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Edited by/a cura di: Giuseppe Leo Prefaced by/prefazione
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Writings by/scritti di: D. Mann
A. N. Schore R. Stickgold
B.A. Van Der Kolk G. Vaslamatzis M.P. Walker
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collection/Collana: Psicoanalisi e neuroscienze
Anno/Year: 2014
Pagine/Pages: 300
ISBN:978-88-97479-06-2
Prezzo/Price: € 49,00
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Vera
Schmidt, "Scritti su psicoanalisi infantile ed
educazione"
Edited by/a cura di: Giuseppe Leo Prefaced by/prefazione
di: Alberto Angelini
Introduced by/introduzione di: Vlasta Polojaz
Afterword by/post-fazione di: Rita Corsa
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana: Biografie dell'Inconscio
Anno/Year: 2014
Pagine/Pages: 248
ISBN:978-88-97479-05-5
Prezzo/Price: € 29,00
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Resnik,
S. et al. (a cura di Monica Ferri), "L'ascolto dei
sensi e dei luoghi nella relazione terapeutica"
Writings by:A.
Ambrosini, A. Bimbi, M. Ferri, G.
Gabbriellini, A. Luperini, S. Resnik,
S. Rodighiero, R. Tancredi, A. Taquini Resnik,
G. Trippi
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana: Confini della Psicoanalisi
Anno/Year: 2013
Pagine/Pages: 156
ISBN:978-88-97479-04-8
Prezzo/Price: € 37,00
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Silvio
G. Cusin, "Sessualità e conoscenza"
A cura di/Edited by: A. Cusin & G. Leo
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana/Collection: Biografie dell'Inconscio
Anno/Year: 2013
Pagine/Pages: 476
ISBN: 978-88-97479-03-1
Prezzo/Price: €
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AA.VV.,
"Psicoanalisi e luoghi della riabilitazione", a cura
di G. Leo e G. Riefolo (Editors)
A cura di/Edited by: G. Leo & G. Riefolo
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana/Collection: Id-entità mediterranee
Anno/Year: 2013
Pagine/Pages: 426
ISBN: 978-88-903710-9-7
Prezzo/Price: €
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AA.VV.,
"Scrittura e memoria", a cura di R. Bolletti (Editor)
Writings by: J.
Altounian, S. Amati Sas, A. Arslan, R. Bolletti, P. De
Silvestris, M. Morello, A. Sabatini Scalmati.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana: Cordoglio e pregiudizio
Anno/Year: 2012
Pagine/Pages: 136
ISBN: 978-88-903710-7-3
Prezzo/Price: € 23,00
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AA.VV., "Lo
spazio velato. Femminile e discorso
psicoanalitico"
a cura di G. Leo e L. Montani (Editors)
Writings by: A.
Cusin, J. Kristeva, A. Loncan, S. Marino, B.
Massimilla, L. Montani, A. Nunziante Cesaro, S.
Parrello, M. Sommantico, G. Stanziano, L.
Tarantini, A. Zurolo.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana: Confini della psicoanalisi
Anno/Year: 2012
Pagine/Pages: 382
ISBN: 978-88-903710-6-6
Prezzo/Price: € 39,00
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AA.VV., Psychoanalysis
and its Borders, a cura di
G. Leo (Editor)
Writings by: J. Altounian, P.
Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P.
Jimenez, O.F. Kernberg, S. Resnik.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana/Collection: Borders of Psychoanalysis
Anno/Year: 2012
Pagine/Pages: 348
ISBN: 978-88-974790-2-4
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AA.VV.,
"Psicoanalisi e luoghi della negazione", a cura di A.
Cusin e G. Leo
Writings by:J.
Altounian, S. Amati Sas, M. e M. Avakian, W. A.
Cusin, N. Janigro, G. Leo, B. E. Litowitz, S. Resnik, A.
