide diversi analisti, tra cui «Bellanova. Egli provvide a un’analisi
"di appoggio" per alcuni mesi. Alla fine diagnosticò:
"Lei ha soltanto una leggera nevrosi"» e così, chiosa
Amelia, «I problemi dovevo risolverli da sola».
In «Storia di una malattia» (1977), l’artista
offre una dolente testimonianza della sua psicopatologia: le
allucinazioni e le idee deliranti di persecuzione che la parassitano
da decenni si sono indurite, trasformando il suo mondo in un teatro
minaccioso, abitato da agenti segreti crudeli che controllano e
registrano ogni pensiero e ogni atto. Le Voci le parlano sia in
inglese che in italiano: «Tra le sei-sette voci distinguibili in
quanto sempre uguali a se stesse […] ne spiccavano due di donne, […]
possibile riferimento alle figure della nonna materna e della mamma».
Lamenta ancora la poetessa: «I fili elettrici normalmente in uso in
case private sprigionavano anch’essi un eccesso di corrente
elettrica tale da ridurre le gambe a colorazione bluastra e bianca.
Malgrado avessi cambiato la serratura […] tutti i miei vestiti
vennero un giorno spruzzati d’acidi […] Trattenni per un periodo
tutti i cibi che avevo trovato o drogati o avvelenati». Riprende la
girandola di ricoveri e di cicli di elettroshock in ospedali e
sanatori italiani, londinesi e svizzeri. Sarà condannata, tuttavia, a
sentirsi per sempre vittima di «mille dubbi corrosivi»: le Voci e le
persecuzioni provenienti da un ambiente popolato da «elefanti
ottusi» continueranno senza tregua a logorarle l’esistenza.
«Il mese delle fioriture è concluso.
[…]
Vorrei sedermi in un vaso di fiori,
I ragni non se ne accorgeranno.
Il mio cuore è un geranio paralizzato».
Non vi è dubbio che vi sia stata una stretta
congiunzione tra la danza delle parole e il dolore mentale. Lo è
stato per Sylvia Plath che, attraverso l’esercizio letterario, ha
«eruttato proclami dalla perentoria assolutezza di comunicazioni
schizoidi, in cui la mente sprofondata nel fondo della separatezza non
comunica più che con se stessa». Lo è stato per Amelia Rosselli,
specchiata nel pozzo d’ombre del male psichico, che crea e
disintegra il Sé. Un faccia a faccia tra cicli asfissianti di morti e
rinascite. Lo sguardo divorante di Amelia violenta la parola plathiana,
estremo artificio di sopravvivenza. Un errore fatale. Perché il suo
doppio non salva, ma accelera il compimento.
«Ricordo
Il morto odore del sole sulle cabine di legno,
La rigidezza delle vele, lenzuola lunghe
avviluppate dal sale».
Sylvia Plath, musa incantatrice, muore suicida a
trentun anni, nel febbraio 1963. Esito ineluttabile di un’esistenza
segnata dalla patologia mentale, cominciata in adolescenza. Si
consegna all’«angelo scuro» in una mattina del più freddo inverno
londinese del secolo. Sistema sotto le coperte i suoi due bimbi,
lascia di lato ai loro letti una tazza di latte bollente e del pane
fresco, spalanca le finestre, sigilla col nastro adesivo la porta
della cameretta. E si reca in cucina, dove adagia i pensieri malati
nel forno a gas.
Per Amelia Rosselli la poetessa americana è un
doppio senza segreti, senza «angeli profeti» che riparino e
consolino. Sceglie lo stesso giorno per gettarsi dal balconcino della
sua disadorna soffitta a Trastevere. E’ l’11 febbraio 1996, di
mattino. Una tiepida mattinata romana.
Lingua padre/lingua madre
I biografi hanno ormai perlustrato ogni anfratto
della triste vicenda umana della Rosselli, memori dell’osservazione
freudiana che «né il poeta può sfuggire allo psichiatra, né lo
psichiatra al poeta».
In un precedente saggio, si adottava il celeberrimo
assunto lacaniano «La parola uccide la Cosa» (1953), per tentare di
cogliere lo strenuo sforzo attuato dalla grande poetessa per
addomesticare la morte dei padri attraverso l’invenzione della
parola che salva.
