Pubblichiamo l’edizione integrale della relazione al Parlamento italiano presentata dalla Commissione presieduta dalla Sen. Franca Falcucci. Dalle indicazioni contenute in questo documento sono derivate le principali norme che hanno reso possibile l’integrazione scolastica degli alunni e delle alunne in situazione di handicap nel nostro paese. |
La preliminare considerazione che la Commissione ha ritenuto di fare è che la possibilità di attuazione di una struttura scolastica idonea ad affrontare il problema dei ragazzi handicappati presuppone il convincimento che anche i soggetti con difficoltà di sviluppo, di apprendimento e di adattamento devono essere considerati protagonisti della propria crescita. In essi infatti esistono potenzialità conoscitive, operative e relazionali spesso bloccate dagli schemi e dalle richieste della cultura corrente e del costume sociale. Favorire lo sviluppo di queste potenzialità è un impegno peculiare della scuola, considerando che la funzione di questa è appunto quella di portare a maturazione, sotto il profilo culturale, sociale, civile, le possibilità di sviluppo di ogni bambino e di ogni giovane.
La scuola proprio perché deve rapportare l’azione educativa alle potenzialità individuali di ogni allievo, appare la struttura più appropriata per far superare la condizione di emarginazione in cui altrimenti sarebbero condannati i bambini handicappati, anche se deve considerarsi coessenziale un’organizzazione dei servizi sanitari e sociali finalizzati all’identico obiettivo. Questo impegno convergente si impone preliminarmente sotto il profilo della prevenzione anche in senso diagnostico, terapeutico ed educativo da realizzarsi fin dalla nascita ed in tutto l’arco prescolare, specialmente nei confronti del bambino che abbia particolari difficoltà; sia per circoscriverne, ridurre od eliminare le cause, ove possibile, nonché gli effetti di esse; sia per evitare l’instaurarsi di disturbi secondari.
La scuola può contribuire a quest’opera di prevenzione e di recupero precoce, con la generalizzazione della scuola materna (anche se non obbligatoria) che oltre ad offrire al bambino l’occasione di un più articolato processo di socializzazione, può favorire la tempestiva prevenzione ed il superamento delle difficoltà che possono ostacolare lo sviluppo psico-fisico.
Ma oltre alla generalizzazione della scuola materna, è
tutta la struttura scolastica, particolarmente quella della fascia dell’obbligo,
che può e deve contribuire in modo decisivo al superamento di ogni situazione di
emarginazione umana culturale e sociale che abbia la sua radice nel mancato
sviluppo delle potenzialità del soggetto. Fatta questa premessa, la Commissione
ha cercato di individuare una strategia di attuazione di questo fondamentale
obiettivo.
UN NUOVO MODO DI ESSERE DELLA SCUOLA, CONDIZIONE DELLA PIENA INTEGRAZIONE SCOLASTICA
Lo stesso criterio di valutazione dell’esito scolastico, deve perciò fare riferimento al grado di maturazione raggiunto dall’alunno sia globalmente sia a livello degli apprendimenti realizzati, superando il concetto rigido del voto e della pagella.
Fondamentale è l’affermazione di un più articolato concetto di apprendimento, che valorizzi tutte le forme espressive attraverso le quali l’alunno realizza e sviluppa le proprie potenzialità e che sino ad ora sono stati lasciati prevalentemente in ombra.
L’ingresso di nuovi linguaggi nella scuola, se costituisce infatti un arricchimento per tutti, risulta essenziale per gli alunni che non rispondono alle richieste di un lavoro formale, in quanto offre loro reali possibilità di azione e di affermazione.
Si dovrebbe giungere per questa via ad allargare il concetto di apprendimento affinché, accanto ai livelli di intelligenza logico-astrattiva, venga considerata anche l’intelligenza sensorio-motrice e pratica e siano soprattutto tenuti presenti i processi di socializzazione.
Questa più articolata esperienza scolastica è possibile solo nell’attuazione del "tempo pieno", da intendersi non come somma dei momenti antimeridiano e pomeridiano non coordinati fra di loro, ma come successione organica ed unitaria di diversi momenti educativi programmati e condotti unitariamente dal gruppo degli operatori scolastici (culturale, artistico-espressivo, ricreativo o ludico, aperto anche ad agenti culturali esterni alla scuola, di ricerca e di esperienza personale e di gruppo, di attività socializzante).