Sabatini Scalmati, G. Schneider, M. Šebek,
F. Sironi, L. Tarantini.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana/Collection: Id-entità mediterranee
Anno/Year: 2011
Pagine/Pages: 400
ISBN: 978-88-903710-4-2
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"The Voyage Out" by Virginia
Woolf
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-97479-01-7
Anno/Year: 2011
Pages: 672
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"Psicologia
dell'antisemitismo" di Imre Hermann
Author:Imre Hermann
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-903710-3-5
Anno/Year: 2011
Pages: 158
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"Id-entità mediterranee.
Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo
(editor)
Writings by: J.
Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A.
Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y.
Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M.
Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-903710-2-8
Anno/Year: 2010
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"Vite soffiate. I vinti della
psicoanalisi" di Giuseppe Leo
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Edizione: 2a
ISBN: 978-88-903710-5-9
Anno/Year: 2011
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"La Psicoanalisi e i suoi
confini" edited by Giuseppe Leo
Writings by: J.
Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D.
Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik
Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini
ISBN: 978-88-340155-7-5
Anno/Year: 2009
Pages: 224
Prezzo/Price: € 20,00
"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi
Confini"
Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.
Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas,
Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.
Publisher: Schena Editore
ISBN 88-8229-567-2
Price: € 15,00
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Essere
figli di un genio …
“Avere
un genio come padre non è ... un’esperienza comune; perciò quale
figlio maggiore di Sigmund Freud faccio parte di una minoranza, sono
oggetto di una qualche curiosità, ma nella società non godo
necessariamente di un grande favore” (M. Freud, 1958, p. 13). “La
famiglia, e la presenza in essa di figure dominanti e perfino
schiaccianti, può inibire davvero, in alcuni casi, la crescita degli
individui giovani” (Bolognini, 2004, p. 66).
Queste considerazioni
nascono dalla conoscenza e dal rapporto amichevole che ho avuto
l’occasione di instaurare con Jane McAdam Freud, artista inglese,
figlia di Lucian Freud, e bisnipote di Sigmund. Ella si trova, in
relazione al merito delle citazioni sopra riportate, nella scomoda
situazione di avere un’ascendenza di due figure che potrebbero
essere schiaccianti. Ho avuto così modo di pensare alle differenti
possibilità che si aprono davanti a noi in relazione ai legati delle
nostre ascendenze, in ordine alla possibilità di sviluppare percorsi
creativi di crescita liberi e originali. Il percorso artistico di Jane,
informato di psicoanalisi, mi ha suggerito come sia attraverso una
particolare cura delle memorie che uno sviluppo indipendente e
originale possa essere possibile.
Ho conosciuto Jane a Lucca al
convegno Età e Creatività, nel 2012, dove l’incontro con lei è
stato fonte di una particolare emozione per me in quanto
psicoanalista: infatti Jane durante il pranzo il giorno seguente alla
sua toccante relazione “Le ultime gambe di Lucian Freud”, in cui
aveva esposto la sua relazione profonda e complicata con il padre, mi
raccontò il sogno che aveva fatto quella notte. Non è esperienza
comune sentirsi raccontare un sogno della nipote di Freud! In qualche
modo mi sentivo toccato da un’atmosfera transgenerazionale: dietro
di lei sentivo l’ombra benevola del suo, e per altro verso anche
mio, bisnonno. Benevola senz’altro anche per la mediazione
dell’amabile carattere di Jane, ma sicuramente era emozionante
trovarsi di fronte ad un sogno che in qualche modo mi pareva
coinvolgere anche “Lui”, il padre dell’Interpretazione dei
sogni.
Quando ho conosciuto Jane era da poco più di un anno mancato
suo padre Lucian e la sua relazione al convegno rappresentava
probabilmente una parte del suo percorso di elaborazione del lutto.
“Il mio defunto padre continua ad essere qualcuno che condivido con
una grande famiglia e, come personaggio pubblico, anche qualcuno che
condivido con il mondo” (McAdam Freud, 2012, trad. mia). Lo stesso
destino che ha avuto il bisnonno, capostipite della sua grande
famiglia, ma anche della mia famiglia analitica: in effetti anche io
in qualche modo mi sento, in fantasia, bisnipote di Freud, essendo il
mio “nonno” analitico Musatti, che direttamente con Freud non ha
mai avuto a che fare, ma che, essendo uno dei capostipiti della
psicoanalisi italiana, discende in qualche modo direttamente da lui;
privato e pubblico, presente e passato, erano venuti a intersecarsi
nel nostro incontro, contribuendo a costituire un legame complesso.