Sin dall’età più tenera, l’assenza della
lingua paterna caratterizza l’esistenza di Amelia, marcata da lutti
reiterati nella linea genealogica maschile. Stermini insanabili, che
la costringono alla sottrazione ripetuta e brutale della lingua
«santa» dei padri. Un’esistenza disordinata e solitaria, in
perenne smarrimento.
Amelia aveva sette anni quando il padre Carlo e lo
zio Nello, intellettuali antifascisti, fondatori di Giustizia e
Libertà, vennero uccisi da un commando di sette giovani
appartenenti all’organizzazione filofascista "Cagoule". Il
vile attentato che costò la vita ai fratelli Rosselli avvenne il 9
giugno 1937, a Bagnoles-de-l’Orne, in Francia, su mandato di
Galeazzo Ciano al SIM (Servizio Informazione Militare).
La madre Marion, un’inglese dalla salute
cagionevole, fu piegata dalla vedovanza e, insieme ai tre figli (John,
detto Mirtillino – il prediletto primogenito – Amelia, chiamata
anche Melina e Andrea), iniziò a peregrinare tra l’Inghilterra, la
Francia e l’Italia. Dopo la morte del consorte, Marion non parlò
mai più la lingua italiana, che conosceva perfettamente. La donna
aveva un fisico seriamente provato dalle febbri reumatiche, che le
avevano danneggiato le valvole cardiache; soffriva di depressione,
specialmente nei periodi puerperali. Le tre gravidanze e la morte del
marito la sfinirono nel corpo e nella psiche. A cinquant’anni restò
paralizzata, a causa di ripetuti ictus. Perì a Londra nell’ottobre
del 1949, appena cinquantaduenne. Melina aveva diciannove anni e il
decesso materno le causò un drammatico peggioramento delle condizioni
psichiche, già molto deboli.
I biografi ipotizzano che Marion fosse una madre
"insufficiente" in senso winnicottiano, una donna assai
fragile e gravemente deficitaria nelle sue funzioni di care, di
holding e di revêrie. La nascita di Amelia era stata
una «gran delusione» per ambedue i genitori. In una lettera alla
propria madre, il padre Carlo confessava: «Gran delusione di Marion
per la bimba; e io pure […] Marion la trovava addirittura
bruttina». Tuttavia, per la Tandello «Con la scomparsa di Marion [la
madre] il filo che ancora reggeva una fragilissima continuità si
spezza, e il vuoto si abbatte su di lei come il coperchio di una bara,
la lastra di una lapide, seppellendo i ricordi, e ponendo fine al
tempo della speranza e della crescita».
Negli anni successivi alla morte della madre,
Amelia trascorse lunghi periodi in America, a volte in compagnia dell’amata
nonna paterna, l’unica figura familiare capace di vicariare, almeno
parzialmente, il difetto e il silenzio delle funzioni genitoriali.
Pesante e fortemente traumatica deve essere stata
la vita da «rifugiata» che iniziò a condurre sin dall’omicidio
del padre, viaggiando tra l’Europa e gli Stati Uniti: «Non sono
"apolide"» – precisava in un’intervista rilasciata a
Spagnoletti, nel 1989 - «Sono di padre italiano e se sono nata a
Parigi è semplicemente perché lui era fuggito […] perché era
stato condannato per aver fatto scappare Turati. Mia madre lo aiutò a
fuggire e quindi lo raggiunse a Parigi […] La definizione di
cosmopolita risale a un saggio di Pasolini che accompagnava le mie
prime pubblicazioni sul "Menabò" (1963), ma io rifiuto per
noi quest’appellativo: siamo figli della seconda guerra mondiale. […]
Cosmopolita è chi sceglie di esserlo. Noi non eravamo dei
cosmopoliti; eravamo dei rifugiati».
Cresciuta senza il padre Carlo; cresciuta spesso
lontano dalla madre Marion; cresciuta dalla nonna paterna, Melina
Rosselli, la poetessa, trascorre la sua dolente esistenza nel
tentativo, stremante, di ricostruire la lingua paterna.
In questa famosa e bellissima poesia dei primi anni
Sessanta, ella denuncia con voce straziata la morte violenta del
padre, e la condanna ad un’esistenza senza pace che le è toccata.
