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FRENIS  zero 

Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte

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SPAZIO ROSENTHAL. Tra femminile e psicoanalisi Frenis Zero  Publisher

       "PERDUTA NELLA VASCA D'OMBRE

Amelia Rosselli traduce Sylvia Plath" 

 

 

 

 

 

 di Rita Corsa

 



Questo testo è stato originariamente pubblicato in un numero monografico del 2014 della Rivista di Psicologia Analitica (nuova serie n. 37, 84, pp. 129-141) a cura di Clementina Pavoni, dal titolo "Vite che non sono la mia". Si ringrazia il direttore responsabile della rivista per aver concesso l'autorizzazione alla ripubblicazione nello "Spazio Rosenthal" all'interno di Frenis Zero. 

 

  

            

 

 

  

   

 

Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

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EDIZIONI FRENIS ZERO

 

Ultima uscita/New issue:

 

Psychoanalysis, Collective Traumas and Memory Places (English Edition)

Edited by/a cura di: Giuseppe Leo Prefaced by/prefazione di:               R.D.Hinshelwood                                      Writings by/scritti di: J. Altounian       W. Bohleber  J. Deutsch                        H. Halberstadt-Freud  Y. Gampel           N. Janigro   R.K. Papadopoulos            M. Ritter  S. Varvin  H.-J. Wirth

 Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collection/Collana: Mediterranean Id-entities

Anno/Year: 2015

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"L'uomo dietro al lettino" di Gabriele Cassullo

 Prefaced by/prefazione di: Jeremy Holmes                                                         Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collection/Collana: Biografie dell'Inconscio

Anno/Year: 2015

Pagine/Pages: 350

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Prezzo/Price: € 29,00

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"Neuroscience and Psychoanalysis" (English Edition)

Edited by/a cura di: Giuseppe Leo Prefaced by/prefazione di: Georg Northoff                                            Writings by/scritti di: D. Mann               A. N. Schore R. Stickgold                   B.A. Van Der Kolk  G. Vaslamatzis  M.P. Walker                                                 Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collection/Collana: Psicoanalisi e neuroscienze

Anno/Year: 2014

Pagine/Pages: 300

ISBN:978-88-97479-06-2

Prezzo/Price: € 49,00

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Vera Schmidt, "Scritti su psicoanalisi infantile ed educazione"

Edited by/a cura di: Giuseppe Leo Prefaced by/prefazione di: Alberto Angelini                                             Introduced by/introduzione di: Vlasta Polojaz                                                   Afterword by/post-fazione di: Rita Corsa

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana: Biografie dell'Inconscio

Anno/Year: 2014

Pagine/Pages: 248

ISBN:978-88-97479-05-5

Prezzo/Price: € 29,00

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Resnik, S. et al.  (a cura di Monica Ferri), "L'ascolto dei sensi e dei luoghi nella relazione terapeutica" 

Writings by:A. Ambrosini, A. Bimbi,  M. Ferri,               G. Gabbriellini,  A. Luperini, S. Resnik,                      S. Rodighiero,  R. Tancredi,  A. Taquini Resnik,       G. Trippi

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana: Confini della Psicoanalisi

Anno/Year: 2013 

Pagine/Pages: 156

ISBN:978-88-97479-04-8 

Prezzo/Price: € 37,00

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Silvio G. Cusin, "Sessualità e conoscenza" 

A cura di/Edited by:  A. Cusin & G. Leo

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana/Collection: Biografie dell'Inconscio

Anno/Year: 2013 

Pagine/Pages: 476

ISBN:  978-88-97479-03-1

 Prezzo/Price: € 39,00

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AA.VV., "Psicoanalisi e luoghi della riabilitazione", a cura di G. Leo e G. Riefolo (Editors)

 

A cura di/Edited by:  G. Leo & G. Riefolo

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana/Collection: Id-entità mediterranee