Che relazione ha oggi uno psicoanalista con le proprie ascendenze, non
essendo più membro di un “comitato segreto”, ma di una comunità
culturale che può essere poliedrica e vitale? Le teorie, come fonte
di ispirazione o oggetto di transfert, in che modo possono guidare o
ostacolare il pensiero? Questo incontro mi ha anche sollecitato queste
domande. Così ho cercato di valutare le vicende della famiglia di
Freud in parallelo alla sua famiglia “metaforica”.
Freud
e i suoi figli.
Freud
ebbe sei figli: Mathilde (1887-1978); Martin, (1889-1967); Oliver
(1891-1969); Ernst (1892-1970); Sophie (1893-1920); Anna (1895-1982).
I nomi dei figli furono scelti sempre dal padre, le figlie femmine con
nomi di famiglie ebraiche amiche, i maschi di grandi della storia o,
per lo meno, della “sua” storia.
Mathilde prese il nome della
moglie di Breuer; primogenita e più longeva dei figli di Freud, benché
sempre individuata per la sua salute cagionevole, troppo precocemente
sposata, secondo il padre, con un commerciante, Robert Hollitscher.
La
coppia non ebbe figli. Le dubbie qualità del genero imposero a Freud
di sostenere economicamente continuamente la coppia. La vita di
Mathilde ebbe una svolta significativa quando, nel 1922, adottò il
figlio minore della sorella Sophie, mancata nel 1920, che non poteva
avere le cure di cui necessitava la sua cagionevole salute date le
disagiate condizioni del padre. Ma il piccolo Heinz, Heinle per il
nonno, non sopravvisse che un anno. Egli rappresentò per Freud un
affetto importante, sentiva, scrive, “di non aver mai amato nessuno,
e sicuramente nessun bambino, come lui”. La morte del piccolo lo
rese “irrimediabilmente stanco della vita”. Mathilde cercò di
interessarsi alla psicoanalisi, e ad una sua eventuale applicazione
pedagogica, ma, anche in considerazione dei tempi, non ebbe alcuna
opportunità di sviluppare in un senso professionale i propri
interessi, e si dedicò unicamente al marito. Emigrò con lui in
Inghilterra insieme al padre e ai fratelli Martin e Anna. Martin si
chiamava in realtà Jean-Martin, nome inusuale per un austriaco, in
onore di Jean-Martin Charcot: così i primi due figli maschi di Freud,
e poi Ernst, contengono la cifra delle ascendenze scientifiche di
Sigmund, i maestri a cui tributa in questo modo un posto imperituro
nella propria vita.
La lettura del suo libro, che ha il significativo
titolo originale “Glory Reflected” (1958), lascia una strana
impressione. La sensazione è di trovarsi di fronte ad una persona con
scarso spessore affettivo, più incline a valorizzare aspetti
superficiali - si presentava come “figlio maggiore di Sigmund Freud,
fondatore della psicoanalisi” -: “Tra tutti i figli di Freud,
Martin è quello che visse peggio il destino di avere un padre
famoso” (Schroter, 2010).
Rissoso, suscettibile, ambizioso, Martin
visse, a suo dire, il periodo migliore della sua vita durante la prima
guerra mondiale, quando era arruolato in artiglieria. Avvocato, non
aveva chiare possibilità di carriera, per cui pensava alla possibilità
di sposarsi con “un buon partito”: in effetti la moglie Ernestine
era figlia di un brillante avvocato. Il suocero gli procurò una serie
di impieghi in banca, e un’abitazione. La vita matrimoniale tuttavia
non fu delle migliori e Martha, la madre di Martin, prese le parti
della nuora, non avendo mai avuto alcuna inclinazione particolarmente
affettuosa per il figlio. La figlia Sophie, così ricorda la sua vita
familiare: “[Mi madre] aveva sposato un principe da favola, uno dei
figli di Sigmund Freud, un cavaliere bello e affascinante la cui
lucente armatura ben presto si offuscò. Litigi, pianti, e violente
scenate isteriche erano la musica di fondo della mia infanzia” (So.
