ONCOLOGIA GINECOLOGICA
Gruppo di lavoro:
S. Di Leo, P.L. Benedetti Panici, P.F. Bolis, F. Di Re, S. Pecorelli, C. Sbiroli
Estensori del documento:
S. Di Leo, F. Di Re
LINEE GUIDA IN ONCOLOGIA GINECOLOGICA
Le Linee-guida tendono ad esprimere comportamenti diagnostici e clinici considerati possibili e sufficienti sulla base di fattibilità ed ampia accettazione da parte della classe medica internazionale.
Esse vogliono rappresentare un corretto iter di procedure tecniche a cui abitualmente ci si dovrebbe attenere nellapproccio alla patologia neoplastica ginecologica.
Pur avendo tenuto in considerazione i protocolli interni adottati da alcuni Centri oncologici con finalità di ricerca clinico-scientifica, le Linee-guida proposte sono indirizzate agli specialisti in Ostetricia e Ginecologia che, al di fuori dei suddetti Centri affrontino il problema della corretta diagnosi e terapia.
Loncologia ginecologica richiede quasi sempre la compartecipazione di competenze multidisciplinari e, spesso, ladozione di tecniche complesse nonché consolidata esperienza clinica; in assenza di ciò il livello delle prestazioni scade qualitativamente; un atto medico costituisce un momento di una strategia generale da programmare e seguire in relazione alla storia naturale della malattia.
Sotto tale punto di vista si deve ritenere positiva una partecipazione di più figure professionali che collaborino con competenze ed a livelli diversi nella gestione della malattia.
Lindicazione delle procedure di massima per i singoli tumori dellapparato genitale costituisce pertanto un irrinunciabile aspetto delle linee guida. Tali procedure non debbono essere rigide ma adattate alle varie situazioni locali ed al loro mutamento nonché al progredire delle conoscenze.
Di comune accordo il Gruppo di lavoro ha considerato come base delle Linee-guida il recente Manuale di Ginecologia Oncologica edito dalla Soc. Italiana di Oncologia Ginecologica per iniziativa del Presidente Prof. Piero Sismondo e le Basi scientifiche per la definizione di Linee-guida del Consiglio Nazionale Ricerche.
Il carcinoma della cervice è la quarta neoplasia per frequenza nella popolazione femminile del mondo occidentale.
In Italia vengono stimati circa 3700 nuovi casi/anno con una incidenza dei 12/100000 donne/ anno. Lincidenza del tumore ha subito dopo cinquantanni dallintroduzione del Pap-test una riduzione dei nuovi casi e del rischio di morte.
Alcuni fattori correlati allincidenza della malattia sono la precocità di inizio dellattività sessuale associato ad un elevato numero di partners, le terapie immunosoppressive, il basso livello socio-economico, la multiparità.
Sembra, inoltre, consolidato il ruolo delle infezioni da Papillomavirus (HPV) in particolar modo di alcuni tipi come il 16 ed il 18 e, più recentemente, il 31-33 e 35. La conoscenza di tali correlazioni non è però traducibile, allo stato attuale, in una organica attività di selezione clinica.
Letà mediana di insorgenza è 51 anni per le forme invasive, ma scende a 32 per le forme intraepiteliali.
Diagnosi
Il cervicocarcinoma in stadio iniziale è spesso asintomatico.
I sintomi, quando presenti, sono aspecifici: spotting, leucorrea maleodorante.
Il sospetto diagnostico di cervicocarcinoma si pone sulla base di un referto dubbio o positivo allesame citologico cervicale. La colposcopia rappresenta, successivamente, lesame di secondo livello in quanto valuta la cervice uterina con citologia anormale e permette la localizzazione della zona della portio dove eseguire la biopsia per lesame istologico.
Dove non sono operativi programmi di screening può accadere che il sospetto di neoplasia cervicale venga posto dopo un esame clinico (forma esofitica con tessuto friabile facilmente sanguinante, forma endofitica con cervice dura; a volte lesocervice può sembrare integra ed il collo uterino può assumere forma a barilotto. Altre volte si può avere la forma ulcerativa, con formazione di un cratere più o meno profondo).
La biopsia cervicale deve essere effettuata su tutte le lesioni clinicamente sospette preferibilmente sotto guida colposcopica. Quando la citologia suggerisce la presenza di una neoplasia cervicale ma non vi è alcuna lesione visibile macroscopicamente o colposcopicamente deve essere effettuata una conizzazione con curettage frazionato. La conizzazione può essere eseguita con: lama fredda, con laser CO2 o con ansa diatermica ad onde radio ad alta frequenza. Essa è indicata nelle seguenti condizioni:
1) non vi è lesione visibile colposcopicamente
2) lepitelio atipico si estende lungo il canale cervicale e la lesione non può essere adeguatamente visualizzata allesame colposcopico in tutta la sua estensione
3) vi è discrepanza tra il risultato della biopsia eseguita in corso di colposcopia e lesame citologico
4) la diagnosi di microinvasione deriva da una biopsia a morso cervicale
5) il curettage endocervicale identifica una CIN.
Posta la diagnosi istologica di cervicocarcinoma si deve procedere alla stadiazione.
Stadiazione
Lattuale stadiazione del cervicocarcinoma invasivo (stadio &Mac179; IA2) è quella proposta dalla FIGO a Montreal nel 1994 (vedi tab. 1).
Stadio O (TO) | Carcinoma in situ, carcicoma intraepiteliale. | ||||||||||||||
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Le procedure diagnostiche suggerite dalla FIGO per la stadiazione del cervicocarcinoma sono: esame vaginale bimanuale e vagino-rettale (eventualmente in narcosi), colposcopia, biopsia (già citate nelle procedure diagnostiche), Rx torace, urografia. Cistoscopia e proctosigmoidoscopia solo per sospetto clinico di invasione.
Esami strumentali utili per individualizzare la terapia ma non previsti per la definizione dello stadio sono: TAC, RMN, linfoangiografia e le procedure chirurgiche di stadiazione.
Le regole per una corretta stadiazione clinica, secondo la FIGO sono:
- lo stadio deve essere definito clinicamente prima di qualsiasi programma terapeutico
- la stadiazione clinica va effettuata immediatamente dopo la diagnosi di cervicocarcinoma
- definito lo stadio esso non deve essere modificato successivamente
- nei casi di dubbio clinico tra due stadi deve essere scelto lo stadio inferiore.
La stadiazione FIGO basata su dati clinici e strumentali presenta una discrepanza con i dati patologici nel 20-60% dei casi.
Lultrasonografia, la TAC e la RMN proposte per superare i limiti della stadiazione clinica non hanno dimostrato un reale vantaggio.
Fattori prognostici
Utili per un corretto inquadramento nosologico ma non determinanti per la stadiazione. Essi sono:
Stadio: rappresenta uno dei più importanti fattori prognostici; ad esso sono direttamente correlati il rischio di metastasi linfonodali e la sopravvivenza. Sopravvivenza in base allo stadio: Stadio I 85%, Stadio II 66%, Stadio III 39%, Stadio IV 11%.
Profondità di invasione stromale: carattere differenziale tra stadio IA1 (< 3 mm) e stadio IA2 (> 3 < 5 mm). È correlata con il rischio di metastasi linfonodali e di recidiva locale (< 3 mm: N+0,2%; tra 3 e 5 mm: N+6,8%; tra 6 e 10 mm: N+14%; &Mac179; 20 mm: N+46%).
Estensione orizzontale: è correlata dal rischio di metastasi linfonodali e di recidiva locale.
Dimensione del tumore: il diametro cervicale è carattere differenziale tra lo stadio IB1 (&Mac178; 4 cm) e IB2 (&Mac179; 4 cm). È un importante fattore prognostico per linsorgenza di recidive pelviche e per il rischio di metastasi linfonodali. Alle dimensioni del tumore è correlata la sopravvivenza.