Anno/Year: 2013 

Pagine/Pages: 426

ISBN: 978-88-903710-9-7

 Prezzo/Price: € 39,00

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AA.VV., "Scrittura e memoria", a cura di R. Bolletti (Editor) 

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, A. Arslan, R. Bolletti, P. De Silvestris, M. Morello, A. Sabatini Scalmati.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana: Cordoglio e pregiudizio

Anno/Year: 2012 

Pagine/Pages: 136

ISBN: 978-88-903710-7-3

Prezzo/Price: € 23,00

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AA.VV., "Lo spazio  velato.   Femminile e discorso psicoanalitico"                             a cura di G. Leo e L. Montani (Editors)

Writings by: A. Cusin, J. Kristeva, A. Loncan, S. Marino, B. Massimilla, L. Montani, A. Nunziante Cesaro, S. Parrello, M. Sommantico, G. Stanziano, L. Tarantini, A. Zurolo.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana: Confini della psicoanalisi

Anno/Year: 2012 

Pagine/Pages: 382

ISBN: 978-88-903710-6-6

Prezzo/Price: € 39,00

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AA.VV., Psychoanalysis and its Borders, a cura di G. Leo (Editor)


Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jimenez, O.F. Kernberg,  S. Resnik.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana/Collection: Borders of Psychoanalysis

Anno/Year: 2012 

Pagine/Pages: 348

ISBN: 978-88-974790-2-4

Prezzo/Price: € 19,00

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AA.VV., "Psicoanalisi e luoghi della negazione", a cura di A. Cusin e G. Leo
Psicoanalisi e luoghi della negazione

Writings by:J. Altounian, S. Amati Sas, M.  e M. Avakian, W.  A. Cusin,  N. Janigro, G. Leo, B. E. Litowitz, S. Resnik, A. Sabatini  Scalmati,  G.  Schneider,  M. Šebek, F. Sironi, L. Tarantini.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana/Collection: Id-entità mediterranee

Anno/Year: 2011 

Pagine/Pages: 400

ISBN: 978-88-903710-4-2

Prezzo/Price: € 38,00

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"The Voyage Out" by Virginia Woolf 

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-97479-01-7

Anno/Year: 2011 

Pages: 672

Prezzo/Price: € 25,00

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"Psicologia dell'antisemitismo" di Imre Hermann

Author:Imre Hermann

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero 

ISBN: 978-88-903710-3-5

Anno/Year: 2011

Pages: 158

Prezzo/Price: € 18,00

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"Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo (editor)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A. Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y. Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M. Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-2-8

Anno/Year: 2010

Pages: 520

Prezzo/Price: € 41,00

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"Vite soffiate. I vinti della psicoanalisi" di Giuseppe Leo 

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Edizione: 2a

ISBN: 978-88-903710-5-9

Anno/Year: 2011

Prezzo/Price: € 34,00

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OTHER BOOKS

"La Psicoanalisi e i suoi confini" edited by Giuseppe Leo

Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik

Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini

ISBN: 978-88-340155-7-5

Anno/Year: 2009

Pages: 224

Prezzo/Price: € 20,00

 

"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini" 

Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.

Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas, Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.

Publisher: Schena Editore

ISBN 88-8229-567-2

Price: € 15,00

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A corpo a corpo con il mistero

Nota introduttiva di Laura Montani

 

 

 

 

In armonia con gli intenti con cui lo Spazio Rosenthal è nato, continuiamo a ospitare qui le voci di psicoanaliste impegnate a ricercare all'interno di quello che compare ancora come un enigma per la psicoanalisi contemporanea: la donna e il suo desiderio.

Nel numero di Frenis Zero precedente a questo, si era tentato di rendere visibile un'alterità insita nel dispositivo desiderante materno sottoponendo a critica la forma monolitica con cui il desiderio femminile viene rappresentato nella contemporaneità e nelle sue narrazioni, psicoanalitiche e non.

