"CONSUMO CRITICO, RESPONSABILE, SOLIDALE"

Francesco Gesualdi

Intervento presso la Stazione Marittima nel corso dell'incontro
"DAL DIRE AL FARE: Banca Etica e Consumo Critico", Trieste, 25 giugno 1996

 

Buonasera.

Vorrei cominciare dicendo due parole sul centro che coordino (Centro Nuovo Modello di Sviluppo, N.d.R.).

Io dico sempre che è un piccolo centro di documentazione, è quasi una nullità. Sorge all'interno di un caseggiato dove ci siamo messi insieme, e dico "ci", nel senso che siamo tre nuclei familiari che hanno deciso di andare ad abitare l'uno accanto all'altro per riuscire a vivere meglio il nostro essere famiglie in una dimensione sociale. Ci eravamo resi conto che vivendo da soli era abbastanza difficile riuscire a mettere totalmente a frutto le nostre potenzialità, e che tanti problemi potevano essere risolti se invece ci mettevamo insieme e decidevamo di cooperare.

Per questo abbiamo messo in piedi il caseggiato dove abitiamo, dove facciamo un po' di accoglienza, soprattutto di minori, e dove nello stesso tempo abbiamo messo in piedi questo piccolo centro di documentazione. Io insisto sempre nel sottolineare che è piccolo per due ragioni di fondo: innanzi tutto perché è una dimostrazione vivente di quella che deve essere la democrazia. La democrazia non consiste nel dare il voto ogni cinque anni, non consiste nel creare una frattura tra il luogo dove si prendono le decisioni, tra le stanze dove i signori burocrati incravattati, gli scienziati sapienti analizzano cosa succede nel mondo e poi prendono le decisioni, e la gente; la democrazia è un'altra cosa, la democrazia secondo me è uno stile di vita dove la partecipazione è sempre presente. Per me la democrazia si ha quando si ha ancora il mestolo in mano, quando si ha la pretesa di analizzare cosa succede, si ha la pretesa di pensare cosa si può fare per risolvere i problemi e si tenta di organizzare subito le iniziative che bisogna assumere per tentare di far cambiare strada al sistema. Ecco, io ho una mentalità, ho un'idea di democrazia dove tutto è "impastato", e lì lo abbiamo realizzato. Chi viene a trovarci ride: ride perché si stupisce di vedere che tutto sommato abbiamo messo in circolazione sei libri ormai, dove si affrontano temi importanti di natura internazionale e si danno anche suggerimenti importanti su come si può partecipare, e ride perché si rende conto che tutto questo viene da un luogo umile, umilissimo, senza mezzi, senza soldi, e questo è un altro motivo per cui io vado orgoglioso del nostro essere piccoli. Non è vero che per fare le iniziative ci vogliono i soldi. Non è vero che ci vuole una struttura potente. Ci vuole prima di tutto una grande volontà. Ci vuole una capacità di fare delle analisi serie, chiare. Ci vuole perseveranza, ci vuole coerenza. Se tutte queste cose si riescono a mettere insieme, ecco che allora comincia a formarsi un nocciolino sul quale riesce un po' alla volta ad attecchire un altro po' di neve e così viene fuori la valanga che riesce davvero a far cambiare le cose. Ecco perché insisto nel dire che siamo piccoli, perché è un segno di speranza. Proprio dalle piccole iniziative poi possono venire fuori le grandi cose che possono dare un destino diverso al mondo.

Detto questo, tentiamo di capire come mai ci occupiamo di consumo. Vorrei precisare che noi guardiamo al consumo con estrema diffidenza, direi addirittura con rifiuto, perché il consumo è il massimo puntello di questo sistema. Diamogli un nome e un cognome: è il massimo puntello del capitalismo. E le finalità del capitalismo sono l'espansione e l'accumulazione, e a loro volta l'espansione e l'accumulazione sono alla base dello sfruttamento, sono alla base del degrado ambientale, sono alla base della fine delle risorse. Proprio per questo guardiamo con estrema diffidenza al consumo, e se vogliamo dare un consiglio, il consiglio è: consumate, consumiamo meno. Il consumo, proprio perché è un puntello del sistema, si è trasformato in consumismo, che è quella situazione in cui non si compra più per bisogno ma si compra perché si è stati indotti a comprare, perché si è generato un bisogno. E questo a sua volta è alla base di tanti altri problemi, non ultimo il fatto che oramai nel consumo noi cerchiamo le nostre sicurezze. Il consumo è diventato una droga. Noi abbiamo perso il controllo della nostra consapevolezza proprio perché nel consumo affoghiamo tutti i nostri problemi.

