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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte

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SPAZIO ROSENTHAL. Tra femminile e psicoanalisi

 Frenis Zero  Publisher

       "PENSIERO FEMMINILE"

 

 

 

 di Lidia Tarantini

 



 

            

 

 

  

 

 

Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

Edizioni "Frenis Zero"

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EDIZIONI FRENIS ZERO

 

Ultima uscita/New issue:

 

Vera Schmidt, "Scritti su psicoanalisi infantile ed educazione"

Edited by/a cura di: Giuseppe Leo Prefaced by/prefazione di: Alberto Angelini                                             Introduced by/introduzione di: Vlasta Polojaz                                                   Afterword by/post-fazione di: Rita Corsa

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana: Biografie dell'Inconscio

Anno/Year: 2014

Pagine/Pages: 248

ISBN:978-88-97479-05-5

Prezzo/Price: € 29,00

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Resnik, S. et al.  (a cura di Monica Ferri), "L'ascolto dei sensi e dei luoghi nella relazione terapeutica" 

Writings by:A. Ambrosini, A. Bimbi,  M. Ferri,               G. Gabbriellini,  A. Luperini, S. Resnik,                      S. Rodighiero,  R. Tancredi,  A. Taquini Resnik,       G. Trippi

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana: Confini della Psicoanalisi

Anno/Year: 2013 

Pagine/Pages: 156

ISBN:978-88-97479-04-8 

Prezzo/Price: € 37,00

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Silvio G. Cusin, "Sessualità e conoscenza" 

A cura di/Edited by:  A. Cusin & G. Leo

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana/Collection: Biografie dell'Inconscio

Anno/Year: 2013 

Pagine/Pages: 476

ISBN:  978-88-97479-03-1

 Prezzo/Price: € 39,00

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AA.VV., "Psicoanalisi e luoghi della riabilitazione", a cura di G. Leo e G. Riefolo (Editors)

 

A cura di/Edited by:  G. Leo & G. Riefolo

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana/Collection: Id-entità mediterranee

Anno/Year: 2013 

Pagine/Pages: 426

ISBN: 978-88-903710-9-7

 Prezzo/Price: € 39,00

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AA.VV., "Scrittura e memoria", a cura di R. Bolletti (Editor) 

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, A. Arslan, R. Bolletti, P. De Silvestris, M. Morello, A. Sabatini Scalmati.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana: Cordoglio e pregiudizio

Anno/Year: 2012 

Pagine/Pages: 136

ISBN: 978-88-903710-7-3

Prezzo/Price: € 23,00

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AA.VV., "Lo spazio  velato.   Femminile e discorso psicoanalitico"                             a cura di G. Leo e L. Montani (Editors)

Writings by: A. Cusin, J. Kristeva, A. Loncan, S. Marino, B. Massimilla, L. Montani, A. Nunziante Cesaro, S. Parrello, M. Sommantico, G. Stanziano, L. Tarantini, A. Zurolo.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana: Confini della psicoanalisi

Anno/Year: 2012 

Pagine/Pages: 382

ISBN: 978-88-903710-6-6

Prezzo/Price: € 39,00

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AA.VV., Psychoanalysis and its Borders, a cura di G. Leo (Editor)


Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jimenez, O.F. Kernberg,  S. Resnik.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana/Collection: Borders of Psychoanalysis

Anno/Year: 2012 

Pagine/Pages: 348

ISBN: 978-88-974790-2-4

Prezzo/Price: € 19,00

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AA.VV., "Psicoanalisi e luoghi della negazione", a cura di A. Cusin e G. Leo
Psicoanalisi e luoghi della negazione

Writings by:J. Altounian, S. Amati Sas, M.  e M. Avakian, W.  A. Cusin,  N. Janigro, G. Leo, B. E. Litowitz, S. Resnik, A. Sabatini  Scalmati,  G.  Schneider,  M. Šebek, F. Sironi, L. Tarantini.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana/Collection: Id-entità mediterranee

Anno/Year: 2011 

Pagine/Pages: 400

ISBN: 978-88-903710-4-2

Prezzo/Price: € 38,00

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"The Voyage Out" by Virginia Woolf 

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-97479-01-7

Anno/Year: 2011 

Pages: 672

Prezzo/Price: € 25,00

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"Psicologia dell'antisemitismo" di Imre Hermann

Author:Imre Hermann

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero 

ISBN: 978-88-903710-3-5

Anno/Year: 2011

Pages: 158

Prezzo/Price: € 18,00

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"Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo (editor)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A. Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y. Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M. Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-2-8

Anno/Year: 2010

Pages: 520

Prezzo/Price: € 41,00

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"Vite soffiate. I vinti della psicoanalisi" di Giuseppe Leo 

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Edizione: 2a

ISBN: 978-88-903710-5-9

Anno/Year: 2011

Prezzo/Price: € 34,00

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OTHER BOOKS

"La Psicoanalisi e i suoi confini" edited by Giuseppe Leo

Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik

Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini

ISBN: 978-88-340155-7-5

Anno/Year: 2009

Pages: 224

Prezzo/Price: € 20,00

 

"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini" 

Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.

Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas, Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.

Publisher: Schena Editore

ISBN 88-8229-567-2

Price: € 15,00

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Sono convinta che ci sia un modo di utilizzare il pensiero diverso da quello razionale tradizionalmente attribuito al pensiero “maschile”. Potremmo, per differenziarlo, definirlo pensiero “femminile”, senza ovviamente dare a questa definizione una connotazione sessuale. Uomini e donne possono fare uso dell’una o dell’altra “forma del pensare”, anche se sicuramente le donne hanno una naturale facilità ed inclinazione ad utilizzare il secondo modo.

Curiosamente ed inaspettatamente nell’introduzione alla Encyclopedie, D’Alamberet usa una metafora per descrivere il modo di procedere del pensiero filosofico, tradizionalmente appartenente al campo razionale maschile, che a me sembra invece esprimere una delle caratteristiche principali del pensiero femminile. Dice, infatti, D’Alembert che questo pensiero nel suo avanzare tra dubbi ed incertezze, costruisce la rete del proprio sapere, infinito come il suo errare, strutturalmente illimitato, perchè si accresce ad ogni istante e ad ogni istante è diverso da prima. Un pensiero che si muove come in un labirinto ed è globalmente inconoscibile. Tuttavia né irrazionale né estraneo, ma ragionevole e razionale: la sua verificabilità è, infatti, sempre contestuale e contingente.

Un pensiero carico di emozione, paura, dubbio, angoscia di sbagliare, eppure coraggioso ed etico, modesto nell’accettazione della sconfitta e dell’errore, intersoggettivo, più che assertivo.

Lo strumento di cui si serve per procedere è il lampo improvviso dell’intuizione, piuttosto che la luce fissa della logica.

In definitiva è un pensiero più curioso ed interessato al viaggio ed alla ricerca di sempre nuove vie da percorrere, che alla soluzione e all’uscita dal labirinto. Una modalità che potrebbe definirsi debole: una passione del reale dove caducità, dubbio, sofferenza mettono in contatto con l’accadere, col fenomeno, con ciò che appare e di cui possiamo fare esperienza nella sua contingenza. Qui ed ora. Certamente questa posizione comporta la rinuncia alla ricerca di una verità univoca, l’impossibilità di cogliere l’essere, l’assoluto, l’eterno, il reale. Lo spazio entro il quale questo pensiero si muove è quello dell’intersoggettività, della contingenza, della storia, della memoria, della parola.

Potremmo chiamare questo pensiero un pensiero interpretante, molto vicino a quello che ci permette in analisi di capire qualcosa della verità dell’altro e di quello che ci racconta di se, purché si sia consapevoli che anche il materiale che egli porta, lontano dall’essere un dato oggettivo, è già un oggetto interpretato. Quello che possiamo fare non sarà perciò una ricostruzione o svelamento di verità nascoste; ciò che il paziente ci chiede è di partecipare alla costruzione di un senso condiviso, nella contingenza del presente. La parola dell’inconscio diventa una possibile scienza del futuro, anziché rimandarci ad antiche lacune o a mancanze da colmare.

Due grandi padri fondatori del pensiero occidentale: Kant per la filosofia e  Freud per la scienza dell’anima, si sono trovati a compiere una sorta di torsione geniale del loro pensiero per rendere conto di fenomeni che non potevano essere spiegati restando all’interno di una logica binaria.  Kant ha dovuto immaginare una terza logica che rendesse conto di due aspetti fondamentali della psiche umana: l’etica e l’estetica. Nella “critica del giudizio” parla, infatti, di un pensiero che non implica nessuna asserzione di verità, ma che organizza le immagini sensibili in un libero gioco che non produce spiegazioni o affermazioni di verità, ma solo l’emergere di un sentimento, possibile proprio grazie alla sospensione delle categorie.  Libera contemplazione delle apparenze, il sentimento del sublime restituisce l’essere all’accadere, all’apparenza, a ciò che si rivela e di cui possiamo fare esperienza emotiva: il cielo stellato e la legge morale.

Freud, dal canto suo, di fronte alle aporie a cui lo conduceva il suo bisogno di trovare un fondamento di realtà nei fatti e nei racconti che le pazienti isteriche gli riportavano e, dopo aver oscillato tra due interpretazioni opposte del trauma sessuale infantile, accettò, alla fine, di pensare che quello che aveva importanza fosse la costruzione di una verità condivisa tra paziente ed analista, come se fosse vera piuttosto che una supposta, irrecuperabile verità di fatti, forse mai accaduti o accaduto solo nell’immaginario infantile delle pazienti, che l’analisi doveva scoprire e ricostruire nella loro oggettiva verità.

