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I paradisi fiscali
ed il nuovo regime tributario

di Luciano Carta
e Nicola Altiero

1. Premessa - 2. Le Convenzioni contro le doppie imposizioni - 3. Le nozioni civilistiche di residenza e domicilio - 4. I soggetti passivi dell'imposta - 5. Le nozioni di residenza e domicilio ai fini fiscali - 6. Un caso concreto - 7. La decorrenza della nuova norma

 

1. Premessa

L'art. 10, primo comma, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, ha aggiunto il nuovo comma 2-bis all'art. 2 del D.P.R. 917/1986, in tema di soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle persone fisiche. La nuova disposizione, invertendo a favore dell'Amministrazione finanziaria l'onere della prova, considera residenti ai fini fiscali, salvo prova contraria, tutti i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con apposito decreto del Ministro delle Finanze.

La disposizione introdotta con la Finanziaria 1999, nella sua formulazione letterale, è fin troppo semplice. In buona sostanza, con essa continueranno ad essere considerati residenti e, quindi, tassabili in Italia, i cittadini che, ancorché cancellati dalle anagrafi della popolazione residente, sono emigrati in Stati o territori aventi una fiscalità privilegiata. Sarà quindi il (presunto) contribuente a doversi accollare l'onere di fornire tutti gli elementi necessari e sufficienti per convincere l'Amministrazione finanziaria che la perdita di residenza è effettiva e che, in realtà, si sono interrotti tutti i rapporti (economici ed affettivi) con il Paese di origine.

L'importanza di determinare ai fini fiscali lo Stato di residenza di una persona fisica deriva dal fatto che nel nostro ordinamento, come peraltro nella maggior parte dei Paesi più sviluppati, è applicabile il cosiddetto principio del "reddito mondiale" (worldwide income taxation), in virtù del quale, ai fini dell'imposizione diretta, i soggetti residenti in Italia ai fini fiscali, sono assoggettati ad imposizione nel nostro Paese per i redditi ovunque prodotti (art. 3, primo comma, Tuir).

Il principio del reddito mondiale si basa sul criterio della residenza e postula l'assoggettamento dei residenti a tassazione di tipo personale per i redditi ovunque prodotti, ricostruendone le condizioni economiche complessive.

Secondo tale impostazione, l'art. 2, secondo comma, del medesimo Tuir, stabilisce che "ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d'imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile". Gli elementi che determinano la residenza fiscale in Italia sono:

- l'iscrizione nelle anagrafi comunali della popolazione residente;

- il domicilio nel territorio dello Stato, ai sensi dell'art. 43, primo comma, c.c.;

- la residenza nel territorio dello Stato, ai sensi dell'art. 43, secondo comma, c.c.

Dalla lettera della norma emerge che i predetti requisiti sono tra loro alternativi e non concorrenti: pertanto, è sufficiente il verificarsi di uno solo di essi, affinché un soggetto possa dirsi fiscalmente residente in Italia.

In caso di fittizio trasferimento all'estero, venendo meno il requisito dell'iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente, assume fondamentale importanza, ai fini della qualificazione fiscale di soggetto residente in Italia, la verifica della sussistenza di almeno uno dei restanti requisiti. La giurisprudenza di merito ha più volte ribadito che la semplice cancellazione dall'anagrafe della popolazione residente e l'iscrizione nell'anagrafe dei cittadini italiani residenti all'estero (Aire) non è di per sé sufficiente ad escludere il domicilio o la residenza nel territorio dello Stato, ben potendo questi ultimi essere desunti con ogni mezzo di prova anche in contrasto con le risultanze dei registri anagrafici (1).

Da ciò deriva la norma di principio secondo cui l'aver stabilito il domicilio civilistico in Italia ovvero l'aver fissato la propria residenza nel territorio dello Stato sono di per sé condizioni sufficienti per l'integrazione della fattispecie di residenza fiscale, indipendentemente dal dato formale legato all'iscrizione nell'anagrafe della popolazione residente.

Infine, nei confronti dei non residenti, ai sensi dell'art. 3 Tuir, si applica l'opposto principio della "fonte", in virtù del quale vengono assoggettati a tassazione in Italia i soli redditi prodotti nel territorio dello Stato.

 

2. Le Convenzioni contro le doppie imposizioni

Per risolvere i contrasti nelle pretese impositive fra i vari Stati sono state sottoscritte varie convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni che hanno stabilito i criteri (della "residenza" o della "fonte") per definire, in relazione alle singole categorie di reddito (redditi fondiari, di lavoro dipendente, di lavoro autonomo, redditi diversi, interessi, dividendi, royalties, ecc.) a quale Stato spetti la potestà impositiva.

Se la Convenzione prevede espressamente che la potestà impositiva è attribuita in via esclusiva ad uno Stato, l'altro Stato non ha alcuna potestà impositiva. Nel caso in cui la Convenzione non rechi espressamente tale dizione, ma si limiti ad indicare un criterio che contrasta con la legislazione interna, si verifica, nonostante la Convenzione, un concorso di pretese impositive, in quanto entrambi gli Stati mantengono un potere esclusivo in relazione al medesimo reddito transnazionale. In tali situazioni, per evitare fenomeni di doppia imposizione giuridica, si applicano le norme interne e bilaterali contro le doppie imposizioni.

Va, peraltro, precisato che le Convenzioni stabiliscono quando gli Stati contraenti possono sottoporre ad imposizione, in via esclusiva o concorrente, i redditi stessi, ma non individuano le modalità di tassazione delle singole categorie reddituali, rinviando, per tale aspetto, alla normativa nazionale dello Stato cui è attribuito il potere impositivo.

Come regola generale, le norme convenzionali prevalgono sulle norme interne; esse, però, devono essere interpretate operando un rinvio alle leggi interne dello Stato contraente, salvo che il contesto non richieda altrimenti. In tal caso, le norme convenzionali possono essere interpretate senza fare riferimento alle legislazioni degli Stati contraenti.

Tenuto conto che permangono ancora molti Stati con cui l'Italia non ha alcun rapporto convenzionale, nonostante essa abbia concluso nel tempo numerose Convenzioni per evitare le doppie imposizioni, le situazioni configurabili sono attualmente le seguenti:

- se non vi è alcuna Convenzione si applicano esclusivamente le norme interne dello Stato ("fonte" e "residenza");

- se esiste una Convenzione si applicano le norme in essa contenute interpretate, nella maggior parte dei casi, con riferimento alle leggi interne.