Allora vorrei raccontarvi piuttosto di che cosa ci occupiamo, come mai siamo arrivati al consumo. Noi ci occupiamo di disagio, ci occupiamo di impoverimento, e parlando di impoverimento naturalmente non potevano non pensare all'impoverimento di carattere internazionale, perché è il più grande scandalo che sta vivendo la nostra epoca. Pensate: un miliardo e mezzo di persone vive in una condizione di povertà assoluta. Sono parole vuote se non diamo loro un significato. Povertà assoluta non significa niente per gente che non ha mai il problema di mangiare, non ha mai il problema del dormire, non ha mai il problema di trasportarsi, raramente ha il problema del lavoro. Voi pensate: un miliardo e mezzo di persone sulla faccia della terra che invece hanno tutti questi problemi, che non sanno dove dormire, che dormono sui marciapiedi, se stanno nelle campagne dormono in baracche, persone che non hanno la garanzia di riuscire ad arrivare a sera avendo mangiato un piatto di minestra, persone che non hanno nient'altro che gli stracci che hanno addosso, persone che non dispongono dell'acqua potabile, che non hanno mai la possibilità di andare dal dottore, che non riescono a mandare i figli a scuola: sono analfabeti loro e lo rimarranno anche i loro figli. Quindi persone nella più assoluta insicurezza. Questi sono i poveri assoluti: un miliardo e mezzo, nonostante la terra abbia risorse sufficienti per far vivere dignitosamente tutti i suoi abitanti. Noi siamo partiti da lì. Abbiamo cominciato ad interrogarci, a chiederci perché nonostante sulla terra ci sia la possibilità di far star bene tutti, in realtà tantissima gente viene condannata a questa situazione. Allora abbiamo capito che per riuscire a dare una risposta a questi problemi, è necessario rifuggire anche da una tentazione consumistica che si nasconde nell'ambito del sapere. Noi ci crogioliamo un pochino nella voglia di sapere di tipo salottiero, siamo male abituati da questo "consumismo dello spettacolo" ci travolge. Siamo assetati di spettacolo, siamo assetati di notizie che fanno clamore, ed è veramente grave che assegniamo il ruolo di spettacolo anche alla sofferenza degli altri. Per cui il primo imperativo del nostro centro è conoscere i disagi che sono presenti nel mondo ponendoci l'obiettivo di capire, alla fine del percorso, che cosa possiamo fare per opporci a queste miserie. Crediamo di aver capito che per riuscire a trovare delle soluzioni sia necessario percorrere un cammino che va in tre direzioni. Innanzitutto è necessario capire quali sono i meccanismi che generano l'impoverimento. In secondo luogo bisogna scoprire i veri protagonisti. Alla fine riusciremo anche a capire che cosa possiamo fare noi di concreto. Allora, parlando in termini di impoverimento (e badate bene, uso il termine "impoverimento", non il termine povertà, perché la povertà è un concetto statico, non dà il senso della cosa che si genera di giorno in giorno) la realtà è che la povertà è organizzata a livello mondiale, non è una fatalità, si organizza giorno per giorno grazie ad un sistema che non bada affatto a soddisfare i bisogni della gente ma piuttosto ad arricchire chi è già ricco. Questa purtroppo è la realtà. E uno dei meccanismi di fondo di questo sistema è la logica del mercante, siamo stati abituati a pensare che il sistema economico sia una cosa complicata. Non c'è niente di più semplice. Il capitalismo è la logica del mercante elevata a livello di sistema. Allora uno dei meccanismi di fondo del capitalismo è il mercato, e il mercato purtroppo divide la gente in due gruppi: gli utili e gli inutili. Gli utili sono quelli che hanno del denaro da spendere e noi li conosciamo molto perché siamo noi. Noi infatti ci rendiamo conto che siamo utili anche perché siamo corteggiati dalla mattina alla sera, siamo addirittura rimbambiti per essere ridotti a comprare ciò che serve al sistema. Il sistema ha bisogno di chi ha denaro perché appunto ha bisogno del suo consumo, e ha la tendenza a questo punto ad arricchire sempre più chi ha già denaro in tasca perché il sistema sta producendo oggetti sempre più sofisticati, ormai si è messa in corsa una tecnologia che non si ferma più. Per cui tende ad arricchire i consumatori che già sono ricchi piuttosto che i poveri. E proprio a questo punto succede un fatto curioso: chi non entra nel mercato viene addirittura depredato delle risorse naturali che gli consentivano di vivere senza chiedere niente a nessuno.

