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LIMITI E PROSSIMA EVOLUZIONE DELLA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA A FAVORE DELLE AREE DEPRESSE

La legge 488/92

Si parla di Nuova Programmazione Economica (NPE) in Italia per intendere l’insieme di leggi e strumenti operativi d’intervento nell’economia posti in essere nel corso degli anni ‘90, dopo la chiusura dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno. In particolare, la legge 488/92 e il successivo Decreto legislativo 96/93 hanno rivoluzionato l’intero sistema di agevolazioni pubbliche alle imprese, sancendo formalmente la fine dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno e sostituendolo con un intervento ordinario che riguarda non più il solo Mezzogiorno, ma tutte le aree depresse del paese. La legge 488/92, peraltro, è una normativa nazionale da utilizzare per il cofinanzamento delle misure di aiuto dell’UE previste, nell’ambito del Quadro Comunitario di Sostegno (QCS) 2000-2006, dal Programma Operativo Nazionale (PON) e dai Programmi Operativi Regionali (POR).

Sinora, a valere sulla legge 488/92, sono state emanate tre generazioni di bandi. Alle prime due appartengono i primi quattro bandi ordinari, due bandi straordinari emessi nel 1999 (di cui uno per le zone terremotate di Umbria e Marche e uno per le regioni cofinanziabili del Centro-Nord: Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Marche ed Umbria) ed uno ordinario riservato ai servizi turistici emanato sempre nel 1999. Alla terza generazione di bandi appartiene l’ottavo bando 2000, che ha ultimato il suo iter procedurale lo scorso mese di aprile con la distribuzione di 4.790 miliardi di incentivi per il Sud, di cui 550 miliardi di fondi nazionali e 4.240 di risorse comunitarie.

Con questo bando si è voluto garantire una maggiore integrazione e complementarità di questa legge con le politiche di sviluppo locale definite nell’ambito della programmazione negoziata (sino ad una riserva del 50% dei fondi da gestire in graduatorie separate) e dei programmi regionali di sviluppo, nonché con le politiche industriali per lo sviluppo dei comparti ad alto contenuto tecnologico e con gli interventi per la ricerca e lo sviluppo. Novità assoluta di questo bando è stata l’estensione dell’intervento al settore delle costruzioni. Da ultimo, appartiene sempre alla terza generazione di bandi il nono bando 2001, emesso con decreto del Ministero dell’Industria nello scorso mese di marzo.

Le agevolazioni previste dalla legge 488/92 consistono in contributi in conto capitale, o meglio in conto impianti. I risultati sinora conseguiti con i primi quattro bandi ordinari non possono essere considerati soddisfacenti, quanto meno in relazione alla capacità degli incentivi concessi di attirare investimenti dall’esterno delle aree depresse. L’esposizione che segue si basa su dati del Ministero dell’industria aggiornati al 30 aprile 2000, data in cui risultano essere state agevolate 17.150 iniziative, per investimenti complessivi pari a 55.316,6 miliardi di lire, di cui circa 18.000 miliardi di agevolazioni, per un incremento occupazionale previsto in 221.560 unità.

Per il solo Mezzogiorno, l’aggiornamento si riferisce al 31 dicembre 1999, quando risultavano ammesse a finanziamento agevolato 10.515 iniziative, per un totale di 34.618,4 miliardi di investimenti (pari al 16% degli investimenti fissi lordi nel periodo 1996-98), di cui 16.098,1 miliardi di agevolazioni, ed un’occupazione prevista di 150.000 unità. Perciò, l’agevolazione media per ogni nuovo occupato è stata di 82 milioni di lire (107 milioni nel Mezzogiorno e 35 milioni nel Centro- Nord). Sul totale di 55.316,6 miliardi d’investimenti, al 30 aprile 2000 ne risultavano realizzati circa 26.000, che avevano dato luogo ad erogazioni per 12.447 miliardi, di cui oltre 9.000 miliardi già percepiti. Al Mezzogiorno fa capo il 59% del numero delle iniziative, il 60% degli investimenti agevolati e l’86% delle agevolazioni. La maggiore incidenza delle agevolazioni rispetto agli investimenti si spiega con la maggiore intensità d’intervento riservata al Mezzogiorno dall’UE.

Come si è detto, la distribuzione dei fondi del bando 2000 si è conclusa nel mese di aprile 2001. Alla Sardegna erano stati attribuiti 618 miliardi di lire, di cui 123 miliardi erano stati riservati all’Ogliastra e al Villacidrese in una graduatoria speciale. L’attribuzione dei fondi, infatti, è avvenuta distinguendo tre tipi di graduatorie: quella ordinaria aperta a tutte le imprese industriali e del settore delle costruzioni, quella speciale riservata a particolari settori e/o aree territoriali ed una terza relativa ai grandi progetti per il Sud. Dalla graduatoria finale ordinaria emerge che in Sardegna sono state agevolate 226 iniziative su un totale di 429 domande ammesse in istruttoria. Nella graduatoria speciale, invece, riservata, come si è detto, all’Ogliastra e al Villacidrese, sono state ammesse a contributo iniziative su un totale di 51 domande ammesse in istruttoria. Infine, nella graduatoria dei grandi progetti per il Sud è stata ammessa a contributo una sola iniziativa (L’Unione Editoriale) per poco meno di 23 miliardi di lire.

Peraltro, mentre nella graduatoria ordinaria risulta una maggiore equidistribuzione dei contributi, nella graduatoria speciale oltre il 70% delle disponibilità è stato attribuito ad appena quattro iniziative, di cui una con 22 miliardi e due con oltre 17 miliardi di contributi.

Nei primi quattro anni di operatività della legge 488/92 in Sardegna, sono state presentate 457 domande, per un totale di investimenti pari a 2.100 miliardi, dei quali 1.130 miliardi agevolati, con una previsione iniziale di 7.000 posti di lavoro aggiuntivi.