Il pensiero umano, accettando la sua debolezza, non desidera più appropriarsi del mondo ma mettersi in relazione. Conoscere è innanzi tutto un sentimento, un desiderio appassionato, un lasciarsi modellare, penetrare, un affidarsi all’oggetto da conoscere attraverso l’intuito più che il giudizio. Questa funzione del conoscere esclude il taglio, la divisione, il “niente altro che”, e tende piuttosto alla conciliazione e presenza simultanea di questo e quello. Nell’”Origine dell’opera d’arte”, Heidegger ipotizza una possibile convivenza tra mondo umano e natura, non basato sulla forza e sulla distruttività: “...mondo umano e terra sono sempre, in virtù della loro stessa essenza, in contrapposizione ed in lotta. La terra emerge attraverso il mondo e il mondo si fonda sulla terra perché si storicizza la verità come lotta originaria di illuminazione e nascondimento. Tuttavia questa lotta non è un tratto che spalanchi un baratro, ma è l’intimità di un convertirsi reciproco di lottanti... questo tratto attrae i contendenti verso l’origine della loro unità.”.

In queste parole c’è forte il richiamo al contatto con ciò che è naturale, biologico, primario; un avvertimento a non lasciarsi trascinare in un collettivo dove spesso l’essere umano perde il senso del suo limite e del suo posto naturale, in una fuga verso l’onnipotenza del pensiero che sconfina nel delirio. L’attenzione alla natura, al contrario, non permette sconfinamenti indebiti; essa ha le sue regole, i sui tempi, il suo ordine, i suoi limiti. Di questo sono consapevoli le donne in modo del tutto naturale. 

Di questi limiti fa parte anche il tener conto della sofferenza, della morte, mentre a me sembra che la tendenza odierna sia piuttosto quella di esorcizzare il dolore o di rendendolo spettacolo-finzione o negandolo ed emarginandolo in nome tecnologia salvifica. Il potere tecnologico parcellizza l’esperienza del dolore in tanti pezzetti circoscritti: fisico, psichico, sociale, religioso; ognuno con una sua modalità terapeutica più o meno manipolatoria. Il dolore diventa in tal modo un problema di competenze, sottratto alla comunicazione ed isolato, privato di senso. Tuttavia questi moderni “temenoi” del dolore poco hanno di sacro. Nell’esperienza greca e in quella ebraico-cristiana il senso della umana sofferenza era sempre legato a qualcosa di sotteso, che attraverso quell’esperienza “parlava”, fosse esso Dio o la Natura o il Destino. Era, comunque, un esperienza all’interno di un mito, che permetteva a chi ne era coinvolto, un vissuto di appartenenza, appartenenza a qualche cosa che era al tempo stesso sensibile e soprasensibile, nel tempo e fuori di esso personale e collettivo.

 Il dolore, nel mito, era anche una prova e come tale, aveva senso anche morale, affrontarlo e uscirne era redenzione. Il dolore esisteva all’interno di un atto ermeneutico, in cui convergevano istanze non solo oggettive ma storiche, sociali, culturali; era insomma un’esperienza iscrivibile in quella che Winnicott definisce come area transizionale. Nell’area transizionale tutto ciò che accade può essere toccato da un senso di vita e tutti i prodotti della psiche possono essere percepiti come condivisibili. Essa è legata all’esperienza interna di un “noi”, il che permette all’essere umano di produrre miti anziché deliri. La perdita di questo spazio del “noi”, di questa possibilità di iscrizione simbolica ha condotto, a mio avviso, il pensiero contemporaneo a sconfinamenti deliranti nei quali onnipotenza e tecnologia, potere e progresso, razionalizzazioni e ottimizzazioni, sembrano non lasciare spazio alcuno ad un vissuto come quello del dolore, della tragedia, della sofferenza. Queste esperienze non possono trovare nessuna possibilità di integrazione nella civiltà contemporanea occidentale, in quanto ne denunciano la fragilità di fondo, la possibilità ad ogni istante di trasformarsi nel suo contrario, nel caos, nella distruzione, nella catastrofe ecologica. Questa apocalisse laica e razionale, ben diversa dalle escatologie apocalittiche religiose, non lascia speranze di palingenesi, ma mette in scena solo la manifestazione dell’umana stupidità e presunzione.

