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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte

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 Frenis Zero  Publisher

       "Le famiglie di Freud. Jane McAdam Freud e gli analisti di oggi: discendenza tra libertà psichica e 'lealtà'”

 

 

 

 di Luca Trabucco

 



Luca Trabucco è psichiatra, psicoanalista (membro ordinario della Società Psicoanalitica Italiana), vive e lavora a Genova.

 

            

 

 

  

   

 

Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

Edizioni "Frenis Zero"

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EDIZIONI FRENIS ZERO

 

Ultima uscita/New issue:

"Neuroscience and Psychoanalysis" (English Edition)

Edited by/a cura di: Giuseppe Leo Prefaced by/prefazione di: Georg Northoff                                            Writings by/scritti di: D. Mann               A. N. Schore R. Stickgold                   B.A. Van Der Kolk  G. Vaslamatzis  M.P. Walker                                                 Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collection/Collana: Psicoanalisi e neuroscienze

Anno/Year: 2014

Pagine/Pages: 300

ISBN:978-88-97479-06-2

Prezzo/Price: € 49,00

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Vera Schmidt, "Scritti su psicoanalisi infantile ed educazione"

Edited by/a cura di: Giuseppe Leo Prefaced by/prefazione di: Alberto Angelini                                             Introduced by/introduzione di: Vlasta Polojaz                                                   Afterword by/post-fazione di: Rita Corsa

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana: Biografie dell'Inconscio

Anno/Year: 2014

Pagine/Pages: 248

ISBN:978-88-97479-05-5

Prezzo/Price: € 29,00

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Resnik, S. et al.  (a cura di Monica Ferri), "L'ascolto dei sensi e dei luoghi nella relazione terapeutica" 

Writings by:A. Ambrosini, A. Bimbi,  M. Ferri,               G. Gabbriellini,  A. Luperini, S. Resnik,                      S. Rodighiero,  R. Tancredi,  A. Taquini Resnik,       G. Trippi

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana: Confini della Psicoanalisi

Anno/Year: 2013 

Pagine/Pages: 156

ISBN:978-88-97479-04-8 

Prezzo/Price: € 37,00

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Silvio G. Cusin, "Sessualità e conoscenza" 

A cura di/Edited by:  A. Cusin & G. Leo

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana/Collection: Biografie dell'Inconscio

Anno/Year: 2013 

Pagine/Pages: 476

ISBN:  978-88-97479-03-1

 Prezzo/Price: € 39,00

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AA.VV., "Psicoanalisi e luoghi della riabilitazione", a cura di G. Leo e G. Riefolo (Editors)

 

A cura di/Edited by:  G. Leo & G. Riefolo

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana/Collection: Id-entità mediterranee

Anno/Year: 2013 

Pagine/Pages: 426

ISBN: 978-88-903710-9-7

 Prezzo/Price: € 39,00

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AA.VV., "Scrittura e memoria", a cura di R. Bolletti (Editor) 

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, A. Arslan, R. Bolletti, P. De Silvestris, M. Morello, A. Sabatini Scalmati.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana: Cordoglio e pregiudizio

Anno/Year: 2012 

Pagine/Pages: 136

ISBN: 978-88-903710-7-3

Prezzo/Price: € 23,00

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AA.VV., "Lo spazio  velato.   Femminile e discorso psicoanalitico"                             a cura di G. Leo e L. Montani (Editors)

Writings by: A. Cusin, J. Kristeva, A. Loncan, S. Marino, B. Massimilla, L. Montani, A. Nunziante Cesaro, S. Parrello, M. Sommantico, G. Stanziano, L. Tarantini, A. Zurolo.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana: Confini della psicoanalisi

Anno/Year: 2012 

Pagine/Pages: 382

ISBN: 978-88-903710-6-6

Prezzo/Price: € 39,00

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AA.VV., Psychoanalysis and its Borders, a cura di G. Leo (Editor)


Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jimenez, O.F. Kernberg,  S. Resnik.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana/Collection: Borders of Psychoanalysis