A consuntivo, le iniziative ultimate alla fine dello scorso anno sono state 154 (il 33,7%), quelle in corso di realizzazione 124 (27%) e quelle non avviate 179 (39%). Tra queste ultime, 17 iniziative si riferiscono ancora al primo bando, per un totale di 200 miliardi di investimenti, per le quali sono scaduti i termini per la realizzazione dei programmi. La mancata utilizzazione significa sia la perdita delle agevolazioni per le imprese, sia la perdita dei fondi europei, che non possono essere recuperati nei successivi bandi.

Per quanto riguarda la loro distribuzione territoriale, il 33,6% delle domande riguarda la provincia di Cagliari, il 29,6% quella di Nuoro, l’11,3% quella di Oristano e il 25,5% quella di Sassari. Il 70% delle agevolazioni è andato alle piccole imprese, il 10,4% alle medie ed il restante 19,2% alle grandi.

Come si è detto, il 30 marzo scorso è stato emanato il decreto ministeriale col nono bando 2001, che prevede anch’esso la formazione di due graduatorie, ordinaria e speciale, oltre ai grandi progetti per il Sud, ed ha fissato al 30 giugno i termini per la presentazione delle domande. Alla Sardegna sono state attribuite risorse pari a 322 miliardi di lire, di cui la Giunta ha deciso di riservare il 25% ad una graduatoria speciale di settore. Quest’ultima costituisce una riserva a favore del settore della new economy, cioè dell’informatica, dell’hardware e delle telecomunicazioni, e 36 delle biotecnologie. Di fronte ai nuovi indirizzi di sviluppo dell’economia mondiale, la R.A.S. ha voluto privilegiare politiche economiche orientate a favorire la ricerca e l’introduzione di nuove tecnologie nel tessuto produttivo regionale.

Poiché la legge 488/92 è la principale norma d’incentivazione finanziaria a favore del Mezzogiorno, quantomeno quella che distribuisce la maggiore quantità di risorse pubbliche, diventa decisivo il giudizio sulle sue capacità di amplificare gli investimenti nelle aree arretrate. Ma tale giudizio, come si è già detto, non è positivo. Infatti, nella maggior parte dei casi, i soggetti incentivati non solo avrebbero comunque fatto l’investimento anche senza l’agevolazione, ma lo avrebbero fatto proprio nella stessa regione o area arretrata, per cui l’agevolazione serve solo a sostituire una parte del finanziamento che altrimenti si sarebbe realizzata con mezzi propri e/o a ridurre la quota parte di finanziamento per la quale ci sarebbe stato il normale ricorso al mercato del credito.

Da un’indagine campionaria svolta dall’Istituto Tagliacarne per conto del Ministero dell’Industria, emerge che solo nel 15% dei casi l’agevolazione della 488/92 è stata determinante (4%) o comunque significativa (11%) per la decisione d’investimento, nel senso che senza l’agevolazione lo stesso investimento non si sarebbe effettuato oppure ne sarebbe stato stravolto il suo contenuto. Nell’80% dei casi (71% nel Mezzogiorno), invece, l’investimento si sarebbe realizzato ugualmente anche senza l’agevolazione, nella stessa identica misura nel 41% dei casi (27% nel Mezzogiorno) o al massimo in misura inferiore nel 39% dei casi (44% nel Mezzogiorno). Quest’ultima fattispecie, anzi, lascia il dubbio che nella pratica l’investimento spesso possa essere sovrastimato proprio per ottenere una maggiore agevolazione.

Infine, solo il 7% delle imprese intervistate risponde di aver effettivamente deciso la localizzazione dell’investimento come conseguenza diretta dell’accesso all’agevolazione, mentre nell’80% dei casi l’investimento si sarebbe localizzato nella stessa area anche a prescindere dall’agevolazione.

Ciò conferma che la capacità della legge 488/92 di attrarre nuovi capitali d’investimento nelle aree depresse del paese è molto debole. Peraltro, la scarsa mobilità del capitale esistente è limitata alle imprese di maggiori dimensioni, disposte comunque a correre i rischi che tale mobilità comporta. Pertanto il maggiore regime di aiuti riservati al Mezzogiorno da parte dell’UE, per la cui concessione si fa riferimento appunto alla legge 488/92, non è di per sé sufficiente ad attirare in quest’area maggiori investimenti o, quantomeno, il volume d’investimenti che sarebbe necessario a sostenere uno sviluppo più accelerato di quello del Centro-Nord.

La programmazione negoziata Inizio Pagina

Uno degli strumenti cardine della NPE è costituito dalla “programmazione negoziata” (contratti d’area, patti territoriali e contratti di programma), cioè da quel sistema d’interventi ordinari provenienti dal basso (comunità locali), che si fonda sul partenariato sociale ed è sostenuto con particolare interesse sia dall’UE, sia dalle parti sociali; queste ultime, con il Patto per il lavoro del settembre 1996, hanno espressamente contemplato gli strumenti negoziali come indispensabili per lo sviluppo delle aree arretrate.

Con questi lo Stato, attraverso i ministeri del Tesoro e dell’Industria, finanzia fino a quasi l’80% (talvolta si va anche oltre) il costo dell’investimento iniziale di un’azienda che s’insedia in un dato territorio dove si vuole promuovere lo sviluppo economico, fissa modi e tempi degli interventi, privilegiando la rapidità di esecuzione dei progetti, ed in tal modo crea posti di lavoro.

I contratti d’area

Il modesto arco temporale di operatività dei contratti d’area non consente ancora di dare una valutazione di merito in termini di efficacia ed efficienza relativamente alle iniziative imprenditoriali promosse. Tuttavia, dalla situazione esistente all’inizio del 2000, emerge che nei 15 Contratti esistenti sono state realizzate 444 iniziative imprenditoriali, localizzate prevalentemente nel Mezzogiorno, che comportano circa 4.954 miliardi di lire d’investimenti ed oltre 16.000 nuovi posti di lavoro. L’ammontare degli aiuti pubblici impegnati è di 3.370 miliardi (pari quindi al 68% degli investimenti), di cui il 15% già erogato.