In una scuola che, organizzandosi organicamente in forme operative più ricche e più varie di quelle offerte dall’insegnamento tradizionale, offre agli alunni una possibilità di maturazione attraverso una pluralità di linguaggi e di esperienze, è difficile ed artificioso distinguere tra attività "didattiche", da intendersi come insegnamento delle "materie principali", ed attività "integrative", tra l’insegnamento "normale" ed attività di recupero e di sostegno.
Le diverse attività scolastiche non sono di per sé "primarie" o "integrative", "normali" e di "recupero", ma lo diventano quando un progetto didattico le valuta in rapporto al livello di maturazione o alle esigenze di un singolo o di un gruppo.
Di qui la necessità che tutte siano riportate, attraverso una chiara ed univoca interpretazione dei decreti delegati ad una unitaria ed organica impostazione; diversamente, si avrebbe una sovrapposizione di momenti diversi nel tempo scolastico dell’alunno. Il contrasto disorienta l’alunno ed ostacola l’avvio della collaborazione tra gli insegnanti che sarebbe, al contrario, favorita da una programmazione unitaria del tempo scolastico.
La programmazione e la conduzione unitaria della vita scolastica eviterebbe, inoltre, il crearsi nei genitori, dell’equivoca distinzione tra "insegnanti del mattino", al quale spetta di dare giudizi sulle capacità del figlio, e "l’insegnante del pomeriggio", (educatori, animatori, ecc.) che lo fa giocare.
Si va affermando, inoltre, la tendenza a separare il meno possibile le iniziative di recupero e di sostegno dalla normale attività scolastica, alla cui ricca articolazione si affida il compito di offrire a tutti, nell’ambito dei gruppi comuni, possibilità di azione e di sviluppo. Si cerca in questo modo di non legare i vantaggi dell’intervento individualizzato, agli svantaggi della separazione dal gruppo più stimolante degli alunni "normali". Anche per il sostegno ed il recupero quindi, la ricercata connessione con la normale attività scolastica impedisce di concepire un livello distinto di programmazione e di verifica.
Non ci si nascondono le difficoltà di tradurre, i termini di azione scolastica valida per tutti, l’esigenza di fare operare gli alunni in difficoltà con gli altri. Una vita scolastica perfettamente articolata, nella quale le attività integrative e di recupero non abbiano un posto separato dalla normale azione didattica, può essere ancora, per molte situazioni, più una meta ed un criterio di riferimento nel processo di crescita dalla scuola che non una piena realizzazione, per le difficoltà legate alla preparazione degli insegnanti ed alle concrete possibilità organizzative che la scuola oggi offre. Si ritiene, tuttavia, indispensabile inserire nella prospettiva di sviluppo della vita scolastica la dimensione dell’integrazione, affinché ad ogni livello di programmazione della scuola a tempo pieno venga adeguatamente affrontato il problema degli alunni in difficoltà.
Tali criteri debbono ritenersi estesi anche alla scuola ordinaria non ancora a tempo pieno, perché rappresentano una struttura operativa che facilita la prevenzione del disadattamento o ne riduce la gravità.
Al contrario, una programmazione duplice riportata ad organi diversi, oltre a costituire una difficoltà ulteriore o gratuita che si aggiunge alle ineliminabili difficoltà legate al costume scolastico, costituisce un incentivo a deviare dalla meta sin dall’inizio.
Risultano infine favorevoli agli alunni in difficoltà altre due caratteristiche della scuola a "tempo pieno"; i modi più vari e meno rigidi di organizzare i gruppi di lavoro, superando la struttura rigida delle classi, e la possibilità soprattutto nella scuola elementare di avere rapporti con più insegnanti. Dovrebbe essere possibile in questo contesto, modulare i rapporti interpersonali secondo le necessità di ciascuno (dal rapporto duale al rapporto polivalente in modo graduale e non rigido).
La Commissione mentre considera la realizzazione di
un nuovo modo di essere della scuola, un obiettivo fondamentale, generale e
irrinunciabile, ritiene che esso costituisca il punto di arrivo di un processo
necessariamente graduale e realistico che deve però partire da una concreta
ipotesi, quali ad esempio quella qui appresso indicata.