Anno/Year: 2012 

Pagine/Pages: 348

ISBN: 978-88-974790-2-4

Prezzo/Price: € 19,00

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AA.VV., "Psicoanalisi e luoghi della negazione", a cura di A. Cusin e G. Leo
Psicoanalisi e luoghi della negazione

Writings by:J. Altounian, S. Amati Sas, M.  e M. Avakian, W.  A. Cusin,  N. Janigro, G. Leo, B. E. Litowitz, S. Resnik, A. Sabatini  Scalmati,  G.  Schneider,  M. Šebek, F. Sironi, L. Tarantini.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana/Collection: Id-entità mediterranee

Anno/Year: 2011 

Pagine/Pages: 400

ISBN: 978-88-903710-4-2

Prezzo/Price: € 38,00

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"The Voyage Out" by Virginia Woolf 

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-97479-01-7

Anno/Year: 2011 

Pages: 672

Prezzo/Price: € 25,00

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"Psicologia dell'antisemitismo" di Imre Hermann

Author:Imre Hermann

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero 

ISBN: 978-88-903710-3-5

Anno/Year: 2011

Pages: 158

Prezzo/Price: € 18,00

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"Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo (editor)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A. Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y. Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M. Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-2-8

Anno/Year: 2010

Pages: 520

Prezzo/Price: € 41,00

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"Vite soffiate. I vinti della psicoanalisi" di Giuseppe Leo 

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Edizione: 2a

ISBN: 978-88-903710-5-9

Anno/Year: 2011

Prezzo/Price: € 34,00

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OTHER BOOKS

"La Psicoanalisi e i suoi confini" edited by Giuseppe Leo

Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik

Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini

ISBN: 978-88-340155-7-5

Anno/Year: 2009

Pages: 224

Prezzo/Price: € 20,00

 

"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini" 

Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.

Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas, Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.

Publisher: Schena Editore

ISBN 88-8229-567-2

Price: € 15,00

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Essere figli di un genio … 

 

“Avere un genio come padre non è ... un’esperienza comune; perciò quale figlio maggiore di Sigmund Freud faccio parte di una minoranza, sono oggetto di una qualche curiosità, ma nella società non godo necessariamente di un grande favore” (M. Freud, 1958, p. 13). “La famiglia, e la presenza in essa di figure dominanti e perfino schiaccianti, può inibire davvero, in alcuni casi, la crescita degli individui giovani” (Bolognini, 2004, p. 66).

 Queste considerazioni nascono dalla conoscenza e dal rapporto amichevole che ho avuto l’occasione di instaurare con Jane McAdam Freud, artista inglese, figlia di Lucian Freud, e bisnipote di Sigmund. Ella si trova, in relazione al merito delle citazioni sopra riportate, nella scomoda situazione di avere un’ascendenza di due figure che potrebbero essere schiaccianti. Ho avuto così modo di pensare alle differenti possibilità che si aprono davanti a noi in relazione ai legati delle nostre ascendenze, in ordine alla possibilità di sviluppare percorsi creativi di crescita liberi e originali. Il percorso artistico di Jane, informato di psicoanalisi, mi ha suggerito come sia attraverso una particolare cura delle memorie che uno sviluppo indipendente e originale possa essere possibile. 

Ho conosciuto Jane a Lucca al convegno Età e Creatività, nel 2012, dove l’incontro con lei è stato fonte di una particolare emozione per me in quanto psicoanalista: infatti Jane durante il pranzo il giorno seguente alla sua toccante relazione “Le ultime gambe di Lucian Freud”, in cui aveva esposto la sua relazione profonda e complicata con il padre, mi raccontò il sogno che aveva fatto quella notte. Non è esperienza comune sentirsi raccontare un sogno della nipote di Freud! In qualche modo mi sentivo toccato da un’atmosfera transgenerazionale: dietro di lei sentivo l’ombra benevola del suo, e per altro verso anche mio, bisnonno. Benevola senz’altro anche per la mediazione dell’amabile carattere di Jane, ma sicuramente era emozionante trovarsi di fronte ad un sogno che in qualche modo mi pareva coinvolgere anche “Lui”, il padre dell’Interpretazione dei sogni.