Per ogni nuovo occupato previsto, l’investimento medio è di 306 milioni (324 nel Mezzogiorno e 181 nel Centro-Nord), mentre l’ammontare medio di risorse pubbliche impegnate è pari a 208 milioni (233 nel Mezzogiorno e 41 nel Centro-Nord). Ma la variabilità esistente tra un contratto e l’altro è molto grande: si va dal contratto d’area Torrese-Stabiese, dove per creare un posto di lavoro occorrono 518 milioni di lire, al contratto di Terni-Narni-Spoleto dove invece ne occorrono solo 143 milioni.

Da un’analisi comparata delle iniziative aventi le stesse caratteristiche tipologiche con quelle agevolate dalla legge 488/92 (ovvero, solo con riguardo alla realizzazione di nuovi impianti e alla conseguente creazione di nuova occupazione) e limitatamente agli investimenti compresi nel 3° e 4° bando della legge 488/92 (quindi, limitatamente ai progetti presentati entro il 1° semestre 1998), emerge che l’investimento medio per occupato nei contratti d’area è di 276,1 milioni di lire (contro 152,3 milioni nel caso della legge 488/92), l’agevolazione per occupato è di 193,4 milioni (contro 80,8) e l’incidenza dell’agevolazione sul totale dell’investimento raggiunge il 70% (contro il 53% della legge 488/92), percentuale doppia rispetto all’intensità massima prevista dall’UE per le imprese di grandi dimensioni nel Mezzogiorno.

In Sardegna sono stati approvati tre contratti d’area: quello di Ottana, il contratto di Sassari- Alghero-Porto Torres e quello del Sulcis-Iglesiente. Il contratto di Ottana è stato promosso dall’Associazione degli industriali di Nuoro ed è stato sottoscritto il 15 maggio 1998 dai rappresentanti della Presidenza del Consiglio, dei Ministeri del Lavoro, del Tesoro, dell’Industria, della Regione Sarda, della Provincia di Nuoro, dei comuni di Ottana e Bolotana, delle organizzazioni sindacali e delle imprese titolari dei progetti d’investimento.

Il 18 febbraio 1999 è stato sottoscritto il primo protocollo aggiuntivo “per l’insediamento di iniziative che interessano settori produttivi caratterizzati da innovazione tecnologica, in grado potenzialmente di innescare un processo virtuoso di aggregazione di nuove attività e una ripresa dell’occupazione”. Il Responsabile Unico è individuato nel Presidente della Provincia di Nuoro.

Il contratto prevede la realizzazione di 35 iniziative imprenditoriali, la maggior parte delle quali appartenenti al settore manifatturiero, di cui 29 definite in sede di primo protocollo aggiuntivo, e investimenti per 382,2 miliardi di lire. Le iniziative sono finanziate in parte con fondi CIPE, in parte con fondi della legge 488/92 e due con altre leggi d’incentivazione.

A fronte di 1.362 occupati previsti a regime, gli investimenti programmati da questo contratto d’area ammontano a 382 miliardi di lire, di cui 306 miliardi di risorse pubbliche (pari quindi all’80% dell’investimento previsto) quasi interamente provenienti dai fondi CIPE. Il costo iniziale per ogni nuovo posto di lavoro creato, perciò, è di 281 milioni, di cui 225 milioni di risorse pubbliche.

All’inizio del 2000, le risorse pubbliche complessivamente erogate per il contratto di Ottana ammontavano a 79,8 miliardi di lire (pari al 26% delle risorse pubbliche totali previste), di cui circa 14 miliardi a favore di iniziative che hanno usufruito di leggi d’incentivazione nazionale e 65,8 a favore d’iniziative che hanno beneficiato di fondi CIPE. A fronte di tali erogazioni pubbliche, però, risultavano occupati solamente 53 addetti, pari a meno del 4% dell’occupazione totale originariamente prevista.

Il contratto d’area di Sassari-Alghero-Porto Torres è stato sottoscritto il 15 maggio 1998, a seguito della richiesta avanzata dai sindacati e dagli imprenditori locali, e nel marzo dell’anno successivo è stato firmato il primo protocollo aggiuntivo. La situazione occupazionale di quest’area si è aggravata a seguito della crisi del settore chimico e, in particolare, dopo la chiusura del settore fibre del polo chimico Enichem di Porto Torres. Inoltre, il completamento degli interventi di realizzazione della centrale ENEL di Fiume Santo ha provocato un’elevata espulsione di manodopera dal settore delle costruzioni.

I soggetti promotori, oltre ai rappresentanti della PA statale e regionale, sono costituiti dalla Provincia di Sassari e dai comuni di Sassari, Alghero e Porto Torres, dalle organizzazioni sindacali, dal Consorzio ASI di Sassari e dalle imprese titolari dei progetti d’investimento.Il Responsabile Unico è individuato nel Presidente della Provincia di Sassari.

Il contratto prevede la realizzazione di 47 iniziative imprenditoriali, di cui 40 definite in sede di primo protocollo aggiuntivo, ed investimenti per 193,1 miliardi di lire, di cui 132 di risorse pubbliche (68%). Delle 47 iniziative, 40 sono finanziate con fondi CIPE, due con la legge 488/92 e 5 con leggi regionali.

Nell’ambito di questo contratto, si prevede un’occupazione aggiuntiva a regime di 822 unità lavorative, per cui ciascun nuovo posto di lavoro verrà a costare 235 milioni, di cui 161 di risorse pubbliche. Nel corso del 2000, le iniziative comprese nel contratto avevano realizzato totalmente od in parte il programma d’investimenti previsti e in alcuni casi avviato l’attività produttiva. L’occupazione agli inizi dell’anno, però, era ancora ferma a 127 unità lavorative.

Infine, il contratto d’area del Sulcis-Iglesiente è stato sottoscritto il 22 giugno 1999 a seguito della richiesta avanzata dai sindacati e dagli imprenditori locali. L’area del Sulcis-Iglesiente ha subito sin dagli anni ‘70 un forte processo di deindustrializzazione, che ha interessato in special modo il settore minero-metallurgico, con una forte espulsione di occupazione. La natura e la gravità della crisi hanno imposto la necessità di identificare specifiche azioni per avviare su nuove basi il processo di sviluppo del territorio.