La vita e le opere di A. Rosselli, così come le presenta nella sua lettura Rita Corsa, psicoanalista e psichiatra, vengono a disordinare il " reliquario della cattiva madre" (Hillman, 1990), in cui alcuni critici la hanno posta e a renderci visibile questa figura femminile nel suo pieno" fulgore," acceso dalla passione civile e dalla follia.

Entrambe, passione civile e follia , fecero sentire Amelia in profonda consonanza con Sylvia Plath, che, non a caso, tradusse.

Come le vite sofferenti di tanti pionieri del movimento psicoanalitico al suo sorgere, tra cui Tatiana Rosenthal, da cui questo spazio prende nome, sembrano essersi intrecciate tra di loro, nella narrazione fattane da alcuni, con appassionata attenzione , così nella sua scrittura Rita Corsa intreccia le vite e l'opera di A. Rosselli e di S. Plath, con altrettanta passione e rispetto per il loro mistero .

Una scrittura lieve, che non usa dello strumento psicoanalitico per forzare l'opera e la vita di queste due poetesse, indubbiamente sofferenti, schiacciate, anche se in maniera diversa, dalla Kultur dell'epoca. E come A. Rosselli ai tempi contrastò R. Rossanda, contestandone la riduttiva interpretazione della sofferenza di S. Plath, in cui Amelia stessa si riconosceva, così Rita Corsa evita di fare ricorso al fantasma della "cattiva madre" per porsi in risonanza con i versi delle due autrici e con la loro vita narrata in versi.

E' piuttosto "lo spirito dell'epoca" che emerge tra le righe di questo saggio: il peso della Kultur e dei prezzi che dovettero pagare le donne che crebbero al suo interno, nel primo dopoguerra, sia in Europa che in America, paesi entrambi reduci dal secondo conflitto mondiale. Così la lettura di questo saggio, pur nel suo contenuto doloroso, ci apre un orizzonte di riflessione arioso, allargato, libero dai gravami pesanti degli stereotipi psicoanalitici contemporanei per godere dell' alta lezione lasciataci da due donne infelici, con il loro canto.

Buona lettura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Perduta nella vasca d’ombre

le ragnatele bianche e la polvere per le ciglie,

granelli e piccole perle sotto una pioggia miserissima

decidevano per il meglio una vita chiusa»

(Amelia Rosselli, Serie Ospedaliera) .

 

 

 

 

La felicità non è del poeta

La parola poetica, invero, è il più affidabile sestante per orientarsi negli oceani immensi e minacciosi dell’esistenza, ma pare sempre indicare le gelide acque del Nord: «V’è la luce della mente, fredda e planetaria». La stessa luna creatrice, «bianca» e «terribilmente sconvolta», «porta dietro di sé il mare come un oscuro crimine». E «il messaggio» è «la nerezza-nerezza e silenzio».

Spiega Clementina Pavoni: «La scrittura poetica […] può con grande agilità incamminarsi nei territori oscuri dell’ignoto. In questo corpo a corpo con il mistero, la parola in poesia assume un valore privilegiato di svelamento e di conoscenza».

La parola poetica è gesto psichico, narrazione che tocca e cura, ma che non preserva dalla morte.

E’ un canto dalle melodie sinistre, quello intonato a due voci da Amelia Rosselli e da Sylvia Plath, le leonesse malate della poesia del Novecento.

In questo contributo mi soffermerò ad osservare con occhio incantato i fatali rispecchiamenti delle due donne: identificazioni, distanziamenti e trasfigurazioni in una cavità di tenebre. Lo sguardo si poserà su Amelia che intreccia la sua lingua con quella di Sylvia, in un furioso e funesto amplesso letterario.

Amelia Rosselli inizia a divulgare l’opera di Sylvia Plath nella metà degli anni Settanta, quando l’afflizione psichica che la tormenta sin da ragazza le occupa la mente con sempre più invadenza.

 

«[…] Il vento non

spazza via il sasso, quelle fosse, quei

resti d’ombra, quel vivere di sogni

pesanti» .

