SCHEDARIO PER SOGGETTI
a cura di Paolo Ferrario
Sito web: www.ferquafor.it
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- Soggetto:
CULTUREL'autore, lo stesso di "Quel che resta del giorno", ha scritto una storia semplice e meravigliosa che attraversa un Oriente
pieno di misteri e una Londra affascinante e delicata, e insegna come l'amicizia sia importante e lo siano anche le origini.
Per appartenere a un paese non e' necessario esserne cittadini, e il protagonista, un inglese che ha trascorso l'infanzia a
Shangai, lo sa bene.
Diviso tra l'amore per i ricordi e la ricerca dei genitori, legato pero' all'Inghilterra e a un giovane affetto che lo attende sempre
al suo ritorno.
fonte: ishiguro k, quando eravamo orfani, 2000
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- Soggetto:
FAMIGLIA MINORI LEGISLAZIONE TESTO UNICONasce il Testo unico sulla maternità
Congedi parentali, permessi e riposi, lavoro notturno, assegni di maternità, adozioni, affidamenti e altre materie che
interessano mamme e papà dipendenti, liberi professionisti e collaboratori sono stati riuniti in un unico apparato approvato
lo scorso 21 marzo dal Consiglio dei ministri su proposta del Presidente del consiglio, Amato, e del Ministro per la
solidarietà sociale, Turco: il decreto legislativo, in attuazione della legge n.53 dell'8 marzo 2000, è stato definito "Testo
unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità" e provvede a coordinare
ed armonizzare attraverso un solo strumento legislativo tutte le disposizioni in materia, al fine di consentire una più agevole
lettura della normativa in questione, piuttosto complessa e finora sparsa in una ventina di documenti legislativi diversi.
fonte: www.buongiorno.it, , 2001
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- Soggetto:
MIGRAZIONI"L'estrema solitudine" e’ un romanzo dello scrittore Ben Jelloun, gia’ premiato nel 1998 con il "Global Tolerance Award" per
il grande impegno civile e sociale dimostrato nel tempo.
Lo scrittore algerino narra le tragedie degli immigrati arabi e nordafricani costretti a lasciare la propria terra e le proprie
abitudini per cercare fortuna in paesi lontani, ostili e intolleranti. Il libro raccoglie le testimonianze dirette e le sofferenze di
tanti che hanno tentato la via della clandestinita’ per poi ritornare a casa malati e umiliati.
Ben Jelloun affronta anche la problematica dell’integrazione razziale e della societa’ multietnica, fenomeno molto attuale
anche in Italia.
L'estrema solitudine di Tahar Ben Jelloun, Titolo originale: La plus haute des solitudes, Traduzione di Vittorio Cosentino,
con la collaborazione di Egi Volterrani, Pag. 222, Lire 18.000 - Edizioni Bompiani (i grandi pasSaggi)
fonte: JELLOUN, , 1999
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- Soggetto:
POPOLAZIONE FAMIGLIEL'ultimo rapporto Istat su "Famiglie, abitazioni e sicurezza dei cittadini" evidenzia un aumento dei single, delle famiglie in
difficolta' economiche, delle coppie senza figli.
Il numero medio di componenti del nucleo familiare nel nostro paese e' di 2,7 persone, mentre sono solo il 7% del totale le
famiglie con piu' di cinque componenti. I single rappresentano il 22,8% del totale, mentre sono oltre due milioni, pari al
10,3% del totale, le famiglie con gravi difficolta' economiche, localizzate in gran parte al Sud e nelle isole.
fonte: ISTAT, , 2001
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- Soggetto:
PROFESSIONI SANITARIE MEDICI62.156 medici generali attivi e 10.854 pensionati, pari ad un totale di 72.740 (riferimento: bilancio 1999).
Il Rapporto contribuisce efficacemente a documentare il fenomeno della cosiddetta "pletora medica", ovvero, della
eccedenza dell'offerta rispetto ad una molteplicita' di standard: standard di bisogno assistenziale, standard di occupazione
e via dicendo. Qualsiasi sia lo standard o il punto di vista utilizzato, la conclusuone e' la medesima: i medici generali sono
"troppi".
Quali sono le ragioni per cui la pletora dovrebbe "preoccupare" chi si occupa di definire e gestire le politiche sanitarie?
Essenzialmente due:
(a) c'e' chi sostiene che l' "offerta" crea la domanda. Se ed in che misura questo e' "vero" ha un'implicazione fondamentale:
tanto piu' i medici generali eccedono il "bisogno" di cure, tanto maggiori saranno i consumi "impropri" (sia quelli che
riguardano le visite mediche che i consumi specialistici conseguenti);
(b) c'e', invece,chi sostiene che l'eccedenza generi concorrenza. In sanita', pero',la concorrenza non abbassa i prezzi
e,quindi, chi paga (lo Stato e il cittadino) non ha alcun vantaggio dalla pletora. Insomma, la pletora non produce nessun
buon risultato,a meno che lo Stato non intenda ampliare o qualificare la gamma delle prestazioni. Solo in questo
caso,potendosi avvalere di tutta la"manodopera" che occorre, vi sarebbero vantaggi.
fonte Enpam (Ente previdenziale dei medici)
La pletora e' documentata, ma sarebbero necessari altri dati per arrivare a piu' ampie considerazioni.Si potrebbe provare ad
integrare i dati suddetti con altre fonti informative di origine sindacale e ministeriale.
Secondo il Ministero della sanita', si contano in Italia circa 47.637 medici di famiglia, 6.427 pediatri, 15.758 titolari di
guardia medica,per un totale pari a 69.852 (i titolari di guardia medica possono,pero', essere anche medici gia'
contabilizzati come medici di famiglia).
A questi occorrerebbe aggiungere tutti gli altri medici operanti nei servizi territoriali (consultori, servizi per anziani, ecc.),
oltre 10.000,per arrivare a quell'universo di professionisti riconducibile alla medicina di base. Secondo fonti sindacali
quest'universo e' pari all'incirca a 79.798 unita'.