Freud, 1988, p. 23). Ebbero tuttavia due figli e, dopo la nascita
della secondogenita, la moglie Esti (diminutivo di Ernestine)
intraprese una carriera come dicitrice e in seguito come logopedista
che le permise di divenire indipendente. La mancanza di affetto da
parte della madre e la scarsa stima che il padre dimostrava per lui
non devono aver facilitato la sua vita. L’impressione di una persona
coartata negli affetti, che a me è stata suscitata dalla lettura del
suo libro, viene così confermata dalla figlia Sophie: “Perché la
mia prima madre [Esti] voleva rose rosse da un uomo che leggeva
regolarmente il giornale durante l’unico pasto giornaliero che
consumavamo insieme?” (ibid., p. 24). Nonostante ciò Sigmund gli
affidò la direzione della casa editrice psicoanalitica.
L’occupazione nazista dell’Austria mise Martin in uno stato di
panico, tanto che fuggì precipitosamente da Vienna nel 1938, prima
del resto della famiglia. Giunto a Parigi si separò dalla moglie, che
lì rimase con la figlia Sophie per poi emigrare negli Stati Uniti,
mentre egli proseguì per Londra col figlio. A Londra si adattò a
svolgere umili lavori per sopravvivere - aiuto cuoco, barelliere - ed
infine gestì una rivendita di tabacchi al British Museum. Morì
demente assistito dalla sua commessa, divenuta sua compagna.
Oliver
deve il suo nome all’ammirazione del padre nei confronti di Cromwell,
destinato quindi a grandi imprese. Bambino con grande senso pratico,
divenne ingegnere. Come si può pensare in funzione del nome che gli
fu imposto, molte aspettative erano riposte in lui, e molti aspetti
organizzativi della vita familiare, in particolare i viaggi, gli erano
affidati. Durante la prima guerra ebbe modo di esplicare le sue
competenze con soddisfazione. Successivamente, invece, molte difficoltà
si addensarono nel suo orizzonte. Oltre ad un primo precipitoso
matrimonio, che si risolse dopo pochi mesi con il divorzio, ebbe
sempre molta difficoltà a trovare un lavoro stabile. Il suo carattere
“nervoso” e timido, la sfortuna che accompagnava i suoi tentativi
di trovare una sistemazione stabile alla sua vita dal punto di vista
pratico e affettivo, lo portò a cercare un’analisi, che ebbe a
Berlino con Franz Alexander, che fu pagata dal padre. Abraham ebbe a
dire a Freud che tale analisi comportò evidenti cambiamenti nella
situazione di Oliver. Si risposò nel 1923 con Henny Fuchs ed ebbe da
lei una figlia, Eva. Nel 1933 lasciarono la Germania, dove si erano
stabiliti, ed emigrarono in Francia. Nel 1935 gestì un negozio di
fotografia a Nizza. Qui rimase fino al 1943, quando con
l’occupazione nazista fu costretto a fuggire con la moglie negli
Stati Uniti. La figlia non volle abbandonare il paese e morì poco
dopo a seguito di un aborto clandestino. Negli USA, a Philadelphia,
Oliver ebbe una vita relativamente buona, con un impiego come
ricercatore per componenti nell’industria automobilistica e
ferroviaria.
Ernst
deve il suo nome all’omaggio da parte di Sigmund a Brücke, suo
docente all’Università di Vienna. Ernst è sempre stato in famiglia
la “pietra di paragone” a cui i fratelli maggiori erano
costantemente raffrontati a loro svantaggio. Il suo carattere, dotato
di una particolare fiducia in se stesso, lo portò ad una precoce
indipendenza, determinato a seguire le proprie inclinazioni - voleva
divenire pittore - ma capace di ascoltare i “saggi” consigli
paterni: per divenire pittore bisogna essere estremamente ricchi o
estremamente poveri, gli disse il padre ed egli così decise di
studiare architettura.