Stato linfonodale: è il principale fattore prognostico a cui sono strettamente correlati sia gli indici di sopravvivenza che le recidive. A parità di stadio, infatti, in presenza di coinvolgimento linfonodale la sopravvivenza è peggiore. La sopravvivenza a 5 anni è dell85-90% nei casi N- e del 50% in quelli N+.
Diffusione neoplastica negli spazi capillarosimili, ematici e linfatici: sono tutti fattori correlati con il rischio di metastasi linfonodali, con le recidive e con la sopravvivenza.
Tipo istologico, grado di differenziazione, recettori ormonali, virus e oncogeni, modalità di infiltrazione e reazione flogistica peritumorale: oggetto ancora oggi di studio. I risultati sono contraddittori. Non sembrano influire sulla prognosi.
Terapia
I trattamenti impiegati per il cervicocarcinoma sono principalmente due: la chirurgia e la radioterapia. Queste due modalità di trattamento sono riconosciute come ugualmente efficaci sia per il controllo locale della malattia, sia per i risultati positivi sulla sopravvivenza.
Il trattamento chirurgico è utilizzato prevalentemente quando la malattia è in fase iniziale. Con il progredire dello stadio la terapia prevalentemente utilizzata è quella radiante. Questa scelta è condizionata anche dalletà della paziente, trattandosi spesso di donne giovani, nelle quali il trattamento radioterapico può influire negativamente sulla funzione endocrina ovarica e sessuale. Il trattamento chirurgico evita le complicazioni legate alle alte dosi radioterapiche ed assume, inoltre, un importante ruolo nella valutazione dei vari fattori istopatologici che hanno un significato prognostico.
Stadio IA: la FIGO lo suddivide in IA1, comprendente quelle lesioni con invasione stromale inferiore a 3 mm ed estensione orizzontale inferiore a 7 mm, IA2 lesioni con invasione stromale tra 3 e 5 mm ed estensione orizzontale inferiore a 7 mm. Tale suddivisione viene effettuata per definire il rischio di metastasi linfonodali.
La diagnosi di carcinoma allo stadio IA non può essere posta sulla base di una semplice biopsia ma è necessario effettuare una conizzazione allo scopo di evidenziare i caratteri essenziali per un corretto inquadramento nosologico. Solo in tal modo è possibile stabilire la profondità di invasione e valutare i fattori prognostici. Per lesioni con invasione inferiore a 3 mm in assenza di fattori prognostici sfavorevoli una chirurgia conservativa è appropriata, dal momento che il rischio di metastasi linfonodali è estremamente basso (0,2%).
I fattori che possono influire sulla decisione di adottare un trattamento conservativo sono: letà della paziente, il desiderio di prole, lassenza di patologia genitale concomitante, la disponibilità ad un adeguato follow-up. Nei casi IA1 con fattori prognostici sfavorevoli il trattamento deve essere personalizzato potendosi effettuare in alternativa un intervento di isterectomia extrafasciale (Piver I).
Nello stadio IA2 il rischio di metastasi linfonodali è del 6,8% e rappresenta il nodo cruciale nella scelta della terapia che non può che essere personalizzata: il trattamento può essere conservativo (conizzazione) o radicale (isterectomia sec. Piver II con linfoadenectomia pelvica). In assenza di fattori prognostici sfavorevoli ed in casi selezionati, al fine di conservare la fertilità, può essere consentita lesecuzione di unampia conizzazione purché i margini di resezione chirurgici siano indenni da neoplasia e la paziente offra garanzie di follow-up adeguato.
Il trattamento conservativo determina un rischio di recidiva del11-12% (sovrapponibile a quello ottenuto con una isterectomia extrafasciale sec. Piver I) e di mortalità del 2-6%.
Il trattamento radicale determina un rischio di recidiva del 2% ed un azzeramento della mortalità. La conizzazione come trattamento definitivo degli stadi IA2 richiede, quindi, alcuni criteri quali:
1) desiderio di mantenimento della fertilità
2) collaborazione della paziente per un adeguato follow-up
3) margini del cono liberi da neoplasia
4) assenza di interessamento degli spazi linfovascolari
5) procedura istopatologica conforme agli standard.
La terapia chirurgica delle lesioni neoplastiche iniziali della portio deve essere personalizzata attuando demolizioni minime con massima garanzia di efficacia.
Stadio IB-IIA: listerectomia radicale con linfoadenectomia pelvica sistematica e la radioterapia transcutanea con brachiterapia conseguono gli stessi risultati in termini di sopravvivenza (80-90%).
Lopzione terapeutica è influenzata dalletà, dalla conservazione della funzione ovarica, dalle condizioni generali della paziente.
Le complicanze, anche se qualitativamente differenti, sono sovrapponibili nelle due diverse modalità terapeutiche.
Nelle pazienti irradiate in prima istanza per neoplasia allo stadio IB2 non sarebbe giustificata una isterectomia postradioterapia per laumento dei costi e della mortalità senza un evidente vantaggio in termini di controllo locale della malattia.
La chemioterapia neoadiuvante alla radioterapia consente di ottenere risposte obiettive nel 50% dei casi ma non modifica la prognosi né i termini di sopravvivenza né nel controllo locale della malattia. Al contrario incoraggianti sembrano essere i risultati della chemioradioterapia concomitanti.
Lintegrazione di chirurgia e radioterapia non ha prodotto alcun incremento terapeutico ma a fronte di una drastica riduzione delle recidive pelviche si assiste ad un significativo incremento delle recidive a distanza senza alcun impatto sulla sopravvivenza.
Stadio IIB: il trattamento standard è la radioterapia esterna con brachiterapia. Tale metodo determina una sopravvivenza a 5 anni tra il 38 ed il 60%. Circa il 30% delle donne allo stadio IIB hanno metastasi ai linfonodi paraaortici.
Alcuni centri trattano tali pazienti con listerectomia radicale sec. Piver III con linfoadenectomia pelvica con sopravvivenza assimilabile a quella ottenuta mediante radioterapia.
La linfoadenectomia aortica sembra indicata nei tumori con diametro superiore a 4 cm e con linfonodi pelvici positivi.
Stadio III e IV: la radioterapia esterna e la brachiterapia rappresentano lo standard terapeutico in questi stadi. La sopravvivenza a 5 anni al III stadio è compresa tra il 20 ed il 40%, mentre al IV stadio oscilla tra il 5 ed il 20%.
Cervicocarcinoma invasivo dopo isterectomia semplice: in presenza di cervicocarcinoma invasivo inaspettato dopo isterectomia semplice, effettuata per patologia benigna, in caso di coinvolgimento neoplastico dei margini di resezione deve essere eseguita una radioterapia postoperatoria nel più breve lasso di tempo possibile. Infatti la sopravvivenza di tali pazienti è direttamente correlata alla tempestività del trattamento. Non si deve eseguire un intervento di isterectomia senza avere effettuato un esame colpocitologico.
Carcinoma del moncone: tale neoplasia deve essere trattata come quella insorta su un utero intatto. I risultati sia in termini di cura che di sopravvivenza sono sovrapponibili nei due gruppi di pazienti.
Terapia delle recidive: la terapia di una recidiva varia in base alla terapia precedentemente eseguita ed alla sede della recidiva.
È possibile effettuare una terapia curativa solo nelle pazienti con recidiva pelvica centrale senza segni di metastasi linfonodale o a distanza.
Nelle pazienti trattate con radioterapia in prima istanza è improponibile un secondo trattamento radioterapico per la costante associazione con complicanze inaccettabili. La pelvectomia anteriore, posteriore o totale rappresenta la procedura di scelta nella recidiva pelvica centrale dopo radioterapia primaria in assenza di diffusione extrapelvica del tumore e/o di metastasi linfonodali. Questo intervento, altamente mutilante, comporta una notevole percentuale di complicanze postoperatorie e seri problemi psicologici. Per tali ragioni non deve essere effettuato a scopo palliativo.