I soggetti promotori, oltre ai rappresentanti della PA statale e regionale, sono costituiti dalla Provincia di Cagliari e dai comuni di Buggerru, Calasetta, Carbonia, Carloforte, Domusnovas, Fluminimaggiore, Giba, Gonnesa, Iglesias, Masainas, Musei, Narcao, Nuxis, Perdaxius, Piscinas, Portoscuso, Sant’Anna Arresi, Sant’Antioco, San Giovanni Suergiu, Santadi, Siliqua, Teulada, Tratalias, Villamassargia, Villaperuccio e dalle imprese titolari dei progetti d’investimento. Il Responsabile Unico è individuato nel Presidente della Provincia di Cagliari.

Il contratto prevede la realizzazione di 14 iniziative imprenditoriali, di cui 8 finanziate con fondi CIPE. Sono previsti investimenti totali per 116 miliardi di lire, di cui 67 miliardi di risorse pubbliche. Poiché l’occupazione aggiuntiva prevista è di 370 unità lavorative, il costo per posto di lavoro è di 313 milioni, di cui 181 di risorse pubbliche.

Nel complesso, per quanto riguarda i tre contratti d’area stipulati in Sardegna, sono previsti 900 miliardi di contributi a fronte di un investimento complessivo di 1.500 miliardi, che dovrebbe creare a regime circa 1.500 nuovi posti di lavoro.

I patti territoriali Inizio Pagina

Esistono tre tipologie di patti, che si distinguono per le diverse modalità procedurali. Alla prima appartengono i cosiddetti “patti i prima generazione”, approvati dal CIPE tra il 1996 e il 1997. In tutto questi patti sono 12; alla data di approvazione essi prevedevano la realizzazione di 435 iniziative per 1.245,5 miliardi di investimenti, con un onere a carico dello stato di 910,6 miliardi ed un’occupazione aggiuntiva di 6.983 addetti. A seguito di rinunce e revoche, al 31 marzo 2001, risultavano ancora in essere 335 iniziative, per 970 miliardi di investimenti (708,4 miliardi di onere per lo stato) ed un’occupazione prevista di 5.385 nuovi addetti.

In Sardegna, tra i patti di prima generazione è stato inserito quello di Nuoro, con una previsione iniziale di 16 iniziative produttive ed una infrastrutturale, per un investimento complessivo di 53.858,1 miliardi di lire, quasi interamente finanziati a carico dello stato (44.371 miliardi). Di questi, gli investimenti produttivi previsti erano solo 985 milioni, mentre i restanti 52.873 miliardi si riferivano alla costruzione di infrastrutture. L’occupazione aggiuntiva era prevista all’origine di 198 unità, con un costo medio per nuovo occupato di 267 milioni di lire.

Al 31 dicembre 1999, solo 9 delle iniziative produttive previste dal patto di Nuoro risultavano decretate, insieme all’unica iniziativa infrastrutturale, delle quali 7 risultavano già avviate. Il 31% delle iniziative iniziali, invece, avevano rinunciato o erano state escluse, facendo così cadere una parte dell’investimento originario, per un importo superiore ai 25 miliardi di lire, ed una corrispondente parte dell’occupazione, quantificata in 115 unità. La situazione aggiornata al 31 marzo 2001 era la seguente: le iniziative decretate risultano 12, per 22 miliardi di investimenti (di cui 17,6 di onere dello stato) per 83 nuovi occupati. A tale data, le erogazioni hanno raggiunto il 58% delle risorse, che risulta essere la percentuale di erogazione più elevata tra tutti i patti di prima generazione.

La seconda tipologia comprende i “patti di seconda generazione”, che include sia 39 patti approvati sino al 1999, sia 21 patti approvati nel corso del 2000. Con riferimento specifico ai primi 39 patti, 19 sono localizzati nel Centro-Nord e 20 nel Mezzogiorno, nessuno in Sardegna. Le erogazioni al 31 marzo 2001 risultavano pari a 404,5 milardi di lire, pari al 16,4% delle risorse assegnate.

I 21 patti approvati nel corso del 2000 sono tutti localizzati nel Mezzogiorno e prevedono 2.164 miliardi di investimenti (di cui 1.441 miliardi di onere a carico dello stato) ed un’occupazione aggiuntiva di 7.465 unità lavorative.

In Sardegna, nell’ambito della seconda generazione di patti, sono stati approvati quelli dell’Area vasta di Cagliari, del Sarrabus-Gerrei, della Marmilla-Trexenta, dell’Arburese-Villacidrese e della Bassa Gallura. Tali patti sono stati approvati dalla delibera CIPE del 15 febbraio 2000. In istruttoria, inoltre, ci sono ancora i patti di Planargia, Nuoro (montagna) e Anglona, per i quali si prevedono investimenti per complessivi 390 miliardi di lire, di cui 300 finanziati con fondi pubblici, ed un’occupazione a regime stimata in 1.100 unità lavorative.

Il patto dell’Area vasta di Cagliari prevede investimenti per 109 miliardi (di cui 76 su fondi pubblici) ed un’occupazione di 313 unità lavorative. Il patto del Sarrabus-Gerrei, invece, prevede investimenti per 109 miliardi (74 pubblici) e l’occupazione di 366 unità; quello della Marmilla e Trexenta, investimenti per 57 miliardi (40 pubblici) e un’occupazione di 158 unità; quello dell’Arburese e Villacidrese investimenti per 55 miliardi (38 pubblici) e un’occupazione di 190 unità; quello della Bassa Gallura, infine, prevede investimenti per 220 miliardi (100 pubblici) e un’occupazione di 700 unità.

L’eccessiva burocratizzazione e la non chiarezza delle procedure hanno determinato l’abbandono di molte iniziative originariamente inserite nella prima categoria di patti. Dalle risultanze delle verifiche sul campo e dall’analisi dei rapporti semestrali inoltrati al Ministero dell’Industria dai responsabili dei singoli patti, infatti, si rileva che sul totale delle iniziative si è verificato il 28% di rinunce e/o esclusioni, mentre al 1 gennaio 2000 il 15% dei progetti era ancora in fase d’istruttoria. Quanto al restante 57% delle iniziative che hanno avuto il decreto provvisorio di concessione, un ulteriore 28% di esse non risultavano ancora avviate. Perciò, a distanza di quattro anni dalla loro approvazione, solo il 43% delle iniziative inizialmente previste dai patti di prima generazione risultano essere effettivamente avviate. In termini assoluti, dunque, risultano avviate 177 iniziative su un totale di 412.