 Quando ho conosciuto Jane era da poco più di un anno mancato suo padre Lucian e la sua relazione al convegno rappresentava probabilmente una parte del suo percorso di elaborazione del lutto. “Il mio defunto padre continua ad essere qualcuno che condivido con una grande famiglia e, come personaggio pubblico, anche qualcuno che condivido con il mondo” (McAdam Freud, 2012, trad. mia). Lo stesso destino che ha avuto il bisnonno, capostipite della sua grande famiglia, ma anche della mia famiglia analitica: in effetti anche io in qualche modo mi sento, in fantasia, bisnipote di Freud, essendo il mio “nonno” analitico Musatti, che direttamente con Freud non ha mai avuto a che fare, ma che, essendo uno dei capostipiti della psicoanalisi italiana, discende in qualche modo direttamente da lui; privato e pubblico, presente e passato, erano venuti a intersecarsi nel nostro incontro, contribuendo a costituire un legame complesso.

 Che relazione ha oggi uno psicoanalista con le proprie ascendenze, non essendo più membro di un “comitato segreto”, ma di una comunità culturale che può essere poliedrica e vitale? Le teorie, come fonte di ispirazione o oggetto di transfert, in che modo possono guidare o ostacolare il pensiero? Questo incontro mi ha anche sollecitato queste domande. Così ho cercato di valutare le vicende della famiglia di Freud in parallelo alla sua famiglia “metaforica”. 

 

Freud e i suoi figli. 

 

Freud ebbe sei figli: Mathilde (1887-1978); Martin, (1889-1967); Oliver (1891-1969); Ernst (1892-1970); Sophie (1893-1920); Anna (1895-1982). I nomi dei figli furono scelti sempre dal padre, le figlie femmine con nomi di famiglie ebraiche amiche, i maschi di grandi della storia o, per lo meno, della “sua” storia.

 Mathilde prese il nome della moglie di Breuer; primogenita e più longeva dei figli di Freud, benché sempre individuata per la sua salute cagionevole, troppo precocemente sposata, secondo il padre, con un commerciante, Robert Hollitscher. 

 

La coppia non ebbe figli. Le dubbie qualità del genero imposero a Freud di sostenere economicamente continuamente la coppia. La vita di Mathilde ebbe una svolta significativa quando, nel 1922, adottò il figlio minore della sorella Sophie, mancata nel 1920, che non poteva avere le cure di cui necessitava la sua cagionevole salute date le disagiate condizioni del padre. Ma il piccolo Heinz, Heinle per il nonno, non sopravvisse che un anno. Egli rappresentò per Freud un affetto importante, sentiva, scrive, “di non aver mai amato nessuno, e sicuramente nessun bambino, come lui”. La morte del piccolo lo rese “irrimediabilmente stanco della vita”. Mathilde cercò di interessarsi alla psicoanalisi, e ad una sua eventuale applicazione pedagogica, ma, anche in considerazione dei tempi, non ebbe alcuna opportunità di sviluppare in un senso professionale i propri interessi, e si dedicò unicamente al marito. Emigrò con lui in Inghilterra insieme al padre e ai fratelli Martin e Anna. Martin si chiamava in realtà Jean-Martin, nome inusuale per un austriaco, in onore di Jean-Martin Charcot: così i primi due figli maschi di Freud, e poi Ernst, contengono la cifra delle ascendenze scientifiche di Sigmund, i maestri a cui tributa in questo modo un posto imperituro nella propria vita. 

La lettura del suo libro, che ha il significativo titolo originale “Glory Reflected” (1958), lascia una strana impressione. La sensazione è di trovarsi di fronte ad una persona con scarso spessore affettivo, più incline a valorizzare aspetti superficiali - si presentava come “figlio maggiore di Sigmund Freud, fondatore della psicoanalisi” -: “Tra tutti i figli di Freud, Martin è quello che visse peggio il destino di avere un padre famoso” (Schroter, 2010). 