Il trattamento delle pazienti con recidiva pelvica centrale dopo intervento chirurgico primario è la radioterapia esterna con RT intracavitaria; in casi selezionati si può ricorrere alla evisceratio pelvica. In caso di recidiva laterale o periferica (invasione dei parametri, fissazione alla parete pelvica, metastasi linfonodali) è indicata la chemioterapia.
FOLLOW-UP
Il follow-up delle pazienti permette di individuare precocemente la comparsa delle recidive, e delle complicanze tardive.
La prognosi di tali pazienti è, infatti, anche legata alla precocità con la quale viene diagnosticata una recidiva. I controlli periferici comprendono lesame clinico generale e la visita ginecologica vagino-rettale, il Pap-test, gli esami di laboratorio di routine.
Altri esami vanno eseguiti quando richiesti dalla situazione clinica.
È consigliabile una scadenza di quattro mesi per i primi due anni dallintervento, e di sei mesi fino al quinto anno.
Epidemiologia e fattori di rischio
Nellultimo decennio il carcinoma dellendometrio è notevolmente aumentato nei paesi sviluppati rappresentando l8-10% di tutte le neoplasie femminili, mentre in India e nellAsia meridionale lincidenza è del 2-4%. In Italia il carcinoma dellendometrio rappresenta il 5-6% dei tumori femminili con 4.000 nuovi casi annui.
Fattori di rischio
Endogeni: - menarca precoce
- menopausa tardiva
- anovularità (policistosi ovarica)
- fattori costituzionali (obesità, diabete, ipertensione arteriosa)
- genetici e familiari (al carcinoma endometriale da solo o associato con altre neoplasie: mammella, ovaio, colon)
- tumori ovarici estrogenosecernenti.
esogeni: - dietetici
- ERT (dose e durata)
- Tamoxifene
Fattori di protezione
- contraccezione con Ep
- età avanzata allultimo parto.
Precursori e anatomia patologica
Si deve considerare precursore del carcinoma endometriale dellendometrio solo la iperplasia con atipie anche se essa non costituisce un passaggio obbligatorio in quanto ben il 30% dei carcinomi endometrioidi si associa ad atrofia della mucosa circostante. Liperplasia senza atipie, perciò, non è da considerare lesione preneoplastica ma soltanto espressione di stimolazione estrogenica non bilanciata.
Si ritiene precursore del carcinoma endometriale di tipo sieroso una lesione indicata come carcinoma endometriale intraepiteliale.
La classificazione istologica del carcinoma dellendometrio riflette le ampie possibilità di differenziazione della cellula ghiandolare di derivazione mulleriana:
1. Adenocarcinoma endometriale
a. con differenziazione squamosa
b. secretivo
c. ciliato
2. Adenocarcinoma mucinoso
3. Adenocarcinoma sieroso
4. Adenocarcinoma a cellule chiare
5. Carcinoma squamoso
6. Carcinoma indifferenziato
7. Tumori misti
8. Tumori inclassificabili
In linea generale la prognosi appare correlata più alla cellula dorigine che determina il sottotipo che al grado istologico della neoplasia.
Mentre il carcinoma endometriale con le sue varianti è legato ad un iperestrinismo e compare, in genere, entro i 60 anni, gli altri istotipi si sviluppano in prevalenza da cellule mulleriane pluripotenti in endometri atrofici e prediligono la menopausa avanzata.
Così ladenocarcinoma sieroso - papillifero caratterizzato da un comportamento aggressivo (45% di sopravvivenza a 5 anni negli stadi I e II) e da una tendenza alla recidiva addominale insorge prevalentemente in menopausa avanzata, in assenza di un clima estrogenico ed ha un aspetto istologico che corrisponde a quello degli omonimi carcinomi dellovaio.
Il carcinoma a cellule chiare, piuttosto raro, può combinarsi anche con la forma sierosa a cui lo accomunano anche la tendenza a presentarsi a tarda età ed in uno stadio avanzato, nonché la prognosi sfavorevole.
Vie di diffusione
La via di diffusione preferenziale del carcinoma dellendometrio è quella linfatica, e le probabilità di coinvolgimento linfonodale sono tanto più alte quanto più linfiltrazione del miometrio si approssima alla rete linfatica sottosierosa. Lestensione al perimetrio è considerata malattia extrauterina.
Le vie di drenaggio linfatico dellutero sono essenzialmente tre:
- ai linfonodi paraortici, attraverso il legamento infundibolo-pelvico
- ai linfonodi otturatori, iliaci interni, iliaci esterni e iliaci comuni, attraverso il legamento largo ed i parametri
- ai linfonodi inguinali, attraverso il legamento rotondo.
Di regola le stazioni linfonodali coinvolte sono primariamente quelle pelviche, mentre quelle paraaortiche sono raramente coinvolte come unica manifestazione di diffusione linfonodale.
In circa il 30% delle pazienti con linfonodi pelvici positivi è presente anche un coinvolgimento dei linfonodi paraaortici.
Sintomatologia
Il sintomo principale del carcinoma dellendometrio è usualmente una perdita ematica vaginale atipica in età postmenopausale, mentre molto più raramente decorre in maniera asintomatica.
Il carcinoma dellendometrio dovrebbe essere sospettato nelle donne in postmenopausa che hanno perdite ematiche e nelle donne in età pre- e perimenopausale che hanno anormalità del ciclo mestruale quali un flusso mestruale più abbondante, un ridotto intervallo tra due mestruazioni o perdite ematiche intermestruali. Quindi bisogna considerare sempre con sospetto qualsiasi sanguinamento che compaia al di fuori del periodo mestruale e suggerire sempre accertamenti bioptici.
Diagnosi
Attualmente non esistono metodi di screening efficaci per il carcinoma dellendometrio. Lesecuzione di biopsie di routine nelle donne asintomatiche non ha mostrato vantaggi in termini di costo-beneficio.
La citologia cervico-vaginale secondo Papanicolau non ha alcun ruolo nella diagnosi di carcinoma endometriale. Questo, comunque, può essere sospettato quando si trovano cellule endometriali atipiche nella citologia di donne non gravide in qualsiasi età, e quando cellule endometriali sono rilevate in donne in postmenopausa che non assumono estrogeni.
La citologia endometriale mediante aspirazione, lavaggio o abrasione non trova indicazione nella paziente asintomatica per lo sfavorevole rapporto costo-beneficio e per la scarsa sensibilità e specificità delle metodiche.
La diagnosi di carcinoma endometriale deve essere effettuata istologicamente.
Di fronte ad una paziente asintomatica deve essere eseguito un esame istologico su prelievo bioptico ottenuto mediante il classico raschiamento uterino frazionato.
Attualmente il curettage frazionato con biopsia alla cieca sono progressivamente sostituiti da tecniche meno invasive. Listerectomia costituisce lesame di primo livello nelliter diagnostico del carcinoma endometriale in pazienti sintomatiche potendosi effettuare la biopsia endometriale mirata in base ai reperti dellesame isteroscopico. Inoltre listeroscopia permette la valutazione del canale cervicale e quindi della estensione della neoplasia.
Effettuata la diagnosi di carcinoma endometriale su esame istologico bisogna provvedere allesecuzione di ulteriori accertamenti per valutare la diffusione della malattia e per programmare il piano terapeutico:
- esame clinico con particolare attenzione al coinvolgimento della cervice, della vagina, dei parametri e degli annessi
- listeroscopia, se non effettuata precedentemente, per valutare leventuale coinvolgimento del canale cervicale
- lecografia transvaginale per valutare linfiltrazione miometriale e gli annessi
- RMN: da eseguire solo in casi selezionati, rappresenta lesame più accurato per determinare il grado di invasione del miometrio e per valutare lo staging locale del tumore
- la citoscopia, le rettosigmoidoscopia ed il clisma opaco sono effettuati solo se si sospetta un coinvolgimento della vescica, del colon o del retto.