D'altro canto, non va sottaciuta la crescente globalizzazione delle economie, che ha comportato una forte crescita degli scambi e delle transazioni internazionali in genere, rendendo assolutamente necessario introdurre in materia di contrasto alle frodi un sistema articolato di connessione tra Stati e accordi tra Amministrazioni fiscali finalizzato ad arginare e contenere le accresciute possibilità di sfruttare tale dimensione internazionale per sottrarsi agli obblighi contributivi.

L'art. 4 del modello di Convenzione per evitare le doppie imposizioni - elaborato dall'Ocse nel 1977 - ha lo scopo di definire la locuzione "residente di uno Stato contraente" e di risolvere i casi di doppia residenza. Molto significativo è l'esempio formulato dallo stesso commentario allegato al documento Ocse, riguardante, peraltro, un caso abbastanza frequente. Il caso de quo è quello di un individuo che - pur avendo la sua abitazione permanente nel Paese A, dove vivono la moglie e i figli - ha abitato per più di sei mesi nel Paese B e, ai sensi della legislazione vigente in quest'ultimo e tenuto conto della durata del soggiorno, viene tassato quale residente in tale Stato. Così, entrambi i Paesi pretendono che egli sia assoggettabile alle proprie leggi d'imposta.

In questo particolare caso, l'art. 4 del modello di Convenzione dà preferenza alla pretesa del Paese A. Ciò, tuttavia, non implica necessariamente che l'articolo determini speciali regole sulla residenza e che la legge interna del Paese B (soccombente) sia ignorata perché incompatibile con tali regole. Viene semplicemente risolto il conflitto tra i due ordinamenti, consentendo di operare una scelta comunemente accettata.

Altra significativa precisazione contenuta nel commentario Ocse riguarda l'ipotesi in cui un soggetto effettui un cambio di residenza in corso d'anno, ad esempio il 31 marzo. Se la legislazione del Paese da cui è emigrato lo considera comunque residente fino alla data del cambio di residenza mentre la legislazione del Paese in cui è immigrato lo ritiene residente per l'intero periodo d'imposta (avendovi fissato la residenza per più della metà dell'anno solare), si verifica un tipico caso di doppia imposizione. In effetti, poiché l'art. 4 del trattato si applica anche alle frazioni di periodo d'imposta in cui si verifica la doppia residenza, verrà opportunamente stabilito che il soggetto è residente nel primo Stato fino al 31 marzo e nel secondo dal 1° aprile evitando così la doppia imposizione.

Al paragrafo 2 dell'art. 4 del modello Ocse (2) è demandato il compito di risolvere ogni problematica in materia di doppia residenza fiscale delle persone fisiche, ancorché un preliminare ostacolo sia rappresentato proprio dalla necessità di definirne i rapporti con la novella introdotta dall'art. 2, comma 2-bis, del Testo unico delle imposte sui redditi. Si deve ritenere che quest'ultima disposizione integri la definizione di residenza fiscale secondo la norma interna, con la conseguenza che - in sede di applicazione delle convenzioni - il contribuente che, per effetto del comma 2-bis citato, risulti residente in Italia lo sarà anche ai fini dei trattati, per effetto del paragrafo 1 dell'art. 4 del modello Ocse (3) di convenzione internazionale.

Tuttavia, se, in base alla norma interna dell'altro Stato contraente, lo stesso risultasse residente anche nell'altro Stato, diverrà applicabile il paragrafo 2 dell'art. 4 del trattato (4) e quindi si dovrà stabilire, seguendo la priorità stabilita in tale norma, lo Stato in cui la persona ha un'abitazione permanente, quello in cui le sue relazioni personali ed economiche sono più strette, ecc. (5). Naturalmente, se il contribuente non è in grado di dimostrare di non avere la residenza e il domicilio in Italia secondo la norma interna, difficilmente potrà utilizzare l'art. 4, paragrafo 2, del trattato a proprio favore. La norma in esame non fa altro che stabilire un ordine di priorità tra i vari criteri di collegamento della persona fisica allo Stato.

Il Commentario esamina ciascun criterio in particolare:

- abitazione permanente. L'abitazione può essere posseduta a qualsiasi titolo purché il soggetto l'abbia a disposizione continuamente e non occasionalmente al solo scopo di soggiornarvi per periodi di breve durata; pertanto, l'abitazione deve essere stata sistemata ed utilizzata per un uso permanente;

- centro degli interessi vitali. È il luogo in cui le relazioni personali ed economiche dell'individuo sono più ristrette. Si avrà riguardo alle sue relazioni familiari e sociali, alla sua occupazione, alle sue attività politiche, culturali o di altro genere, alla sede degli affari a quella da cui amministra i suoi interessi. Tutte queste circostanze devono essere prese in esame nella loro globalità.

A mo' di esempio, se una persona con stabile dimora in uno Stato ne assume contemporaneamente una seconda in un altro Stato, il fatto che abbia mantenuto la prima dimora nello Stato nel quale ha sempre vissuto, ove lavora ed ha la sua famiglia e le sue proprietà, può, con idonei elementi, dimostrare che egli ha mantenuto il centro degli interessi vitali nel primo Stato (6);

- luogo di soggiorno abituale. Il criterio è sussidiario rispetto ai precedenti e può essere utilizzato quando l'individuo ha abitazioni permanenti in entrambi gli Stati ed è incerto il centro degli interessi vitali, oppure quando l'individuo non abbia del tutto abitazioni permanenti. Il confronto deve avvenire su un lasso di tempo sufficientemente ampio da consentire di individuare gli intervalli di tempo nei quali si verificano i soggiorni negli Stati considerati;

- nazionalità ed accordo tra le Autorità competenti. Il criterio della nazionalità è adottato quando il soggetto soggiorna abitualmente in entrambi gli Stati contraenti; se il soggetto ha la nazionalità in entrambi gli Stati o in nessuno di essi si applica la procedura amichevole di cui all'art. 25 della Convenzione.

 

3. Le nozioni civilistiche di residenza e domicilio

Soggetti passivi delle imposte sui redditi sono:

- le persone fisiche residenti e non residenti nel territorio dello Stato ai fini dell'Irpef;

- le società e gli enti contemplati dall'art. 87 del D.P.R. 917/1986 (7) ai fini dell'Irpeg.

Le imposte sui redditi si applicano sia ai residenti sia ai non residenti, ma la base imponibile, per le due categorie di contribuenti, è diversa.