Le caratteristiche principali dell'universo sono le seguenti: il 22.8% hanno un'eta' compresa tra i 35 e i 40 anni, il 32.9%
un'eta' tra i 41-45 ed il 16.2% un'eta' tra i 45 e i 50 anni. Le classi di eta' inferiori ai 35 e superiori ai 50 anni assorbono
percentuali piu' basse.
Ipotizzando che la categoria (tutti i medici oggi riconducibili alla medicina di base) si evolva in futuro allo stesso ritmo in cui
si e' sviluppata in passato (e,cioe', facendo invecchiare l'universo, calcolando le uscite per morte o pensionamento e le
entrate in base al trend passato) e ipotizzando che non siano introdotte variazioni nelle regole che governano gli accessi, si
stima che gia' nel 2015, la categoria aumenti di circa il 29%. La pletora, cioe', e' destinata ad aggravarsi, se non
intervengono fattori che ne controllino lo sviluppo "naturale".
Il censimento in questione calcola anche quanti sono i medici di base ogni 1000 abitanti nelle varie Regioni italiane.
Queste sono le differenze piu' ecclatanti. Si rileva, in primo luogo, che nell'Italia settentrionale il quoziente e' pari a 0.96 (e,
cioe', a quasi 1 medico per ogni 1000 abitanti). Lo stesso quoziente e', invece, di 1.08 nell'Italia centrale e 1.23 nel sud e
nelle isole.
Le maggiori distanze tra le Regioni sono le seguenti: Umbria (quoziente pari a 0.50) e Calabria (1.61); Trentino (0.73) e
Molise ( 1.54); Lombardia (0.92) e Abruzzo ( 1.27). Le distanze sono sempre piuttosto elevate tra le regioni del nord e del
sud e abbastanza omogenee (pur con effettive differenze) all'interno delle aree geografiche.
Laddove i medici generali sono tendenzialmente di piu', maggiore sembra essere il numero di altri tipi di servizi (soprattutto
gli ospedali). Si potrebbe, ma una tale interpretazione sarebbe erronea. Il sud tende ad essere carente in infrastrutture (in
sanita' come in altri settori) e piu' "dotato" di manodopera. Non e' detto, pero', che questa sia una situazione ottimale!
Significa solo che le attività di governo e di programmazione devono essere sapientemente diversificate.
fonte: www.buongiorno.it, , 2001
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- Soggetto:
PROFESSIONI SANITARIE MEDICI ACCREDITAMENTO FORMAZIONEI medici di famiglia non sono di norma soggetti all'accreditamento
E' stato recentemente presentato al Consiglio dei Ministri il testo dell'Atto di indirizzo e coordinamento sull'accreditamento
istituzionale.
Gli addetti ai lavori dovrebbero sapere che il cosiddetto "accreditamento istituzionale" e' un atto fondato su un procedimento
di valutazione, che attribuisce sia alle strutture che ai professionisti lo status di soggetti idonei ad erogare prestazioni
sanitarie per conto del SSN. L'accreditamento segue l'autorizzazione che e', invece,il prerequisito fondamentale
all'esercizio dell'attivita' sanitaria. E di conseguenza, mentre l'autorizzazione riguarda l'esistenza e la verifica dei requisiti
essenziali, l'accreditamento ha a che fare con i cosiddetti requisiti "ulteriori" che le Regioni, sulla base delle indicazioni
dell'Atto in questione, ritengono di voler richiedere per entrare nella lista dei fornitori del SSN. Ebbene al comma 1
dell'articolo 1 del testo dell'Atto e' scritto: "I medici a rapporto convenzionale di cui all'articolo 8 del decreto legislativo
(medici di medicina generale e pediatri) non sono assoggettati al regime di accreditamento istituzionale regolamentato dal
presente atto per le prestazioni oggetto di convenzione".n Per le prestazioni che non sono oggetto di convenzione, invece,
sembrerebbe che anche i medici generali e i pediatri debbano richiedere l'accreditamento. Quali potrebbero essere queste
prestazioni? Non quelle (permesse) in libera professione, in quanto le medesime non sono erogate per conto del SSN, ma
pagate dai pazienti. E' presumibile che l'Atto possa riferirsi ad un caso generale in cui si danno a livello regionale
prestazioni che non rientrano tra quelle "standard" della convenzione (ad esempio, un particolare prgramma di intervento),
ma che, cio' nonostante, vengono erogate per conto del SSN.
I medici di famiglia sono invece soggetti all'obbligo della formazione continua.
L'art. 16 bis del d.l. 229 specifica appositamente quest'obbligo,laddove dice che l'aggiornamento professionale e'
quell'attivita' di formazione che segue anche la "formazione specifica in medicina generale", oltre che la laurea e l'eventuale
specializzazione. L'art. 16 quater, poi, accentua il senso dell'obbligatorieta' della formazione, in quanto afferma, in primo
luogo, che la partecipazione alle attivita' di formazione e' indispensabile per svolgere attivita' di lavoro dipendente o libero
professionale e, in secondo luogo, che i contratti di lavoro del personale convenzionato individuano anche le penalizzazioni
economiche che vanno applicate a coloro che non conseguono nel triennio i 150 crediti formativi. Quale debba essere il
contenuto di questa formazione e', da un lato, abbastanza chiaro e, dall'altro ancora da definire.Il decreto esplicita infatti
che la formazione deve riguardare le competenze e le abilita' cliniche e tecniche, ma anche quelle manageriali e
l'allineamento dei comportamenti al progresso scientifico e tecnologico. Questo sta a significare che, mentre nessuno
avrebbe da obiettare che un certo numero di crediti riguardi, ad esempio, le scienze mediche, e', invece, da definire quali
potrebbero essere i contenuti di una formazione volta a migliorare la managerialita'. Il compito di individuare questi contenuti
non e' poi cosi 'arduo. Potrebbe comprendere l'economia, la sociologia, l'organizzazione, l'informatica, la psicologia, ecc..
Il punto rimane, pero', che tutte queste discipline dovrebbero contribuire a individuare un profilo formativo effettivamente utile
al medico di famiglia nella sua attivita'. E qui e' per lo piu' ancora tutto da sperimentare!