Stadiazione
La classificazione più seguita è quella della FIGO 1988 (vedi tab. 1) basata sul reperto chirurgico ed istopatologico definitivo che permettono una precisa valutazione dellestensione della neoplasia e dei suoi fattori prognostici. La classificazione TNM distingue lo staging clinico preoperatorio da quello patologico postoperatorio.
Fattori prognostici
1. tipo istologico
2. grado di differenziazione istologica
Stadio IA | G 123 | tumore limitato allendometrio |
Stadio IB | G 123 | invasione di meno della metà dellendometrio |
Stadio IC | G 123 | invasione di più della metà dellendometrio |
Stadio IIA | G 123 | compromissione delle sole ghiandole endocervicali |
Stadio IIB | G 123 | invasione dello stroma cervicale |
Stadio IIIA | G 123 | il tumore invade la sierosa, e/o gli annessi, e/o citologia peritoneale positiva |
Stadio IIIB | G 123 | metastasi vaginali |
Stadio IIIC | G 123 | metastasi ai linfonodi pelvici e/o paraortici |
Stadio IVA | G 123 | invasione tumorale della vescica e/o della mucosa intestinale |
Stadio IVB | metastasi a distanza comprese le metastasi intraaddominali e/o le metastasi nei linfonodi inguinali |
3. profondità di invasione miometriale
4. coinvolgimento cervicale
5. invasione vascolare
6. presenza di iperplasia endometriale atipica associata
7. stato dei recettori per il progesterone
8. ploidia del DNA
9. coinvolgimento degli annessi
10. citologia peritoneale
11. metastasi linfonodali pelviche e para-aortiche.
Terapia
Lintervento chirurgico rappresenta la terapia delezione per tale neoplasia. Infatti esso consente una corretta stadiazione ed individuazione delle pazienti ad alto rischio di recidiva e, di conseguenza, di porre lindicazione alleventuale terapia postchirurgica.
Lintervento di scelta è listerectomia totale con annessiectomia bilaterale per via addominale, colpectomia del terzo superiore della vagina, lavaggio pelvico per esame citologico, la linfoadenectomia pelvica e lomboaortica.
Motivo ancora aperto di discussione è se la linfoadenectomia debba essere effettuata sempre o possa essere omessa in alcuni casi: è riconosciuto il ruolo diagnostico mentre non esistono ancora dati sul ruolo terapeutico della asportazione dei linfonodi positivi.
La linfoadenectomia può essere omessa in caso di malattia G1 - G2 ed infiltrazione miometriale inferiore al 50% (Stadio IA - IB) per la scarsa frequenza di metastasi linfonodali pelviche ed aortiche.
La linfoadenectomia pelvica è ritenuta opportuna in tutte le pazienti con linfonodi palpabili intraoperatoriamente, in caso di neoplasia G3, nei tumori di qualsiasi grado istologico con invasione superiore al 50% del miometrio, quando vi è infiltrazione dello stroma cervicale, nei casi di neoplasia con istotipo diverso dalladenocarcinoma endometrioide.
Listerectomia vaginale trova indicazione preferenziale nelle pazienti obese e/o con gravi patologie concomitanti che controindicano lintervento per via addominale.
Quando vi è una dimostrata infiltrazione dello stroma cervicale lintervento appropriato è listerectomia radicale.
Nelle pazienti con istotipo siero-papillifero è indicato associare lomentectomia infracolica.
La radioterapia transcutanea con brachiterapia è indicata in caso di pazienti inoperabili per gravi patologie concomitanti e nelle pazienti con malattia avanzata per coinvolgimento dei parametri, diffusione alla vescica o al retto.
Terapia adiuvante
La terapia adiuvante più diffusa è la radioterapia esterna sulla pelvi da sola od in combinazione con la radioterapia intracavitaria: la sua efficacia è riconosciuta per il controllo locale della malattia. È ancora oggetto di studio la chemioterapia adiuvante.
È riconosciuta lopportunità di eseguire terapia adiuvante in caso di linfonodi positivi.
I tumori limitati alla sola mucosa endometriale (IA con qualsiasi grading), ed i tumori con infiltrazione miometriale inferiore al 50% (IB grading 1 e 2) non necessitano di terapia adiuvante.
I tumori IBG3 e IC di qualsiasi grading necessitano di terapia adiuvante postchirurgica.
Il trattamento standard è lirradiazione transcutanea di tutta la pelvi con eventuale brachiterapia.
Nello stadio II e III il trattamento adiuvante alla chirurgia è la radioterapia transcutanea pelvica eventualmente associata a brachiterapia.
In caso di metastasi linfonodali paraaortiche sia in caso di positività del washing peritoneale alcuni centri effettuano la radioterapia transcutanea sul campo aortico nel primo caso o irradiano lintero addome nel secondo caso riportando un incremento della sopravvivenza ma con frequenti complicanze ed una mortalità piuttosto elevata. Per tale motivo altri centri limitano la RT al campo pelvico ed affidano alla chemioterapia il controllo della malattia extrapelvica.
Nello stadio IV quando è possibile una citoriduzione la radioterapia viene effettuata dopo il tempo chirurgico mediante irradiazione dellintero addome, od in alternativa mediante irradiazione pelvica transcutanea associata a chemioterapia per il controllo sistemico. Quando non è possibile la citoriduzione, la radioterapia è utilizzata come trattamento esclusivo con irradiazione esterna della pelvi e brachiterapia intracavitaria.
La terapia ormonale non trova indicazione come terapia adiuvante.
La chemioterapia principalmente CAP o associazione platino con antracicline, è utilizzata principalmente negli istotipi speciali come terapia adiuvante.
Terapia delle recidive
È possibile effettuare una terapia curativa solo nelle pazienti con recidive locali.
La terapia di una recidiva varia in base alla terapia precedentemente eseguita ed alla sede della recidiva.
Il trattamento delle pazienti con recidiva pelvica centrale dopo intervento chirurgico primario è la radioterapia esterna con brachiterapia; un secondo intervento chirurgico è raramente indicato.
Le pazienti con recidiva pelvica centrale dopo intervento chirurgico e radioterapia devono effettuare una chemioterapia adiuvante.
Il trattamento di elezione delle recidive a distanza è la chemioterapia.
FOLLOW-UP
Il follow-up delle pazienti permette di individuare precocemente la comparsa delle recidive, e delle complicanze tardive.
La prognosi di tali pazienti è, infatti, anche legata alla precocità con la quale viene diagnosticata una recidiva.
I controlli periodici comprendono lesame clinico generale e la visita ginecologica vagino-rettale, il Pap-test, gli esami di laboratorio di routine.
Altri esami vanno eseguiti quando richiesti dalla situazione clinica.
È consigliabile una scadenza di quattro mesi per i primi due anni dallintervento, e di sei mesi fino al quinto anno.
Rappresentano l80-90% delle forme maligne. Lincidenza e la mortalità sono in aumento nelle civiltà industrializzate, sebbene il Giappone presenti lincidenza minore. In Italia la mortalità si aggira sui 3000 casi per anno (vedi progetto finalizzato del Consiglio Nazionale Ricerche) con unincidenza di circa 15 casi per 100000 donne dai 35 ai 65 anni.
Epidemiologia
Gli studi epidemiologici sono piuttosto recenti, tuttavia, hanno permesso di individuare alcuni gruppi di popolazione a rischio maggiore:
- donne con parenti di I° grado affette da tumore dellovaio, tumore della mammella e tumore del colon
- mullipare
- donne sottoposte a tecniche di fecondazione assistita con stimolazione dellovulazione.
Non sono stati individuati fattori protettivi sullo sviluppo di un tumore epiteliale ovarico, tuttavia è rilievo epidemiologico comune una diminuzione dellincidenza in donne che usino contraccettivi orali estro-progestinici per lunghi periodi.