Rissoso, suscettibile, ambizioso, Martin visse, a suo dire, il periodo migliore della sua vita durante la prima guerra mondiale, quando era arruolato in artiglieria. Avvocato, non aveva chiare possibilità di carriera, per cui pensava alla possibilità di sposarsi con “un buon partito”: in effetti la moglie Ernestine era figlia di un brillante avvocato. Il suocero gli procurò una serie di impieghi in banca, e un’abitazione. La vita matrimoniale tuttavia non fu delle migliori e Martha, la madre di Martin, prese le parti della nuora, non avendo mai avuto alcuna inclinazione particolarmente affettuosa per il figlio. La figlia Sophie, così ricorda la sua vita familiare: “[Mi madre] aveva sposato un principe da favola, uno dei figli di Sigmund Freud, un cavaliere bello e affascinante la cui lucente armatura ben presto si offuscò. Litigi, pianti, e violente scenate isteriche erano la musica di fondo della mia infanzia” (So. Freud, 1988, p. 23). Ebbero tuttavia due figli e, dopo la nascita della secondogenita, la moglie Esti (diminutivo di Ernestine) intraprese una carriera come dicitrice e in seguito come logopedista che le permise di divenire indipendente. La mancanza di affetto da parte della madre e la scarsa stima che il padre dimostrava per lui non devono aver facilitato la sua vita. L’impressione di una persona coartata negli affetti, che a me è stata suscitata dalla lettura del suo libro, viene così confermata dalla figlia Sophie: “Perché la mia prima madre [Esti] voleva rose rosse da un uomo che leggeva regolarmente il giornale durante l’unico pasto giornaliero che consumavamo insieme?” (ibid., p. 24). Nonostante ciò Sigmund gli affidò la direzione della casa editrice psicoanalitica. L’occupazione nazista dell’Austria mise Martin in uno stato di panico, tanto che fuggì precipitosamente da Vienna nel 1938, prima del resto della famiglia. Giunto a Parigi si separò dalla moglie, che lì rimase con la figlia Sophie per poi emigrare negli Stati Uniti, mentre egli proseguì per Londra col figlio. A Londra si adattò a svolgere umili lavori per sopravvivere - aiuto cuoco, barelliere - ed infine gestì una rivendita di tabacchi al British Museum. Morì demente assistito dalla sua commessa, divenuta sua compagna. 

Oliver deve il suo nome all’ammirazione del padre nei confronti di Cromwell, destinato quindi a grandi imprese. Bambino con grande senso pratico, divenne ingegnere. Come si può pensare in funzione del nome che gli fu imposto, molte aspettative erano riposte in lui, e molti aspetti organizzativi della vita familiare, in particolare i viaggi, gli erano affidati. Durante la prima guerra ebbe modo di esplicare le sue competenze con soddisfazione. Successivamente, invece, molte difficoltà si addensarono nel suo orizzonte. Oltre ad un primo precipitoso matrimonio, che si risolse dopo pochi mesi con il divorzio, ebbe sempre molta difficoltà a trovare un lavoro stabile. Il suo carattere “nervoso” e timido, la sfortuna che accompagnava i suoi tentativi di trovare una sistemazione stabile alla sua vita dal punto di vista pratico e affettivo, lo portò a cercare un’analisi, che ebbe a Berlino con Franz Alexander, che fu pagata dal padre. Abraham ebbe a dire a Freud che tale analisi comportò evidenti cambiamenti nella situazione di Oliver. Si risposò nel 1923 con Henny Fuchs ed ebbe da lei una figlia, Eva. Nel 1933 lasciarono la Germania, dove si erano stabiliti, ed emigrarono in Francia. Nel 1935 gestì un negozio di fotografia a Nizza. Qui rimase fino al 1943, quando con l’occupazione nazista fu costretto a fuggire con la moglie negli Stati Uniti. La figlia non volle abbandonare il paese e morì poco dopo a seguito di un aborto clandestino. Negli USA, a Philadelphia, Oliver ebbe una vita relativamente buona, con un impiego come ricercatore per componenti nell’industria automobilistica e ferroviaria.

