Il problema della sicurezza


"Incontro" con Marvin Hagler prima del matrimonio.

Ancora oggi non tutto il personale politico, anche a livello locale, è persuaso dell'importanza di una efficace politica per la sicurezza. Questo testimonia, una volta di più, del distacco tra politica e società reale dove ogni individuo, se non si sente sicuro, si sente infelice. C'è stata un'occasione in Pioltello in cui è stato possibile misurare la credibilità pubblica dell'impostazione che abbiamo dato alla politica per la sicurezza.
Il 3 marzo 1999 Salvatore Cordovana, proprietario di un bar alla periferia nord della città, muore nel corso di una rapina. Il vero enigma, in quei giorni carichi di tensione, è la reazione della comunità. Ci sono tutti gli ingredienti di una situazione pericolosamente esplosiva: l'esasperazione degli esercenti e dei commercianti, l'insofferenza verso alcuni settori di immigrati extracomunitari e in particolare verso la comunità albanese da cui provengono verosimilmente i responsabili del delitto, professionisti dell'intolleranza che pescano nel torbido, eccetera.
Ebbene è proprio in occasioni di questo tipo che si misura la preparazione dei comuni di fronte alle emergenze. Decisiva e di grande scandalo fu allora l'esibizione da parte nostra durante una conferenza stampa pubblica della richiesta di coordinamento per un intervento congiunto proprio nella zona del delitto trasmessa pochi giorni prima a Questura e Carabinieri. Richiesta che purtroppo rimase inevasa. Questo piccolo episodio, nella sua semplicità, dimostra che l'Amministrazione Comunale, pur nella limitatezza dei mezzi a sua disposizione, ha una buona conoscenza del territorio e una discreta capacità di previsione delle sua criticità. Credo francamente che questo livello di attenzione sia ciò che i cittadini si aspettano dal loro comune. Ovviamente una politica per la sicurezza non si limita alla previsione e alla denuncia: il problema vero è che con l'affermazione, anche a livello giuridico, dei principi di autonomia locale, il Sindaco viene direttamente individuato dai cittadini come unico referente della domanda di sicurezza.
Il tema della sicurezza nei contesti urbani è ormai una delle questioni centrali del dibattito politico e istituzionale. Il nostro progetto nasce proprio dalla consapevolezza che oggi le amministrazioni locali ed in primo luogo i sindaci sono ormai individuati dal cittadino come primi se non unici referenti in materia di sicurezza. E' questa una realtà che non può essere misconosciuta: fino a pochi anni fa nessun cittadino avrebbe mai pensato di rivolgersi al Sindaco per un problema di criminalità. La competenza stava in capo alle forze di polizia, in rari casi alla polizia municipale. Oggi, col ruolo nuovo delle autonomie locali e con l'elezione diretta dei sindaci la situazione è molto cambiata: "Io ti ho eletto e tu mi devi dare delle risposte", questo è in estrema sintesi il pensiero del cittadino che si preoccupa molto per l'incolumità propria o dei suoi familiari e molto poco di quale sia il livello di governo ottimale in materia di sicurezza. Ed è giusto che sia così, per quanto gli strumenti a disposizione dei Sindaci non siano molti.
In altri termini, se per i Sindaci non è possibile affrontare e risolvere direttamente tutti i problemi, ciò non di meno essi non sono esentati dal produrre politiche adeguate alle loro responsabilità e comunque dall'attivarsi presso altre istituzioni per costruire percorsi che producano risultati concreti.
Per produrre politiche è opportuno muovere dalla conoscenza del problema, dotandosi quindi di strumenti conoscitivi.
Nell'indagine condotta da Nomos a Pioltello l'attenzione si è concentrata su alcuni fattori: il limitato sviluppo nei contesti locali delle tipiche dinamiche di deterioramento della qualità della convivenza nel tessuto urbano;
la progressiva configurazione di alcuni comuni dell'hinterland come aree satellitari della metropoli milanese;
il progressivo rallentamento negli ultimi anni delle dinamiche di criminalità diffusa sui territori comunali, accompagnate dall'emergere di alcuni fenomeni a rischio;
la "riconciliazione" tra cittadini e territorio che abbassa la soglia di percezione dell'insicurezza e della paura e contestualmente fa aumentare la domanda del bene pubblico "sicurezza". In nostro Osservatorio si occupa anche dei rapporti tra criminalità diffusa e criminalità organizzata: non di rado le Amministrazioni locali concepiscono la politica per la sicurezza solo in termini di comunicazione sociale: tipico è l'atteggiamento di quegli amministratori per i quali occuparsi di questo problema significa sostanzialmente amplificare a livello mediatico le preoccupazioni dei loro concittadini. Atteggiamenti di questo tipo si accompagnano inevitabilmente ad una enfatizzazione fuori misura dei fenomeni di criminalità diffusa e ad una sottovalutazione della presenza della grande criminalità. Non di rado si preferisce addirittura negarne la presenza perché se la si ammettesse bisognerebbe mettere in atto mezzi di contrasto.