Se noi analizziamo perché nel sud del mondo si diventa poveri, scopriamo che accade perché ai contadini viene tolta la terra dove coltivavano prodotti utili alla loro sopravvivenza per coltivare qualcosa che possa essere venduto ai ricchi consumatori del nord. Si scopre che la gente del sud del mondo diventa povera perché non ha più la possibilità di vivere nella foresta dove da sempre viveva, perché c’è l'interesse a disboscare, a portare via il legname, a portare via i minerali che stanno nel sottosuolo. La gente nel sud del mondo diventa povera perché magari non ha più la possibilità di pescare i pesci che un tempo poteva pescare con le piccole reti che non andavano oltre i dieci metri, perché un bel giorno sono arrivati i grandi pescherecci e hanno portato via il pesce che serve ancora una volta per i ricchi consumatori del nord.

Quindi ecco, questa é la prima constatazione: i meccanismi che generano l'impoverimento sono strettamente legati a questo sistema e il mercato è uno dei meccanismi di fondo. Allora se questo è vero noi non possiamo più pensare di affrontare il tema dell'impoverimento nel sud del mondo in maniera tradizionale attraverso la carità o attraverso una cooperazione basata ancora sulla carità. Noi riusciremo a risolvere il problema solo se avremo la capacità di cambiare il sistema economico. Questo è il più grande imperativo della nostra epoca. O noi siamo capaci di fare questo, o siamo dei grandi ipocriti, versiamo delle grandi lacrime di coccodrillo. Secondo passaggio: riuscire a conoscere i protagonisti, che è altrettanto importante che riuscire a conoscere i meccanismi. Sono tanti i protagonisti che generano impoverimento, che derubano i poveri nel sud del mondo; per primi i governi locali, non dimentichiamoli. Se noi guardiamo a chi governa nei paesi del sud ci rendiamo conto che molto spesso è gente che non si cura affatto del destino della propria gente, che si cura esclusivamente dei propri interessi, e siccome questi sono molto vicini agli interessi dei governanti e delle imprese del nord, ecco che vengono scelte politiche che servono più ad arricchire le imprese del nord che a risolvere i problemi della gente del sud. Naturalmente ci sono le élite locali, però attenzione: noi viviamo nel nord del mondo e contro i governanti del sud possiamo fare abbastanza poco. Noi dobbiamo concentrare l'attenzione verso i protagonisti del nord. Ecco che compaiono di nuovo in scena i nostri governi, compaiono in scena le grandi istituzioni internazionali come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale. Queste hanno grandi responsabilità soprattutto per come oggi viene affrontato il tema del debito che è un grande flagello per la gente del sud perché si stanno mettendo a punto delle politiche che stanno smantellando tutto lo stato sociale, che stanno creando un sacco di disoccupazione, che stanno bloccando i salari. Però, quando abbiamo rammentato il governo e le istituzioni internazionali non abbiamo ancora nominato i veri protagonisti. I veri protagonisti sono le imprese. Le imprese stanno vivendo in una sorta di immunità. Non se ne parla mai, eppure le imprese sono il cuore del sistema, innanzitutto perché determinano la logica del sistema. Si è detto prima che tutto ruota attorno ad esse, anche perché le imprese sono responsabili delle strategie che si stanno portando avanti a livello nazionale e internazionale, che poi generano questa situazione di fondo. E quando si parla di imprese naturalmente non si può dimenticare che le imprese che oggi contano sono le multinazionali, quei giganteschi complessi che ormai non hanno più patria, che sono nati apposta così per riuscire a superare i tentativi che facevano i vari stati per proteggere la loro industria nazionale. Sono nate appunto le multinazionali che oggi pretendono di trasformare il mondo intero come se fosse un mercato unico. Allora ecco, per riuscire a capire che cosa possiamo fare noi per tentare di far cambiare le cose, bisogna analizzare in che modo le multinazionali generano impoverimento nel sud del mondo. I sistemi sono quattro o cinque: il primo ve l'ho già spiegato, è quello di togliere le risorse naturali alla gente.