Sono uscite le linee guida sulla formazione continua
Le linee guida offrono ai medici di famiglia numerose possibilita' per organizzare o contribuire ad organizzare attivita' di
formazione. Tra i soggetti che possono erogare formazione, infatti, si enumerano: le Fondazioni, gli ordini,le scuole di
formazione, le societa' be le associazioni professionali,le societa' scientifiche e tutti gli altri Enti pubblici e privati. Le linee
guida non pongono giustamente a favore di un soggetto ( e a scapito di un altro) la possibilita di fornire attivita' formativa.
Tutti i soggetti, pubblici e privati, possono organizzare questo tipo di attivita'. Il requisito fondamentale e', pero', che l'attivita
formativa debba essere certificata da un'apposita Commissione e ricevere un punteggio valevole ai fini del computo dei
crediti formativi obbligatori. Se, da un lato, quest'approccio, per cosi' dire, "aperto" e' fondamentale per uno sviluppo
"competitivo" di enti e attivita' di formazione, dall'altro lato,affinche' tale competizione si verifichi, occorrerebbe che a
valutare e ad assegnare i crediti, siano soggetti che in nessun modo hanno a che fare con quelli che presentano i progetti
di formazione. Occorrerebbe,in altri termini, che su tutta la griglia dei criteri,operasse una sorta di super criterio e, cioe',
una salvaguardia contro eventuali conflitti di interesse.
fonte: www.buongiorno.it, , 2001
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- Soggetto:
PROFESSIONI SANITARIE MEDICI CONVENZIONI DISTRETTILa "Convenzione ragionata" dei medici di famiglia: 1998-2000
L'organizzazione dei distretti rappresenta per i medici di famiglia una grande occasione per "uscire" dall'isolamemnto in cui
tradizionalmente sono state confinate le attivita' e gli "studi professionali" dei medici di famiglia. Come lo specialista opera
in un contesto organizzato qual'e' l'ospedale, usufruendo dei vantaggi che derivano dalla "prossimita'" professionale coi
colleghi, cosi' il medico di famiglia potrebbe avere giovamento da un'analoga prossimita' coi colleghi del distretto. Ai
vantaggi si accompagnano, ovviamente, i "doveri": nella programmazione e nel monitoraggio delle attivita' del distretto
rientra a pieno titolo la medicina di famiglia. L'articolo 14 della Convenzione regolamenta quest'aspetto. E giustamente cosi'
si esprime il commento critico a margine del testo:"E' questo uno degli articoli piu' importanti della Comnvenzione...per le
prospettive che offre allo sviluppo delle potenzialita' della medicina generale..., ed occorre che nell'ambito delle trattative
regionali ed aziendali venga dato grande peso alle previsioni di questo articolo". Basta un esempio per capire la portata di
quest'articolo. Al distretto vengono allocate risorse proprie, al distretto compete definire i confini strategici della medicina
del territorio ed intorno al distretto ruota il "prima" e il "dopo" ospedale, soprattutto in funzione del programmato incremento
delle attivita' di day hospital e di day surgery.
Se i medici di famiglia non colgono, attraverso il loro personale interessamento e coinvolgimento organizzativo, queste
possibilita', essi rimarranno purtroppo lontani dalle innovazioni che stanno investendo in Italia e nel mondo i sistemi sanitari.
L'impegno del medico di famiglia e' sicuramente "oneroso" in quanto e' su questa figura che gravano le esigenze di cospicui
numeri di utenti ( si stima che oggi, mediamente, un medico di famiglia debba gestire oltre 1000 utenti all'anno). Gli
utenti,infatti, si rivolgono ai medici di famiglia non solo quando sono veramente malati, ma per una serie ragguardevole di
esigenze, di sintomi, di disagi e di problemi. L'attivivita' istituzionale, e cioe' quella realizzata in base alle incombenze
imposte dal SSN, dei medici di famiglia finisce con l'assorbire la quasi totalita' del tempo-lavoro di questi professionisti. La
formazione professionale obbligatoria assorbira', in prospettiva, altre quote di tempo.
E' possibile, almeno in linea teorica, che i medici di famiglia possano svolgere al di fuori degli orari di servizioe dei doveri
imposti dal SSN, attivita' libero professionali, al pari dei lorocolleghi che lavorano in ospedale. Per i medici di famiglia, pero',
la libera professione e' piu' aleatoria e difficile. E' dimostrato,infatti, che se i pazienti debbono pagare in toto e senza
nessun rimborso le prestazioni, il numero di quelli che richiederanno servizi a pagamento e la varieta' dei servizi, sara'
basso. Mentre sono in crescita le "assicurazioni" per le prestazioni ospedalierie, le assicuazioni non coprono in genere le
prestazioni che possono essere offerte dai medici di famiglia. In conclusione: la questione e' di fatto tutta aperta ed
occorrerebbe a proposito una grande riflessione collettiva, per verificarne i limiti e le reali potenzialita', soprattutto in
relazione ad un crescente contresto di innovazione tecnologica che caratterizza oggi la sanita'.
fonte: www.buongiorno.it, , 2001
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- Soggetto:
PROFESSIONI SANITARIE MEDICI INFERMIERIA proposito del rapporto tra medici e infermieri e' di recente apparso sulla stampa che il numero dei medici sarebbe
addirittura superiore a quello degli infermieri.
Anche su questo argomento occorre fare chiarezza, stando a cio' che i dati dicono effettivamente. Secondo le stime relative
al 1997, i rapporti tra le diverse categorie di personale sono i seguente:
(a) si contano 11.5 medici per 10.000 abitanti operanti nelle asl,4.7 nelle aziende ospedaliere per un totale medio
nazionale di 16.3 medici per 10.000 abitanti;
(b) (b)gli inferimieri sono: 37.3 per 10.000 abitanti nelle asl e 14.1 nelle aziende ospedaliere, per un totale di 51.4. Si
stimano, in sostanza, 3.2 infermieri per ogni medico. Gli amministrativi sono 11.8 per 10.000 abitanti, mentre le altre
categorie di personale (ad esempio, i tecnici e simili) raggiungono il 28.9.