Ai fini dell'Irpef, infatti, l'imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato:

- per i residenti, da tutti i redditi posseduti (in Italia e all'estero) secondo il principio della tassazione del reddito mondiale (8);

- per i non residenti, soltanto dai redditi prodotti nel territorio dello Stato (9), secondo il principio della territorialità.

Ai fini dell'Irpeg, per effetto dei richiami effettuati dall'art. 89 del testo unico, la base imponibile è determinata con criterio analogo a quello dell'Irpef, con la particolarità che il reddito complessivo delle società ed enti commerciali residenti, da qualsiasi fonte provenga, è considerato reddito d'impresa ed è determinato secondo le disposizioni degli artt. da 52 a 78 del D.P.R 917/1986 con le poche eccezioni previste dall'art. 95, secondo comma, del medesimo decreto.

Alla luce del contenuto dell'art. 2, comma 2 e 2-bis, del D.P.R 917/1986, appare opportuno esaminare separatamente la posizione dei cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati nei Paesi a fiscalità privilegiata da quello degli altri soggetti.

Come già detto, l'art. 2, comma 2-bis, D.P.R. 917/1986, impone di considerare residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con un decreto del Ministero delle Finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale (10).

La relazione governativa allo schema della L. 448/1998 precisa come l'art. 10 intenda introdurre un ulteriore criterio ai fini dell'individuazione della residenza fiscale - su cui si fonda il principio del reddito mondiale accolto dall'ordinamento nazionale - nei confronti di quei contribuenti, cittadini italiani, i quali hanno cancellato la propria residenza anagrafica per trasferirsi in alcuni Stati esteri che, notoriamente, catturano l'interesse fiscale di alcune categorie di soggetti, rifiutando sostanzialmente qualsiasi collaborazione o trasparenza con altre Amministrazioni ovvero imponendo secretazioni agli elementi informativi delle proprie disposizioni normative.

Tale esigenza è sorta dalla constatazione che numerosi contribuenti italiani si cancellano dalle anagrafi della popolazione residente per spostarsi artificiosamente in Paesi a bassa fiscalità, anche transitando in Stati che non possono considerarsi veri e propri "paradisi fiscali". Una parallela constatazione ha evidenziato l'inefficienza dell'attuale normativa interna che non è riuscita appieno a neutralizzare il comportamento di tali soggetti, teso a realizzare il guadagno fiscale, spesso cospicuo, assicurato dai predetti regimi esteri, rispetto al trattamento previsto dall'ordinamento nazionale.

L'intervento si inquadra, quindi, tra i rimedi da apportare per evitare che i trattamenti fiscali più favorevoli consentiti in alcuni Paesi o territori esteri possano rappresentare un concreto e diffuso strumento di sottrazione di imposte in Italia, consentendo, così, di ampliare, in chiave antielusiva, l'operatività del sistema normativo interno. In sostanza, la norma de qua stabilisce, al primo comma, il principio per cui i contribuenti che siano cittadini italiani, nei confronti dei quali si presume quindi uno stretto legame con il Paese, debbano continuare ad essere considerati residenti in Italia ai fini fiscali, fatta salva la possibilità di fornire la prova contraria.

La norma, quindi, mediante tale presunzione relativa di residenza, si risolve in una inversione dell'onere della prova a carico del contribuente che si è trasferito, al quale viene consentito di dimostrare l'esistenza di fatti o atti che comprovino l'effettività della situazione dichiarata (cancellazione dall'anagrafe della popolazione residente) in coerenza con un reale e duraturo collegamento con lo Stato o territorio di immigrazione. In tal modo, la medesima norma realizza il duplice obiettivo di preservarsi da qualsiasi rischio di incostituzionalità e di superare i difficili rapporti informativi con altri Stati, specie se a bassa fiscalità.

 

4. I soggetti passivi dell'imposta

Va, in primo luogo, osservato che la norma si rivolge esclusivamente ai cittadini italiani. Si deve ritenere che la cittadinanza debba essere attuale, cioè debba sussistere nel momento in cui si procede a verificare l'esistenza del presupposto fiscale. La circostanza che il soggetto abbia una doppia cittadinanza non dovrebbe essere determinante, poiché è sufficiente che abbia quella italiana. La norma non si applica agli apolidi.

Le modalità di acquisto, perdita e riacquisto della cittadinanza italiana sono regolate dalla legge 5 febbraio 1992, n. 91 e dai regolamenti di attuazione emanati con il D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572 e con la legge
22 dicembre 1994, n. 736. Ulteriori disposizioni in materia sono state emanate dal Ministero dell'Interno con la Circolare 11 novembre 1992.

Altra condizione richiesta per l'applicazione della presunzione di residenza è che il cittadino italiano si sia cancellato dall'anagrafe della popolazione residente. Pertanto, nell'ipotesi in cui non sia mai stato iscritto in tale registro (11), la presunzione non può operare. Ciò è desumibile anche dalla relazione governativa che parla di contribuenti italiani che "si cancellano dalle anagrafi della popolazione residente per spostarsi artificiosamente in Paesi a bassa fiscalità".

Altra condizione per l'applicazione è che il cittadino italiano sia "emigrato in un Paese a fiscalità privilegiata" individuato con apposito decreto ministeriale 4 maggio 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 10 maggio 1999, n. 107 (12). Il concetto di "emigrato", già contenuto nell'art. 3, secondo comma, del D.P.R. 597/1973, è stato soppresso nella corrispondente norma del testo unico (art. 3, lett. c) delle imposte sui redditi, probabilmente anche per la difficoltà di darvi una definizione.

Un precedente giurisprudenziale è contenuto in due sentenze della Corte di Cassazione (13) in cui si afferma che per "emigrato" non deve intendersi il cittadino che espatria esclusivamente per motivi di lavoro, né quello che vada a raggiungere prossimi congiunti già espatriati o che ritorni in un paese estero nel quale era già in precedenza espatriato, bastando che il trasferimento all'estero, anche se a tempo determinato, rivesta connotati di sufficiente stabilità, desunta dalla permanenza fuori dai confini nazionali, dal contenuto del contratto di lavoro e da altre circostanze significative.

