I simboli di genova prima del G8

Ecco mi piace vederli questi simboli in due giorni di studio e proteste. Due giorni che le donne si sono date per dire NO Agli 8 paesi più progrediti, più armati, più tecnologizzati, più modernizzati, più globalizzati. Per dire NO, NO, NO

NO alla fame che essi provocano con il loro mercato e commercio unico

 

                                                                                                                                    NO alla morte che essi provocano con armi e sistemi distruttivi

 

 

 

 

NO alle malattie che essi causano con i farmaci distribuiti a costi altissimi

 ad esclusivo benessere di chi può pagare  

 

 

NO alla carestia, povertà ed alla distruzione dell'ambiente che le loro industrie, le loro agricolture, i loro  laboratori causano inquinando, manipolando clonando     

 

 

 

Allora in questi due giorni sono andato un po' in giro a caccia di immagini con quel poco di "occhio fotografico" che dispongo intenzionato a vedere oltre il vedibile.  

   

                                         

Le immagini sono tutte prese intorno  e dentro Palazzo S. Giorgio, sede e meta dell'incontro. 

                Già alla stazione di Genova Brignole la città ci accoglie con il rumore di grande cantiere a cielo aperto. Dovunque sono stato e andato è così: ponteggi, pavimenti stradali in rifacimento, marciapiedi ridotti dall'invadenza di lunghi ponteggi che obbliga i pedoni a strani percorsi di galleria, piazze disselciate con alti cumuli di sabbia che farebbero la gioia dei bambini... al mare. E poi percorsi obbligati, improvvisi sbarramenti e reti metalliche oltre le quali operai e macchine di cantieri lavorano ottuse ed alacri fissi e tesi alla meta: la consegna della città trasformata per il fatidico incontro degli 8 padroni del pianeta.

La prima creatura che mi colpisce non è il mare che non degno neanche di una occhiata, ma questo albero disgraziato, ricolmo di attenzioni passate. Un piccolo muricciolo sembra l'unica sua difesa dall'invadenza dei mezzi armati e degli operai operosi. Un coraggioso  albero proprio dietro il Palazzo da dove è cominciata la prima globalizzazione della storia moderna dell'Occidente

 

                                                                                 

                                                    Al capolinea di Caricamento la polena di Polanski controlla il frenetico lavorio, ma non guarda il mare in vista della nuova Hollywood: cerca uno sbarco tranquillo per le nuove strategie alimentari, militari ed energetiche.

In qualche corridoio del Magazzino del Cotone, in un angolino che non guarda niente, tra una bocchetta antincendio ed una fontanina, una lapide ricorda la vita di chi credeva nel lavoro come forma di sostentamento e non come mezzo     di sfruttamento e sopraffazione per arricchire banchieri e mercanti. 

 

                                                                            E c'è una sorta di ironia in questa laconica spiegazione che chiude i cartelli dei cantieri e non lascia spazi a dubbi o ad altre considerazioni. 

 Guardatevi però dal pensare che "lavorare per il G8 " sia cosa piacevole e meritoria.La spiegazione dei cartelli, nella sua laconicità, sembra far  intendere che sia cosa semplicemente necessaria e sicuramente come diceva il grande Govi "avrà avuto la sua convenienza".  
Quanto è costato alla P.A. rifare il trucco  alla Superba?  Anche queste spese necessarie e doverose sembrano essere accluse alla voce "Globalizzazione" e sembrano essere tante.

Mi aggiro tra i cantieri costretto a percorsi obbligati e pensando a visioni  raccontate da Rita Corneli o da Luisa Morgantini e dall'iniziativa "Io Donna vado in Palestina", mi sorprendo a paragonare una rete metallica che recinge ed esclude un cantiere e un campogiochi per bambini proprio con Gerusalemme ed al suo grande ghetto, dentro il quale è costretto uno dei più alfabetizzati e colti popoli  della terra.