Va prevista altresì la presenza di insegnanti specializzati capaci di svolgere per soggetti medio-gravi interventi alternati sia in senso riabilitativo, sia in senso specializzante. In tale caso il rapporto flessibile può anche indicarsi con la proposizione 1/4-1/5, e può pure verificarsi l’opportunità di un servizio itinerante. Ovviamente, tale prestazione deve svolgersi in una scuola aperta e fornita del servizio di un’équipe che abbia almeno la seguente composizione: assistenti sociali, psicologo, pedagogista specializzato; tecnici riabilitativi e specialisti clinici adatti a seguire le dinamiche dei singoli casi (diagnosi, trattamento, verifica).
Questa più articolata vita scolastica, promuovendo la maturazione e la socializzazione degli alunni, può prevenire le difficoltà e può affrontarle in misura adeguata ove si siano manifestate. I modi di formazione e di funzionamento dei gruppi di attività possono essere vari, in relazione alle diversità delle situazioni, in corrispondenza al tipo di attività scelte, alle esigenze dei singoli alunni e dei gruppi etc.
Tutto ciò sembra essere particolarmente valido per gli alunni in difficoltà, in quanto consente di modulare in modo graduale e non rigido i rapporti interpersonali.
Operatori scolastici
Alla scuola dovrebbero essere assicurati
insegnanti di ruolo, di cui bisognerebbe favorire la stabilità, essendo la
continuità del rapporto educativo un obiettivo fondamentale per il positivo
funzionamento di essa. Nella convinzione che tale stabilità sia comunque
auspicabile in ogni caso, la Commissione tuttavia non può non sottolineare che
essa, in una scuola che vede la presenza di handicappati, si configura come
una più puntuale e incisiva esigenza, che deve proporsi di non interrompere la
razionale continuità del dialogo fra il docente e l’allievo. Pertanto, la
Commissione richiama l’attenzione del Ministero sulla necessità di studiare
per ciò che concerne modalità di trasferimenti e di assegnazioni provvisorie,
già a partire dal prossimo anno scolastico 1975/76, la maggiore possibile
stabilità nella sede del personale docente di ruolo.
L’aggiornamento permanente dei docenti, dei direttori didattici e dei presidi costituisce un punto qualificante di tutta la politica scolastica ed una condizione fondamentale per l’esercizio della funzione docente, la quale esige non solo un solido fondamento scientifico-teorico, ma la continua riflessione sull’esperienza pedagogica.
L’aggiornamento dei docenti deve farsi perciò prevalentemente "sul loro campo operativo", cioè nella scuola e attraverso la scuola.
Una particolare attenzione deve essere dedicata all’aggiornamento dei dirigenti scolastici, anche in considerazione della funzione di coordinamento ad essi richiesta in rapporto alla definizione dei progetti educativi.
Si sottolinea la necessità che, nell’ambito degli Istituti regionali per la ricerca, la sperimentazione e l’aggiornamento culturale e professionale degli insegnanti, sia previsto, in conformità all’ultimo comma dell’art. 10 dell’apposito decreto delegato, che le sezioni relative ai vari ordini di scuola, operino unitariamente, per l’approfondimento della problematica psico-pedagogica e didattica relativa ai disturbi della struttura psicologica dei minori.
Specialisti
2.2. – risoluzione dei problemi relativi all’accoglimento nella scuola di allievi handicappati.
E’ necessario dunque chiarire e ricercare le condizioni che, stabilendo tra operatori diversi, comuni riferimenti di linguaggio, di prospettive e di finalità rendano possibile il necessario lavoro interdisciplinare, volto alla definizione ed alla realizzazione di progetti educativi comuni.
Questa impostazione appare più che mai necessaria in relazione ai gruppi in cui gli allievi handicappati sono inseriti. Una visione realistica delle risorse disponibili (anche come numero di specialisti), fa considerare come prioritaria, sì, la collaborazione degli specialisti per soddisfare i bisogni di detti gruppi, ma con un preciso impegno nei riguardi dei singoli handicappati che abbiano necessità di particolari interventi che diano all’allievo la possibilità di inserirsi nel gruppo e, in genere, ad aprirsi ad attività in comune. Va peraltro precisato che per eventuali trattamenti specialistici la scuola deve poter utilizzare strutture esterne (centri medico-psico-pedagogici; centri di igiene mentale; trattamenti riabilitativi, e tutti i servizi funzionanti nel distretto).