Ecco qualche passo:
«Contiamo infiniti morti! la danza è quasi
finita! La morte,
lo scoppio, la rondinella che giace ferita al
suolo, la malattia,
e il disagio, la povertà e il demonio sono le mie
cassette
dinamitarde. Tarda arrivavo alla pietà – tarda
giacevo fra
dei conti in tasca disturbati dalla pace che non si
offriva.
Vicino alla morte il suolo rendeva ai collezionisti
il prezzo
della gloria. Tardi giaceva al suolo che rendeva il
suo sangue
imbevuto di lacrime la pace. […]
Nata a Parigi travagliata nell’epopea della
nostra generazione
fallace. Giaciuta in America fra i ricchi campi dei
possidenti
e dello Stato statale. Vissuta in Italia, paese
barbaro.
Scappata dall’Inghilterra paese di sofisticati.
Speranzosa
nell’Ovest, ove niente per ora cresce. […]».
L’«angelo nero» è calato nelle stanze dell’infanzia
anche di Sylvia.
Fiumi d’inchiostro sono stati versati nel narrare
la storia privata di Plath, ad iniziare dalla perdita dell’anziano
padre di origine germanica, entomologo di fama, professore di biologia
e docente di tedesco alla Boston University che, quando Sylvia ha otto
anni, si lascia morire di un diabete che non ha mai curato, certo di
essere ammalato di cancro. «Era un orco. Ma mi manca. Era vecchio, ma
lei [la madre] ha sposato un vecchio perché fosse mio padre»:
«Una siepe di tasso fatta di ordini,
Gotica e barbara, puro tedesco.
[…]
Avevo sette anni, non sapevo niente.
Il mondo accadeva.
Avevi una sola gamba e una mente, e una mente
prussiana» .
Caleidoscopici commenti biografici sono poi stati
dedicati all’appassionato e stritolante rapporto d’amore con il
marito, il grande poeta inglese Ted Hughes. Un visionario matrimonio
poetico che si trasformò ben presto in un inferno quotidiano. Perché
la poesia è violenza. Un altro «Dio morto con una voce terribile»,
come scrive lo stesso Ted in Birthday Letters (1998), il
canzoniere di versi compressi e tersi, con cui ruppe il luttuoso
silenzio per la morte della moglie. Un silenzio interminabile e
selvaggio, che durava da trentacinque anni. Perché il buio consuma.
C’è un buio «che può essere acceso [e che]
accompagna l’esplorazione della creatività femminile». Il buio
luminoso dell’epifania poetica. Ma c’è pure «un buio tenebroso
di rinuncia e ammutolimento, ostacolo consistente ed ottuso a
ritrovarsi». Forse è il buio delle madri "immemori",
artefici del malvagio sortilegio scagliato contro la culla dell’unica
figlia.
«Mamma, mamma, quale zia maleducata
o cugina sfigurata e repellente
dimenticasti così sconsideratamente
d’invitare al mio battesimo, che quella
al posto suo mandò queste signore
dalla testa come un uovo da rammendo,
per dondolarla e dondolarla ai piedi,
al capo e a sinistra della culla?».
Il terribile terzetto muliebre – tre manichini
«senza bocca, senz’occhi, la testa calva tutta toppe» - maledice
le nascite distociche di Sylvia e di Amelia.
Ah, le madri, le madri, quale inferno le madri! –
apostrofa Goethe.
In difesa delle madri
Nel 1979 Marta Fabiani cura per Guanda Lettere
alla madre (Letters Homes: Correspondence 1950-1963), il
celebre carteggio che raccoglie un’ampia selezione eseguita da
Aurelia Schober, la madre di Sylvia Plath, della fluviale
corrispondenza tenuta con la figlia dal 1950, anno in cui la giovane
si allontanò da casa per studiare allo Smith College di
Boston, al 1963, l’anno del suo suicidio.
Questo epistolario ha dovuto sopportare le più
sfrenate e fantasiose interpretazioni psicobiografiche. Forse nessun
poeta ha dovuto subire uno scandagliamento così «intrusivo nel suo
privato», per rendere ragione della sua arte.