Anche con riguardo a 12 patti di seconda generazione sottoposti a monitoraggio dal Ministero dell’Industria, nonostante lo snellimento delle procedure amministrative rispetto ai patti di prima generazione, l’avvio delle iniziative procede a rilento. Dal 1998 al 2000, perciò, si sono resi necessari numerosi provvedimenti volti a snellire ulteriormente le procedure e a velocizzare le erogazioni, tra cui rientrano provvedimenti volti ad accelerare l’attività istruttoria, al riutilizzo di risorse derivanti da revoche e alla revoca delle iniziative non avviate entro 16 mesi dalla trasmissione del decreto alla Cassa Depositi e Prestiti.

Il titolare ultimo dei controlli e delle decisioni è il Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione (DPSC) del Ministero del Tesoro, ma ai controlli contribuiscono numerosi altri organismi, tra cui il soggetto responsabile dei patti, il Ministero dell’Industria, il CIPE e le Unità di valutazione e verifica degli investimenti pubblici, centrale e regionali. Le informazioni dovrebbero confluire nel Sistema di monitoraggio degli investimenti pubblici, in pratica una banca dati in tempo reale, e poi essere trasmesse alla Cabina di regia e alla Sezione centrale dell’Osservatorio degli investimenti pubblici del Ministero dell’Industria e alle amministrazioni centrale e regionali.

Il rischio è che questa costruzione burocratica si riveli inefficiente. I controlli effettuati dalle Unità di valutazione, infatti, sono pochissimi, per cui non è quasi mai possibile accertare se gli investimenti realizzati corrispondano a quelli programmati in fase d’istruttoria. Secondo la Corte dei conti, il DPSC non si è neppure posto il problema di misurazione degli scostamenti dei risultati ottenuti rispetto a quelli preventivati. Di conseguenza, risulta impossibile quantificare i risultati macroeconomici dei patti, soprattutto in termini di occupazione.

Vengono segnalati, inoltre, abusi nelle erogazioni e nell’utilizzo dei fondi anche senza il regolare avvio delle opere programmate; ciononostante, nessun provvedimento di revoca dei finanziamenti concessi era stato emesso alla fine del 2000 dal DPSC su un totale di circa 2000 iniziative.

Pertanto, nel complesso, i patti territoriali di prima e seconda generazione sono in tutto 72. Essi prevedono 9.508,1 miliardi d’investimenti (4.823,3 di oneri per lo stato) per un’occupazione aggiuntiva di 36.128 unità lavorative. Le iniziative sono di solito di piccola o media dimensione (investimento medio 2,8 miliardi di lire, occupazione media 11 addetti, con un investimento medio per nuovo occupato di 263 milioni di lire).

Infine, la terza tipologia di patti include i cosiddetti “patti europei per l’occupazione”. Si tratta di 8 patti cofinanziati dall’Unione Europea, per i quali sono stati impegnati 799,6 miliardi di lire, per un’occupazione prevista di 5.204 unità lavorative. A questi si aggiungono altri due patti (dell’Abruzzo e dell’Appennino Centrale) finanziati solo con risorse nazionali.

In Sardegna, il patto di Oristano è l’unico ad essere cofinanziato dall’UE; esso prevede investimenti complessivi per 147 miliardi di lire, di cui 100 miliardi di erogazioni pubbliche, per un’occupazione prevista di 270 unità lavorative. Al 31 dicembre del 2000, il patto di Oristano aveva cumulato il 34,4% delle erogazioni.

I patti europei per l’occupazione si stanno rivelando essere quelli che procedono più speditamente rispetto alle prime due categorie di patti. Nell’arco di meno di un anno dall’approvazione da parte della Commissione europea, infatti, sono stati assunti tutti gli impegni e sono iniziate le prime erogazioni. Ciò è dovuto all’assistenza tecnica prestata direttamente dall’Unione europea nell’elaborazione dei patti e alle procedure particolarmente celeri da essi previste, gestite direttamente dal Soggetto Intermediario Locale.

Oltre ai patti “generalisti”, risultano già finanziati con decreti emessi tra l’11 aprile e l’11 maggio 2001, nove patti tematici: Medio Campidano, Baronie, Tharros 2000, Riviera di Gallura, Basso Sulcis, Sarcidiano Verde, Anglona Verde, Area Iglesiente, Goceano.

Tuttavia, già nelle riunioni della Conferenza Stato-Regioni del 10 febbraio e del 3 agosto 2000 si è stabilito, al fine di soddisfare l’esigenza condivisa di finanziamento integrale dei patti territoriali presentati entro il 10 ottobre 1999, di utilizzare le risorse relative al POR settore industria delle Regioni dell’Obiettivo 1 ed in particolare della Regione Autonoma Sardegna per il finanziamento delle infrastrutture. Successivamente, con delibera del 4 luglio 2001 della Giunta Regionale, si è stabilito che anche per i patti tematici presentati entro il 15 maggio 2000 l’onere relativo al finanziamento delle infrastrutture sia posto carico della Regione Autonoma Sardegna, fermo restando la verifica di coerenza con il POR.

A metà dell’anno scorso, soltanto il 57% delle imprese inserite in un patto tra quelli approvati in Sardegna avevano ottenuto il decreto di concessione e beneficiato dei finanziamenti, ma il 28% di queste non aveva ancora avviato l’attività produttiva per la quale erano stati concessi i finanziamenti.

Il Ministero dell’Industria ha sottoposto a verifica sul campo 92 iniziative sul totale di 781, scegliendone 48 inserite nei patti di prima generazione e nei patti di seconda generazione. Da tale verifica, risulta che la maggior parte delle iniziative è stata proposta da artigiani e piccole imprese, che hanno inteso, attraverso questa forma d’incentivazione, compiere un salto di qualità. Ma non si sono attirati nuovi investimenti dall’esterno dell’area arretrata cui il patto si riferisce. Peraltro, sono rari i casi di aziende inserite in filiere industriali e molto scarse le sinergie tra imprese dello stesso patto.