La Commissione ha quindi affrontato il problema del rapporto giuridico-amministrativo tra specialisti e scuola ed ha espresso l’opinione che si debba considerare come soluzione ottimale in prospettiva, il poter disporre della prestazione degli specialisti di cui dovranno essere a suo tempo fornite le unità sanitarie locali.
In via temporanea, la Commissione ha concordato sulla necessità di dover impiegare gli specialisti che, attraverso lo strumento della convenzione, possono essere messi a disposizione sia da Enti pubblici che privati, secondo i criteri già indicati nello schema di convenzione allegato all’apposita circolare.
Quanto alle figure degli specialisti, si ritiene di dover fare riferimento agli assistenti sociali: psicologo, pedagogista specializzato; tecnici riabilitativi e specialisti clinici adatti a seguire le dinamiche dei singoli gruppi.
Tutte queste condizioni, servizi e strutture rendono possibile la positiva integrazione degli handicappati nella scuola.
Considerando che inevitabilmente il tipo di scuola sin qui descritto non può che trovare una graduale generalizzazione nel territorio, la Commissione ritiene che in ciascun Distretto sia assicurato il pieno ed organico funzionamento di almeno una scuola, strutturata in modo da corrispondere alle finalità educative sopraindicate e quindi in grado di integrare tutti i soggetti compresi nel territorio.
In tale fase di transizione, si può prevedere che i bambini che le scuole territoriali di competenza non siano ancora in grado di sollecitare adeguatamente nel loro sviluppo, possano essere accolti in quelle distrettuali così attrezzate, fermo restando che non si può alterare con un numero troppo elevato di handicappati il carattere proprio della scuola per tutti.
Tale scuola non deve essere configurata in nessun modo come un nuovo tipo di scuola speciale o differenziata, ma essere un prototipo per tutte le scuole comuni, quali dovranno risultare al termine del processo globale di ristrutturazione dell’ordinamento scolastico di cui essa può costituire l’iniziale attuazione.
La dimensione distrettuale, oltre ad essere un comprensorio territoriale adeguato a garantire l’aggiornato accertamento delle varie realtà locali ed ambientali, è ritenuta la dimensione più valida e realistica per l’avvio di un processo innovativo, ma è soprattutto il luogo dove tale processo può avviarsi concretamente con quelle motivazioni politiche derivanti dalla diretta e responsabile partecipazione delle forze sociali. A tale proposito la Commissione ritiene che si dovrebbe fare in modo che le costituende unità sanitarie e le unità locali socio-assistenziali coincidano con i comprensori territoriali dei distretti scolastici.
Ciò permetterà l’insediamento coordinato di tutte le strutture e i servizi previsti dalle singole legislazioni regionali; la conservazione o l’istituzione di strutture garanti dell’ininterrotta e potenziata erogazione di servizi altamente specialistici per gli utenti, per i quali si dimostrassero inadeguati i servizi comuni.
La Commissione ritiene che si debbano valorizzare al massimo le competenze di programmazione attribuite ai consigli distrettuali scolastici anche ai fini dell’integrazione degli handicappati e per assicurare che le soluzioni da adottare siano sottratte al rischio di rigide e precostituite schematizzazioni.
3.1 Centro per i servizi Socio-Psico-Pedagogici del Provveditorato
Si propone la costituzione presso il Provveditorato agli Studi di un "servizio Socio-Psico-Pedagogico", sotto la diretta responsabilità del Provveditore o di persona da lui delegata, che deve essere preferibilmente un docente che abbia realizzato una consolidata esperienza dei servizi socio-psico-pedagogici e che per questo impegno deve essere esonerato dall’insegnamento.
Tale Centro deve valutare e tenere conto delle proposte e degli obiettivi programmatici che in ordine ai servizi socio-psico-pedagogici formulano i consigli provinciali scolastici. Deve predisporre i relativi strumenti di intervento e la loro organizzazione, avvalendosi, nelle forme più opportune, dell’esperienza e della collaborazione degli operatori scolastici (docenti e specialisti) al fine di garantire le più adeguate scelte operative.
Lo stesso Centro dovrebbe avere competenza anche in materia di stipula delle convenzioni e di controllo della loro applicazione.