 

Amelia dirada la produzione poetica e la sua creatività pare girare a vuoto, ferma nell’ora nera ed eterna della sofferenza. Finché la parola plathiana non la uncina. Comincia così a tradurre i suoi versi. E gli aliti, i venti e i crucci del pensiero rosselliano subiscono l’inesorabile transustanziazione nel paralitico uovo plathiano, pietroso e glaciale.

 

      1. «Succede. Continuerà? -
      2. Il mio cervello una pietra,
      3. senza dita per afferrare, senza lingua,

[…]

Uovo morto, giaccio

intero

su un intero mondo che non posso toccare,

[…]».

 

 

 

Il mio cuore è un geranio paralizzato

 

Il 7 marzo 1976, Rosselli legge la propria versione di La luna e il tasso (Plath, 1961) ad un programma radiofonico del terzo canale. Nel fascicolo di luglio-agosto 1975 di Nuovi Argomenti sono già comparse 14 poesie della Plath, tradotte dalla poetessa italiana.

Intanto, la mente di Amelia è attanagliata da un dolore feroce.

La Rosselli patisce di gravi problemi psichici sin dalla giovane età: è tormentata da idee persecutorie e da floride dispercezioni visive e acustiche, dapprima sporadiche e non ben strutturate, ma che a partire dalla metà degli anni Sessanta diventano continue e sempre più minacciose, fino a dominare completamente il suo quotidiano. Dopo la morte della madre entra in trattamento analitico con Nicola Perrotti, l’analista freudiano che, nel dopoguerra, rifondò a Roma, insieme a Servadio e Musatti, la Società Italiana di Psicoanalisi, sciolta dal regime fascista nel 1938.

Nel 1954, a ventiquattro anni, in seguito alla morte precoce dell’amico Rocco Scotellaro, "il poeta contadino", le condizioni psichiche della poetessa – da sempre sofferente di brusche oscillazioni dell’umore, insonnia incoercibile, scoppi d’ira e di non ben precisati "esaurimenti nervosi" – peggiorano drammaticamente e si complicano con seri propositi autolesionistici. Viene ricoverata in una clinica psichiatrica romana e sottoposta ad elettroshock e a terapia insulinica, contro il volere dei familiari, che si preoccupano di trasferirla nella prestigiosa clinica svizzera Bellevue di Kreuzlingen, diretta da Binswanger. La degenza da Binswanger durerà un anno e mezzo e sarà la prima di una lunga serie. La diagnosi di dimissione sarà quella di schizofrenia paranoide. Tutta la vita di Amelia sarà scandita da ripetute e protratte ospedalizzazioni, sia in Svizzera, da Binswanger, sia in cliniche psichiatriche italiane. Negli anni Cinquanta la poetessa si avvale del trattamento dell’analista junghiano Ernst Bernhard, con il quale manterrà a lungo i contatti, rimanendo profondamente influenzata dai suoi saggi psicoanalitici.

Fu il grande intellettuale triestino Bobi Bazlen a suggerirle il nome di Bernhard: «Aveva una calma eccezionale nei suoi rapporti con i pazienti, rapporti, occorre dirlo, non legalizzati dalla psichiatria ordinaria. […] Bisogna aggiungere che era ostile all’iscrizione [di Amelia] al PCI». La stessa Rosselli racconta a Spagnoletti che molti anni dopo e in seguito a dei dissidi, abbandonò la cura con Bernhard, per rivolgersi nuovamente alla scuola freudiana. Vide diversi analisti, tra cui «Bellanova. Egli provvide a un’analisi "di appoggio" per alcuni mesi. Alla fine diagnosticò: "Lei ha soltanto una leggera nevrosi"» e così, chiosa Amelia, «I problemi dovevo risolverli da sola».