Sotto il profilo numerico dei rapporti,in conclusione, i medici non sono di piu' degli infermieri. Il dato, pero', non deve
nascondere l'esistenza di effettivi problemi, per cosi' dire, di "maldistribuzione" o inefficienza allocativa del personale,
soprattutto in prospettiva. Si deve, infatti, considerare che una maggiore presenza di personale infermieristico
permetterebbe di affrontare meglio quelle che sono le sfide di oggi e del prossimo futuro:
ridurre le degenze,
aumentare il tipo e il numero dei casi trattati in regime di chirurgia di giorno e di cosiddetto day hospital,
realizzare modelli assistenziali integrati col territorio,
aumentare la produttivita' delle equipe ospedaliere attraverso una promozione dei case-mix di personale (aumentare, cioe',
a seconda delle situazioni la presenza di alcune figure di personale e diminuirne la presenza per altre),
aumentare la delega dei poteri organizzativi decentrando alcuni compiti a personale non medico, ecc.
In fondo,la Riforma sanitaria, laddove regolamenta gli accessi all'Universita', gia' recita chiaramente che in prospettiva la
programmazione del personale va fatta tenendo presente l'importanza di introdurre "combinazioni" di figure professionali piu'
efficienti rispetto a quelle oggi osservate.
Fonte: buongiorno.it, aprile 2001
fonte: www.buongiorno.it, , 2001
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- Soggetto:
SERVIZI SANITARI ACCREDITAMENTOSulla base di una molteplicita' di fonti normative (se ne enumerano le principali: articolo 8 quater del d.l 502 e successive
modifiche; il d. l 229\99 il DPR del gennaio 1997,il d.l 517 del 1999,il parere del Consiglio superiore di sanita' fino a quello
della Federazione degli Ordini dello scorso 15 marzo,ecc.) e'stato appena presentato al Consiglio dei Ministri l'Atto di
indirizzo e coordinamento ai fini degli "accreditamenti istituzionali".
Una volta deliberato,il presente Atto dovra' ispirare la promulgazione ex novo o la revisione delle precedenti normative di
accreditamento. L'Atto ha una portata storica. Stabilisce, infatti, che l'accreditamento istituzionale e' l'"Atto attraverso il
quale, a conclusione di un procedimento valutativo, le strutture autorizzate, pubbliche o private, ed i professionisti che ne
facciano richiesta, acquisiscono lo status di soggetto idoneo ad erogare prestazioni sanitarie e sociosanitarie per conto del
SSN, ivi comprese quelle rientranti nei fondi integrativi (i fondi cosiddetti "doc" e, cioe', quelli strutturati secondo le
disposizioni del 229\99). Sono esclusi dall'accreditamento i medici a rapporto convenzionale (medici di famiglia, ecc.)
limitatamente alle prestazioni oggetto della Convenzione.
L'Atto, in sostanza, contiene i vincoli, i requisiti e le procedure per avere accesso in qualita' di "erogatori" alla lista dei
fornitori del SSN. All'art. 1 dell'Atto si stabilisce, inoltre, che per quanto riguarda l'accreditamento dei "professionisti", la
concessione e' subordinata al possesso dei crediti formativi relativi alla formazione continua obbligatoria ( 50 all'anno, 150
in un triennio).
Il testo dell'Atto appena citato stabilisce, almeno in linea di principio, che le strutture pubbliche e quelle private debbono
sottostare al vaglio dei medesimi criteri per ottenere l'accreditamento.
A leggere le condizioni generali per poter chiedere l'accreditamento,non si sfugge a qualche dubbio sulla ipotetica
"universalita' della sua applicazione. Si richiede, infatti:
(a)il possesso dell'autorizzazione;
(b) la rispondenza agli indirizzi e agli obiettivi di programmazione sanitaria delle funzioni da accreditare, nonché la
compatibilita' delle medesime ai fabbisogni di assistenza;
(c) il possesso degli ulteriori requisiti di qualificazione (e' questa la vera "ratio" per cui si dovrebbe chiedere
l'accreditamento);
(d) la verifica dei requisiti e dei risultati raggiunti.
A prescindere dalla complessita' delle procedure di applicazione,non puo' sfuggire che l'aspetto fondamentale riguarda la
congruita' tra accreditamenti da concedere e fabbisogni. Vengono alla mente almeno tre domande:
(a) dato,ad esempio, un fabbisogno,se sul medesimo territorio chiedono l'accreditamento due strutture, una pubblica ed
una privata,entrambi in possesso dei requisiti,ma che nel complesso eccedono il fabbisogno, cosa si fara'?
(b) rientreranno nei "potenziali" produttivi anche le prestazioni in intramuraria oppure no? Se a non "passare" il vaglio
dell'accreditamento e' una struttura pubblica ( la medesima puo',ad esempio, eccedere da sola il fabbisogno), cosa
succedera'?
Il punto 2.6 dell'Atto di indirizzo in questione e' dedicato alla cosiddetta "esternalizzazione dei servizi". E'ormai da anni che
le aziende ospedaliere e le asl "esternalizzaano" alcuni servizi. Si e' trattato,pero', di servizi cosiddetti di supporto e,
comunque,estranei alle attivita' sanitarie ( ad esempio,le mense, la lavanderia,il centro di calcolo,ecc.). Il suddetto punto,
almeno che non lo si sia frainteso,sembrerebbe estendere l'esternalizzazione oltre i confini dei servizi di suppporto. E' bene
citare il punto:" le Regioni individuano,fra i servizi richiesti ai fini dell'accreditamento, quelli che il soggetto anziche' svolgere
al proprio interno,puo' assicurare mediante il ricorso a terzi, pubblici o privati... L'esternalizzazione deve riguardare l'intero
servizio...I servizi esternalizzabili si riferiscono ad attivita' sanitarie che sono direttamente connesse all'assistenza del
paziente e non comportano la presenza fisica del paziente stesso.." Ovviamente,i soggetti verso cui si esternalizza,
debbono assicurare lo stesso livello di qualita',il rapporto va regolarizzato da un contratto. Questo tipo di esternalizzazione
" lascia impregiudicate.. le altre forme di partecipazione di soggetti esterni ai servizi svolti.." ( in sostanza, chi riceve un
contratto di fornitura esternalizzata,continua a produrre i servizi per cui si era accreditato; l'esternalizzazione e',in
apparenza, aggiuntiva). Questa si' che sarebbe un'innovazione! Si metterebbero in atto, infatti, una molteplicita' di scambi e
transazioni operative all'interno delle strutture accreditate, che potrebbero produrre benefici (ma anche effetti negativi, se
attuati con ottiche estranee al potenziamento dell'attivita' assistenziale).