In ordine alle convenzioni la Commissione ritiene che esse debbano assicurare serie condizioni per l’erogazione delle prestazioni. Al fine sembra che la preferenza dovrebbe essere data ad Enti che abbiano centri medico-psico-pedagogici e che possano assicurare od abbiano assicurato la maggiore stabilità, continuità di lavoro e qualificazione degli specialisti, nonché la loro collaborazione con gli organi scolastici.
In ogni caso deve essere precisato nelle convenzioni che l’Ente accetterà di impegnare gli specialisti nella scuola o nelle scuole che il servizio socio-psico-pedagogico scolastico del Provveditorato indicherà, con riferimento alle priorità programmate. Il Centro dovrà inoltre vigilare sull’andamento delle scuole speciali.
4) CONSIDERAZIONI PER LA SCUOLA MATERNA
Premesso che le indicazioni generali sulle finalità e sulle caratteristiche della scuola per l’integrazione valgono anche per la scuola materna, si ritiene opportuno per quest’ultima fare alcune precisazioni specifiche.
La Commissione ha espresso parere contrario all’istituzione sia di scuole materne speciali, che di sezioni speciali nelle scuole materne comuni. I bambini con particolari difficoltà devono avere un diritto di priorità nell’iscrizione, in considerazione della funzione essenziale che la scuola materna può svolgere in favore del loro sviluppo.
Essi non possono essere esclusi dalla frequenza di detta scuola al burocratico compimento del sesto anno di età, dovendosi valutare l’opportunità o meno di un’ulteriore permanenza nella scuola materna per un periodo non superiore ad 1 o 2 anni.
L’integrazione dei bambini handicappati nella scuola materna esige che essa sia adeguatamente strutturata. Essa deve essere costituita da un minimo di tre sezioni. Ogni sezione dovrebbe avere un numero di bambini compreso tra i 15-20. L’équipe scolastica composta dai docenti e dagli specialisti della scuola fisserà il numero di handicappati da inserire nelle classi. La scuola dovrebbe essere organizzata per il tempo pieno senza però l’obbligo di frequenza considerata la tenera età dei bambini.
Per il personale docente e per gli specialisti, valgono le considerazioni generali.
Per le assistenti, occorre precisarne i compiti, stabilendo che esse sono tenute a svolgere le mansioni connesse all’eventuale mancanza di autonomia fisica dei bambini.
5) CONSIDERAZIONI PER LA SCUOLA MEDIA
Si richiedono tutte le considerazioni di carattere generale fatte a proposito delle condizioni indicate per la piena integrazione scolastica dei bambini handicappati e sulle sue finalità e caratteristiche.
5.1 L’interdisciplinarità
Il riferimento delle considerazioni generali già citata alla scuola media esige di sottolineare la particolare importanza che ha per questo tipo di scuola il modo di intendere l’interdisciplinarietà. Essa deve risultare dall’impegno dei docenti ad elaborare un comune progetto educativo, promozionale e di orientamento, avvalendosi del contributo degli specialisti per l’apporto delle loro specifiche competenze professionali, evitando però ogni altra presenza aggiuntiva ("vedasi animatori"), che non è finalizzata a realizzare un unitario progetto didattico (si invia alle considerazioni precedentemente fatte "sul tempo pieno" nella premessa).
5.2 Flessibilità degli orari
Tenendo conto di quanto definito dallo stato giuridico in materia di "orario di insegnamento" per i docenti nella scuola media di 1° grado, è necessario che si precisi per la scuola prototipo a livello di scuola secondaria di 1° grado che le prestazioni dell’insegnante nell’orario di lezione si concretizzano come attività educativa sia in ordine alle attività curricolari che in ordine alle attività di integrazione e di animazione necessarie allo sviluppo dell’alunno.
Si ritiene che ciò potrà essere particolarmente favorito da una maggiore flessibilità di orari, di programmi e di formazione delle classi.
Si osserva che, sotto il profilo finanziario, l’ipotesi proposta non implica aggravio di spesa, se posta in rapporto al costo attuale delle scuole medie integrate già funzionanti.
La Commissione ritiene che si debbano assolutamente abolire le cosiddette "classi di aggiornamento".