Una concreta difficoltà nell'applicazione della norma da parte del Fisco potrebbe derivare dal fatto che l'accertamento della circostanza che il contribuente sia emigrato in un paradiso fiscale (condizione necessaria e sufficiente affinché possa scattare la presunzione relativa di residenza) deve essere fatto dall'Amministrazione finanziaria. La stessa relazione governativa mette in luce come questi trasferimenti di residenza avvengono talvolta transitando attraverso Paesi che non sono considerati paradisi fiscali (14). Di norma, tuttavia, sono le stesse attestazioni fornite dal contribuente trasferitosi all'estero ai sostituti d'imposta residenti o le indicazioni fornite all'anagrafe tributaria o quelle contenute nella dichiarazione dei redditi eventualmente prodotta in Italia ad indicare il Paese in cui è effettivamente avvenuto il trasferimento.

La norma si risolve in un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente che si è trasferito, al quale viene consentito
di dimostrare l'esistenza di fatti o atti che comprovino l'effettività
della situazione dichiarata (cancellazione dall'anagrafe della popolazione residente) in coerenza con un reale e duraturo collegamento con lo Stato di emigrazione. Dal punto di vista formale,
la prova contraria consiste nella dimostrazione di non essere residente in Italia ai sensi dell'art. 2, secondo comma, del D.P.R. 917/1986,
non essendo necessario che venga dimostrato anche la residenza nell'altro Stato ed, in particolare, nel "paradiso fiscale" nel quale si risulta essere immigrati (15).

Tuttavia, è evidente che si tratta di una dimostrazione molto ardua da fornire essendo una dimostrazione "in negativo" (16). Forse, per questo motivo, la relazione governativa afferma che la prova contraria consiste nella dimostrazione di fatti o atti che comprovino l'effettività della situazione dichiarata (cancellazione dall'anagrafe della popolazione residente) in coerenza con un reale e duraturo collegamento con lo Stato di immigrazione.

La dimostrazione deve riguardare "fatti" o "atti". Si pone quindi il problema di sapere quale documentazione possa essere prodotta. Un ostacolo è certamente costituito dall'impossibilità di utilizzare in campo tributario prove non documentali (17).

Quanto ai concreti elementi di prova utilizzabili, sembra di poter escludere che sia sufficiente esibire semplici certificati di residenza esteri, cioè documentare l'esistenza delle condizioni che - nel paradiso fiscale - sono considerate sufficienti per ottenere la residenza. Dovranno essere, ad esempio, utilizzati contratti di lavoro all'estero o di incarichi professionali che comportino lo svolgimento di attività economiche all'estero; documentazione da cui risulti anche l'allontanamento dal nucleo familiare originario, comprese le iscrizioni dei figli presso scuole locali; documentazione attestante il possesso di una casa (in locazione o di proprietà) idonea ad essere utilizzata come stabile dimora dal contribuente e dai suoi familiari; documentazione relativa alle utenze di casa o dell'ufficio (fornitura di elettricità, acqua, gas, telefono, ecc.) ed eventuali spese sostenute all'estero, possibilmente integrata da estratti bancari; frequentazione di circoli o altri ambienti ricreativi locali.

In pratica, come indicato dalla recente circolare ministeriale
24 giugno 1999, n. 140/E, che riconosce al contribuente la più ampia possibilità di esplicare in concreto l'esercizio dei diritti di difesa anche nella fase extraprocessuale (con esclusione del giuramento e della prova testimoniale), si potrà ricorrere agli stessi elementi che - in base alla precedente Circolare 2 dicembre 1997, n. 304/E - l'Amministrazione finanziaria doveva prendere in considerazione in base alle ormai superate disposizioni finalizzate ad accertare la residenza italiana del contribuente.

Il paragrafo di quest'ultima circolare dedicato alle indicazioni operative sullo svolgimento delle attività investigative e di intelligence, nell'individuare le azioni fondamentali, ancorché non esaustive, da intraprendere per ciascun soggetto selezionato a livello locale, suggeriva di:

- reperire notizie certe sulla posizione storico-anagrafica risultante presso il Comune dell'ultimo domicilio fiscale in Italia;

- acquisire tutte le informazioni presenti nel sistema informativo dell'Anagrafe tributaria;

- acquisire copia degli atti concernenti donazioni, compravendite, costituzioni di società di persona e/o capitale anche a ristretta base azionaria, conferimenti in società, valutando attentamente i rapporti intercorrenti con i soggetti cointeressati nei suddetti atti;

- acquisire informazioni sulle movimentazioni di somme di denaro da e per l'estero, sul luogo e data di emissione di assegni bancari, sugli investimenti in titoli azionari e/o obbligazionari italiani.

In sintesi, si tratta di reperire ogni elemento concreto di prova in ordine ai legami familiari o comunque affettivi e all'attaccamento all'Italia, agli interessi economici quivi esistenti, all'interesse a conservare o a far rientrare in Italia i proventi conseguiti con le prestazioni effettuate all'estero, all'intenzione di abitare in Italia desumibile da atti e/o fatti concludenti ovvero da pubbliche dichiarazioni.

Tali elementi potranno essere desunti, oltre che da una puntuale analisi della documentazione acquisita, anche da una attenta ricognizione della stampa locale e nazionale, nonché di pubblicazioni biografiche o servizi prodotti dalle reti televisive locali e nazionali. Naturalmente, l'obiettivo più importante e difficoltoso da perseguire è l'accertamento della simulazione del soggetto che, nonostante le risultanze anagrafiche attestanti il trasferimento della residenza all'estero, mantenga pur sempre il centro dei propri interessi in Italia ovvero, preordinando una pluralità di centri o imputando formalmente i proventi conseguiti a soggetti terzi, renda difficoltosa l'individuazione della sede principale dei propri affari o realizzi una interposizione fittizia.

La valutazione degli Uffici finanziari, prescindendo dalla presenza fisica del soggetto interessato e dalla sua attività lavorativa, potrà essere condizionata da molteplici circostanze, quali, ad esempio, la disponibilità in capo al presunto contribuente di un'abitazione permanente in territorio nazionale, il mantenimento di una famiglia, il possesso di beni anche mobiliari, la partecipazione a riunioni d'affari, la titolarità di cariche sociali, l'iscrizione a circoli o a clubs, l'impiego di soggetti operanti nel territorio italiano per organizzare la propria attività ed i propri impegni anche internazionali.