fonte: www.buongiorno.it, , 2001
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- Soggetto:
SERVIZI SANITARI MEDICI DI BASECome i cittadini vedono i medici di famiglia:sembra piu'che bene
E' stata realizzata nell'ambito del Forum della ricerca biomedica un'interessante ricerca che illumina alcuni aspetti del
rapporto tra medici di famiglia e pazienti.
Circa il 70% dei cittadini, appena si accorge di un sintomo o disturbo grave, si rivolge al suo medico di famiglia. Solo il
6.7% consulta immediatamente uno specialista e una effettiva minoranza (il 3%) si rivolge, invece, ad un medico di chiara
fama.
Oltre la meta' dei cittadini (60.6%) considera il suo rapporto con il medico di famiglia una vero e proprio rapporto di
collaborazione e, comunque, un rapporto di carattere professionale (per il 30% dei casi). Solo il 3.9% dei cittadini si sente
nei confronti del medico di famiglia in una situazione di subordinazione.
Questi dati sembrano confermare quanto ormai emerge da una molteplicita' di indagini realizzate nell'ultima decade sui
comportamenti sanitari dei cittadini dall'Istat e da altri enti pubblici e privati. E cioe': e' il medico di famiglia a trovarsi di
fronte alle necessita' di prima istanza dei cittadini non appena questi si "ammalano" (ogni 4 settimane i medici di famiglia,
pediatri inclusi, effettuano circa 15 milioni di vere e proprie visite mediche). E i cittadini sembrano complessivamente
"appagati" dai rapporti che intrattengono con i loro medici curanti, fino al punto di considerarli rapporti di reciproca
collaborazione. La "fiducia" e la "assiduita'" sembrano, quindi,caratterizzare l'assistenza dei medici famiglia.
Questo elemento dovrebbe rappresentare il punto di forza per riorganizzare al meglio le attivita' distrettuali
fonte: www.buongiorno.it, , 2001
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- Soggetto:
SERVIZI SANITARI MEDICINA DI BASE MEDICI DI FAMIGLIADove devono essere reperite le risorse finanziarie per pagare le prestazioni sanitarie ?
I programmi che sono stati elaborati, a questo proposito, dalla Casa delle Libertà e dall'Ulivo sono diversi. Per entrare nel
merito delle motivazioni all'origine della divergenza e, quindi, ipotizzare quali potrebbero essere le implicazioni per i medici
di famiglia, occorre chiarire preliminarmente i termini della questione. Le modalità per reperire le risorse sono molteplici: si
puo' ricorrere alle tasse o ad altre fonti di entrata (in passato, ad esempio, esistevano i contributi sanitari), tra cui anche le
cosiddette compartecipazioni alla spesa da parte dei cittadini costituite dai tickets. Una volta individuate le risorse, si tratta
di decidere quali sono le modalita' che devono indirizzarne l'allocazione ed, in particolare, chi le distribuisce e chi le riceve.
Le risorse si possono, infatti, indirizzare ai medici di famiglia in base a specifiche quote per ogni cittadino assistito, ai
laboratori in base alle tariffe delle analisi eseguite, oppure ai cittadini. In quest'ultimo caso, la distribuzione può avvenire con
due modalità distinte: i cittadini potrebbero pagare le prestazioni e venire successivamente rimborsati oppure potrebbero
ricevere una somma forfettaria annua per sostenere i costi di un'eventuale assicurazione integrativa. E' chiaro che le
suddette modalita' possono essere diversamente articolate. Le compartecipazioni, ad esempio, possono riguardare in
modo parziale o totale alcune prestazioni. A questo proposito, si potrebbe stabilire che le compartecipazioni ed i rimborsi
debbano essere uguali per tutti i cittadini, oppure differire in base a parametri, quali il reddito e lo stato di famiglia. E tuttavia
risulta evidente che scelte differenti implicherebbero conseguenze di diversa natura.
Nel programma della Casa delle Liberta' c'e' scritto che verra' introdotto il "buono salute". Il buono "dovra' essere
riconosciuto ad ogni cittadino in modo che possa usufruirne in modo singolo o associato, in mutue o fondi, per acquistare
servizi e prestazioni dalle strutture pubbliche o private, che glieli forniscano al minor prezzo e nel modo piu' qualificato,
efficace ed efficiente". Nel Programma dell'Ulivo, viceversa, non esiste tale previsione e si presume pertanto che venga
confermato l'attuale sistema di finanziamento in vigore. In questo caso, le risorse proverrebbero dal bilancio pubblico sotto
forma di tasse e successivamente assegnate agli operatori (medici di famiglia e altri) affinche' eroghino ai cittadini le
prestazioni richieste. I due sistemi sono effettivamente diversi ed hanno, entrambi, aspetti "positivi" e "negativi". Nel caso
del "buono", si pone il problema di come garantire l'uguaglianza d'accesso ad una medesima tipologia e quantita' di servizi.