Ebbe
una buona carriera come architetto: le oscillazioni nel suo successo
dipesero dalle fluttuazioni della situazione economica della Germania
e non da difficoltà personali, come nel caso dei fratelli maggiori.
Nel 1920 sposò Lucie Brasch ed ebbero tre figli: Stefan Gabriel,
Lucian Michael e Clemens Raphael, i tre arcangeli! Nel 1933 dovette
lasciare la Germania ed approdò in Inghilterra dove si trovò a
ricominciare la sua attività professionale e in questo percorso fu
aiutato da analisti di Londra, come M. Klein e Jones, che gli affi-
darono lavori di ristrutturazione e arredamento. Nel 1938 ristrutturò
la casa di Maresfield Gardens, dove Freud venne a vivere i suoi ultimi
tempi dopo la fuga da Vienna.
La
sua situazione professionale ebbe infine alti e bassi, tanto che la
moglie dovette procurarsi un impiego come segretaria di redazione e
traduttrice presso la Imago Publishing. A parte qualche sporadico
incarico in qualità di architetto, Ernst ebbe dal 1960 una
particolare svolta nella sua vita: divenne agente letterario delle
opere del padre ed editore delle sue lettere. Fu in questo modo che
contribuì ad un lavoro sulla memoria e al recupero di testimonianze,
che, benché dapprima segnato da un registro idealizzante, comportò
un prezioso lavoro di conservazione e testimonianza.
La
personalità di Ernst è così descritta: la madre affermava che “La
sua freschezza e la sua gioia di vivere sono una consolazione”;
Eitingon osservava a sua volta come egli possedesse una vita molto
affettuosa; Jones parlava della sua “contagiosa vitalità” (v.
Schroter, 2010).
I
tre figli di Ernst ebbero diversi destini: Stefan gestì un negozio di
ferramenta, Clemens divenne una star mediatica e importante politico,
Lucian uno dei più importanti pittori dell’epoca
contemporanea.
Sophie,
penultima figlia dei Freud, ebbe il nome della vedova del compagno di
studi Paneth, forse come una sorta di riconoscenza “per il cospicuo
regalo in denaro che i Paneth avevano fatto, al momento del loro
matrimonio, agli amici meno favoriti dalla sorte” (Schroter,
2010).
Nella
storia familiare fu sempre caratterizzata per la sua bellezza, tanto
che la sorella Anna era in costante conflitto con lei, e “dovette
puntare sull’intelligenza” (Schroter, 2010) per trovare una ambito
nel quale aver armi per competere. Sophie non era viceversa attratta
da questioni intellettuali e diciannovenne si fidanzò e poi si sposò
con Max Halberstadt, un fotografo di Amburgo. Ebbero due figli,
amatissimi dal nonno, Ernst (1914) ed Heinz (1918). Sophie, la
preferita del padre, morì per una polmonite nel gennaio 1920 durante
la terza gravidanza. “Da allora in poi, Freud portò l’immagine
della figlia morta in un medaglione appeso alla catena
dell’orologio” (Schroter, 2010).
Della
sorte del piccolo Heinele, ho detto prima.
Il
primogenito di Sophie, Ernst, il primo nipote di Sigmund Freud, occupa
un posto notevole nella discendenza freudiana. Egli è il bambino
descritto nel 1920, in “Al di là del principio di piacere”, che
mette in atto la famosa sequenza del “Fort/Da”. È anche il primo
paziente bambino della zia Anna. Dopo aver lasciato la Germania e la
famiglia del padre per essere “adottato” dalla zia Anna,
frequenterà la scuola di Heizing, vivendo presso la casa di Eva
Rosenfeld, e avendo come insegnanti Dorothy Burlingham, Peter Blos ed
Erik Erikson. Dopo i 14 anni tornò in analisi con la zia Anna, e nel
1931 venne mandato in un collegio a Berlino. Nel 1933 fuggì dalla
Germania nazista con Eva Rosenfeld e tornò a Vienna dove finì i suoi
studi e iniziò un’amicizia che durò tutta la vita con Leopold
Bellak. Lasciò poi Vienna e per un breve periodo fu in Palestina con
Max Eitingon. Iniziò a lavorare come fotografo ritrattista, come il
padre, ma quando Vienna fu invasa dai nazisti, precedette la famiglia
del nonno a Parigi e poi a Londra. Alla fine del 1945 si sposò e
quindi frequentò l’Università di Londra, dove si laureò in
Psicologia. Iniziò nel 1949 il suo training analitico, con
un’analisi didattica con Willy Hoffer. Ebbe come docenti la zia
Anna, M. Klein e Winnicott. Dal 1953 iniziò la sua attività privata
come psicoanalista. Divenne didatta dell’Istituto Londinese e
Hampstead Clinic ed ebbe un figlio che morì nel 1987 in un incidente.