                        Non importa se nel frattempo, da un anno buono oramai, la città è coperta da un perenne strato di polvere bianca; dal rumore, talvolta assordante,  che la notte si amplifica e galleggia in una atmosfera surreale e strana di una città stanca e sfiancata che attende.

 Genova la sapiente, colta,emancipata attende. Attende anche la Genova operaia che di andare a destra proprio non le va, malgrado si faccia di tutto, da parte dei vari partiti Di Sinistra, per convincerla a farlo. Perché, per esempio, è stato sacrosanto chiudere Cornegliano, ma con quale criterio di priorità dal momento che ci sono luoghi di lavoro molto più inquinati e pericolosi e soprattutto: dove andranno a lavorare gli operai dell'ultimo esponente del capitalismo medievale ?

                In queste foto non c'è il pranzo frugale alla pizzeria del Mercatino Equo e Solidale accanto all'Acquario. L'idea di un Mercato alternativo al sistema è allettante e con grandi sforzi potrebbe forse essere praticabile: Mi ricorda un po' i mercatini rossi degli anni '70. Il problema è sfuggire alla morsa del mercato globale e non entrare nella logica della "libera concorrenza", bensì in quella dell' alternativa. Ma dubito fortemente, e ci sono riscontri dall'Africa ai Balcani, che il Liberismo accetterebbe l'idea di una alternativa fuori dalle logiche del suo mercato.

Non è facile pensare in tutto questo rumore che non ti da tregua e quartiere in nessun momento del giorno                       

 

      

In questa città da sempre tutto è amalgamato e accolto con la massima naturalezza:  non si deve essere in posti o quartieri particolari, come per esempio a Roma,  per sentirti a Chinatown o in qualche casba del Magreb.

 Qui  tutto è mescolato dalla qutodianietà della città di mare.

 E mi domando come accoglierà la città di mare questo avvenimento così denso di contrasti, così ricco di voci e grida e dissensi e retorica. Genova è una città faticosa, non perché, come a Roma il traffico obbliga a vivere un metabolismo alieno dal quale si riemerge a fatica solo in pochi momenti e in pochi posti del giorno.    La faticosità di Genova  è tutta in questi spazi stretti, in queste croize e carrugi dove scarpe e sandali inciampano. Forse è una città da fare scalzi come antichi pellegrini, oppure con robusti zoccoletti come si usava negli anni '70. La faticosità è antica per tutta "l'isola liguria". Una faticosità che ha strappato al mare ed alla montagna piccole gioie incantevoli, fermate nel tempo e nel silenzio. La natura non è mai stata buona con i liguri e le esondazioni di questi ultimi tempi hanno accentuato il carattere biblico: i mille ponticelli che attraversano rogge e torrenti hanno acquisito aspetti di sbarramento naturale con ovvie tragiche conseguenze. Da Sanremo a Lerici, la Liguria sconta un adattamento scellerato dell'ambiente alle esigenze umane. Eppure ogni anno le bandiere blu si contano a decine per entrambe le riviere  Strappare alla natura impervia poche strisce di terra per farne terrazze fiorite è spesso una fatica immane che ha pochissimi riscontri. 

Ma Genova non è una città inospitale: fa posto a tutti e tutti vi trovano posto in un contesto durissimo dove dare ed avere si confrontano in un flusso continuo.
Tuttavia a Luglio ci saranno centinaia di migliaia di persone in più. I ricchi e forse anche "la stampa" vranno una nave tutta per loro alla fonda, ma tutti gli altri dovranno arrangiarsi e non basterà il campo sportivo di Marassi a contenerli tutti.    

Vorrei solo che il GSF e tutto il Movimento mondiale contro la Globalizzazione ne uscisse con qualche idea e qualche proposta in più 

(per esempio applicare le decisioni di Puerto Alegre

 per non fare la fine del topo che.... attraversava la circonvallazione

indietro       mailto: cinque@katamail.com