Badate bene che non è qualcosa che appartiene al passato. Vi potrei citare il caso del Bangladesh, piccolo paese che ormai conta cento cinquanta milioni di abitanti, cosa paurosa dal punto di vista della pressione demografica, che è terrificato da un debito estero enorme. Su pressione della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, il Bangladesh come tutti gli altri Paesi del sud è spinto ad orientare tutta la sua economia esclusivamente per pagare il debito estero, per pagare le banche multinazionali che hanno generato apposta il debito nel sud del mondo per superare una situazione di crisi che esse (le banche) stavano vivendo agli inizi degli anni settanta. Oggi però tutta la gente è costretta a farsi carico del debito. E siccome le banche devono essere pagate in dollari, tutta l'economia di questi paesi viene orientata verso l'esportazione. Ma cosa volete che esporti il Bangladesh? Non ha risorse minerarie e non ha risorse agricole, perché è costretto a produrre quasi solo riso per la propria gente. Un bel giorno il governo ha scoperto le ranocchie perché da un'indagine di mercato che gli aveva fatto il FMI è emerso che in Europa, specie i francesi, erano grandi consumatori di cosce di ranocchia e si è dato da fare per cacciare le ranocchie. Dopo sei mesi ha dovuto fare una grande marcia indietro perché si sono accorti che le ranocchie mangiavano le zanzare e che, sterminando le ranocchie, stava tornando di nuovo la malaria. Allora hanno cercato in altre direzioni e hanno scoperto facendo un'altra indagine di mercato che in Europa siamo dei grandi divoratori di gamberetti. I gamberetti sono degli animaletti che pur vivendo in acqua marina, per essere allevati hanno bisogno di bassi fondali, e si sono guardati attorno per tentare di vedere dove potevano tentare di ottenere questi allevamenti artificiali di gamberetti spendendo il meno possibile. Sono arrivati un bel giorno in fondo al delta del Gange, il Brahmaputra dove ormai l'acqua del fiume si confonde con l'acqua del mare ed hanno scoperto che alcuni contadini senza terra erano riusciti a costruire degli orti artificiali facendo un pochino quello che avevano fatto gli olandesi: avevano costruito degli sbarramenti di fango, e facendo questi sbarramenti di fango avevano bonificato dei pezzettini di terra su cui coltivavano il riso. Allora i mercanti della città, della capitale Dakka, sovvenzionati dal governo Bengalese a sua volta sovvenzionato dal FMI, sono arrivati lì e hanno chiesto a questi contadini di avere la loro terra perché era l'ideale per riuscire ad allevare i gamberetti, essendo protetta da tutti i lati. I contadini hanno fatto i loro conti, si sono resi conto che con quello che veniva offerto loro da questi commercianti in affitto dei loro terreni sarebbero riusciti a mangiare per poco più di tre mesi l'anno, avrebbero fatto la fame (la facevano già la fame per la verità, ma la facevano un pochino meno), e quindi hanno detto che non ci stavano. I mercanti hanno fatto buon viso a cattiva sorte, sono tornati indietro ma qualche giorno dopo i contadini si sono svegliati al mattino hanno scoperto che erano state fatte delle falle sugli sbarramenti naturali che loro avevano costruito. L'acqua del mare era ritornata nei loro campi, erano ritornati punto e daccapo, e non avendo più la possibilità di coltivare il riso, hanno dovuto cedere la loro terra per tre lire.

Ecco un meccanismo concreto attraverso il quale si sono generati nuovi poveri che sono destinati ad andare a finire nelle città spaventose che siamo abituati a vedere in televisione.