Si può sostenere, pertanto, che anche questo nuovo strumento di programmazione negoziata, al pari dei contratti d’area, mentre è risultato gradito alle amministrazioni locali, in quanto affida loro un nuovo protagonismo istituzionale, nonché alle parti sociali, che fanno valere le loro istanze nel momento della concertazione, è risultato meno gradito alle imprese. Le grandi imprese esterne all’area e, soprattutto, le imprese multinazionali sono risultate del tutto assenti. Dove qualche risultato apprezzabile è stato conseguito, fondamentale per il successo del patto si è dimostrata l’esperienza e la bravura del soggetto responsabile, nonché il suo radicamento sul territorio.

I contratti di programma Inizio Pagina

Oltre ai due contratti di programma in essere, Saras I e II, di recente il CIPE con delibera dell’8 marzo 2001 ha approvato un contratto di programma presentato dal Consorzio Sandalia. Il progetto, che si svilupperà nel nuorese, è proposto da un consorzio di 27 imprese che operano nel settore del turismo. Si tratta di un’operazione di aumento e riqualificazione dell’offerta turisticoalberghiera della zona. Sono inoltre previste otto iniziative immateriali gestite direttamente dal consorzio quali la creazione di una banca dati, la teleprenotazione, l’adesione delle imprese alla carta europea per il turismo sostenibile ed altro. L’investimento previsto è di oltre 215 miliardi, con un onere per lo Stato di circa 70 miliardi e un cofinanziamento da parte della regione Sardegna di circa 30 miliardi. A regime il contratto di programma produrrà una nuova occupazione diretta di 672 addetti, fra fissi e stagionali.

Con delibera del 4 aprile 2001 il CIPE ha inoltre deliberato un contratto di programma presentato dal Consorzio Latte. L’investimento previsto è di oltre 248 miliardi, con un onere per lo Stato di circa 94 miliardi e un cofinanziamento da parte della regione Sardegna di circa 29,4 miliardi.

Con successiva delibera del 3 maggio 2001 il CIPE ha poi approvato altri due nuovi contratti di programma. Il primo riguarda la reindustrializzazione dell’area di Arbatax, di proprietà della Nuova Cartiera di Arbatax, in amministrazione straordinaria, attraverso l’iniziativa avanzata dalla Nebiolo Printech s.r.l. per la ripresa produttiva della cartiera, nonché per la parziale riallocazione dei lavoratori già occupati (103 unità riassorbite su complessive 123 unità previste). La proposta è stata avanzata di concerto con il Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato ed è previsto un cofinanziamento a carico della Regione Sardegna del 45% delle agevolazioni ammissibili, pari a miliardi.

Il secondo riguarda la società Atlantis e contestualmente l’aggiornamento del contratto Saras II. Tali contratti hanno origine in una serie di aggiustamenti societari che vedono la società Atlantis cedere a Saras Lab. le proprie partecipazione relative al contratto Saras, di cui viene chiesta la rimodulazione (il contratto Saras prevede ulteriori investimenti in raffineria e per la Cittadella 44 tecnologica, con un onere di finanza pubblica di 100 miliardi ed una occupazione complessiva di 335 unità). Contestualmente la società Atlantis, con questo nuovo contratto, prevede la creazione di un centro di eccellenza per lo sviluppo del territorio. Le iniziative proposte riguardano un laboratorio, un centro ed un progetto di ricerca industriale da realizzare nei comuni di Cagliari e Sestu (CA), con un onere complessivo a carico della finanza pubblica di 28 miliardi ed una occupazione complessiva di 110 unità.

I risultati più recenti delle politiche di sviluppo regionale Inizio Pagina

Oltre alle indagini sui singoli strumenti d’incentivazione si può disporre della Relazione annuale sulla valutazione dell’efficacia e del rispetto delle norme d’incentivazione alle attività economiche e produttive, curata dal Ministero dell’Industria, d’intesa coi Ministeri del Tesoro, del Bilancio e della Ricerca Scientifica. L’indagine ha censito 92 provvedimenti delle amministrazioni centrali e 373 di quelle regionali. La distribuzione territoriale degli stanziamenti riguarda per il 52% le aree depresse, per il 14% il solo Mezzogiorno e per il 30% l’intero territorio nazionale, mentre per il restante 4% riguarda interventi locali. Gli impegni, invece, si distribuiscono nel 51% dei casi a favore delle aree depresse/Mezzogiorno, nel 44% a favore dell’intero territorio nazionale e nel restante 5% a favore di interventi locali. Nel Centro-Nord si concentrano il 67,2% degli investimenti agevolati, con il 75% delle domande di agevolazione approvate, il 46,8% delle agevolazioni ed il 40% dell’incremento occupazionale previsto. In particolare, nel quinquennio ‘95-99, le iniziative complessivamente agevolate comportano la realizzazione di investimenti per 242.467 miliardi di lire, di cui però solo 221.384 miliardi sono distribuibili territorialmente. Di questi, solo il 32,8%, pari a 72.629 miliardi, è localizzato nel Mezzogiorno.

Peraltro, la tendenza a privilegiare il Centro-Nord nella distribuzione delle agevolazioni si va accentuando col tempo. Ciò è confermato dal fatto che nel 1999 le domande di agevolazione approvate hanno fatto riferimento a 66 norme d’incentivazione: di esse 44 intervengono in tutto il territorio nazionale e hanno portato all’approvazione di circa 147.000 domande (95% del totale delle approvazioni), con un’incidenza del Centro-Nord di circa il 90%. Solo 9 provvedimenti hanno interessato il Mezzogiorno/aree depresse, con circa 6.500 domande, mentre i restanti 13 hanno riguardato interventi a carattere locale.