Del resto sono proprio la presenza e il consolidarsi della criminalità organizzata, dapprima tollerata e poi "padrona" del territorio che creano il terreno di cultura più idoneo alla crescita della criminalità diffusa e di modelli anomici. I fenomeni del riciclaggio, cioè della possibilità di far circolare denaro guadagnato illecitamente, e dello spaccio di droga, che ha in Milano il centro del mercato nazionale, sono sicuramente in grado di connettere in maniera strutturale grande e piccola criminalità.
Non si tratta di scegliere, ed è sicuramente falso il dilemma tra intervento sociale, preventivo e intervento repressivo. Le politiche di sicurezza si basano essenzialmente su due pilastri: togliere bacino, terreno di cultura alla criminalità in tutte le sue varianti e intervenire sull'emergenza degli episodi criminali con tempestività ed efficacia. Se non si esercitasse un'adeguata azione finalizzata alla prevenzione la criminalità e la devianza diventerebbero così diffuse e pervasive da rendere inefficace qualsiasi intervento di carattere repressivo (e la storia purtroppo ci ha mostrato esempi di questo tipo). Ma è altrettanto vero che in assenza di un'azione repressiva veramente efficace e deterrente le politiche sociali stesse non avrebbero un quadro di riferimento credibile in cui inscriversi.
La nostra ipotesi di lavoro è di rileggere tutte le politiche, almeno a livello locale, in termini di "sicurezza". Acquistano così una precisa valenza di prevenzione i programmi per la riqualificazione del territorio e soprattutto quelli relativi al recupero delle aree soggette a degrado: E' possibile riconsiderare con una corretta chiave di lettura le politiche scolastiche, dai progetti pedagogici e di orientamento per ragazzi e famiglie, agli investimenti nel settore dell'edilizia scolastica (è appena il caso di ricordare che persino la Commissione Ministeriale Antimafia ha segnalato il degrado dell'edilizia scolastica come un fattore di rischio per gli adolescenti). Diventa importante riconsiderare i programmi di welfare anche in quanto costitutivi di contesti più rassicuranti, positivi, ottimistici, diciamo pure protettivi, in una società dove spesso per il cittadino, isolato e atomizzato, è difficile ritrovare il senso del "noi". Diventano decisive infine le politiche ambientali, soprattutto un quei comuni dove sono presenti fattori di rischio conclamati.
A chi competono dunque, a livello delle Amministrazioni Locali, le responsabilità gestionali in materia di sicurezza? Fanno capo a un servizio, ad un ufficio, oppure si tratta di altro? Pensiamo che questa materia non possa essere considerata un ambito di intervento tra gli altri: non avrebbe dunque senso, a nostro avviso, imputare questa responsabilità ad un operatore in line. Occorre al contrario che tutto l'ente sia attivato, occorre una certa omogeneità di intenti, una sensibilità diffusa, perché il tema della sicurezza costituisca un elemento d'attenzione permanente in tutti i servizi e per tutti gli operatori, sia per quanto concerne le caratteristiche dei progetti sia rispetto alle modalità di comunicazione verso la città.
E' dall'insieme di queste considerazioni che nacque il progetto "Pioltello sicura", presentato in un'affollatissima conferenza stampa tenutasi alla Casa della Cultura di Milano alla presenza delle maggiori emittenti televisive e dei più importanti quotidiani nazionali. Prese così avvio la ricerca sui fattori di insicurezza in città commissionata al Gruppo Abele e successivamente pubblicata nella collana dei quaderni di storia locale e fu stipulata con una compagnia svizzera di assicurazioni la polizza "Pioltello sicura" volta a tutelare tutti i nuclei familiari. Soprattutto quest'ultima iniziativa, che prevede l'intervento a domicilio di artigiani e assistenti, assolutamente innovativa a livello nazionale, ha sollecitato l'interesse dei media.
Sono stati moltissimi in quel periodo i Comuni che, venuti a conoscenza dell'iniziativa attraverso la stampa, ci hanno richiesto la documentazione relativa per valutarne i contenuti ed eventualmente riproporla nel loro territorio. Il problema vero è che però il progetto assicurativo ha senso ed efficacia solo se collocato all'interno di un contesto più ampio, dove anche l'intervento "a valle", in difesa delle vittime della criminalità, può essere sentito dal cittadino come uno dei fattori di contenimento del rischio.