Ciò premesso e tenuto conto che, in ogni caso, la nuova norma ha l'effetto di chiarire che se il trasferimento di residenza è avvenuto in un Paese non rientrante tra quelli definiti a fiscalità privilegiata la prova della effettiva residenza in Italia è posta esclusivamente a carico dell'Amministrazione finanziaria (18), la Circolare 140/E non si limita ad un mero richiamo alla precedente prassi amministrativa. Con specifico riferimento alle modifiche introdotte dal collegato alla finanziaria per il 1999 viene di fatto affermato che il contribuente può raccogliere qualsiasi mezzo di prova, di natura dimostrativa e/o documentale, personale e/o relativo al proprio nucleo familiare, idoneo a provare la mancanza di un significativo collegamento in Italia e, contemporaneamente, la sussistenza di un legame verso il Paese nel quale ha spostato la residenza.

Nella predetta Circolare 140/E vengono citati, a titolo esemplificativo:

- l'esistenza della dimora abituale, personale e del nucleo familiare, nel Paese fiscalmente privilegiato;

- l'iscrizione e l'effettiva frequenza dei figli presso scuole del Paese estero;

- un contratto di lavoro continuativo o l'esercizio di un'attività economica stabile nel Paese estero;

- contratti di acquisto o di locazione di immobili residenziali idonei alle esigenze abitative nel Paese estero;

- ricevute o fatture di utenze (luce, gas, acqua, telefono, ecc.) pagate nel Paese estero;

- la movimentazione di somme di denaro o di altre attività finanziarie nel Paese estero e tra i due Paesi;

- l'iscrizione nelle liste elettorali del Paese estero;

- l'assenza di immobili a disposizione in Italia;

- l'assenza di rapporti significativi e duraturi di carattere economico, familiare, politico, sociale, culturale e ricreativo.

La rilevanza di tali elementi probatori dovrà essere valutata dall'Amministrazione finanziaria in una visione globale, posto che il superamento della prova contraria alla presunzione legale deve necessariamente scaturire da una complessiva considerazione della posizione del contribuente.

Sul piano operativo, le iniziative di accertamento saranno realizzate da apposite unità investigative istituite presso le Direzioni regionali delle Entrate. Queste unità, che hanno già fornito un primo rapporto nell'aprile del 1998, lavoreranno sia al fine di rilevare ed accertare situazioni relative a periodi d'imposta antecedenti al 1° gennaio 1999 sia al fine di individuare gli elementi reddituali posseduti dal contribuente e di suffragare adeguatamente l'iter logico-giuridico in base al quale il Fisco considera insufficienti i mezzi di prova forniti dal cittadino residente all'estero.

Dunque, lo sforzo di ricerca e di analisi dell'Amministrazione finanziaria non si attenuerà a seguito dell'introduzione del nuovo criterio probatorio e, in concreto, applicherà le metodologie già emanate con la Circolare 304/1997. In effetti, il fenomeno del trasferimento fittizio dalla residenza all'estero per ridurre il carico impositivo personale ha assunto negli ultimi tempi una dimensione preoccupante e sempre più spesso ha avuto specifico risalto anche sugli organi di stampa. In particolare, il fenomeno de quo è piuttosto frequente nel mondo dello sport e dello spettacolo, ma viene realizzato anche da facoltosi professionisti ed imprenditori. È per questo che il Ministero delle Finanze, nella volontà di combattere pericolosi fenomeni di evasione fiscale, ha rinnovato lo specifico impegno.

Gli aspetti penali derivanti dall'eventuale accertamento della residenza in Italia sono prevalentemente legati all'applicazione della
L. 516/1982. Tuttavia occorre considerare anche il disposto dell'art. 5, ottavo comma, del D.L. 167/1990, concernente la rilevazione ai fini fiscali di taluni trasferimenti da e per l'estero di denaro, titoli e valori mobiliari, secondo il quale chiunque fornisca alle banche e agli altri intermediari abilitati false indicazioni sul soggetto realmente interessato al trasferimento da o verso l'estero di denaro, titoli o valori mobiliari ovvero dichiara falsamente di non essere residente in Italia, in maniera tale da non consentire l'adempimento degli obblighi previsti nello stesso art. 1, del citato decreto, è punito, salvo che il fatto costituisca un più grave reato, con la reclusione da sei mesi ad un anno e con la multa da un milione a dieci milioni di lire.

 

5. Le nozioni di residenza e domicilio ai fini fiscali

L'art. 2, secondo comma, del D.P.R. 917/1986 stabilisce che "ai fini delle imposte sul reddito si considerano residenti le persone che per
la maggior parte del periodo d'imposta sono iscritte nelle anagrafi
della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio
o la residenza ai sensi del codice civile". La norma, con qualche variante, ricalca sostanzialmente, la corrispondente disposizione del
D.P.R. 597/1973.

Le note allegate allo schema del Testo unico si limitano ad avvertire che la formulazione della norma è stata modificata poiché si tratta di accertare - ai fini dell'obbligo della dichiarazione e dell'esercizio del potere di accertamento - il presupposto di un'obbligazione tributaria "di periodo" ed è perciò necessario precisare per quanta parte del periodo medesimo debba sussistere la condizione richiesta: non soltanto la dimora, ma anche la residenza anagrafica ed il domicilio. Ne deriva che non si è inteso modificare nella sostanza la natura dei presupposti di territorialità (residenza anagrafica, sede principale degli affari ed interessi e dimora abituale), ma semplicemente introdurre una condizione temporale all'applicabilità di tali criteri.

Gli elementi che determinano la residenza fiscale di un soggetto sono dunque:

- l'iscrizione anagrafica;

- il domicilio, ossia la sede principale degli affari ed interessi (art. 43, primo comma, c.c.);

- la residenza, ossia la dimora abituale (art. 43, secondo comma, c.c.).

È sufficiente che sussista uno solo dei requisiti previsti dalla norma affinché un soggetto sia considerato fiscalmente residente. Così, ad esempio, il soggetto che abbia stabilito la propria dimora abituale all'estero pur non avendo provveduto a cancellarsi dall'anagrafe della popolazione residente è considerato per presunzione assoluta residente in Italia (19). Analogamente, il contribuente che pur essendosi cancellato dall'anagrafe della popolazione residente risulti aver mantenuto la propria dimora abituale o la sede principale dei propri affari e interessi in Italia (ad esempio in seguito al rientro in Italia) si considera ugualmente residente nel territorio dello Stato.

Dal punto di vista fiscale, l'iscrizione all'Aire attesta e conferma la non residenza in Italia (20), ma a differenza dell'iscrizione (che è inoppugnabile) nelle anagrafi dei residenti nello Stato, quella nell'anagrafe dei residenti all'estero è pur sempre suscettibile di prova contraria: sia nel caso di simulazione, sia nel caso in cui il soggetto emigrato riassuma la residenza di fatto in Italia prolungata per la maggior parte del periodo d'imposta.