Niente avviene per caso, di questi meccanismi ne succedono quotidianamente. In questi giorni leggevo che in Indonesia i contadini stanno perdendo la terra per fare posto ai campi da golf dei signori turisti giapponesi, dei signori turisti statunitensi, ed oramai anche dei signori turisti europei che stanno scoprendo il golf come ultimo sport alla moda. C’è bisogno di grandi estensioni, e si prende la terra senza tanti problemi, si butta fuori la gente, fuori dalla sua casa, a sonori calci nel sedere senza preoccuparsi di quale sarà il suo destino. Non pensate che stiamo parlando di fatti che avvenivano anni orsono, decenni orsono, sono fatti che avvengono ogni giorno: e la gente nel sud del mondo perde la propria terra, e un contadino che perde la propria terra è un uomo impoverito che non sa che vita condurre. Quindi questo è il primo grande meccanismo.

Secondo meccanismo: quello dei prezzi. I contadini che riescono a mantenere la loro terra, che per una ragione o per l'altra sono inseriti nel commercio internazionale dei prodotti che noi consumiamo (caffè, tè, cacao) sono sempre sotto la ghigliottina della presenza delle multinazionali che determinano il prezzo a loro piacimento attraverso tutta una serie di meccanismi. C'è stato un periodo verso la fine degli anni ottanta, quando si sono rotti tutti gli accordi commerciali, in cui c'è stato un vero e proprio crollo del prezzo del caffè. Nel sud del mondo i contadini producevano in perdita e non riuscivano a coprire neppure le spese. Per fortuna ci sono sempre i boomerang e così i contadini in America Latina hanno scoperto che da quaranta ettari di terra coltivata a caffè guadagnavano meno che da tre ettari coltivati a coca e si sono messi a produrre coca ovviamente, perché cosa volete che interessi loro se in America e in Europa la gente prende il vizio della droga; per loro é un problema che non esiste, hanno altri problemi più urgenti a cui far fronte. Per cui ci sono anche i boomerang. Sarebbe interessante riuscire a capire com'è strutturato tutto il commercio e come sono presenti le multinazionali all'interno di questi prodotti che noi consumiamo con estrema disinvoltura. Scopriamo dietro alcuni prodotti, come le banane o come il tè, che ci sono le multinazionali che noi conosciamo molto bene poiché sbattiamo ogni giorno il naso contro le loro marche: Chiquita, Dole, Del Monte. Chi non le conosce? Basta andare al supermercato e guardare i bollini, c'è scritto il loro nome dappertutto. La loro presenza arriva fino al livello produttivo. Queste imprese che noi conosciamo come imprese commerciali, in Costa Rica, in Panama, in Honduras, in Kenya, nelle Filippine sono conosciute come padroni. Loro hanno ancora la proprietà di migliaia e migliaia di ettari. Loro là sono grandi proprietari terrieri. Quindi ecco un altro meccanismo attraverso il quale passa poi lo sfruttamento della gente del sud del mondo: quello dei bassi salari, non soltanto in agricoltura nel settore specifico delle banane e del tè, ma sempre più anche nel settore industriale, e questo è strettamente collegato alla cosiddetta globalizzazione, un'altra parola difficile che sta venendo avanti oggigiorno.