Ernst deve il suo nome all’omaggio da parte di Sigmund a Brücke, suo docente all’Università di Vienna. Ernst è sempre stato in famiglia la “pietra di paragone” a cui i fratelli maggiori erano costantemente raffrontati a loro svantaggio. Il suo carattere, dotato di una particolare fiducia in se stesso, lo portò ad una precoce indipendenza, determinato a seguire le proprie inclinazioni - voleva divenire pittore - ma capace di ascoltare i “saggi” consigli paterni: per divenire pittore bisogna essere estremamente ricchi o estremamente poveri, gli disse il padre ed egli così decise di studiare architettura.

Ebbe una buona carriera come architetto: le oscillazioni nel suo successo dipesero dalle fluttuazioni della situazione economica della Germania e non da difficoltà personali, come nel caso dei fratelli maggiori. Nel 1920 sposò Lucie Brasch ed ebbero tre figli: Stefan Gabriel, Lucian Michael e Clemens Raphael, i tre arcangeli! Nel 1933 dovette lasciare la Germania ed approdò in Inghilterra dove si trovò a ricominciare la sua attività professionale e in questo percorso fu aiutato da analisti di Londra, come M. Klein e Jones, che gli affi- darono lavori di ristrutturazione e arredamento. Nel 1938 ristrutturò la casa di Maresfield Gardens, dove Freud venne a vivere i suoi ultimi tempi dopo la fuga da Vienna. 

La sua situazione professionale ebbe infine alti e bassi, tanto che la moglie dovette procurarsi un impiego come segretaria di redazione e traduttrice presso la Imago Publishing. A parte qualche sporadico incarico in qualità di architetto, Ernst ebbe dal 1960 una particolare svolta nella sua vita: divenne agente letterario delle opere del padre ed editore delle sue lettere. Fu in questo modo che contribuì ad un lavoro sulla memoria e al recupero di testimonianze, che, benché dapprima segnato da un registro idealizzante, comportò un prezioso lavoro di conservazione e testimonianza. 

La personalità di Ernst è così descritta: la madre affermava che “La sua freschezza e la sua gioia di vivere sono una consolazione”; Eitingon osservava a sua volta come egli possedesse una vita molto affettuosa; Jones parlava della sua “contagiosa vitalità” (v. Schroter, 2010).

I tre figli di Ernst ebbero diversi destini: Stefan gestì un negozio di ferramenta, Clemens divenne una star mediatica e importante politico, Lucian uno dei più importanti pittori dell’epoca contemporanea. 

Sophie, penultima figlia dei Freud, ebbe il nome della vedova del compagno di studi Paneth, forse come una sorta di riconoscenza “per il cospicuo regalo in denaro che i Paneth avevano fatto, al momento del loro matrimonio, agli amici meno favoriti dalla sorte” (Schroter, 2010). 

Nella storia familiare fu sempre caratterizzata per la sua bellezza, tanto che la sorella Anna era in costante conflitto con lei, e “dovette puntare sull’intelligenza” (Schroter, 2010) per trovare una ambito nel quale aver armi per competere. Sophie non era viceversa attratta da questioni intellettuali e diciannovenne si fidanzò e poi si sposò con Max Halberstadt, un fotografo di Amburgo. Ebbero due figli, amatissimi dal nonno, Ernst (1914) ed Heinz (1918). Sophie, la preferita del padre, morì per una polmonite nel gennaio 1920 durante la terza gravidanza. “Da allora in poi, Freud portò l’immagine della figlia morta in un medaglione appeso alla catena dell’orologio” (Schroter, 2010). 

Della sorte del piccolo Heinele, ho detto prima.