In «Storia di una malattia» (1977), l’artista offre una dolente testimonianza della sua psicopatologia: le allucinazioni e le idee deliranti di persecuzione che la parassitano da decenni si sono indurite, trasformando il suo mondo in un teatro minaccioso, abitato da agenti segreti crudeli che controllano e registrano ogni pensiero e ogni atto. Le Voci le parlano sia in inglese che in italiano: «Tra le sei-sette voci distinguibili in quanto sempre uguali a se stesse […] ne spiccavano due di donne, […] possibile riferimento alle figure della nonna materna e della mamma». Lamenta ancora la poetessa: «I fili elettrici normalmente in uso in case private sprigionavano anch’essi un eccesso di corrente elettrica tale da ridurre le gambe a colorazione bluastra e bianca. Malgrado avessi cambiato la serratura […] tutti i miei vestiti vennero un giorno spruzzati d’acidi […] Trattenni per un periodo tutti i cibi che avevo trovato o drogati o avvelenati». Riprende la girandola di ricoveri e di cicli di elettroshock in ospedali e sanatori italiani, londinesi e svizzeri. Sarà condannata, tuttavia, a sentirsi per sempre vittima di «mille dubbi corrosivi»: le Voci e le persecuzioni provenienti da un ambiente popolato da «elefanti ottusi» continueranno senza tregua a logorarle l’esistenza.

 

«Il mese delle fioriture è concluso.

[…]

 

Vorrei sedermi in un vaso di fiori,

I ragni non se ne accorgeranno.

Il mio cuore è un geranio paralizzato».

 

 

Non vi è dubbio che vi sia stata una stretta congiunzione tra la danza delle parole e il dolore mentale. Lo è stato per Sylvia Plath che, attraverso l’esercizio letterario, ha «eruttato proclami dalla perentoria assolutezza di comunicazioni schizoidi, in cui la mente sprofondata nel fondo della separatezza non comunica più che con se stessa». Lo è stato per Amelia Rosselli, specchiata nel pozzo d’ombre del male psichico, che crea e disintegra il Sé. Un faccia a faccia tra cicli asfissianti di morti e rinascite. Lo sguardo divorante di Amelia violenta la parola plathiana, estremo artificio di sopravvivenza. Un errore fatale. Perché il suo doppio non salva, ma accelera il compimento.

 

«Ricordo

Il morto odore del sole sulle cabine di legno,

La rigidezza delle vele, lenzuola lunghe avviluppate dal sale».

 

 

Sylvia Plath, musa incantatrice, muore suicida a trentun anni, nel febbraio 1963. Esito ineluttabile di un’esistenza segnata dalla patologia mentale, cominciata in adolescenza. Si consegna all’«angelo scuro» in una mattina del più freddo inverno londinese del secolo. Sistema sotto le coperte i suoi due bimbi, lascia di lato ai loro letti una tazza di latte bollente e del pane fresco, spalanca le finestre, sigilla col nastro adesivo la porta della cameretta. E si reca in cucina, dove adagia i pensieri malati nel forno a gas.

Per Amelia Rosselli la poetessa americana è un doppio senza segreti, senza «angeli profeti» che riparino e consolino. Sceglie lo stesso giorno per gettarsi dal balconcino della sua disadorna soffitta a Trastevere. E’ l’11 febbraio 1996, di mattino. Una tiepida mattinata romana.

 

 

Lingua padre/lingua madre

 

I biografi hanno ormai perlustrato ogni anfratto della triste vicenda umana della Rosselli, memori dell’osservazione freudiana che «né il poeta può sfuggire allo psichiatra, né lo psichiatra al poeta».

In un precedente saggio, si adottava il celeberrimo assunto lacaniano «La parola uccide la Cosa» (1953), per tentare di cogliere lo strenuo sforzo attuato dalla grande poetessa per addomesticare la morte dei padri attraverso l’invenzione della parola che salva.

Sin dall’età più tenera, l’assenza della lingua paterna caratterizza l’esistenza di Amelia, marcata da lutti reiterati nella linea genealogica maschile. Stermini insanabili, che la costringono alla sottrazione ripetuta e brutale della lingua «santa» dei padri. Un’esistenza disordinata e solitaria, in perenne smarrimento.