Già prima vi ho detto che la nostra è l'epoca delle multinazionali; circa seicento, settecento multinazionali (anche se ne sono state censite quarantamila) riescono ad avere il controllo quasi totale dell'economia mondiale. Ecco allora che le multinazionali hanno interesse a trasformare il mondo intero in un unico grande mercato. Ma attenzione, c'è un problema. Benché il mondo sia grande come estensione, in realtà il mercato è piccolo, se si contano i consumatori, proprio perché attraverso cinquecento anni di colonialismo si è generato un grande squilibrio nella distribuzione della ricchezza. Il mercato, cioè il numero di persone che è capace di assorbire il 100% dei prodotti dell'industria e dell'agricoltura, è circa il 30-35% della popolazione mondiale. I consumatori che fanno il mercato nel mondo non sono più di un miliardo e duecento, trecento milioni. Gli altri sono degli inutili per il sistema. Allora voi provate ad immaginare di essere tanti mercanti che si contendono un piccolo mercato come quello mondiale. Si instaura tra di loro una concorrenza estrema ed oggi stiamo veramente assistendo ad una concorrenza molto aspra che si combatte essenzialmente mediante l'abbassamento dei prezzi. Questa è la strategia che si sta perseguendo oggi per tentare di conquistare un piccolo mercato. Ma siccome le imprese vivono essenzialmente per fare profitto sono disposte ad abbassare i prezzi solo se contemporaneamente riescono ad abbassare i costi. Allora ecco che c'è un grande tentativo da parte delle imprese di eliminare tutti i costi compreso quello del lavoro, perché per le imprese il lavoro è un costo, non sono persone che hanno le loro necessità. Ecco allora che c'è un processo in atto che va in due direzioni: da una parte l'automazione, cioè il tentativo di rimpiazzare sempre di più la manodopera con le macchine laddove la macchina diventa l'elemento centrale; dall'altra, laddove si ha bisogno di molta manodopera, c'è la tendenza a trasferire la produzione in luoghi del mondo dove la manodopera costa poco perché appunto viviamo in un mondo squilibrato non soltanto da un punto di vista della distribuzione della ricchezza ma anche dal punto di vista salariale. Ecco allora che le multinazionali già da una quindicina d'anni, specialmente quelle che sono inserite in settori dove c'è la necessità di molta manovalanza, di tanta manodopera, hanno cominciato a trasferire la produzione nei luoghi del mondo dove i salari sono più bassi che a casa loro e il fenomeno è iniziato nel settore calzaturiero alla metà degli anni ottanta. Imprese molto famose, come la Nike e la Reebok hanno cominciato nel 1985 a trasferire la produzione in Corea del Sud e a Taiwan, due paesi che erano molto coccolati dagli Stati Uniti anche perché rappresentavano i baluardi anticomunisti nel Pacifico. E' successo quindi un fenomeno curioso. Intanto vorrei farvi notare che le imprese hanno trasferito la produzione non facendo degli investimenti diretti, non è che hanno aperto delle fabbriche cacciando di tasca i soldi, no, hanno iniziato a usare il sistema del subappalto, che consiste ad esempio nel chiedere a imprese sud coreane di accettare la commissione della produzione di tot migliaia di paia di scarpe. La ditta che fa la commissione diventa un commerciante qualsiasi, ed è estremamente comodo per le multinazionali il subappalto, perché lascia tutto il rischio della produzione all'impresa subappaltata e non solo, ma gli lascia anche tutta la responsabilità del rapporto con i lavoratori. E questo sta diventando estremamente comodo specie oggigiorno che stanno venendo alla ribalta delle situazioni di lavoro paurose, di tipo ottocentesco. Avrete letto dello scandalo che è venuto fuori riguardo all'utilizzo del lavoro infantile in Indonesia da parte dei subappaltatori della Nike, scoppiato in questi giorni.