Screening
Lipotesi di uno screening di massa in ampi gruppi di popolazione apparentemente sana è frustrato dai seguenti motivi:
1) il costo economico (unanalisi approssimativa dei costi di un singolo screening comprende: visita medica, ecografia addominale e i costi di organizzazione e, riservando ai soli casi sospetti unulteriore ecografia transvaginale e il CA 125), si aggira sulle 50.000 per donna esaminata pari a lire 5.000.000.000 x 100.000 donne.
2) ripetitività data la maggiore incidenza delle neoplasie ovariche nel gruppo 35/65 anni e la rapidità dinsorgenza di tale neoplasia, lo screening andrebbe ripetuto con una relativa frequenza per determinare una reale diminuzione della mortalità.
Per i motivi suddetti non vi è unindirizzo verso gli screening di massa, mentre vi sono iniziative dindagine in sottogruppi di donne considerate a rischio epidemiologico maggiore e, quindi, numericamente limitati.
Procedure e aspetti considerati:
- diagnosi
- stadiazione clinica
- diagnosi istopatologica
- terapia chirurgica delle forme circoscritte
- terapia chirurgica delle forme avanzate (citoriduzione primaria)
- chemioterapia
- seconda chirurgia o second look
- terapia chirurgica conservativa
- follow-up
Diagnosi
Abitualmente tardiva poiché il I° stadio (con prognosi di guaribilità che si aggira su 85-95%) rappresenta circa il 20% nelle casistiche più vaste.
Negli stadi successivi i sintomi che inducono ad unapprofondimento diagnostico sono legati alla diffusione della neoplasia più che alla neoplasia primaria e, pertanto, determinano una rapida caduta della sopravvivenza. Questo aspetto pone le neoplasie dellovaio fra le forme a prognosi più infausta fra tutte le neoplasie sia femminili che maschili.
Il frequente ricorso alla ecografia, (meglio ancora alleco-doppler e alla ricerca dei markers tumorali (in particolare il CA 125) hanno migliorato la diagnosi precoce che tuttavia, come già detto, incide per circa il 20% dei casi.
Per convenzione comune si considerano sospette e quindi da indagare le masse ovariche con Ø superiore a 5 cm. individuate nel corso di una corretta visita ginecologica. Il Ø convenzionale di 5 cm. ha maggior valore nelle Pazienti già in menopausa in cui non vi è interferenza diagnostica di forme funzionali. Ladozione di metodiche invasive (agoaspirato per esame citologico, laparoscopia) può essere giustificato nellambito di uno screening su gruppi di donne esposte ad un rischio epidemiologico maggiore.
Stadiazione clinica
Per le neoplasie dellovaio la suddivisione in stadi clinici FIGO è generalmente preferita alla stadiazione TNM.
Diagnosi istopatologica
Lesame istologico estemporaneo deve essere considerato obbligatorio ed abituale nel corso dellintervento chirurgico poiché esso determina lampliamento o la riduzione della chirurgia stessa e non è ammissibile lapproccio chirurgico ad una patologia ovarica in assenza di tale possibilità.
Terapia chirurgica delle forme circoscritte (Stadio I-II)
In realtà per le neoplasie epiteliali dellovaio la corretta stadiazione è solo chirurgica. Per le forme iniziali, la stadiazione si integra con la terapia stessa e comprende al momento dellintervento le seguenti tappe chirurgiche:
- aspirazione del liquido libero in cavità, lavaggio peritoneale per esame citologico
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- Ovarossipingectomia bilaterale ed isterectomia totale (solo nei casi sicuramente localizzati ad un solo ovaio in donna giovane, desiderosa di figli, senza altre lesioni addominali si potrà considerare chirurgia conservativa)
- Exeresi dei peduncoli ovarici allorigine
- Omantectomia infracolica (in caso di positività macroscopica anche omantectomia gastrocolica)
- Appendicectomia (solo se otticamente interessata)
- Linfoadenectomia retroperitoneale (vedi paragrafo interessamento linfonodale)
- Biopsia di ogni area otticamente sospetta
- Biopsia a randon - in assenza di localizzazioni macroscopiche - nelle sedi aderenziali, plica vescico-uterina, docce paracoliche, douglas, diaframma dove più frequentemente si scoprono localizzazioni microscopiche.
La via di diffusione linfatica è stata maggiormente indagata negli ultimi 20 anni. Lincidenza delle metastasi linfonodali varia con lo stadio clinico di malattia e con listologia del tumore. Considerando le casistiche più vaste lincidenza delle metastasi linfatiche è del 12-20% per lo stadio II, del 48-61% per lo stadio III e 67-100% per lo stadio IV.
Linteressamento linfonodale è maggiore nellistotipo sieroso e minore nellistotipo mucinoso.
Sulla base di questi dati lasportazione di linfonodi retroperitoneali è considerata necessaria negli stadi iniziali (stadio I e II) mentre diminuisce il suo valore terapeutico nelle forme più avanzate, quando la malattia interessi estesamente gli organi endo-peritoneali.
Terapia chirurgica delle forme avanzate citoriduzione primaria (Stadi III - IV)
In queste situazioni lindicazione terapeutica riflette due indirizzi di base determinati dalla obbligatoria integrazione terapeutica fra chirurgia e chemioterapia:
1) chirurgia iniziale finalizzata alla più ampia asportazione delle sedi neoplastiche con lo scopo di ridurre drasticamente la popolazione cellulare neoplastica rendendo più efficace la successiva chemioterapia concentrata su una minore quantità di malattia
2) chemioterapia iniziale finalizzata alla distruzione della cellularità neoplastica allo scopo di facilitare la successiva chirurgia.
Ambedue questi indirizzi sono soggetti a continue revisioni determinate dallorientamento delle singole Scuole. È ovvio che nel privilegiare luno o laltro indirizzo giochino in modo determinante laffinamento chirurgico e le combinazioni chemioterapiche in continua evoluzione.
In particolare per quanto riguarda il punto 1 non è possibile codificare la variabilità delle procedure chirurgiche che possono spaziare ad una resezione intestinale e più impegnative resezioni diafframmatiche, asportazioni di metastasi epatiche paranchimali, splenectomia ecc. Tali procedure comportano, comunque, unalto rischio di complicazioni la cui insorgenza non può essere del tutto eliminata se non a costo della rinuncia ad una terapia chirurgica proficua.
Per quanto riguarda il punto 2 la chemioterapia deve essere erogata con le dosi massime tollerabili, e quindi non priva di tossicità: in caso contrario difficilmente essa raggiungerà lo scopo di rendere più agevole la successiva chirurgia che rappresenta, comunque, lobiettivo finale di tale indirizzo.
La sopravvivenza libera da malattia a 5 anni, negli stadi III e IV non supera, nelle migliori casistiche, il 30% a 5 anni.
Chemioterapia
È determinante nel trattamento nelle forme avanzate, sia in associazione alla chirurgia, sia come terapia unica nelle forme del tutto inoperabili.
La maggior parte dei farmaci antiblastici sono stati sperimentati nelle neoplasie dellovaio, tuttavia allo stato attuale vi è generale consenso sulluso dei farmaci contenenti platino (cis-platino e carbo-platino) usati singolarmente o in associazione a ciclofosfamide e più recentemente ai taxani. Altri farmaci come la gemcitabina, topotecan, irinotecan hanno dimostrato una loro attività, in particolare quando associati a composti contenenti platino, tuttavia non sono ancora disponibili dati su ampie casistiche.
Gli schemi di mono e polichemioterapia sono innumerevoli e non analizzabili nellambito di Linee-guida poiché i dati comparativi, su farmaci maggiormente in uso, non rivelano differenze di sopravvivenza tali da suggerire scelte prioritarie.