Sarebbe necessario, infatti, che i "buoni" corrispondessero al livello di bisogno o di rischio del cittadino e che le mutue o i
fondi fossero obbligati, non solo a non respingere le domande di iscrizione, ma anche a garantire che ai "buoni" consegnati
debba corrispondere il diritto a ricevere le prestazioni necessarie, indicate in un eventuale contratto da stipularsi tra la
mutua ed il cittadino. Un anziano o un malato cronico, ad esempio, dovrebbero ricevere un buono maggiore di un giovane
ed entrambi dovrebbero avere il diritto di iscriversi alla mutua che desiderano, con la garanzia che, utilizzando il buono (in
tal senso sarebbe una sorta di "premio"),si vedranno corrisposte le prestazioni menzionate nel contratto. Nel caso del
finanziamento agli operatori, bisognerebbe far si' che essi "assolvano a pieno" alle loro responsabilità. Essi, infatti, ricevono
salari o quote di risorse per ogni assistito: come si fa ad essere sicuri che essi garantiscano l'assistenza richiesta dai
cittadini quale corrispettivo dello "stipendio" ricevuto ? Nella pratica si ricorre ad un contratto tra il medico e l'ASL, in cui
sono definiti i diritti e i doveri degli operatori mentre alle ASL spetta il compito di eseguire i controlli sul rispetto del
contratto. I due sistemi fanno emergere, in sostanza, problemi diversi: nel primo caso i problemi riguardano i cosiddetti
aspetti della solidarieta' e dell'universalismo, nel secondo caso, invece, le questioni dell'efficienza, in quanto tutto e'
rimesso al successo o meno del sistema dei controlli "burocratici". In ultima analisi, risulta chiaro come un buon contributo
all'efficienza venga automaticamente dalla deontologia del medico curante.
Occorre premettere che i due sistemi di finanziamento possono, in linea teorica, essere organizzati, congegnati ed
applicati in modo tale da produrre il miglior equilibrio possibile tra i vantaggi e gli svantaggi, all'uno e all'altro attribuibili.
Sempre in linea teorica, non esiste un sistema che per definizione e' meglio dell'altro; si tratta sempre di equilibri diversi tra
vantaggi e svantaggi. Detto questo, si e' ora in grado di valutare quali potrebbero essere per i medici di famiglia le
implicazioni derivanti dai due sistemi. Nel caso del finanziamento come e' oggi, i medici hanno quale interlocutore unico lo
Stato, a livello centrale e regionale e fanno riferimento, per la maggior parte dei loro diritti ed obblighi, ad un contratto
nazionale, fatta eccezione per alcune varianti locali, tuttora in vogore. Essi traggono la loro "legittimita'" dal fatto che lo
Stato riconosce l'importanza della medicina di famiglia: ogni cittadino deve avere il suo medico di famiglia ed e' costui che
deve prescrivere le prestazini necessarie. Il reale potere di controllo e' nelle mani della Pubblica Amministrazione e non del
cittadino. Dato il numero dei medici esistenti e la popolazione, ad ogni medico e' garantito uno "stipendio", in quanto ogni
medico ha un proprio numero di assistiti. Il medico non puo' offrire al cittadino prestazioni a pagamento, se queste rientrano
tra quelle previste dal contratto (tranne alcune eccezioni specificamente elencate). Il medico di famiglia puo' esercitare la
libera professione come specialista, ma, in questo caso, deve "subire" la concorrenza degli specialisti e deve rispettare le
limitazioni poste dal contratto. Nel caso di un sistema fondato sui "buoni", invece, tutte le caratteristiche elencate sono in
linea teorica contrapposte: gli interlocutori e i contratti sarebbero diversi a seconda delle mutue e, quindi, diverse
potrebbero essere le condizioni di lavoro e le relative remunerazioni. I controlli passerebbero alle mutue ed e' presumibile
che diverrebbero piu' vincolanti, se non altro perche' ogni mutua, dovendo preoccuparsi di non perdere iscritti, sarebbe
costretta a controllare meglio che gli iscritti siano assistiti in maniera soddisfacente ed e' difficile dire se le mutue
sarebbero piu' o meno intransingenti del SSN rispetto alla possibilita' di allargare la libera professione. Un ultimo aspetto
riguarda la "sicurezza del posto di lavoro": anche se i medici di famiglia sono oggi lavoratori autonomi, il modo in cui il loro
ruolo e' concepito dal SSN, finisce col garantire una quasi totale certezza di non perdere il lavoro. Le mutue potrebbero
essere, al riguardo, meno garantiste. E tuttavia, come si e' detto, piu' possibiliste. In conclusione, accordare la preferenza
all'uno o all'altro sistema, dipende dalle attitudini e dalle effettive preferenze degli operatori ed, in ultima analisi, dalla loro
propensione al rischio.
fonte: www.buongiorno.it, , 2001
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- Soggetto:
SERVIZI SANITARI PIANO SANITARIOPiano Sanitario Nazionale per il triennio 2001-2003
Tra gli addetti ai lavori ha sempre regnato un certo scetticismo rispetto ai piani sanitari. Una volta, subito dopo
l'introduzione del SSN, i piani sanitari erano sempre preannunciati, ma non riuscivano a passare il vaglio del Parlamento.
Negli anni '90, invece, sono stati numerosi i documenti di Piano che hanno visto la luce della loro pubblicazione.
L'ultimo --quello per il triennio 2001-2003 approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 7 febbraio scorso--
rappresenta un "salto di qualita'" rispetto ai piani precedenti. Il salto di qualita' dipende almeno da tre novita':
(a)l'esistenza,finalmente, di un "filo conduttore", ovvero, di una logica argomentativa che tiene insieme e lega le diverse parti
del documento.All'inizio si discutono le cosiddette "determinanti della salute", includendo tra queste un'interessante
trattazione dell'impatto derivante dalla cosiddetta rivoluzione genetica e immunologica.Si passa poi alla definizione delle
strategie cui deve far riferimento l'azione del sistema sanitario e si conclude con due capitoli dedicati al ruolo della ricerca e
della formazione e al decentramento istituzionale e organizzativo;
(b)aver stabilito un legame indissolubile tra ricerca scientifica,formazione e qualita' dell'assistenza;
(c) aver puntualizzato che l'assenza distrettuale e' essenziale per il successo dell'attivita' ospedaliera. La lettura del Piano
e', per cosi' dire, un "must" per tutti gli operatori della sanita'.