Il fatto che la produzione avvenga da parte delle subappaltate delle grandi multinazionali è una grande valvola di sfogo perché queste persone possono dire: non siamo noi direttamente che impieghiamo i lavoratori, non siamo responsabili delle loro condizioni. Ovviamente sono scuse. Quindi vorrei raccontare brevemente la storia del subappalto che è iniziata nel 1985 verso la Corea del Sud e Taiwan. Per cinque o sei anni la produzione è rimasta in queste due zone del Pacifico; poi è successo che in questi due paesi i lavoratori sono riusciti ad organizzarsi, sono riusciti ad ottenere dei discreti aumenti salariali. A quel punto le grandi multinazionali statunitensi ed europee hanno perso la convenienza a continuare a trasferire la produzione in questi due paesi, la concorrenza incalzava, bisognava trovare delle situazioni in cui si potesse spendere ancora meno nella produzione. Naturalmente di luoghi del mondo dove i salari erano ancora bassi, molto più bassi che in Corea del Sud e Taiwan ce n'erano tantissimi. Il problema era che in questi luoghi non esistevano delle imprese locali a cui potersi rivolgere per delegare la produzione. Ed ecco allora che si è innescata una catena piuttosto strana: è successo che le stesse imprese che producevano per Nike, Reebok, Chicco, Benetton, o per tante altre nei loro paesi, hanno chiuso le fabbriche a casa loro, le hanno riaperte in Indonesia, le hanno riaperte in Cina e in Thailandia. Allora ecco, la catena è questa: la multinazionale statunitense o europea subappalta la produzione ad una multinazionale sud coreana o taiwanese, la quale apre una fabbrica in Indonesia o in Thailandia o in Vietnam, perché la corsa al paese con il salario sempre più basso continua. In queste fabbriche che producono scarpe che molti di voi hanno ai piedi ci sono condizioni veramente spaventose. Voi pensate che in Indonesia un lavoratore va a lavorare per sette ore al giorno per riuscire a guadagnare alla fine della giornata quello che il governo chiama il salario legale, ma che in realtà non consente di soddisfare neppure i bisogni minimi di base. Cioè un lavoratore indonesiano in una fabbrica di scarpe che noi indossiamo, alla fine delle sette ore della giornata non ha guadagnato a sufficienza per uscire dalla linea della povertà. Siccome questa è la situazione, succede che, per riuscire a sbarcare il lunario la gente è costretta a lavorare un sacco di ore in più per cui in questi paesi del mondo si lavora 270-300 ore al mese come orario normale. E questo consente poi alle nostre imprese multinazionali di dire che il salario medio è ben superiore al salario minimo legale: è chiaro, perché questi fanno 300 ore al mese per cui alla fine in capo al mese viene fuori un salario che è molto più alto, si guardano bene dal dividerlo per le ore e dal parlare di salario orario. Si trovano delle situazioni in cui è assolutamente proibito organizzarsi dal punto di vista sindacale, ogni tentativo di far sciopero è represso nel sangue, non esiste nessuna situazione di sicurezza. Io a gennaio sono stato ad Hong Kong per un convegno, ho avuto la possibilità di visitare una zona economica cinese. Queste zone sono create apposta garantendo un sacco di agevolazioni alle imprese straniere affinché ci vadano a fare i loro investimenti. Una cosa agghiacciante, perché voi entrate in questa specie di parco industriale e non sapete bene dove siete: per certi versi si ha la sensazione di essere in una zona industriale, per altri vi rendete conto di essere in un luogo dove si abita. Infatti è successo che, in queste zone economiche speciali cinesi del meridione, la gente arriva addirittura da tremila chilometri di distanza. Da così lontano vengono a cercare il lavoro le ragazzine cinesi di 16, 17, 18 anni. Naturalmente hanno il problema di dove abitare. Allora, siccome le industrie si mettono in piedi esclusivamente per consentire alle imprese di poter fare un profitto, non ci si preoccupa assolutamente per l'aspetto umano della situazione. Molte imprese hanno risolto il problema dell'alloggio alzando un altro piano sopra la loro fabbrica per cui voi girate gli occhi al cielo e vedete che ci sono tutte le mutandine stese, le canottiere, e sono stese naturalmente alle finestre che hanno le inferriate, perché in Cina c'è questa abitudine, che tutte le finestre, anche se sono al ventesimo piano, hanno le inferriate e poi si chiude sempre tutto a chiave e questo porta di continuo a dei disastri enormi perché sono strutture produttive che si fanno senza tener conto di nessuna norma di sicurezza, scoppiano di continuo incendi e siccome appunto c'è questa mescolanza di zona produttiva, di magazzino e di dormitorio e per di più sono chiusi succede che quando scoppia un incendio questi diventano degli edifici trappola e per esempio, nel 1993, alla Zili, una fabbrica che produceva giocattoli per la Chicco, morirono 87 ragazzine di diciassette anni. Poi vi racconterò la storia perché la storia continua. Quindi proprio perché siamo in un momento di globalizzazione i bassi salari non si trovano più soltanto all'interno del settore agricolo, ma anche di quello industriale.

Quindi, riassumendo, questi sono i tre grandi meccanismi che generano impoverimento nel sud del mondo: l'espropriazione delle risorse ai contadini, i bassi prezzi, i bassi salari con tutto quello che poi viene dietro.

Quando noi facciamo la descrizione di questo scenario che sembra addirittura apocalittico c'è un grande rischio, il rischio che noi veniamo assaliti da un grande senso di impotenza. Ci viene da pensare che contro queste strutture così grandi, così mostruose che sono istituzioni internazionali, che sono le multinazionali noi non possiamo fare assolutamente niente. Però quando siamo assaliti da questo senso di impotenza ricordiamoci anche di un'altra realtà.