Questa interpretazione trova conferma nella sentenza della Corte di Cassazione 8 novembre 1989, n. 4705, secondo la quale la semplice cancellazione dall'anagrafe della popolazione residente, per trasferire la residenza all'estero, può non essere sufficiente a far perdere lo status di residente sotto il profilo fiscale, qualora il soggetto mantenga nel territorio nazionale i propri interessi (famiglia, proprietà, ecc.).

Nello stesso senso si esprime anche la Circolare 304/E, secondo cui la semplice cancellazione dall'anagrafe della popolazione residente e la contestuale iscrizione in quella degli italiani residenti all'estero (Aire) non costituisce elemento determinante per escludere il domicilio o la residenza nello Stato, ben potendo questi ultimi essere desunti con ogni mezzo di prova anche in contrasto con le risultanze dei registri anagrafici. Pertanto, l'aver stabilito il domicilio civilistico in Italia ovvero l'aver fissato la propria residenza nel territorio sono condizioni sufficienti per integrare il concetto di residenza fiscale, indipendentemente dal mero requisito formale dell'iscrizione.

L'iscrizione nell'anagrafe della popolazione residente è disciplinata dalla legge 24 dicembre 1954, n. 1228 e dal relativo Regolamento di attuazione 30 maggio 1989, n. 223 (21). Presupposto per l'iscrizione, ai sensi degli artt. 1 e 3 del regolamento, è l'avere stabilito nel Comune la propria dimora abituale o - per le persone senza fissa dimora - l'aver stabilito nel Comune il proprio domicilio. Non cessano di appartenere alla popolazione residente le persone temporaneamente dimoranti in altri Comuni o all'estero per l'esercizio di occupazioni stagionali o per motivi di limitata durata.

I cittadini italiani che abbiano stabilito la propria dimora abituale all'estero devono cancellarsi dall'anagrafe della popolazione residente ed iscriversi all'Aire, istituita e tenuta a norma della legge 27 ottobre 1988,
n. 470 (22) e del relativo regolamento di esecuzione, di cui al D.P.R.
6 settembre 1989, n. 323.

In base all'art. 6 della legge 470/1988:

- i cittadini italiani che trasferiscono la loro residenza all'estero devono farne dichiarazione all'Ufficio consolare della circoscrizione di immigrazione entro 90 giorni;

- i cittadini italiani residenti all'estero che cambiano la residenza o l'abitazione devono farne dichiarazione entro 90 giorni all'Ufficio consolare nella cui circoscrizione si trova residenza o la nuova abitazione. Gli uffici consolari trasmettono entro 180 giorni copia autentica della dichiarazione al Ministero dell'Interno per le registrazioni di competenza e per l'immediata comunicazione al comune italiano di competenza.

Con riguardo al secondo presupposto, la residenza, essa equivale alla stabile dimora. La giurisprudenza civilistica ha sancito che "la residenza è determinata dalla abituale volontaria dimora di una persona in un determinato luogo, sicché concorrono ad instaurare tale relazione giuridicamente rilevante sia il fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo sia l'elemento soggettivo della volontà di rimanervi, la quale, estrinsecandosi in fatti univoci che evidenziano tale intenzione, è normalmente compenetrata nel primo elemento" (23).

In altri termini, la volontà si presume fino a prova contraria e ci si affida, in sede probatoria, ad indici estrinseci, vale a dire al comportamento del soggetto, alle sue abitudini di vita, ecc. (24). Per determinare il momento in cui può ritenersi acquistata la residenza non è necessario, peraltro, che la permanenza in un determinato posto si sia già protratta per un tempo più o meno lungo, ma è sufficiente accertare che la persona abbia fissato in quel posto la propria dimora con l'intenzione, desumibile da ogni elemento di prova anche con giudizio ex post, di stabilirvisi in modo non temporaneo (25). La stabile permanenza sussiste anche quando la persona si rechi a lavorare o svolgere altra attività fuori dal comune di residenza, sempreché conservi in esso l'abitazione, vi ritorni quando possibile e vi mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e sociali.

Per quanto riguarda l'elemento della volontà, la Cassazione ha esaminato anche il caso di un soggetto che era stato costretto a vivere per un prolungato periodo di tempo in Italia per motivi di salute e quindi senza aver scelto volontariamente la residenza italiana. Il Supremo Collegio - ribadendo l'essenzialità del requisito della volontà - ha escluso che tale volontà debba risultare da una manifestazione esplicita del soggetto, concludendo che essa può essere presunta anche dalla protratta permanenza del soggetto nel territorio dello Stato; nel caso, dunque, è stato confermato il giudizio di merito dal quale risultava una "motivazione attenta ed esauriente" della "dimostrazione, fondata sulle risultanze processuali", attestante "l'obiettiva volontà" dell'interessato di stabilirsi in Italia.

La residenza non viene meno per una più o meno prolungata assenza, specie se occasionata da motivi contingenti (villeggiatura, viaggi, studio, lavoro, ecc.), sempreché la persona vi conservi l'abitazione, vi ritorni quando possibile o vi mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e sociali.

Ciò premesso sul piano civilistico, si osserva che la norma tributaria fissa l'ulteriore condizione che la persona abbia la residenza in Italia per la maggior parte del periodo d'imposta. Poiché non sembra che la dimora possa essere considerata abituale se ha una durata inferiore alla metà del periodo d'imposta, il requisito di "durata" stabilito nella norma fiscale e quello di "abitualità" stabilito dalla norma civilistica sembrano sovrapporsi al punto da far sì che uno dei due risulti pleonastico.

Il coordinamento tra le due norme, tuttavia, sembra portare alla parziale modifica dell'interpretazione data in dottrina e nella prassi amministrativa sulle modalità di computo della durata della dimora in relazione al regime previgente. La portata letterale dell'art. 2, D.P.R. 597/1973 consentiva, infatti, di ritenere che il periodo di permanenza nel territorio per oltre sei mesi poteva anche non essere continuativo. Oggi, invece, è la dimora abituale che deve essere stabilita in Italia per la maggior parte del periodo d'imposta (26).