Il primogenito di Sophie, Ernst, il primo nipote di Sigmund Freud, occupa un posto notevole nella discendenza freudiana. Egli è il bambino descritto nel 1920, in “Al di là del principio di piacere”, che mette in atto la famosa sequenza del “Fort/Da”. È anche il primo paziente bambino della zia Anna. Dopo aver lasciato la Germania e la famiglia del padre per essere “adottato” dalla zia Anna, frequenterà la scuola di Heizing, vivendo presso la casa di Eva Rosenfeld, e avendo come insegnanti Dorothy Burlingham, Peter Blos ed Erik Erikson. Dopo i 14 anni tornò in analisi con la zia Anna, e nel 1931 venne mandato in un collegio a Berlino. Nel 1933 fuggì dalla Germania nazista con Eva Rosenfeld e tornò a Vienna dove finì i suoi studi e iniziò un’amicizia che durò tutta la vita con Leopold Bellak. Lasciò poi Vienna e per un breve periodo fu in Palestina con Max Eitingon. Iniziò a lavorare come fotografo ritrattista, come il padre, ma quando Vienna fu invasa dai nazisti, precedette la famiglia del nonno a Parigi e poi a Londra. Alla fine del 1945 si sposò e quindi frequentò l’Università di Londra, dove si laureò in Psicologia. Iniziò nel 1949 il suo training analitico, con un’analisi didattica con Willy Hoffer. Ebbe come docenti la zia Anna, M. Klein e Winnicott. Dal 1953 iniziò la sua attività privata come psicoanalista. Divenne didatta dell’Istituto Londinese e Hampstead Clinic ed ebbe un figlio che morì nel 1987 in un incidente. Negli ultimi anni della sua vita insegnò psicoanalisi all’Università di Colonia e di Heidelberg. Morì a 94 anni il 30 settembre 2008. Si è occupato molto delle problematiche relative alla cure intensive neonatali, e collegò tale interesse alla necessità di riparare e ricercare il fratello morto nel ventre della madre insieme a lei quando lui aveva sei anni.

Anna, l’ultima figlia di Sigmund, è figura ben nota nel mondo psicoanalitico. La sua vicenda è segnata da un’infanzia non felice, con un cattivo rapporto con la madre e grande rivalità con la sorella Sophie. Come si diceva in famiglia, l’una rappresentava la bellezza, l’altra il cervello. Questa situazione comportò che Anna ebbe periodi di seria depressione e disturbi alimentari. Imparò rapidamente molte lingue e a quindici anni iniziò a studiare le opere del padre. Tuttavia per un tempo considerevole il suo stato depressivo la rese insicura riguardo al proprio futuro. Dapprincipio lavorò come insegnante, ma interruppe la sua carriera nel 1920 a causa di un’affezione tubercolare. Nel 1918 intraprese l’analisi con suo padre, che si concluse nel 1922, anno in cui divenne membro della Società Psicoanalitica di Vienna. Nel 1923 iniziò la sua attività come analista infantile e due anni dopo insegnava tecnica di analisi infantile. Dal 1925 al 1934 fu segretario dell’IPA. Nel 1935 era direttore del training della società viennese e pubblicò “L’Io e i meccanismi di difesa”. 

Nel 1938 giunse a Londra, dove dedicò le sue cure al padre, e quindi si venne a sviluppare il conflitto teorico con M. Klein, che dette luogo alle “Controversial discussion”.

Durante la guerra ebbe modo di applicare le sue visioni teoriche alla cura degli orfani di guerra e in seguito ai bambini sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti, insieme alla sua compagna Dorothy Burlingham. La sua attività successiva è sempre stata di alto rilievo nell’ambito della società psicoanalitica, fino alla sua morte avvenuta a Londra il 9 ottobre 1982. 

I differenti destini che hanno caratterizzato le vicende dei figli di Sigmund Freud, fanno pensare a come una presenza così “importante” nello sviluppo di un figlio, possa diversamente incidere. 

Dei cinque figli, lasciando ogni considerazione per Sophie, precocemente scomparsa, vediamo come solo i due più giovani, Ernst e Anna, hanno avuto una vita che li ha portati ad un soddisfacente sviluppo, mentre Oliver, l’intermedio, ha dovuto passare attraverso molte vicissitudini prima di trovare una propria personale dimensione. 