Negli ultimi anni della sua vita insegnò psicoanalisi all’Università
di Colonia e di Heidelberg. Morì a 94 anni il 30 settembre 2008. Si
è occupato molto delle problematiche relative alla cure intensive
neonatali, e collegò tale interesse alla necessità di riparare e
ricercare il fratello morto nel ventre della madre insieme a lei
quando lui aveva sei anni.
Anna,
l’ultima figlia di Sigmund, è figura ben nota nel mondo
psicoanalitico. La sua vicenda è segnata da un’infanzia non felice,
con un cattivo rapporto con la madre e grande rivalità con la sorella
Sophie. Come si diceva in famiglia, l’una rappresentava la bellezza,
l’altra il cervello. Questa situazione comportò che Anna ebbe
periodi di seria depressione e disturbi alimentari. Imparò
rapidamente molte lingue e a quindici anni iniziò a studiare le opere
del padre. Tuttavia per un tempo considerevole il suo stato depressivo
la rese insicura riguardo al proprio futuro. Dapprincipio lavorò come
insegnante, ma interruppe la sua carriera nel 1920 a causa di
un’affezione tubercolare. Nel 1918 intraprese l’analisi con suo
padre, che si concluse nel 1922, anno in cui divenne membro della
Società Psicoanalitica di Vienna. Nel 1923 iniziò la sua attività
come analista infantile e due anni dopo insegnava tecnica di analisi
infantile. Dal 1925 al 1934 fu segretario dell’IPA. Nel 1935 era
direttore del training della società viennese e pubblicò “L’Io e
i meccanismi di difesa”.
Nel
1938 giunse a Londra, dove dedicò le sue cure al padre, e quindi si
venne a sviluppare il conflitto teorico con M. Klein, che dette luogo
alle “Controversial discussion”.
Durante
la guerra ebbe modo di applicare le sue visioni teoriche alla cura
degli orfani di guerra e in seguito ai bambini sopravvissuti ai campi
di sterminio nazisti, insieme alla sua compagna Dorothy Burlingham. La
sua attività successiva è sempre stata di alto rilievo nell’ambito
della società psicoanalitica, fino alla sua morte avvenuta a Londra
il 9 ottobre 1982.
I
differenti destini che hanno caratterizzato le vicende dei figli di
Sigmund Freud, fanno pensare a come una presenza così
“importante” nello sviluppo di un figlio, possa diversamente
incidere.
Dei
cinque figli, lasciando ogni considerazione per Sophie, precocemente
scomparsa, vediamo come solo i due più giovani, Ernst e Anna, hanno
avuto una vita che li ha portati ad un soddisfacente sviluppo, mentre
Oliver, l’intermedio, ha dovuto passare attraverso molte
vicissitudini prima di trovare una propria personale dimensione.
Ernst
è stato tra i figli di Freud quello che sicuramente ha realizzato una
maggiore autonomia, dal punto di vista sia materiale, sia psicologico.