Perciò, anche se l’intensità dell’agevolazione nel Mezzogiorno è superiore a quella del Centro- Nord, non vi è dubbio che l’attuale politica di sviluppo regionale di fatto continui a privilegiare il Centro-Nord rispetto al Mezzogiorno. Il dato statistico rivela, infatti, che anche se la legge 488/92 è orientata decisamente a favore del Mezzogiorno, sia nella distribuzione dei fondi d’incentivazione, sia nella maggiore intensità d’aiuto, esiste tuttavia una restante normativa d’incentivazione frammentata in una miriade di norme che nella sostanza si risolve in un privilegio del Centro-Nord. Si può quindi sostenere che la trasformazione dell’intervento straordinario in ordinario non ha certamente favorito il Mezzogiorno; peraltro, essa ha definitivamente eliminato il carattere di aggiuntività della politica di sviluppo a favore del Sud.

Ciò è confermato anche dall’intensità degli investimenti pro capite, data dal rapporto tra il totale degli investimenti agevolati e la popolazione residente dell’area. Nella media nazionale tale rapporto è di 996.000 lire, ma il valore del Mezzogiorno (934.000 lire) è più basso di quello del Centro- Nord (1.031.000 lire). Peraltro, la classifica a livello regionale di questo indicatore, anche se vede in testa due regioni del Mezzogiorno, il Molise (1.664.000) e la Basilicata (1.571.000), trova al 3° e 4° posto due regioni del Nord, il Friuli-Venezia Giulia (1.391.000) e la Lombardia (1.327.000). Al 5° posto si situa la Calabria (1.314.000), seguita ancora da due regioni del Centro, la Toscana (1.278.000) e l’Umbria (1.263.000).

Evoluzione e regionalizzazione degli strumenti di programmazione negoziata Inizio Pagina

Con l’avvio del processo di decentramento e di trasferimento di funzioni e competenze, alle Regioni – conformemente a quanto disposto dagli articoli 18 e 19 del d.lgs 31 marzo 1998 n.112 – verranno affidate le competenze in materia di attuazione degli strumenti di programmazione negoziata, fatti salvi i contratti di programma relativi ad interventi di “rilevanza nazionale”, che rimangono di competenza dell’amministrazione statale. In particolare, la delibera CIPE del 4 aprile 2001 indica la data del 1 gennaio 2002 per l’attribuzione alle Regioni delle risorse aggiuntive per le aree depresse stanziate in Finanziaria e destinate agli strumenti di programmazione negoziata.

Gli indirizzi del Ministero del tesoro in merito al suddetto processo di regionalizzazione tengono conto dell’introduzione del credito di imposta (legge finanziaria n.388 del 23 dicembre 2001, art.8) che modifica il ruolo degli strumenti di programmazione negoziata, non più necessitati ad assicurare alle imprese l’incentivazione finanziaria dei loro investimenti.

Così i benefici degli strumenti di programmazione negoziata per le imprese potranno riguardare i seguenti tre profili:

- la possibilità di programmare e vedere attuati "investimenti pubblici mirati" all’area di insediamento e al rafforzamento dell’agglomerazione produttiva (di infrastrutturazione, ambientali, di formazione, di ricerca, ecc.);
- la possibilità di programmare e vedere attuati servizi amministrativi di qualità (per l’insediamento, l’ampliamento, il cambio di attività consorziali, ecc.);
- la possibilità di concordare attraverso il ruolo attivo dei soggetti responsabili iniziative di cooperazione, formale e informale, fra i soggetti privati nel mercato dei capitali, dei prodotti e del lavoro.

In questo contesto, il finanziamento pubblico specifico degli strumenti di programmazione negoziata consisterà nel finanziamento degli investimenti sub a) e delle spese di gestione del patto necessarie a produrre i servizi di cui ai punti b) e c).

Come ha indicato il Ministero del Tesoro, si tratta di dare piena attuazione all’Accordo interministeriale sottoscritto il 27.7.1999 dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, dallo stesso Ministero del Tesoro, dal Ministero dell’Industria e dal Ministero del Lavoro per l’affidamento alle Regioni di circa il 50 per cento dei finanziamenti per lo "Sviluppo locale" del QCS 2000-2006. L’Accordo ed i successivi documenti discussi con le Regioni prevedono, di fatto, il recepimento del metodo già impiegato, con successo, per il sistema dei 9 patti territoriali europei, che in particolare comporta:

- una maggiore centralità della fase di progettazione dei Patti territoriali e la previsione che ogni proposta di patto (o ogni sua riprogettazione) sia accompagnata da un adeguato studio di fattibilità (da finanziare attraverso le risorse per l’Assistenza tecnica del QCS 2000-2006);
- una netta separazione tra la fase di progettazione-valutazione del patto nel suo complesso e il successivo momento di valutazione dei singoli interventi;
- l’esigenza di coerenza tra le iniziative proposte e la strumentazione urbanistica vigente, o a quella preventivabile nell’ambito della programmazione economico territoriale;
- la necessità di assegnare un forte ruolo ai soggetti locali, specie per quel che riguarda le responsabilità assegnate al soggetto responsabile relative all’attuazione.

A regime, i "patti territoriali regionali" si configurano dunque come uno strumento che prende come punto di riferimento la normativa di attuazione dei Patti europei per l’occupazione. La sede di elezione del processo di riassetto organizzativo e regolativo potrebbe essere la Conferenza Stato- Regioni.

Sulla base delle esperienze e dei risultati finora conseguiti, i punti chiave della nuova normativa dovranno:

- confermare le linee guida dell’accordo;
- definire i criteri per l’individuazione dei territori interessati dalle nuove iniziative di Patto ovvero per la riaggregazione di quelli già coinvolti;
- garantire un preciso indirizzo a qualificare il ruolo del "soggetto responsabile" del Patto come ruolo temporaneo e snello di agenzia di sviluppo loca1e;
- favorire una connotazione capace di sottolineare la netta diversità tra questo tipo di azioni e quelle di incentivazione imprenditoriale tout court;
- migliorare l’adesione alle pratiche comunitarie, specie per quel che riguarda i processi di valutazione, monitoraggio e verifica, al fine di attuare forme di premialità;
- garantire una maggiore linearità procedurale i cui principi siano omogenei per tutte le regioni; - migliorare la capacità di innescare processi virtuosi di competizione tra territori, basati sulla qualità progettuale.