Ernst è stato tra i figli di Freud quello che sicuramente ha realizzato una maggiore autonomia, dal punto di vista sia materiale, sia psicologico. I primi tre figli hanno sempre dovuto “attingere” alla disponibilità paterna per poter “sbarcare il lunario”, mentre Ernst ha saputo costruirsi un ruolo sociale e lavorativo, oltre che familiare, solido e costante. Egli ha quindi dapprima preso le distanze dall’universo paterno, tracciando un percorso di crescita autonomo e distinto; solo in una fase avanzata della sua vita, ha ripreso a curarsi dei “legati” paterni, con la cura dell’opera epistolare, che è stata così importante nella letteratura psicoanalitica da svariati punti di vista. Lasciando momentaneamente da parte la vicenda di Anna, sono stati Martin ed Ernst quelli che più direttamente hanno avuto occasione di occuparsi dell’eredità paterna. Martin ebbe dal padre un incarico come curatore della casa editrice psicoanalitica. Tale incarico giunse dopo che egli, tornato dalla lunga prigionia post-bellica (fu tra l’altro a lungo, come prigioniero di guerra, a Genova), non era riuscito a costruirsi una posizione nella sua qualità di avvocato, nonostante l’interessamento del suocero, il famoso avvocato Leopold Drucker. Anche nella sua funzione di curatore editoriale non fu all’altezza delle aspettative paterne. Le sue personali vicissitudini e il carattere poco incisivo lo hanno portato a vivere un’esistenza difficile e sconclusionata, dove la figura paterna era brandita come una bandiera che avrebbe dovuto aprirgli le strade della vita, non riuscendo viceversa a fungere come una presenza interna capace di strutturare la sua personalità (è emblematico il suo firmarsi: Martin Freud, figlio di Sigmund, fondatore della psicoanalisi).

Ernst dopo aver seguito il suo percorso personale e professionale, giunge nell’ultima parte della sua vita a occuparsi dell’eredità paterna. La cura della memoria paterna sembra essere un omaggio al padre, che gli ha permesso una crescita autonoma. 

Il passaggio di consegne in questo compito tra Martin ed Ernst sembra essere avvenuto in funzione di un “giudizio” familiare che ha dei contorni poco chiari. Così ne scrive Sophie Freud, nel 2007: “Non sono stata in grado di accertare perché mio padre [Martin] non fu invitato, apparentemente non gli fu permesso, di continuare ad occuparsi delle pubblicazioni di Freud. Penso sia stato punito per la negligenza riguardo a questi documenti, ma la mia è una pura speculazione, e la questione rimane un mistero. Mio fratello non lo sapeva, ma aveva le sensazione che nostro padre non sia stato trattato bene dai fratelli. Mia zia Anna Freud non avrebbe ricordato, o non mi voleva dire le ragioni e altre persone che potevano sapere sono morte. La zia Mathilde pensava che “la famiglia” avesse disapprovato le sue storie di donne” (trad. mia).

A questo proposito sorge un dubbio: “la famiglia” era guidata dall’impronta morale paterna, o da quella materna, vista la evidente disaffezione della madre nei confronti di Martin? 

In effetti Freud, nelle descrizioni che restano, sia di Martin (1958), che di Sophie Freud (2007) che quelle riportate da Roazen (1993), sembra molto distante dalle questioni familiari, assorbito nella sua impresa scientifica, e, d’altro lato, nella sua sofferenza. La vita familiare da queste testimonianze sembrava in effetti più guidata dalla madre.

Mi sembra emblematico il destino di Oliver: la sua vita è cambiata sostanzialmente nel momento in cui ha usufruito di un’analisi. Eitingon rifiutò di prenderlo in analisi, in quanto aveva con lui troppa familiarità e quindi ebbe infine una vera analisi svolta con Franz Alexander, che, benché pagata dal padre, sembra poter essere vista al contempo come un entrare nell’universo “paterno”, ma, in qualche modo, per uscirne. Molto diversa dall’analisi della sorella Anna, che si svolgeva negli stessi anni! Mi appare particolarmente suggestivo, in funzione di un percorso della memoria che potrebbe essersi svolto nella sua esperienza interna, il fatto che il primo ritratto fotografico “ufficiale” di Sigmund Freud del 1907 sia opera di Oliver. La capacità di “fotografare” in questo senso farebbe pensare ad una capacità di conservare un’immagine e nel contempo potersene distaccare. 