- Medici di famiglia e gestione dell'offerta distrettuale nel Piano Sanitario
Tutto cio' che non e' ricovero, trova, in linea di principio,una risposta nel distretto. L'offerta dei servizi distrettuali va, percio',
gestita e e governata. Gestione significa, secondo quanto prescrive il Piano :
(a) qualificare l'accesso attraverso l'ampliamento degli orari di servizio,la costituzione di punti unici di accesso e la
semplificazione delle procedure di prenotazione e selezione delle risposte. In sostanza, cosi' scrive il Piano, si tratta di
garantire un'operativita' per 12 ore in 6 giorni alla settimana;
(b)far funzionare effettivamente i"centri unificati di prenotazione" attraverso il ricorso agli strumenti telematici. "Il
collegammento in rete tra portali sanitari regionali mettera' in grado di interconnettere le diverse offerte di servizi presenti nel
territorio, e ai punti critici di accesso di operare come terminali intelligenti di un sistema integrato su base orizzontale e
verticale";
(c) favorire e incentivare la formazione di "equipes territoriali" collegando "l'attivita' dei singoli medici tra loro e con gli
obiettivi ed i programmi distrettuali".
E' implicito che si auspica l'abbandono del tradizionale modello della "solo practice", per andare effettivamente alla
costituzione delle molteplici forme di medicina associata. Sia permessa almeno una chiosa al dettato del Piano ! Quanto
previsto sara' possibile solo con gradualita' ( si tratta, infatti, di un cambio notevole di gestione e cultura organizzativa da
parte dei medici di famiglia) e con adeguati investimenti economici da parte del SSN.
- La gestione strategica delle risorse: un capitolo del Piano ancora da integrare
L'ultimo capitolo del Piano e' opportunamente dedicato alla"gestione strategica delle risorse".
"Il passaggio dalla sanita' alla salute --cosi' scrive il Piano -- richiede un profondo cambiamento culturale che vede
cointeressati gli operatori, i dirigenti,i titolari di funzioni politiche...". In altre parole, le "risorse umane" sono essenziali al
cambiamento.Dopo aver cosi' esordito, si citano nel Piano i finanziamenti per la riqualificazione dell'offerta sanitaria ( il
programma di investimenti per l'edilizia e le tecnologie sanitarie;il piano per le grandi citta'; i programmi europei;la libera
professione intramuraria; il potenziamento delle strutture di radioterapia; il programma per le cure palliative).
Sembrebbe mancare almeno un qualche accenno ad un necessario intervento economico a sostegno del distretto e,
soprattutto, alla modernizzazione degli "studi" ove operano i medici di famiglia. Passare, infatti, da forme organizzative
elementari a strutture integrate e complesse non puo' essere soltanto opera di buona volonta'. Sono necessarie risorse ed
investimenti per una grande varieta' di attivita' che vanno dalla formazione manageriale alle semplici nozioni inerenti l'uso
delle tecnologie e della telematica,fino all'apprendimento,per cosi' dire, di modalita' "nuove" di "far medicina",quali sono
quelleche che scaturiscono, ad esempio, dalla necessita' di praticare la "evidence based medicine".
Il Piano Sanitario Nazionale e gli ospedali d'Italia
Il capitolo del Piano Sanitario dedicato a questo argomento cosi' esordisce: " dei 1066 ospedali italiani, il28% e' stato
costruito prima del 900, un altro 29% dal 1900 al 1940.Piu' di 500 ospedali hanno mediamente oltre 60 anni d'eta'; si tratta
di un patrimonio in condizioni non adeguate agli standards oggi richiesti, sia per il comfort alberghiero sia per la sicurezza".
Queste parole dicono,forse, qualcosa di piu', che va oltre il semplice rilievo inerente il fatto che le infrastrutture sono
vecchie. Infatti, non si tratta solo di "vetusta'" fisica degli apparati, ma di mancata ed ancora attesa modernizzazione
culturale, gestionale, organizzativa, tecnologica, tecnica,ecc.,ecc.,anche se i progressi in tale direzione sono stati negli
ultimi anni notevoli. Avviare questo programma di modernizzazione implica un'azione congiunta che parte dalle strutture
della formazione ed arriva, attraverso coinvolgimenti progressivi, fino ad una trasformazione fondamentale del lavoro
ospedaliero, in senso tecnico,organizzativo e relazionale. Sarebbe interessante fare un "esperimento mentale" che,rispetto
a singole e identificabili azioni ed interventi di innovazione,individui, per ciascuno di essi, strumenti,mezzi, risorse e tempi
di attuazione.Solo allora si potra' valutare il grado di successo e di speranza attese che si puo' nutrire verso gli obiettivi
cosi' dichiarati del Piano.
• Il "Decalogo dell'Ospedale" nel Piano Sanitario per il 2001-2003
Il modello dell'ospedale del futuro deve obbedire, secondo i dettami del Piano sanitario, ad un "decalogo" di regole e
principi:(a) il valore fondante dell'ospedale deve essere la dignita' della persona e, quindi, la sua centralita' e' essenziale; (b)
l'ospedale deve essere integrato col territorio e la citta'; (c) l'ospedale deve essere un "luogo di socialita'",fondato sul "valore
dell'interdipendenza e della solidarieta'";(d)l'attivita del presidio e' rappresentata dalla triade "efficacia della diagnosi,della
terapia e della riabilitazione";(e) completezza e continuita' assistenziale e,cioe', integrazione del momento del ricovero (
che deve essere un momento caratterizzato dall'impiego di alta tecnologia) con l'intero percorso assistenziale;(f)
correttezza delle cure e dell'uso delle risorse;(g) sicurezza e tranquillita'; (h) innovazione in termini di rinnovamento
diagnostico,terapeutico,tecnologico, informatico; (i) l'assistenza ospedaliera deve essere fondata sulla ricerca e, costante,
deve essere l'aggiornamento professionale e culturale. Chi non condividerebbe questo decalogo ? Si contano a centinaia i
congressi, i seminari e le occasioni culturali che da sempre in Italia hanno propugnato questi principi. Il problema e'
passare dai principi ai fatti. Il merito di questo Piano,forse,sta nell'aver sottolineato con i toni che merita l'importanza del
cambiamento che riguarda l'ospedale. Senza un "ospedale del futuro", infatti, non c'e' modernizzazione del sistema
sanitario nel suo complesso.