E' nel contesto di questo impegno e di questa ricerca che a Pioltello si è sviluppato un rapporto assolutamente nuovo con le forze di polizia e con la Prefettura. Anche a questo proposito alcuni episodi fortemente significativi, a livello locale, hanno contrassegnato la storia recente della nostra città: la nomina di un nuovo Comandante della Stazione dei Carabinieri, con un mandato sicuramente molto ampio; la riqualificazione dell'edificio, da anni in condizioni di assoluta fatiscenza, senza che nessuno si preoccupasse di sbloccare i fondi già appostati a bilancio per l'intervento; il diniego da parte della Questura all'autorizzazione per l'apertura di un'agenzia di scommesse nella periferia nord della città, a seguito del parere motivato espresso dal Comune.
Su quest'ultimo episodio può essere interessante qualche riflessione per far comprendere concretamente come spesso gli strumenti a disposizione dei Sindaci siano assolutamente inadeguati rispetto ai compiti e ai livelli di responsabilità che sono loro assegnati. Il 29 gennaio 2000 un privato cittadino residente a Roma presenta denuncia di inizio attività per la ristrutturazione di locali in cui dovrà insediarsi un'agenzia di "scommesse ippiche al totalizzatore e a quota fissa, scommesse tris e di quelle assimilabili". Un'idea mirabile per un quartiere già gravato in maniera pesante dal problema dei parcheggi, da notevoli tensioni, dalla presenza di cittadini extracomunitari non sempre in regola con le norme sul permesso di soggiorno e spesso dediti a traffici illeciti. Per di più il locale stesso si trova a poche decine di metri dal bar in cui avvenne la tragica aggressione del marzo 1999.
La concessione edilizia per la ristrutturazione dei locali viene accordata d'ufficio in quanto si tratta sostanzialmente di un atto dovuto; l'ufficio commercio, titolare della competenza in materia di licenze non ha a disposizione nessun elemento per negare l'autorizzazione, che del resto non gli viene neppure richiesta. Le richieste per questo tipo di attività vengono inoltrate direttamente al Questore e l'iter autorizzatorio è una procedura del tutto formale, burocratico e scontato, tanto che la richiesta viene trasmessa dopo che la ristrutturazione dei locali è pressoché terminata.
Ecco dunque un caso macroscopico in cui si può ben comprendere come l'autorità locale, autorità anche in materia di sicurezza pubblica, si trova ad affrontare un'emergenza senza essere in possesso degli strumenti adeguati. In quell'occasione è stato dunque decisivo il rapporto fiduciario di collaborazione con le forze di polizia, che hanno supportato le argomentazioni del Comune, e la collaborazione incondizionata del questore. Una pagina assolutamente nuova per Pioltello si è dunque aperta. Con un atto destinato forse a fare giurisprudenza il Questore di Milano in data 11 maggio 2000 vieta l'attività dell'agenzia utilizzando l'articolo 1 del testo unico della legge di Pubblica Sicurezza, ossia facendo riferimento a motivazioni di carattere preventivo piuttosto che repressivo.
Un passo delle premesse del decreto è particolarmente significativo: "RITENUTO che per il precario contesto sociale in cui va ad insediarsi l'attività in argomento, di dover supportare gli sforzi del sindaco tesi a contenere la criminalità locale e a riaffermare la legalità"… Se c'è collaborazione, se c'è fiducia reciproca, se ogni istituzione si concentra con fermezza e spirito costruttivo sulla risoluzione dei problemi, qualche cosa di buono, soprattutto a livello locale si può ancora fare.
Il fatto che poi il TAR della Lombardia abbia accolto il ricorso della società non sminuisce per niente l'importanza dell'atto. Piuttosto, quest'ultima vicenda dimostra tra l'altro che in materia di sicurezza è necessario rivedere il sistema di attribuzione di competenze e responsabilità spostando alcuni ambiti decisionali dagli organi centrali a quelli periferici, ampliando in qualche occasione le possibilità di intervento da parte dei sindaci e delle amministrazioni locali. In ogni caso con questa stessa società, una volta persa la partita sul piano legale, è stata stipulata una convenzione con la quale la stessa si impegna a versare nelle casse del Comune un contributo annuale per finanziare gli interventi di presidio del territorio.

Il Prefetto in consiglio comunale. Prende corpo il progetto Pioltello sicura.