La regionalizzazione rappresenta pertanto - una volta chiusa la fase di sperimentazione - l’occasione per intervenire sul processo di programmazione ed attuazione dei Patti territoriali, migliorando il grado di efficacia dello strumento, che dopo aver superato le difficoltà della sperimentazione e attuazione è oggi maturo per trovare una solida collocazione tra le politiche di sviluppo regionale.

Questo trasferimento di competenze alle Regioni potrà inoltre concorrere a dare corpo alle iniziative di Progetto Integrato Territoriale che, per il Mezzogiorno, il QCS individua come uno degli elementi caratterizzanti il nuovo ciclo di programmazione 2000-2006.

Per quanto riguarda il profilo finanziario, il Ministero del Tesoro prevede un co-finanziamento nazionale dei patti. Tale co-finanziamento dovrà essere assegnato attraverso una concertazione fra Tesoro e amministrazioni regionali che faccia riferimento ad alcuni criteri di selezione concordali. In presenza del "favore fiscale" e dei bandi mirati della L.488/92, il co-finanziamento sarà limitato solo a investimenti pubblici (per infrastrutture, assetto del territorio, ricerca ecc.).

Per i patti già progettati e in corso di istruttoria, i rischi oggi riguardano la componente infrastrutture, anche quando sia rimossa, dall’introduzione del credito d’imposta, la componente incentivi.

La soluzione da dare in fase di transizione si muove fra due obiettivi tra loro in tensione:

- dare attuazione a iniziative meritorie oggi bloccate;
- utilizzare un criterio che non sia conflittuale con la selettività in corso di rafforzamento per l’assetto di regime, anzi che ne faciliti l’introduzione, anche attraverso l’aggregazione a patti già approvati.

Per favorire tale soluzione, si può tenere conto di tre elementi:

  1. lo Stato può mettere a disposizione dei patti proprie risorse;
  2. il riparto tra le regioni di queste risorse deve, a tale fine, tenere conto dell’effettiva localizzazione territoriale dei patti;
  3. esiste un potenziale interesse delle Regioni del Mezzogiorno a cofinanziare i "propri" patti con i fondi strutturali 2000-2006. Così facendo, le Regioni possono infatti dar vita, se e solo se lo ritengono coerente con i propri indirizzi, ad iniziative di progettazione integrata (siano esse Progetti integrati o Progetti integrati territoriali).

L’insieme di queste considerazioni suggerisce di concertare fra Tesoro e Regioni – nella prospettiva della regionalizzazione dei patti – l’ammissibilità dei "patti progettati", attraverso chiari criteri. Verrebbe così anticipata nel metodo la logica della soluzione a regime, dando la possibilità alle Regioni di intervenire sul parco delle proposte non finanziate, verso cui esse potrebbero decidere di indirizzare la loro programmazione. Analogamente da parte di ciascuna regione potrà procedersi per quei patti che pur progettati non hanno ancora avviato la fase istruttoria.

Nell’ambito del suddetto processo di regionalizzazione, così come delineato dal Ministero del Tesoro, la Regione Sardegna andrà a stipulare uno o più appositi APQ finalizzati alla definizione:

a) delle azioni che le parti, direttamente per quanto di loro competenza, o indirettamente, mediante interventi di indirizzo, vigilanza e controllo, s’impegnano a svolgere per accelerare le procedure ed i tempi di realizzazione del programma esecutivo di interventi di interesse comune o funzionalmente collegati;
b) dei soggetti e degli organi responsabili delle procedure di attuazione e di tutti gli strumenti amministrativi che facilitano l’attivazione e la realizzazione di tali APQ, ivi compresi quelli relativi ad autorizzazioni, nullaosta, permessi, e quant’altro condizioni gli investimenti degli operatori pubblici e privati;
c) dei fabbisogni finanziari e della loro articolazione;
d) delle procedure e dei soggetti responsabili per il monitoraggio e la verifica dei risultati;
e) delle modalità di acquisizione e gestione dei patti e contratti d’area già approvati, nonché alla attivazione e realizzazione degli interventi infrastrutturali previsti a servizio dei patti territoriali “generalisti” del 10 ottobre 1999 e dei patti tematici del 15 maggio 2000;
f) dei principi di armonizzazione dei Piani Integrati d’Area (PIA) con la programmazione negoziata e con i Progetti Integrati Territoriali (PIT).

Contratti di programma regionali

Nell’ambito della programmazione regionale saranno previste delle specifiche disposizioni per la realizzazione di contratti di programma regionali. I contratti di programma regionali saranno utilizzati per la realizzazione di grandi investimenti legati allo sviluppo integrato del territorio o comunque aventi contenuto innovativo. Tali contratti verranno stipulati dal Presidente della Regione o dall’Assessore da lui delegato, in coerenza con le linee di programmazione regionale, anche utilizzando risorse trasferite dallo Stato. Essi devono comportare investimenti, comprensivi anche della quota di aiuto pubblico, di norma superiori ai 20 miliardi di lire e devono altresì essere proposti da imprese nazionali od internazionali di rilevante dimensione operanti nei settori dell’industria, del turismo, dell’agricoltura, della pesca, dei servizi, dell’artigianato, del commercio, dell’edilizia, dell’energia, della multimedialità e delle telecomunicazioni, con piani progettuali di contenuto innovativo od integrati, anche di carattere intersettoriale o di filiera, articolati sul territorio ovvero in aree definite, atti a generare significative ricadute sull’apparato produttivo, sull’economia locale e sull’occupazione.

I contratti di programma regionali potranno essere altresì promossi anche da consorzi di medie e piccole imprese, anche operanti in più settori, purché abbiano ad oggetto iniziative facenti parte di organici piani per la realizzazione di nuove iniziative produttive o di ampliamenti. Le procedure della contrattazione programmata saranno definite con decreto del Presidente della Regione, previa delibera di Giunta.

La Regione potrà, inoltre, partecipare ai contratti di programma statali con i fondi stanziati per i regimi di aiuto aventi finalità analoghe.


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