Amelia aveva sette anni quando il padre Carlo e lo zio Nello, intellettuali antifascisti, fondatori di Giustizia e Libertà, vennero uccisi da un commando di sette giovani appartenenti all’organizzazione filofascista "Cagoule". Il vile attentato che costò la vita ai fratelli Rosselli avvenne il 9 giugno 1937, a Bagnoles-de-l’Orne, in Francia, su mandato di Galeazzo Ciano al SIM (Servizio Informazione Militare).

La madre Marion, un’inglese dalla salute cagionevole, fu piegata dalla vedovanza e, insieme ai tre figli (John, detto Mirtillino – il prediletto primogenito – Amelia, chiamata anche Melina e Andrea), iniziò a peregrinare tra l’Inghilterra, la Francia e l’Italia. Dopo la morte del consorte, Marion non parlò mai più la lingua italiana, che conosceva perfettamente. La donna aveva un fisico seriamente provato dalle febbri reumatiche, che le avevano danneggiato le valvole cardiache; soffriva di depressione, specialmente nei periodi puerperali. Le tre gravidanze e la morte del marito la sfinirono nel corpo e nella psiche. A cinquant’anni restò paralizzata, a causa di ripetuti ictus. Perì a Londra nell’ottobre del 1949, appena cinquantaduenne. Melina aveva diciannove anni e il decesso materno le causò un drammatico peggioramento delle condizioni psichiche, già molto deboli.

I biografi ipotizzano che Marion fosse una madre "insufficiente" in senso winnicottiano, una donna assai fragile e gravemente deficitaria nelle sue funzioni di care, di holding e di revêrie. La nascita di Amelia era stata una «gran delusione» per ambedue i genitori. In una lettera alla propria madre, il padre Carlo confessava: «Gran delusione di Marion per la bimba; e io pure […] Marion la trovava addirittura bruttina». Tuttavia, per la Tandello «Con la scomparsa di Marion [la madre] il filo che ancora reggeva una fragilissima continuità si spezza, e il vuoto si abbatte su di lei come il coperchio di una bara, la lastra di una lapide, seppellendo i ricordi, e ponendo fine al tempo della speranza e della crescita».

Negli anni successivi alla morte della madre, Amelia trascorse lunghi periodi in America, a volte in compagnia dell’amata nonna paterna, l’unica figura familiare capace di vicariare, almeno parzialmente, il difetto e il silenzio delle funzioni genitoriali.

Pesante e fortemente traumatica deve essere stata la vita da «rifugiata» che iniziò a condurre sin dall’omicidio del padre, viaggiando tra l’Europa e gli Stati Uniti: «Non sono "apolide"» – precisava in un’intervista rilasciata a Spagnoletti, nel 1989 - «Sono di padre italiano e se sono nata a Parigi è semplicemente perché lui era fuggito […] perché era stato condannato per aver fatto scappare Turati. Mia madre lo aiutò a fuggire e quindi lo raggiunse a Parigi […] La definizione di cosmopolita risale a un saggio di Pasolini che accompagnava le mie prime pubblicazioni sul "Menabò" (1963), ma io rifiuto per noi quest’appellativo: siamo figli della seconda guerra mondiale. […] Cosmopolita è chi sceglie di esserlo. Noi non eravamo dei cosmopoliti; eravamo dei rifugiati».

Cresciuta senza il padre Carlo; cresciuta spesso lontano dalla madre Marion; cresciuta dalla nonna paterna, Melina Rosselli, la poetessa, trascorre la sua dolente esistenza nel tentativo, stremante, di ricostruire la lingua paterna.

In questa famosa e bellissima poesia dei primi anni Sessanta, ella denuncia con voce straziata la morte violenta del padre, e la condanna ad un’esistenza senza pace che le è toccata.

Ecco qualche passo:

 

«Contiamo infiniti morti! la danza è quasi finita! La morte,

lo scoppio, la rondinella che giace ferita al suolo, la malattia,

e il disagio, la povertà e il demonio sono le mie cassette

dinamitarde. Tarda arrivavo alla pietà – tarda giacevo fra

dei conti in tasca disturbati dalla pace che non si offriva.