L'elemento di più incerta determinazione è, senza ombra di dubbio, il domicilio, definito, dal codice civile, il luogo nel quale la persona ha stabilito la sede principale dei propri affari ed interessi. Secondo la Suprema Corte di Cassazione (27), il domicilio prescinde dalla dimora o dalla presenza di una persona in un luogo, in quanto esso, pur fondandosi su un elemento di fatto, costituito dall'avere la persona stabilito in un luogo la sede principale dei suoi affari ed interessi, consiste in una relazione tra la persona ed il luogo in questione essenzialmente ed anche soltanto giuridica, caratterizzata dalla volontà della persona di stabilire in quel luogo la sede generale delle sue relazioni ed interessi.

Su analoghi binari, la giurisprudenza evidenzia come questo concetto riposi principalmente su una situazione giuridica, caratteristica della volontà della persona di stabilire in quel luogo la "sede generale delle sue relazioni di natura morale e sociale, nonché dei propri interessi economici". La nozione di domicilio risulta fortemente condizionata dall'elemento soggettivo, cioè dall'intenzione di costituire e mantenere in un determinato luogo il centro principale delle proprie relazioni familiari, sociali ed economiche, e l'applicazione di questo presupposto non può prescindere dall'accertamento - in concreto - della sussistenza di tale elemento (28).

Poiché, inoltre, la disposizione fa riferimento alla sede principale degli affari ed interessi occorre una valutazione complessa della situazione socio-economica del contribuente. L'art. 43, primo comma, c.c. il cui richiamo in definitiva vale solo per le nozioni in esso contenute, non è idoneo di per sé ad attrarre chiunque tra i soggetti passivi d'imposta residenti (in palese contrasto con la situazione di fatto) se non concorrono anche altri elementi e circostanze certe, non solo inequivocabilmente significativi ma anche comparabili al punto di poter stabilire che la sede di affari ed interessi nel territorio dello Stato è principale rispetto ad altre che il soggetto non residente abbia all'estero.

D'altro canto, la sede principale di affari ed interessi, significando concentrazione degli stessi in un determinato luogo, postula la valutazione dell'insieme dei rapporti facenti capo al soggetto, nella loro pluralità (ancorché non esaustiva) e non già rilevanza di uno solo di essi, neppure in riferimento al solo rapporto di lavoro per quanto notevole ed importante esso sia nella vita delle persone. La Circolare ministeriale 304/E (29) si è soffermata in modo particolare sugli elementi definitori della nozione di domicilio, evidenziando che:

- secondo la giurisprudenza prevalente il domicilio è un rapporto giuridico tra il soggetto ed il centro dei propri affari e prescinde dalla presenza effettiva in un determinato luogo;

- la locuzione "affari ed interessi", di cui al citato art. 43, primo comma c.c., deve intendersi in senso ampio, cioè comprensivo non solo di rapporti di natura patrimoniale ed economica ma anche morali, sociali e familiari; sicché la determinazione del domicilio va desunta alla stregua di tutti gli elementi di fatto che, direttamente o indirettamente, attestino la presenza in un certo luogo di tale complesso di rapporti ed il carattere principale che esso ha nella vita della persona;

- l'Amministrazione finanziaria, chiamata a pronunciarsi sul caso di un soggetto iscritto all'Aire ed esercente attività di lavoro autonomo all'estero, si era già uniformata a tale interpretazione, sostenendo che la residenza fiscale in Italia si concretizza qualora la famiglia dell'interessato abbia mantenuto la dimora in Italia durante il periodo di attività all'estero o, comunque, nel caso in cui emergano atti o fatti tali da indurre a ritenere che il soggetto interessato abbia quivi mantenuto il centro dei propri affari ed interessi;

- sarà considerato fiscalmente residente in Italia la persona che, pur avendo trasferito la propria residenza all'estero e svolgendo la propria attività fuori dal territorio nazionale, mantenga, nel senso sopra indicato, il centro dei propri interessi familiari e sociali in Italia.

In effetti, con il requisito temporale previsto dall'art. 2, D.P.R. 917/1986 "per la maggior parte del periodo d'imposta"), il legislatore ha inteso richiedere la sussistenza di un legame effettivo e non provvisorio della persona con il territorio nazionale, tale da legittimare il concorso alle spese pubbliche in ottemperanza ai doveri costituzionali. La rilevanza assunta dall'elemento soggettivo e, soprattutto, l'estensione dell'inciso "affari ed interessi" ai rapporti di natura non patrimoniale fa sì che la nozione di domicilio sfugga a criteri di valutazione meramente quantitativi, prestandosi a valutazioni per lo più di carattere qualitativo.

Pertanto, la circostanza che la persona abbia mantenuto in Italia i propri legami familiari o il centro dei propri interessi patrimoniali e/o sociali deve ritenersi sufficiente a dimostrare un collegamento effettivo e stabile con il territorio nazionale tale da far ritenere soddisfatto il requisito temporale previsto dalla norma.

 

6. Un caso concreto

Agli inizi del 1999, con apposita sentenza, una Commissione tributaria provinciale respingeva il ricorso proposto da un noto artista italiano avverso l'accertamento dell'Amministrazione finanziaria tendente a dimostrare il trasferimento fittizio della sua residenza nel Principato di Monaco al solo scopo di eludere il sistema tributario nazionale.

Fermo restando che, da svariati anni (circa quindici), la persona era regolarmente residente in Montecarlo ed iscritta all'Aire, la controversia si è instaurata al fine di verificare la sussistenza di almeno uno dei requisiti previsti dall'art. 2, secondo comma, Tuir, secondo cui un soggetto, ancorché formalmente e civilisticamente residente nel territorio del Principato di Monaco, può essere inserito tra coloro che, ai fini fiscali, si considerano residenti.

La Commissione provinciale evidenziava preliminarmente che per residenza deve intendersi "la località dove il soggetto soggiorna con una certa stabilità" (criterio dell'abitualità) e che per la sua determinazione non era sufficiente fare riferimento alla semplice individuazione anagrafica, ma occorreva individuare una situazione concreta, determinabile sulla base dell'osservazione della vita dell'individuo nel particolare momento storico considerato, con riguardo ai luoghi in cui egli aveva di fatto stabilito la propria abitazione.

Tenendo presente tale principio, il giudice tributario riconosceva la molteplicità degli elementi di prova offerti dall'Ufficio finanziario, dai quali poteva fondatamente desumersi la sussistenza di un fittizio trasferimento di residenza a Montecarlo, al fine di beneficiare del più favorevole regime fiscale quivi vigente, caratterizzato dall'assenza di qualsiasi imposta sul reddito delle persone fisiche. Nella circostanza, l'Ufficio dimostrava che il contribuente:

- risultava socio ed amministratore di svariate società con sede nel territorio nazionale, a favore delle quali il medesimo aveva effettuato ingenti finanziamenti;

- aveva mantenuto rapporti con numerosi istituti bancari nazionali;

- aveva stipulato e registrato in Italia vari atti pubblici.