Nel caso di Anna, viceversa, l’assunzione della figura paterna appare, almeno in parte, come una sorta di adesione da adepta, sicuramente molto diversa da quella di Martin superficiale e opportunistica, ma comunque improntata alla “lealtà”. Paul Roazen osserva, riportando un pensiero di Edward Bernays: “ … riteneva che … avesse costruito … un sacrario alla memoria del padre al numero 20 di Maresfield Gardens” (1993, p. 159); Sophie Freud a sua volta rimarca, descrivendo il suo primo incontro con la zia Anna, la sua “terza madre”: “Il nostro primo incontro avvenne nello studio-museo calcificato del nonno. Sedemmo scambiandoci poche parole e rabbrividendo per il freddo”. Come osserva ancora la nipote Sophie, il primo lavoro originale di Anna, del 1936, riporta uno stralcio di non dichiarata analisi personale allorché ella propone il concetto di “rinuncia altruistica”: “Tale abdicazione altruistica era un mezzo per superare la sua umiliazione narcisistica”, scrive Anna Freud. Anna Freud ha avuto in “dote” dal padre la missione di essere delegata a custodire la “lettera” della psicoanalisi; ancora Sophie Freud osserva, a proposito dell’impianto di Anna Freud in Inghilterra, dove si andava sviluppando una “nuova” teoria psicoanalitica: “La teoria delle relazioni oggettuali è stata convalidata empiricamente, affinata e ampliata da moderne ricerche molto stimolanti sul bambino … Solo la lealtà di Anna Freud nei confronti del padre può spiegare il suo disinteresse per queste scoperte”. Forse la libertà di Anna, la sua parte “ribelle” e indipendente potrebbe risiedere altrove, nelle sue scelte di vita, nel suo occuparsi tangenzialmente dei figli degli altri, i bambini durante gli anni di guerra nei centri da lei gestiti con la compagna Dorothy, il nipote Ernst, la nipote Sophie, che la definisce la sua “terza Madre”, negli ultimi tempi della sua vita. Ma la vicenda personale di Anna mi sembra troppo complessa per poter essere rapidamente liquidata: transfert, incestualità, Edipo non risolto, conflittualità con la madre e la sorella: tutti elementi molto probabilmente presenti ma per noi difficilmente discernibili. L’analisi di Anna col padre avviene in anni in cui non è ancora da venire l’idea che l’analista deve essere estraneo al mondo familiare del paziente, come dimostra il rifiuto di Eitingon verso Oliver; ci si può chiedere allora che cosa abbia spinto Freud ad analizzare la figlia. Per lei Freud oltre ad essere il padre è anche l’analista, il mentore e il profeta, verso il quale “decise” di essere eternamente “leale”. secondo la nipote Sophie Freud, Anna “pagò caro il fatto di essere la delegata di suo padre” (1988, p. 382), ma questo non ha impedito che molte persone potessero arricchire la propria vita grazie a lei. Infine “Chi era Anna Freud? - si chiede la nipote Sophie - Sopratutto la figlia di suo padre o in primo luogo una donna indipendente?”. 

Si può osservare da queste vicende familiari, come Freud stesso fosse profondamente preoccupato di manifestare il proprio debito verso le figure che rappresentavano nella sua vita punti di riferimento e di ispirazione fondamentali. Nello stesso tempo il suo bisogno di lasciare un segno imperituro ha forse determinato lo stabilirsi di una discendenza di “delegati”, tendenzialmente imprigionati nel suo lascito. I nomi dei suoi figli ebbero il compito di mantenere vivo nella memoria e nella vita questo riferimento: Breuer, Charcot, Brücke, per altri versi Paneth sono immortalati nella sua genia. Si può peraltro notare come, in queste sue scelte, i personaggi che risultavano preferiti ebbero a che fare più che altro con figure della vita professionale di Sigmund e non con la sua vita familiare.

 

 

 

 

 

(fine della prima parte dell'articolo - to be continued)

 
 
 
 
   

 

 

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