I primi tre figli hanno sempre dovuto “attingere” alla
disponibilità paterna per poter “sbarcare il lunario”, mentre
Ernst ha saputo costruirsi un ruolo sociale e lavorativo, oltre che
familiare, solido e costante. Egli ha quindi dapprima preso le
distanze dall’universo paterno, tracciando un percorso di crescita
autonomo e distinto; solo in una fase avanzata della sua vita, ha
ripreso a curarsi dei “legati” paterni, con la cura dell’opera
epistolare, che è stata così importante nella letteratura
psicoanalitica da svariati punti di vista. Lasciando momentaneamente
da parte la vicenda di Anna, sono stati Martin ed Ernst quelli che più
direttamente hanno avuto occasione di occuparsi dell’eredità
paterna. Martin ebbe dal padre un incarico come curatore della casa
editrice psicoanalitica. Tale incarico giunse dopo che egli, tornato
dalla lunga prigionia post-bellica (fu tra l’altro a lungo, come
prigioniero di guerra, a Genova), non era riuscito a costruirsi una
posizione nella sua qualità di avvocato, nonostante
l’interessamento del suocero, il famoso avvocato Leopold Drucker.
Anche nella sua funzione di curatore editoriale non fu all’altezza
delle aspettative paterne. Le sue personali vicissitudini e il
carattere poco incisivo lo hanno portato a vivere un’esistenza
difficile e sconclusionata, dove la figura paterna era brandita come
una bandiera che avrebbe dovuto aprirgli le strade della vita, non
riuscendo viceversa a fungere come una presenza interna capace di
strutturare la sua personalità (è emblematico il suo firmarsi:
Martin Freud, figlio di Sigmund, fondatore della psicoanalisi).
Ernst
dopo aver seguito il suo percorso personale e professionale, giunge
nell’ultima parte della sua vita a occuparsi dell’eredità
paterna. La cura della memoria paterna sembra essere un omaggio al
padre, che gli ha permesso una crescita autonoma.
Il
passaggio di consegne in questo compito tra Martin ed Ernst sembra
essere avvenuto in funzione di un “giudizio” familiare che ha dei
contorni poco chiari. Così ne scrive Sophie Freud, nel 2007: “Non
sono stata in grado di accertare perché mio padre [Martin] non fu
invitato, apparentemente non gli fu permesso, di continuare ad
occuparsi delle pubblicazioni di Freud. Penso sia stato punito per la
negligenza riguardo a questi documenti, ma la mia è una pura
speculazione, e la questione rimane un mistero. Mio fratello non lo
sapeva, ma aveva le sensazione che nostro padre non sia stato trattato
bene dai fratelli. Mia zia Anna Freud non avrebbe ricordato, o non mi
voleva dire le ragioni e altre persone che potevano sapere sono morte.
La zia Mathilde pensava che “la famiglia” avesse disapprovato le
sue storie di donne” (trad. mia).
A
questo proposito sorge un dubbio: “la famiglia” era guidata
dall’impronta morale paterna, o da quella materna, vista la evidente
disaffezione della madre nei confronti di Martin?
In
effetti Freud, nelle descrizioni che restano, sia di Martin (1958),
che di Sophie Freud (2007) che quelle riportate da Roazen (1993),
sembra molto distante dalle questioni familiari, assorbito nella sua
impresa scientifica, e, d’altro lato, nella sua sofferenza. La vita
familiare da queste testimonianze sembrava in effetti più guidata
dalla madre.
Mi
sembra emblematico il destino di Oliver: la sua vita è cambiata
sostanzialmente nel momento in cui ha usufruito di un’analisi.
Eitingon rifiutò di prenderlo in analisi, in quanto aveva con lui
troppa familiarità e quindi ebbe infine una vera analisi svolta con
Franz Alexander, che, benché pagata dal padre, sembra poter essere
vista al contempo come un entrare nell’universo “paterno”, ma,
in qualche modo, per uscirne. Molto diversa dall’analisi della
sorella Anna, che si svolgeva negli stessi anni! Mi appare
particolarmente suggestivo, in funzione di un percorso della memoria
che potrebbe essersi svolto nella sua esperienza interna, il fatto che
il primo ritratto fotografico “ufficiale” di Sigmund Freud del
1907 sia opera di Oliver. La capacità di “fotografare” in questo
senso farebbe pensare ad una capacità di conservare un’immagine e
nel contempo potersene distaccare.