Vicino alla morte il suolo rendeva ai collezionisti il prezzo

della gloria. Tardi giaceva al suolo che rendeva il suo sangue

imbevuto di lacrime la pace. […]

Nata a Parigi travagliata nell’epopea della nostra generazione

fallace. Giaciuta in America fra i ricchi campi dei possidenti

e dello Stato statale. Vissuta in Italia, paese barbaro.

Scappata dall’Inghilterra paese di sofisticati. Speranzosa

nell’Ovest, ove niente per ora cresce. […]».

 

 

L’«angelo nero» è calato nelle stanze dell’infanzia anche di Sylvia.

Fiumi d’inchiostro sono stati versati nel narrare la storia privata di Plath, ad iniziare dalla perdita dell’anziano padre di origine germanica, entomologo di fama, professore di biologia e docente di tedesco alla Boston University che, quando Sylvia ha otto anni, si lascia morire di un diabete che non ha mai curato, certo di essere ammalato di cancro. «Era un orco. Ma mi manca. Era vecchio, ma lei [la madre] ha sposato un vecchio perché fosse mio padre»:

 

«Una siepe di tasso fatta di ordini,

Gotica e barbara, puro tedesco.

[…]

Avevo sette anni, non sapevo niente.

Il mondo accadeva.

Avevi una sola gamba e una mente, e una mente prussiana» .

 

Caleidoscopici commenti biografici sono poi stati dedicati all’appassionato e stritolante rapporto d’amore con il marito, il grande poeta inglese Ted Hughes. Un visionario matrimonio poetico che si trasformò ben presto in un inferno quotidiano. Perché la poesia è violenza. Un altro «Dio morto con una voce terribile», come scrive lo stesso Ted in Birthday Letters (1998), il canzoniere di versi compressi e tersi, con cui ruppe il luttuoso silenzio per la morte della moglie. Un silenzio interminabile e selvaggio, che durava da trentacinque anni. Perché il buio consuma.

C’è un buio «che può essere acceso [e che] accompagna l’esplorazione della creatività femminile». Il buio luminoso dell’epifania poetica. Ma c’è pure «un buio tenebroso di rinuncia e ammutolimento, ostacolo consistente ed ottuso a ritrovarsi». Forse è il buio delle madri "immemori", artefici del malvagio sortilegio scagliato contro la culla dell’unica figlia.

 

«Mamma, mamma, quale zia maleducata

o cugina sfigurata e repellente

dimenticasti così sconsideratamente

d’invitare al mio battesimo, che quella

al posto suo mandò queste signore

dalla testa come un uovo da rammendo,

per dondolarla e dondolarla ai piedi,

al capo e a sinistra della culla?».

 

 

Il terribile terzetto muliebre – tre manichini «senza bocca, senz’occhi, la testa calva tutta toppe» - maledice le nascite distociche di Sylvia e di Amelia.

Ah, le madri, le madri, quale inferno le madri! – apostrofa Goethe.

 

 

In difesa delle madri

 

Nel 1979 Marta Fabiani cura per Guanda Lettere alla madre (Letters Homes: Correspondence 1950-1963), il celebre carteggio che raccoglie un’ampia selezione eseguita da Aurelia Schober, la madre di Sylvia Plath, della fluviale corrispondenza tenuta con la figlia dal 1950, anno in cui la giovane si allontanò da casa per studiare allo Smith College di Boston, al 1963, l’anno del suo suicidio.

Questo epistolario ha dovuto sopportare le più sfrenate e fantasiose interpretazioni psicobiografiche. Forse nessun poeta ha dovuto subire uno scandagliamento così «intrusivo nel suo privato», per rendere ragione della sua arte.