La Commissione ritiene tuttavia che le indicazioni offerte nel documento, nelle loro motivazioni di fondo e nelle ipotesi di intervento prospettato (soprattutto per quanto riguarda l’opera degli specialisti nella scuola e l’utilizzazione di strutture adeguate quali i Centri medico-psico-pedagogici, i Centri di igiene mentale, ecc.) possano essere utilmente presi in considerazione come base per un approfondito esame, da fare in altra sede, del fenomeno.
Per i primi si rende necessario, anzi si impone, un periodo più o meno lungo, il più precoce possibile nell’età, di trattamento in una struttura speciale ottimalmente dotata, in vista di un inserimento scolastico, il più precoce possibile.
Per i secondi le possibilità sono due:
Ovviamente ciò non esclude per essi l’intervento scolastico. Anche per essi, tuttavia, si devono prevedere e favorire soluzioni che facilitino, in tutti i modi possibili, i rapporti con la famiglia, l’ambiente di origine e le altre strutture educative; esse devono avere una dimensione al massimo regionale e devono essere impegnate prevalentemente per un’azione di recupero precoce delle menomazioni e di sostegno, via via che il bambino viene inserito nelle strutture scolastiche comuni.
Ancora proposte, per facilitare l’attuale compito delle linee evolutive sopra esposte, potrebbero essere il trasferimento di strutture speciali negli edifici delle scuole comuni e l’apertura, ai bambini normali, delle scuole speciali che dispongono di spazi verdi.
La soluzione prospettata offrirebbe la possibilità di promuovere, con la guida di un’unica direzione didattica, esperimenti di integrazione in particolare momenti della vita scolastica.
Considerate le molteplici necessità delle attuali strutture speciali, occorre realizzare obbligatoriamente per esse la scuola a tempo pieno, eliminando l’attuale sistema della protrazione orario, assicurando la prestazione degli specialisti e di tutti i necessari sussidi, attrezzature nonché del personale assistente.
Considerazioni sul problema dei minorati sensoriali. Vanno tenuti presenti i seguenti punti:
DISADATTAMENTO SOCIALE DEI MINORI
Una considerazioni particolare merita il problema dei caratteriali con note di devianza di natura socio-ambientale, che rischiano, per carenza di corrette terapie di trattamento, di alimentare, come di fatto alimentano, il vivaio della delinquenza minorile, tanto preoccupante oggi per il suo graduale incremento.
La Commissione ritiene che gli attuali Istituti di rieducazione debbano avviarsi in misura sempre più ampia a trasformarsi in centri di promozione socio-culturale. In tal modo, per un verso questi centri potranno contribuire a prevenire con i loro interventi educativi, il disadattamento socio-ambientale e dall’altro, a porre in essere o a servirsi di tutti i possibili strumenti educativi, primi fra tutti le istituzioni scolastiche. Ciò potrà realizzarsi con una più accentuata realizzazione delle attività integrative e, per i giovani che abbiano superato l’età dell’obbligo, con l’avvio ad un tipo di attività lavorativa, che motivatamente scelta, gratifichi il soggetto e ne concretizzi le aspirazioni all’autosufficienza.
Organismi del genere, nella loro apertura all’estero, dovrebbero accogliere sia soggetti nella fascia dell’obbligo che utilizzino normali strutture scolastiche all’interno e all’esterno, sia altri soggetti che non necessariamente siano scolarizzati e ai quali, nell’offerta di attività di tempo libero di tipo espressivo creativo, si dia la possibilità di superare le proprie personali difficoltà.
In questa prospettiva, gli Istituti di rieducazione andrebbero via via perdendo la loro connotazione di struttura rigida, che accoglie soggetti che sono inevitabilmente etichettati come disadattati e diventerebbero sempre più utili, nell’ambito di un quartiere, per il recupero umano e sociale di giovani che, abbandonati a se stessi e isolati in un istituto, al solo scopo di liberare la società di un elemento scomodo, sono fatalmente avviati sulla strada della delinquenza.
Ciò non esclude, anzi postula in maniera prioritaria la funzione di recupero che in questo campo può esercitare la scuola, per la stessa peculiarità del suo compito e per la più ampia diffusione delle sue strutture, sia attraverso le normali attività scolastiche che attraverso l’organizzazione di attività integrative, che valgano ad interessare e gratificare il ragazzo, non più considerato come elemento deviante, ma come utente d’un servizio educativo ricco di stimolazioni.