Nel
caso di Anna, viceversa, l’assunzione della figura paterna appare,
almeno in parte, come una sorta di adesione da adepta, sicuramente
molto diversa da quella di Martin superficiale e opportunistica, ma
comunque improntata alla “lealtà”. Paul Roazen osserva,
riportando un pensiero di Edward Bernays: “ … riteneva che …
avesse costruito … un sacrario alla memoria del padre al numero 20
di Maresfield Gardens” (1993, p. 159); Sophie Freud a sua volta
rimarca, descrivendo il suo primo incontro con la zia Anna, la sua
“terza madre”: “Il nostro primo incontro avvenne nello
studio-museo calcificato del nonno. Sedemmo scambiandoci poche parole
e rabbrividendo per il freddo”. Come osserva ancora la nipote Sophie,
il primo lavoro originale di Anna, del 1936, riporta uno stralcio di
non dichiarata analisi personale allorché ella propone il concetto di
“rinuncia altruistica”: “Tale abdicazione altruistica era un
mezzo per superare la sua umiliazione narcisistica”, scrive Anna
Freud. Anna Freud ha avuto in “dote” dal padre la missione di
essere delegata a custodire la “lettera” della psicoanalisi;
ancora Sophie Freud osserva, a proposito dell’impianto di Anna Freud
in Inghilterra, dove si andava sviluppando una “nuova” teoria
psicoanalitica: “La teoria delle relazioni oggettuali è stata
convalidata empiricamente, affinata e ampliata da moderne ricerche
molto stimolanti sul bambino … Solo la lealtà di Anna Freud nei
confronti del padre può spiegare il suo disinteresse per queste
scoperte”. Forse la libertà di Anna, la sua parte “ribelle” e
indipendente potrebbe risiedere altrove, nelle sue scelte di vita, nel
suo occuparsi tangenzialmente dei figli degli altri, i bambini durante
gli anni di guerra nei centri da lei gestiti con la compagna Dorothy,
il nipote Ernst, la nipote Sophie, che la definisce la sua “terza
Madre”, negli ultimi tempi della sua vita. Ma la vicenda personale
di Anna mi sembra troppo complessa per poter essere rapidamente
liquidata: transfert, incestualità, Edipo non risolto, conflittualità
con la madre e la sorella: tutti elementi molto probabilmente presenti
ma per noi difficilmente discernibili. L’analisi di Anna col padre
avviene in anni in cui non è ancora da venire l’idea che
l’analista deve essere estraneo al mondo familiare del paziente,
come dimostra il rifiuto di Eitingon verso Oliver; ci si può chiedere
allora che cosa abbia spinto Freud ad analizzare la figlia. Per lei
Freud oltre ad essere il padre è anche l’analista, il mentore e il
profeta, verso il quale “decise” di essere eternamente
“leale”. secondo la nipote Sophie Freud, Anna “pagò caro il
fatto di essere la delegata di suo padre” (1988, p. 382), ma questo
non ha impedito che molte persone potessero arricchire la propria vita
grazie a lei. Infine “Chi era Anna Freud? - si chiede la nipote
Sophie - Sopratutto la figlia di suo padre o in primo luogo una donna
indipendente?”.
Si
può osservare da queste vicende familiari, come Freud stesso fosse
profondamente preoccupato di manifestare il proprio debito verso le
figure che rappresentavano nella sua vita punti di riferimento e di
ispirazione fondamentali. Nello stesso tempo il suo bisogno di
lasciare un segno imperituro ha forse determinato lo stabilirsi di una
discendenza di “delegati”, tendenzialmente imprigionati nel suo
lascito. I nomi dei suoi figli ebbero il compito di mantenere vivo
nella memoria e nella vita questo riferimento: Breuer, Charcot, Brücke,
per altri versi Paneth sono immortalati nella sua genia. Si può
peraltro notare come, in queste sue scelte, i personaggi che
risultavano preferiti ebbero a che fare più che altro con figure
della vita professionale di Sigmund e non con la sua vita familiare.
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