Il numero di luglio-dicembre 1980 di Nuovi
Argomenti ospita un breve saggio della Rosselli, Istinto di
morte e istinto di piacere in Sylvia Plath. A provocare l’intervento
della Rosselli è stata la recensione di Rossana Rossanda al carteggio
plathiano. L’articolo, dal titolo Felice da morire, compare
sul settimanale "L’Espresso" del 4 novembre 1979 e
addebita senza scampo tutte le responsabilità della morte di Sylvia
alla madre. Va detto che certe affermazioni plathiane sembrano imporre
tale posizione critica. Ricordiamo che una Sylvia poco più che
ventenne confessava in una pagina rabbiosa e dolente del suo diario,
sintesi delle sedute fatte con la sua psichiatra RB: «Non credo che
riuscirò ad amarla [la madre]. […] ha fatto una vita da schifo; non
sa di essere un vampiro ambulante. Ma si tratta solo di compassione.
Non di amore». E qualche attimo dopo urlava con voce furibonda e
struggente: «in superficie è tutta buona e santa: si è data tutta
ai figli […] La sua vita è stata un inferno […] ha le ulcere allo
stomaco […] Le è toccato lavorare e fare la madre, anche, uomo e
donna in un’unica, dolce massa ulcerosa».
Ma Amelia Rosselli non ci sta. Non si lascia
fuorviare dalle spesso esasperate parole dell’epistolario per
ridurre tutta la poetica plathiana ad un’«analisi di una crisi
"al femminile"». Nel suo lucido articolo, Rosselli si
scaglia contro la Rossanda, in un’impavida difesa di Aurelia Schober:
«Addirittura truce fu il rapporto che Rossana Rossanda immaginava
esistere fra la poetessa Sylvia Plath e sua madre […]. Mi parve
allora che la Rossanda tendesse a politicizzare la materia a tal punto
di darne un’interpretazione violentemente aletteraria e deformata in
parte da una sovrapposizione pseudofemminista e pseudopsicologica». E
ancora: «Fu proprio la madre Aurelia a opporsi pubblicamente allo
sfruttamento della poesia di Sylvia […] dopo la sua morte […]. Se
proprio dobbiamo commentare in senso psicobiografico le lettere e la
vita della Plath, possiamo soltanto aggiungere che non è certo la
madre Aurelia che dev’essere ritenuta responsabile […] di quell’inevitabilmente
riuscito suicidio». Rosselli prosegue accennando alla patologia
mentale di Sylvia, alla sua giovanile esperienza di psichiatri ed
elettroshock, al mancato chiarimento del «problema del padre», perso
quando era bambina e «mai ritrovato in forma
"sostitutiva"». Si sofferma sull’«inevitabilità» della
morte violenta della giovane artista, «che si nota anche nel
progressivo indurirsi, come pietre schegge, delle ultime poesie: come
se la Plath stessa fosse consapevole di chiudere un suo problema di eccesso
di vita, travasata e distillata sino alle essenze finali».
Nell’autunno del 1991 Amelia scrive al fratello
Jones: «[…] molto affaticata da alcuni dei problemi della Plath
(sia esistenziali che legati alla sua poesia inedita […]).
Comprendere i suoi problemi e tradurre la sua poesia iniziale come l’ultima
mi ha un po’ esaurita di nervi».
E nel suo saggio sulla poetessa americana glossa:
«Potremmo studiare quanto ci pare l’adolescenza, le lettere e la
biografia della Plath senza mai trovare altro che "specchi"
doppi e deformanti».
Ma di chi sta parlando Amelia?
Chi è Sylvia per Amelia?
Pare un doppio fortemente perturbante, fin troppo
gravido di similitudini e di ridondanze.
C’è una madre da difendere. La sua.
C’è un padre da risolvere. Il suo.
C’è una condanna alla perenne malattia mentale.
La sua.
C’è una morte autoinflitta. La sua.
Una vita che è la sua.
«Apri un muro: ne appare un altro, a tastarti
il polso. Radendo il muro non puoi, non vuoi
salvarti quelle poche ore dello spirito, forzare
quelle sue cellule misteriose. E rimane il
sentirsi pino accasciato tra le pinete nuove
dritto fine a marcia pietà».
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