Seconda chirurgia e second look
Sta ad indicare un secondo tentativo chirurgico con due diverse finalità:
1) secondo atto chirurgico dopo chirurgia primaria e chemioterapia già programmato al momento della diagnosi iniziale di forme avanzate, ha come scopo leradicazione di aree neoplastiche che non siano state asportabili alla prima chirurgia. Nella seconda chirurgia vi sono le stesse convinzioni e le stesse obiezioni che si incontrano per la chirurgia primaria delle forme avanzate, ed i suggerimenti sulle procedure chirurgiche sono gli stessi, ricordando che quando vi sia stata cospiqua riduzione della diffusione neoplastica è necessario il massimo impegno per lasportazione delle sedi ancora interessate - sia endoperitoneali che retroperitoneali - poiché tale tempo costituisce spesso lultima possibilità di una terapia realmente proficua in termini di sopravvivenza a lungo termine. Tale tempo chirurgico può comportare gli stessi rischi e le stesse complicazioni per quanto già detto nel capoverso Terapia chirurgica delle forme avanzate.
2) per confermare la sicura scomparsa di malattia - e quindi interrompere il trattamento - nelle forme inizialmente avanzate e già trattate con chirurgia primaria e chemioterapia. Essa ha ancora unindicazione quando non sia possibile supplirla con unattendibile laparoscopia ed è spesso indicata in alcuni protocolli di terapia randomizzati e gestiti da grosse Unità operative.
Terapia conservativa
Può essere considerata nei casi che risultino istologicamente allesame estemporaneo tumori a bassa malignità potenziale o borderline o invasivi stadio I in donne giovani e/o desiderose di prole e solo dopo specifico consenso informato, poiché le recidive nei successivi 10 anni sono del 15-30%.
Lesame istologico estemporaneo non sempre può dare la certezza sulla profondità di invasione, potendosi avere un peggioramento diagnostico allesame definitivo, e quindi la rivalutazione del caso anche in senso di ulteriore chirurgia demolitiva.
La proposta e laccettazione di terapia chirurgica conservativa da parte della Paziente - edotta sui rischi che essa comporta - non è ottenibile durante lintervento, in anestesia generale e, pertanto, va prevista prima dellintervento stesso.
Si tratta frequentemente di forme iniziali (stadio I-II). La decisione per una terapia conservativa (exeresi delle cisti uni o bilaterali con conservazione dellovaio, o ovariectomia unilaterale) deve essere formulata considerando tre fattori:
- studio clinico della neoplasia (suggerendo di limitare lindicazione agli stadi Ia - b - c, e nei rari casi in cui si abbia come unica diffusione linteressamento linfonodale)
- la presenza di impianti non invasivi più frequentemente localizzati al peritoneo viscero-parietale, Douglas, omento, sierosa uterina e salfingea
- liquido lavaggio positivo per cellule neoplastiche.
Una stadiazione completa è obbligatoria pur preservando gli organi riproduttivi.
La opportunità o meno delle successive chemioterapie sarà determinata dallo stadio di diffusione, evitando uso di antiblastici su cui vi sia dubbio di effetto teratogeno o di danno gonadico.
Follow-up
Nessun suggerimento sul follow-up che, sia per la frequenza che per le modalità, è condizionato dallultima valutazione dello stato di malattia.
Il controllo del marker CA 125 (per i casi che esprimono tale marcatore) e della ecografia addomino-pelvica, sono le metodiche più facilmente ripetibili, riservando la TAC, la RM ai casi che pongano quesiti particolari.
La laparoscopia, che peraltro non è procedura ripetibile con frequenza, come già detto, può essere utile nelle forme in remissione clinica, ricordando tuttavia che tale procedura ha un margine del 20-30% di falsi negativi per la presenza di aderenze che ne limitano lattendibilità.
Il cancro ovarico costituisce uno dei maggiori impegni terapeutici in campo ginecologico e richiede spesso trattamenti complessi e intensi. Inoltre si deve tener presente che è praticamente impossibile impostare per questa malattia un programma di screening di massa per gli scarsi risultati in termini di prevenzione, per cui viene condotta solo su popolazioni di donne che presentano un alto rischio per questo cancro.
La maggior parte (80%) dei tumori ovarici sono di tipo epiteliale. Per lo più sono asintomatici fino a quanto non producono un elevato grado di metastatizzazione. La conseguenza è che queste pazienti giungono allosservazione medica quasi sempre (in più dei due terzi dei casi) in uno stato avanzato della malattia.
Lincidenza del Ca Ovarico è di circa 15 casi ogni centomila donne con un picco intorno ai 62 anni. Più dell80% dei casi avviene in donne in postmenopausa, mentre è poco frequente al di sotto dei 45 anni. La mortalità in Italia è intorno ai 3.000 decessi per anno.
Fattori di rischio
Circa il 5% delle neoplasie ovariche riconosce la familiarità quale fattore di rischio principale. Le principali sindromi genetiche individuate sono:
1. Situ-Specific Familial Ovarian Cancer - anche se in questi casi è stato evidenziato un generico maggior rischio di sviluppare un Ca dellovaio, tuttavia è difficile precisare lentità di questo rischio perché dipende da vari fattori legati alla storia genetica della paziente. Ad esempio, in famiglie con 2 casi di Ca Ovarico documentato in parenti di primo grado (ad esempio madre e sorella) il rischio di ammalarsi di questa malattia è molto alto (50%)
2. Brest/Ovarian Familial Cancer Syndrome - donne con tale sindrome tendono ad avere questi tumori in giovane età e il cancro mammario può essere bilaterale. In queste pazienti il rischio di ammalarsi di Ca Ovarico può essere 2-3 volte maggiore che nella popolazione normale. Recentemente un gene localizzato sul cromosoma 17q (BRCA1 gene) è stato associato a questa sindrome
3. Lince II Syndrome - include il carcinoma del colon non associato a poliposi, carcinoma endometriale, mammario ed ovarico. Le donne che presentano questa sindrome hanno un rischio di ammalarsi di Ca Ovarico 3 volte maggiore della popolazione normale.
Altri fattori di rischio sono: la nulliparità o la scarsa parità e linfertilità. Sulla base di osservazione indirette è stato ipotizzato che luso di gonadotropine per stimolare lovulazione possa essere correlato ad unaumentata incidenza di neoplasie ovariche. Allo stato attuale non esistono però dati che permettono di convalidare tale ipotesi.
La somministrazione della pillola estroprogestinica, invece, svolge unazione protettiva, riducendo il rischio di ammalarsi di Ca Ovarico.
Screening
Ancor oggi non è stato sviluppato un valido metodo di screening di massa per evidenziare precocemente il Ca Ovarico. La maggior parte delle pazienti, infatti, giunge allosservazione medica con uno stadio avanzato della malattia: solo nel 30% dei casi la malattia è ancora confinata allovaio al momento della diagnosi.
Unattenta visita ginecologica-pelvica rimane a tuttoggi il miglior metodo di screening per il Ca Ovarico: qualunque massa pelvica o tumefazione ovarica evidenziata in età prepubere o postmenopausale si associa ad un elevato rischio di neoplasia maligna.
La ecografia è senzaltro utile nellevidenziare e localizzare le masse pelviche, non è in grado però di distinguere con accettabile accuratezza le forme maligne da quelle benigne. A questo si deve aggiungere che il ruolo di questo esame in un eventuale screening di massa è quanto meno controverso soprattutto per problemi di costo-benefici. In questambito va precisato che:
a) lecografia transaddominale ha dato risultati incoraggianti, anche se ha esibito una limitata specificità
b) lecografia transvaginale ha mostrato unalta sensibilità (> 95%) soprattutto nella diagnosi di Ca Ovarico iniziale
c) leco-doppler transvaginale si è dimostrato un utile aiuto allecografia tradizionale.
Il CA 125 può contribuire alla diagnosi precoce del Ca Ovarico. Per quanto riguarda la sensibilità del test, il CA 125 può evidenziare il 50% delle pazienti con Stadio I della malattia. I dati della letteratura mostrano che la specificità del CA 125 migliora se associato allecografia transvaginale o se i livelli di CA 125 sono seguiti nel tempo.