 

Si è spesso parlato della funzione sociale dell’analisi, per lo più negandola, della possibilità che il mestiere dell’analista, così artigianale e così privato, abbia una qualche incidenza e valore collettivo. Certamente anche io ho avuto a volte, chiusa in una stanza, la sensazione di essere un po’ fuori dal mondo, soprattutto quando nel modo accadono fatti che sembrano chiamare tutti ad un impegno concreto, immediato ed urgente. Credo che tutti in questi momenti ci siamo chiesti: “che sto facendo io qui, sola ed isolata, in questo mondo di parole?”. Personalmente a questa domanda ho dato di volta in volta varie e diverse risposte, ma che in definitiva mi hanno sempre, almeno finora, riconfermata nella mia scelta professionale. Mi sembra che il contatto quotidiano, che abbiamo nella stanza analitica con il dolore e la sofferenza psichica, ci permetta di elaborare una visione del mondo che, in qualche modo, tiene conto ed anzi valorizza gli aspetti negati ed espulsi dalla ideologia sociale, quello che essa ha difficoltà ad integrare, quello che disturba o rallenta il progresso. Di solito la strada che imbocchiamo, quando in due, ci mettiamo nel labirinto, va proprio in direzione opposta a quella che la società indica come la strada della riuscita. E’ una strada verso il basso, in discesa, una a perdere, di debolezza, forse di cultura, sicuramente non di successo. “Contra naturam” ha detto qualcuno, “contra societatem” direi piuttosto.

Per questo l’analisi è pericolosa per il sociale, perché anarchica e scandalosa. Essa sta dalla parte di tutto ciò che la società  vorrebbe dimenticare, negare, nascondere o almeno anestetizzare. Mette il dito sulle piaghe. La sofferenza in analisi è al centro, e produce coscienza. Una coscienza non onnipotente, come abbiamo visto, ma che si basa su credenze e miti che sono tanto più fisiologici per la psiche, quanto meno sono uni-dimensionali, a-conflittuali, assiomatici. In altre parole le “storie che curano” o  i “miti fisiologici” che inventiamo con i pazienti permettono di instaurare, o di re-instaurare, un rapporto con la realtà dialettico cioè problematico, non passivo. Un rapporto in cui c’è spazio anche per il senso, il simbolico, il mitico, per quella parte di noi che chiamiamo anima.

Questa strada tuttavia non è tranquilla ne senza rischi. Uno di questi pericoli potrebbe essere rappresentato dal fatto che ad un ampliamento della consapevolezza possa corrispondere una sorta di impossibilità a vivere, un immobilismo psichico, che deriva dalla convinzione che solo l’analisi conduca alla         Vera-Illusione, mentre la vita nel mondo reale porti all’Inganno. Può crearsi così un pericoloso iato tra pensiero e vissuto, tra consapevolezza e prassi; una divisione che può subentrare, incurabile, al posto della patologia e delle difficoltà di partenza. Potremmo chiamare questa malattia un inflazione dell’analisi. Di questo male siamo malati proprio noi analisti per primi, e quindi non è sempre facile coglierne il segno nell’altro. Tuttavia a me sembra che ci sia un elemento riflettendo sul quale riusciamo, forse, a non perdere l’obbiettività. Una sorta di ponte tra il mondo del simbolo, del senso, del mito e quello del vissuto quotidiano, dei segni, dei significati. Credo che questo ponte possa essere rappresentato dal tempo.

In analisi c’è un tempo del racconto, del ricordo, della memoria, un tempo ri-vissuto, ri-raccontato di nuovo, un tempo che torna e ritorna sui suoi passi, con lo sguardo spesso volto all’indietro ma che, proprio in questo suo distendersi e durare, riesce a raccontare una storia, un mito in cui trovi un senso il tempo di fuori, quello del vissuto quotidiano. Il tempo della vita vissuta giorno per giorno è quello della indecisione e delle scelte, quello della sofferenza e dei tagli, un tempo parcellizzato in tanti piccoli atti, tanti momenti separati, in tante piccole morti quotidiane, è un tempo senza senso ma che ha la possibilità di trovare, nell’illusione e nel mito, una sua verità ed una sua pace. In questo modo le due sponde dell’abisso entrano in contatto.

Il mondo dei simboli e quello del vissuto possono costellarsi reciprocamente, nella vita come nella stanza dell’analisi. Prescindere da questo “ponte del tempo” e fermarsi sull’una o sull’altra sponda, significherebbe dar credito e ragione a chi dice che l’analisi è un credo mistico o, al contrario, uno strumento di integrazione sociale al servizio del potere, quindi o troppo fuori o troppo dentro. Al contrario l’immagine dell’analista itinerante, sul ponte del tempo, è quella che mi sembra corrisponda meglio a ciò che ho precedentemente definito “funzione conoscitiva debole” o “pensiero intuitivo femminile”, connesso alla rinuncia dell’onnipotenza e della forza. Il pensiero nel labirinto. Mi sembra anche che se non pensassimo di poter tener viva questa funzione, la nostra esistenza sarebbe preda di una infinita e inguaribile disperazione o di un infinito ed inguaribile delirio.

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
   

 

 

 

   
 
 

 

 

 

 

 

 

         

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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