Emergeva, inoltre, che, nonostante il formale trasferimento di residenza in Montecarlo, l'artista, non solo non aveva trasferito la famiglia, ma aveva continuato a mantenere nel luogo di residenza dei familiari l'abitazione e gli interessi morali, sociali ed economici.

Infine, era stato ritenuto decisivo - ai fini della sentenza - il raffronto tra l'abitazione italiana e quella di Montecarlo, inadeguata per le ristrette dimensioni (circa 100 mq.) ad ospitare domestici, personale di servizio,
di sicurezza, ospiti, amici e collaboratori e, in ogni caso, inadeguata
alla professione artistica svolta. Di ben diverso genere risulta l'abitazione storica della famiglia del contribuente de quo, "composta da quindici unità immobiliari, circondata da ampio parco recintato (...), casa in
grado di soddisfare le esigenze abitative dell'intera famiglia allargata ai parenti dei due coniugi, nonché quelle transitorie di ospiti e personale
di servizio".

Queste ed altre circostanze di fatto, documentate e comunque non contestate in atti, indipendentemente dall'utilizzo dei dati addotti dall'Ufficio finanziario e desunti da articoli di stampa, convincevano il giudice tributario a dichiarare infondato il ricorso dell'artista. Secondo la Commissione tributaria provinciale, "da nessun atto o documento risulta provato che il soggetto, nel periodo in contestazione, si sia effettivamente trasferito a Montecarlo, nell'appartamento condominiale sopra descritto, inadeguato persino ad ospitare l'intera famiglia, o in altro luogo estero". Se ne concludeva affermando che "gli elementi di prova offerti dall'ufficio appaiono dunque più che sufficienti, per la loro gravità, precisione e concordanza, per fare ritenere il ricorrente "fiscalmente residente", nonostante la formale iscrizione all'Aire, per avere egli mantenuto il centro dei propri interessi familiari e sociali in Italia".

 

7. La decorrenza della nuova norma

La Circolare 140/E ha chiarito la decorrenza temporale della presunzione legale introdotta: considerato il tenore delle relazioni accompagnatorie dell'art. 10 della L. 448/1998, si è affermato che essa opera dalla data di entrata in vigore della legge, cioè dal 1° gennaio 1999.

Il Ministero delle Finanze ha ritenuto che l'inversione dell'onere della prova prevista dalla disposizione in argomento produce effetti non soltanto meramente procedimentali, ma anche sostanziali che, in quanto tali ed in mancanza di una espressa previsione normativa, non possono avere carattere retroattivo.

Con riferimento ai periodi d'imposta anteriori al 1999, in presenza di una emigrazione anagrafica verso gli Stati o i territori a fiscalità privilegiata, l'onere probatorio ai fini della dimostrazione dell'effettiva residenza fiscale continuerà a gravare sull'Amministrazione finanziaria.

Poiché la nuova disposizione presuntiva trova piena applicazione dal periodo d'imposta 1999 indipendentemente dal fatto che l'emigrazione sia avvenuta anteriormente al 1° gennaio 1999, i cittadini italiani fittiziamente emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato possono regolarizzare la loro posizione - con riferimento ai periodi d'imposta 1999 e successivi - adempiendo spontaneamente in Italia agli obblighi tributari connessi alle tipologie di redditi posseduti.

In conclusione, appare di tutta evidenza come dal 1° gennaio 1999 sia sicuramente più arduo constatare le pretese di accertamento basate sulla fittizietà della residenza all'estero. Ciò nonostante, tali pretese, anche se ritenute fondate, potrebbero paradossalmente non produrre alcun nuovo gettito per le casse dell'Erario.

La Circolare 140/E, in proposito, omette la circostanza che l'aver riportato in Italia la residenza fiscale del soggetto interessato non consente automaticamente di quantificare la capacità contributiva.

Ma allora, quali ostacoli si frappongono al Fisco per fare effettivamente i conti in tasca al contribuente emigrato all'estero per motivi fiscali?

Se il nuovo comma 2-bis, dell'art. 2 Tuir, costituisce sicuramente un eccellente strumento per far cadere molti dei veli che finora hanno celato ogni criterio di collegamento con l'ordinamento tributario nazionale, lo stesso si rivela successivamente impotente, allorché si debba procedere a conferire un contenuto materiale (in termini di redditi non dichiarati) alla nuova configurazione di residenza fiscale attribuita al soggetto interessato. Quest'ultimo, infatti, riuscirà di norma ad occultare, in maniera impenetrabile per il Fisco, i proventi dei propri affari, sfruttando, a tale scopo, sia le caratteristiche di assoluta mancanza di trasparenza offerte dal "paradiso fiscale" in cui risiede, sia quelle proprie della fonte del reddito, difficile da localizzare e ancor più da quantificare.

Le modalità pratiche dell'occultamento potranno essere diverse e caratterizzate da differenti gradi di raffinatezza. Si va dai classici pagamenti "in nero", successivamente accreditati presso una banca con sede nel Paese off-shore, per giungere al più evoluto strumento della cessione dei diritti di sfruttamento dell'immagine ad un soggetto residente in un paradiso fiscale (e perciò incontrollabile). Infine, una soluzione ancora più sofisticata e insidiosa può essere costituita, per esempio, dalla cessione del diritto di immagine ad una società-schermo con un domicilio di prestigio legato da particolari accordi con il paradiso fiscale e controllata di fatto dal soggetto residente all'estero.

Nonostante l'entità delle ritenute alla fonte a titolo d'imposta, previste in ottemperanza al principio generale dell'imponibilità dei redditi prodotti nel territorio dello Stato dal soggetto non residente, il vantaggio ottenibile rimane pur sempre di sicuro interesse, se si tiene conto del livello delle aliquote marginali nella tassazione del reddito delle persone fisiche in Italia.

Il nodo da sciogliere rimane, quindi, ancora quello dei paradisi fiscali e delle distorsioni che la loro presenza causa nel delicato sistema della tassazione dei redditi trasnazionali.

Ten. Col. t.ST Dott. Luciano Carta

Cap. Dott. Nicola Altiero

 

 

 

 

 

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