Va sottolineato che i test CA 125 ed ecografia anche se sono molto validi per evidenziare e seguire nel tempo il Ca ovarico, non mostrano però unelevata specificità e sensibilità, per cui non assumono un ruolo importante in uno screening di massa, soprattutto se valutati alla luce del parametro costo-benefici.
Screening in donne che hanno una storia di familiarità per Ca Ovarico (pazienti in cui è stata ampiamente documentata leredità per Ca Ovarica e rientri in una delle sindromi descritte sopra) deve essere estremamente attento per lalto rischio che questa popolazione ha di ammalarsi. In questi casi il piano di prevenzione deve essere personalizzato tenendo conto delletà della paziente, del suo programma riproduttivo e dellentità del rischio. In particolare è stato raccomandato di eseguire in queste pazienti uno stretto controllo con esami ecografici (transaddominale e transvaginale) e CA 125.
Il Committee on Gynecologic Practice of American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG Committee Opinion 117, 1992) ha precisato che nelle donne in cui è stata ampiamente documentata la familiarità per Ca Ovarico e/o rientrano in una delle sindromi genetiche descritte sopra lo screening deve essere impostato nel modo seguente:
1. donne che vogliono preservare la loro capacità riproduttiva - dovrebbero sottoporsi a controllo ecografico transvaginale ogni 6 mesi e ad annessectomia profilattica una volta completato il programma riproduttivo
2. donne che non desiderano mantenere la loro fertilità - dovrebbero sottoporsi ad annessectomia profilattica dopo unattenta valutazione del loro pedigree genetico
3. donne con una documentata Lynch II Syndrome - dovrebbero essere trattate come le pazienti dei gruppi precedenti e, in più, essere sottoposte periodicamente a screening mammografico, colonscopico e ad isteroscopia con eventuale biopsia endometriale.
Valutazione della paziente con massa pelvica
La presenza di una massa pelvica in postmenopausa costituisce un elevato rischio di neoplasia maligna. In età fertile invece le tumefazioni pelviche sono rappresentate prevalentemente da patologia benigna. La conseguenza è che latteggiamento medico sarà diverso a secondo delletà della paziente:
A. Paziente in premenopausa - in questo caso liter diagnostico deve comprendere la visita ginecologica che deve valutare con attenzione che la tumefazione pelvica non sia sospetta (mobile, di consistenza non dura, unilaterale, a superficie regolare). A questa deve seguire lindagine ecografica transaddominale e transvaginale allo scopo di valutare la natura cistica, i contorni regolari, le dimensioni e lassenza deventuali sepimenti o parti solide allinterno della massa, di vegetazioni endo o extracapsulari.
Le dimensioni della massa sono importanti. Se la lesione è inferiore a 8 cm di diametro, il CA 125 normale e tutti gli altri parametri concordano per una formazione benigna, allora è giustificato un atteggiamento dattesa, che preveda la ripetizione del controllo clinico ed ecografico dopo 60-90 gg. In questo periodo si deve somministrare una terapia di soppressione ormonale con estroprogestinici. Se la lesione non è neoplastica dovrebbe regredire. Se non regredisce o addirittura aumenta di volume, è necessario intervenire chirurgicamente.
Se la cisti ha un diametro superiore a 8 cm è buona norma sottoporre la paziente a trattamento chirurgico dasportazione della massa perché esiste il rischio che la lesione sia neoplastica.
B. Paziente in postmenopausa - anche in questo caso la paziente deve essere sottoposta alliter diagnostico che comprende: anamnesi, visita ginecologica, ecografia transaddominale e transvaginale e dosaggio sierico del CA 125. Se questi esami confermano la presenza di una massa pelvica, vi è allora lindicazione per il trattamento chirurgico, a meno che non si tratti di cisti asintomatiche, uniloculari, senza vegetazioni endo ed extracapsulari, con diametro inferiore ai 5 cm e con CA 125 nella norma. Queste ultime possono essere tenute sotto controllo ecografico per un lungo periodo.
C. Paziente in età prepubere - liter diagnostico è identico per le altri classi detà. Se viene confermata la massa pelvica, si deve effettuare il dosaggio sierico, oltre che del CA 125, anche dellalfa.fetoproteina e della beta-HCG. In età prepubere qualsiasi massa annessiale documentata richiede una valutazione chirurgica.
Data la frequenza delle neoplasie intraepiteliali (VIN = Vulvar intraepithelial neoplasia) è opportuno richiamare brevemente lattenzione su tale patologia sebbene questo capitolo debba considerare solo il carcinoma invasivo.
Le lesione di VIN I e VIN II non comportano problemi oncologici mentre il VIN III carcinoma in situ è considerato nella patologia neoplastica.
Epidemiologia
Il carcinoma della vulva è rappresentato in circa il 90% dei casi da forme istologiche squamocellulari. Nella maggioranza dei casi insorge dopo la menopausa sebbene negli ultimi 20 anni sia stato registrato unabbassamento delletà a rischio, in particolare per le forme in situ che precedono di circa 10 anni le forme francamente invasive con età media 44 anni. Lassociazione con infezione HPV è frequente nelle forme in situ o inizialmente invasive. Fra le cause predisponenti: stati di immunodepressione (congenita, acquisita o jatrogena come in trapianti dorgano), lesioni cutanee vulvari cronicizzate, variazioni ormonali della menopausa.
Screening
Lunico screening delle forme neoplastiche vulvari è lattenta e corretta osservazione della vulva e del perineo durante la normale routinaria visita ginecologica con unapprofondimento bioptico su lesioni sospette.
Procedure e aspetti considerati
- diagnosi
- stadiazione clinica
- terapia delle forme iniziali
- terapia delle forme avanzate
- chemioradioterapia
- chirurgia ricostruttiva
- follow-up.
Diagnosi
Solo e obbligatoriamente istologica mediante biopsia o exeresi circoscritta, in alcuni casi la citologia da scraping o da apposizione, quando positiva, può essere sufficiente allorientamento terapeutico.
Stadiazione clinica
Il sistema TNM permette unaccurata stadiazione clinica ed è attualmente il più seguito. In questo sistema T sta per tumore primitivo, N per linfonodi locoregionali, M per metastasi a distanza (vedi tabella).
Terapia
Nelle forme di carcinoma vulvare la terapia elettiva è quella chirurgica. Solo nelle forme localmente avanzate o quando non vi sia la possibilità di unasportazione con margini di resezione in tessuto sano la chemioradioterapia pre-chirurgica ha una convincente indicazione.
Terapia delle forme iniziali (T i s - VIN III - N O - M O)
Exeresi chirurgica, laser, DTC (lampiezza dellexeresi deve essere contenuta e non è giustificata unexeresi troppo ampia o esteticamente deturpante. È tuttavia necessario che i margini di resezione siano in tessuto sano.
T.N.M. | Definizione |
T is | Ca in situ - VIN III |
T 1 a | Tumore di Ø 2 cm. confinato a vulva e/o perineo: con invasione stromale non superiore a 1 mm |
T 1 b | Tumore di Ø 2 cm confinato a vulva e/o perineo: con invasione stromale superiore a 1 mm |
T 2 | Tumore di Ø > 2 cm. confinato a vulva e/o perineo |
T 3 | Tumore di qualsiasi Ø con: interessamento del 1/3 distale, delluretra e/o vagina e/o ano |
T 4 | Tumore di qualsiasi Ø che invade il 1/3 prossimale delluretra e/o la mucosa vescicale e/o la mucosa rettale o fisso alla parete ossea |
N 0 | Assenza di metastasi linfonodali loco-regionali |
N 1 | Metastasi linfonodali loco-regionali unilaterali |
N 2 | Metastasi linfonodali loco-regionali bilaterali |
M 0 | Assenza di metastasi a distanza |
M 1 | Metastasi a distanza comprese le metastasi linfonodali pelviche |
Nei casi associati ad HPV è giustificata uniniziale terapia medica con chemioterapici locali o interferone.