Il numero di luglio-dicembre 1980 di Nuovi Argomenti ospita un breve saggio della Rosselli, Istinto di morte e istinto di piacere in Sylvia Plath. A provocare l’intervento della Rosselli è stata la recensione di Rossana Rossanda al carteggio plathiano. L’articolo, dal titolo Felice da morire, compare sul settimanale "L’Espresso" del 4 novembre 1979 e addebita senza scampo tutte le responsabilità della morte di Sylvia alla madre. Va detto che certe affermazioni plathiane sembrano imporre tale posizione critica. Ricordiamo che una Sylvia poco più che ventenne confessava in una pagina rabbiosa e dolente del suo diario, sintesi delle sedute fatte con la sua psichiatra RB: «Non credo che riuscirò ad amarla [la madre]. […] ha fatto una vita da schifo; non sa di essere un vampiro ambulante. Ma si tratta solo di compassione. Non di amore». E qualche attimo dopo urlava con voce furibonda e struggente: «in superficie è tutta buona e santa: si è data tutta ai figli […] La sua vita è stata un inferno […] ha le ulcere allo stomaco […] Le è toccato lavorare e fare la madre, anche, uomo e donna in un’unica, dolce massa ulcerosa».

Ma Amelia Rosselli non ci sta. Non si lascia fuorviare dalle spesso esasperate parole dell’epistolario per ridurre tutta la poetica plathiana ad un’«analisi di una crisi "al femminile"». Nel suo lucido articolo, Rosselli si scaglia contro la Rossanda, in un’impavida difesa di Aurelia Schober: «Addirittura truce fu il rapporto che Rossana Rossanda immaginava esistere fra la poetessa Sylvia Plath e sua madre […]. Mi parve allora che la Rossanda tendesse a politicizzare la materia a tal punto di darne un’interpretazione violentemente aletteraria e deformata in parte da una sovrapposizione pseudofemminista e pseudopsicologica». E ancora: «Fu proprio la madre Aurelia a opporsi pubblicamente allo sfruttamento della poesia di Sylvia […] dopo la sua morte […]. Se proprio dobbiamo commentare in senso psicobiografico le lettere e la vita della Plath, possiamo soltanto aggiungere che non è certo la madre Aurelia che dev’essere ritenuta responsabile […] di quell’inevitabilmente riuscito suicidio». Rosselli prosegue accennando alla patologia mentale di Sylvia, alla sua giovanile esperienza di psichiatri ed elettroshock, al mancato chiarimento del «problema del padre», perso quando era bambina e «mai ritrovato in forma "sostitutiva"». Si sofferma sull’«inevitabilità» della morte violenta della giovane artista, «che si nota anche nel progressivo indurirsi, come pietre schegge, delle ultime poesie: come se la Plath stessa fosse consapevole di chiudere un suo problema di eccesso di vita, travasata e distillata sino alle essenze finali».

Nell’autunno del 1991 Amelia scrive al fratello Jones: «[…] molto affaticata da alcuni dei problemi della Plath (sia esistenziali che legati alla sua poesia inedita […]). Comprendere i suoi problemi e tradurre la sua poesia iniziale come l’ultima mi ha un po’ esaurita di nervi».

E nel suo saggio sulla poetessa americana glossa: «Potremmo studiare quanto ci pare l’adolescenza, le lettere e la biografia della Plath senza mai trovare altro che "specchi" doppi e deformanti».

Ma di chi sta parlando Amelia?

Chi è Sylvia per Amelia?

Pare un doppio fortemente perturbante, fin troppo gravido di similitudini e di ridondanze.

C’è una madre da difendere. La sua.

C’è un padre da risolvere. Il suo.

C’è una condanna alla perenne malattia mentale. La sua.

C’è una morte autoinflitta. La sua.

Una vita che è la sua.

 

«Apri un muro: ne appare un altro, a tastarti

il polso. Radendo il muro non puoi, non vuoi

salvarti quelle poche ore dello spirito, forzare

quelle sue cellule misteriose. E rimane il

sentirsi pino accasciato tra le pinete nuove

dritto fine a marcia pietà».

 

 

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Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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