• Alcuni dettagli interessanti sull'ospedale del futuro
L'ospedale del futuro deve offrire, secondo il Piano, "alta complessita' tecnologica e gestionale" ed e' diverso dai modelli
esistenti per la dimensione e i costi (va notato, incidentalmente, che e' da condividere l'aver messo assieme l'aspetto
tecnologico con quello gestionale). Le caratteristiche operative nuove sono: (a) elevata capacita' di intervento, ma contenuta
capienza dell'area di degenza; (b) qualita', articolazione delle degenze e contenimento della durata del ricovero. Secondo il
Piano "la novita' e' quella di realizzare a fianco delle unita' di degenza ordinaria ad alto grado di assistenza, con una
permanenza di 2-3 giorni, ad alto costo, altre unita' di degenza a minor grado di assistenza,dove i malati completano il loro
ciclo di cura seguiti dagli stessi medici, ma con costi strutturali di tipo assistenziale piu' bassi". Se si e' ben capito si tratta
del modello conosciuto in letteratura con il nome di "progressive patient care" gia' dagli anni 70. Il Piano aggiunge,inoltre,
che va aumentato lo sviluppo delle prestazioni ambulatoriali, il tasso di utilizzo delle attrezzature, la flessibilita'
dell'utilizzo,l'ottimizzazione dei percorsi di cura,la sicurezza e il contenimento del rischio e, infine, l'integrazione con la
citta' e il contesto culturale. I settori o "ambienti",come si usa dire, che la realizzazione dell'ospedale del futuro coinvolge,
quindi, sono molteplici. Alcuni hanno a che fare con risorse fisiche e strumentali, altri con risorse scientiche e tecniche ed
altri ancora con risorse culturali. Sarebbe interessante vedere se dopo l'approvazione di questo Piano, si avra' la fortuna di
vedere altri tipi di piano: quelli che specificano concretamente come si arriva a realizzare effettivamente l'ospedale del futuro
in Piemonte come in Sicilia e in Veneto come in Basilicata.
fonte: www.buongiorno.it, , 2001
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- Soggetto:
SERVZI SANITARI OSPEDALICambia la configurazione delle attivita' ospedaliere:quali effetti?
Nel 1999 oltre il 35% dei ricoveri ordinari per acuti (quasi 3.500.000) sono riconducibili a 30 DRG (Diagnosis Related
Groups) e, cioe', a 30 "situazioni cliniche" omogenee dal punto di vista delle risorse consumate.
Tra le situazioni cliniche che hanno dato origine al rivovero, quelle piu' frequenti sono: il parto, gli interventi sul cristallino, le
esofagie e miscellanee dell'apparato digerente, l'insufficienza cardiaca e le affezioni mediche del dorso. Queste 5 condizioni
assorbono oltre l'11% dei ricoveri.
La maggior parte di questi ricoveri (tranne quelli riconducibili alle malattie cerebrovascolari,alle psicosi e alle neoplasie) ha
fatto registrare una durata della degenza oscillante intorno ai 4-5 giorni circa.
Nel 1999, inoltre, si e' registrato un cospicuo aumento del numero dei casi trattati in regime di day hospital e attraverso
interventi di chirurgia ambulatoriale. Il 37% di tutti i ricoveri di day hospital e di chirurgia ambulatoriale e', a sua volta,
riconducibile a soli 15 DRG. Questi "semplici" dati sono di grande importanza, se li si legge dal punto di vista delle
implicazioni programmatorie e organizzative. V'e' da rilevare, in primo luogo, che, per quanto l'attivita' clinica possa essere
varia da paziente a paziente, sotto il profilo dell' "intervento" appare molto concentrata ( 30 DRG ordinari e 15 di day
hospital assommano a un terzo di tutta l'attivita'). E, quindi, organizzativamente piu' "semplice" da trattare (con le dovute
eccezioni). Se, poi, una gran parte dell'attivita' non richiede piu' il ricovero,organizzazione, formazione e distribuzione del
personale sono destinati a cambiare.Il dibattito su questi temi e', purtroppo, ancora insufficiente
fonte: www.buongiorno.it, , 2001
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- Soggetto:
STATO REGIONICostituzioni regionali d'Italia e d'Europa a confronto sul Web
Un gruppo di venti ricercatori di enti pubblici e funzionari statali ha fondato nell'estate del 2000 un "Osservatorio sul
federalismo e i processi di governo", il cui scopo è monitorare e analizzare i cambiamenti costituzionali che le Regioni, a
seguito della legge costituzionale n. 1 del 1999, stanno affrontando. Nasce in questo contesto il sito web "Costituzioni
Regionali in Europa", finanziato dall'IReR (Istituto Regionale di Ricerca della Lombardia), che raccoglie in una banca dati
ancora in evoluzione schede informative sulle esperienze di federalismo/regionalismo degli Stati europei. Il materiale
raccolto riguarda le costituzioni regionali dei paesi membri dell'Unione e rappresenta un corpus importante di studi e analisi
per le Regioni italiane che intendano riflettere sulle soluzioni adottate in Europa nella stesura degli statuti regionali.
Accanto a questo sito, che affronta con estrema chiarezza temi costituzionali complessi ed elaborati, ne sta nascendo un
altro per mano della stessa associazione, "Statuti Regionali", che si prefigge di monitorare i lavori preparatori degli Statuti
in Italia. Qui verranno raccolti tutti gli atti e i documenti per l'interpretazione e l'applicazione della legge di riforma
costituzionale e verrà riportato, Regione per Regione, il dibattito politico sulla formazione del nuovo Statuto d'Autonomia.
www.costituzioniregionali.it
www.statutiregionali.it
fonte: municipia.it, , 2001