(T 1 b - T 2): emivulvectomia nelle localizzazioni unilaterali risparmiando, quando possibile, lasportazione dellarea clitoridea e vulvectomia totale nei casi di bilateralità e di localizzazioni nelle aree centrali.
Lindicazione alla linfoadenectomia inguinale è legata alla profondità dinvasione poiché linteressamento linfonodale varia dal 6,5% quando la profondità non superi i 2 mm, al 25% quando la profondità raggiunga i 5 mm (vedi tabella riassuntiva).
Depht of invasion | Number | Positive nodes | Percentage |
<=1 mm | 120 | 0 | 0 |
1.1-2 mm | 121 | 8 | 6.6 |
2.1-3 mm | 97 | 8 | 8.2 |
3.1-4 mm | 50 | 11 | 22.0 |
4.1-5 mm | 40 | 10 | 25.0 |
> 5 mm | 32 | 12 | 37.5 |
Total | 460 | 49 | 10.7 |
From: Hacker et al. (1984), Hoffman et al. (1983), Kneale et al. (1981), Magrina et al. (1979), Parker et al. (1975), Wilkinson et al. (1982) |
(T 1 b - T 2 - N1-2 - M1)
Quando linvasione superi i 2 mm, la linfoadenectomia inguinale (ipsilaterale o bilaterale a secondo della sede del tumore) è obbligatoria. Più recentemente si è dato valore allidentificazione del cosiddetto linfonodo sentinella la cui negatività potrebbe evitare la linfoadenectomia inguinale radicale, tuttavia i dati sullargomento non sono concordi e pertanto nelle Linee-guida è opportuno raccomandare la linfoadenectomia inguinale superficiale e profonda. Va ricordato che quando si verifichino metastasi nei linfonodi inguinali non asportati al primo intervento la percentuale di mortalità per neoplasia è del 89%.
Reference | Recurrence | Death from disease |
Rutledge et al. (1970) | 4 | 3 |
Magrina et al. (1979) | 4 | 3 |
Hoffman et al. (1983) | 4 | 4 |
Hacker et al. (1984) | 3 | 3 |
Monaghan and Hammond (1984) | 4 | 4 |
Total | 19 | 17 (89%) |
Lincisione cutanea per la linfoadenectomia inguinale può essere in continuità con lincisione vulvare (secondo Way) o con incisione inguinale differita uni o bilaterale che sembrerebbe avere minori problemi di deiscenza.
Per quanto riguarda lestensione della linfoadenectomia al distretto pelvico (linfonodi iliaci esterni, iliaci comuni che possono risultare positivi solo quando siano interessati i linfonodi inguinali) la sua validità in termini di sopravvivenza non è da tutti condivisa. Solo in alcune istituzioni con grandi casistiche, è registrata una sopravvivenza a 5 anni in circa il 20% delle Pazienti con linfonodi pelvici positivi (vedi tabella).
Reference | N- | N+ | Unilateral groin N+ | Bilateral groin N+ | Pelvic N+ |
Collins et al. 1971 | 20.0 | ||||
Morley 1976 | 87.0 | 37.5 | 55.9 | 18.8 | 16.5 |
Homessley et al. 1988 | 23.0 | ||||
Green 1978 | 87.0 | 33.0 | 21.0 | 12.5 | |
Iversan et al. 1980 | 85.8 | 52.2 | |||
Curry et al. 1980 | 73.0 | 38.0 | 57.0 | 23.0 | 22.0 |
Hacker et al. 1983 | 85.0 | 60.0 | |||
Monaghan and Hammond 1984 | 87.0 | 24.0 | |||
Cavanagh et al. 1986 | 80.0 | 38.0 | 20.0 | ||
Mafetano et al. 1986 | 80.2 | 70.8 | |||
Shimm et al. 1986 | 69.0 | 48.0 | 0.0 | ||
Bockhman et al. 1989 | 86.0 | 61.6 | |||
INT series | 70.0 | 37.0 | 45.5 | 29.5 | 22.5 |
Radioterapia post-operatoria
Quando i linfonodi inguinali o pelvici asportati risultino positivi è abitualmente indicata la radioterapia post-operatoria quando essa non sia già stata erogata in fase pre-chirurgica. Le dosi sul campo inguinale o inguino-pelvico variano da 4.000 a 5.000 cGy (con dose giornaliera di 150-180 cGy).
Terapia delle forme avanzate (T3 - T4)
In questi casi con estensione del tumore primitivo alluretra, alla vagina e allano e nei casi T4 in cui il tumore interessi luretra prossimale, la vescica e/o il retto, con lintento di evitare ampie demolizioni (in alcuni casi exenteratio anteriore e/o posteriore), lindirizzo terapeutico più seguito attualmente è quello di una chemio-radioterapia pre-operatoria.
Chemio-radioterapia
La chemio-radioterapia pre-operatoria riduce in circa il 60% dei casi lestensione del tumore primitivo e in percentuale minore linteressamento linfonodale e, permette nei casi responsivi, di ridurre la demolizione chirurgica limitando in particolare lindicazione allexenteratio. I dati riportati in letteratura dimostrano una buona risposta immediata alla chemio-radioterapia con diversi schemi e dosaggi (Mitomicina -5, F U, Platino derivati) in particolare se associata a radioterapia alle dosi di 3500-5000 cGy (su campo perineale e/o inguinale), mentre i risultati a distanza (qualora si sia proceduto a successiva chirurgia demolitiva), non sembrano confermare limpressione iniziale. Nelle forme più avanzate in cui vi sia lipotesi di exenteratio è opportuna la chemio-radioterapia pre-operatoria, poiché essa non preclude la successiva terapia chirurgica con il vantaggio di ridurne, talvolta, lestensione e forse migliorare la sopravvivenza.
Chirurgia ricostruttiva
Negli ultimi 20 anni è sempre più considerata nei casi di demolizione radicale della vulva: non ha importanza terapeutica ma riveste grande importanza psicologica e funzionale. Le molteplici tecniche di ricostruzione non sono abitualmente competenza del solo ginecologo ma da una collaborazione con il chirurgo plastico.
Follow-up
Nei casi con apparente controllo locale il follow-up è comune a tutte le neoplasie maligne: controllo clinico frequente (3-4 mesi) esami strumentali solo se indicati da una sintomatologia particolare, poiché la recidiva del carcinoma vulvare è nella maggioranza dei casi locale. Esami più impegnativi e molto costosi quali TAC, RM, scintigrafie anche se possono permettere una diagnosi più precoce, non migliorano le possibilità terapeutiche sulle recidive, che nella maggioranza dei casi sono locali e quindi diagnosticabili allesame clinico.
Considerazioni riassuntive
Considerando le direttive dellAmerican College of Obstetricians and Gynecologists del novembre 1993 la scelta terapeutica deve considerare i seguenti punti:
1) terapia conservativa, quando possibile, per lesioni uniche e circoscritte
2) linfoadenectomia inguinale non obbligatoria nei casi T 1 NO - MO con invasione inferiore a 1 mm
3) linfoadenectomia inguinale contro-laterale non necessaria nel T 1 e T 2 con linfonodi ipsilaterali negativi
4) linfoadenectomia pelvica non routinaria ma suggerita nei casi con linfonodi inguinali positivi
5) incisioni separate per la dissezione inguinale (lincisione butterfly ha un 50% di deiscenza)
6) chemio-radioterapia pre-operatoria per ridurre lindicazione allexenteratio
7) radioterapia post-operatoria inguinale quando i linfonodi siano positivi e non trattati con precedente radioterapia
8) chirurgia ricostruttiva quando possibile.
Bibliografie consigliate
Malignancies of the vulva Ed. Thieme Verlag 1991
La Clinica Ostetrica e Ginecologica - Masson 1996