Tentiamo di analizzare com'è fatto il potere, perché, se analizziamo com'è fatto il potere, ci renderemo conto che nessun potere sta in piedi da solo. Il potere sta in piedi perché i sudditi gli consentono di stare in piedi. Questa è una realtà che bisogna sempre tenere a mente. E il potere sa così bene che ha bisogno dei suoi sudditi per stare in piedi che fa di tutto per riuscire ad avere dei sudditi consenzienti. Non a caso voi vedete che fa un grande sforzo per tentare di impadronirsi dei mezzi di informazione, e non è un caso. Voi guardate in Italia, se non vivete su un altro pianeta fatevi delle domande sull'informazione. Io non so che giornale sia di moda a Trieste, a Firenze è di moda La Nazione. Non crederete mica che sia un giornale del popolo: è un giornale che ha un proprietario ben preciso, che ha un padrone ben preciso il quale non soltanto ha il giornale ma ha anche tanti altri affari nell'industria e nel commercio. La Repubblica lo stesso, Il Corriere della Sera lo stesso, La Stampa lo stesso: si sa che appartengono ad Agnelli, si sa che appartengono a De Benedetti. Hanno un nome e un cognome. Ma come mai questi imprenditori si sono buttati così a capofitto nell'informazione quando si sa che l'informazione è un settore in rimessa? Una ragione ci sarà: e la ragione è che attraverso i mezzi di informazione si riesce a manipolare il pensiero della gente. Non solo si manipola il pensiero della gente, quindi si fanno tanti burattini come servono al potere, ma addirittura si riesce a tenerli lontano dai problemi reali creandogli tutta una serie di altri interessi artificiosi: lo sport, le mode, il sesso, questi sono i capisaldi di tutta una serie di riviste e rivistucole che girano. Io lavoro in ospedale, le vedo, sono una miriade infinita, credo che saranno migliaia. Ecco, il potere ha questa consapevolezza e quindi si è organizzato per tentare di avere dei sudditi obbedienti. La realtà è che il potere non sta in piedi da solo, ma ha bisogno di noi e noi siamo responsabili insieme al potere. Questo è un messaggio che il mio priore, il priore di Barbiana, ci ha lasciato nella lettera ai giudici dove diceva che la responsabilità non si può dividere a frazione per cui dei misfatti che fanno gli eserciti è responsabile il generale ma è responsabile anche l'ultimo soldatino e così pure, per analogia, dei misfatti delle imprese non sono responsabili soltanto gli imprenditori. E poi alla fine chi sono gli imprenditori? Voi guardate, oggigiorno ci sono i cartelli in giro: Mediaset cerca azionisti. E' diventato un grande problema perché a volte non è più possibile neanche individuare il proprietario ben preciso. Perché è vero che se andate a vedere magari il 15% delle azioni è in mano ad una certa famiglia, ma poi il resto è frantumato fra migliaia di azionisti. Per cui siamo un pochino tutti i proprietari, e questo aumenta sempre più la nostra responsabilità. Ma anche se non abbiamo azioni in tasca noi siamo responsabili insieme alle imprese per il fatto che appunto noi compriamo ad esempio i prodotti che loro ci offrono. Questo è il grande aspetto che noi dobbiamo tenere a mente e cioè che noi siamo responsabili insieme alle imprese dei loro misfatti.

Questo però è solo un aspetto della medaglia: l'altro aspetto è che siamo molto potenti. Lo diceva anche padre Zanotelli: questi gesti comuni attraverso i quali passa il nostro sostegno al sistema - che sono il consumo, il risparmio, il pagare le tasse, il voto - non sono degli aspetti marginali di cui il sistema può fare a meno; sono fondamentali, sono portanti. Allora così come sono fondamentali e portanti per tenerlo in piedi, noi possiamo utilizzare questi stessi strumenti per tentare di indebolirlo. Ecco che il sistema, il potere è in una posizione ambigua rispetto a noi: da una parte sa che noi siamo la sua forza, dall'altro sa che possiamo diventare anche la sua grande debolezza e proprio per questo padre Zanotelli fa sempre l'esempio della statua di Nabucodonosor quando parlava dei piedi d'argilla. Questa statua imponente dell'epoca dei babilonesi che metteva grande paura alla gente aveva questo difetto, i piedi d'argilla, e voi sapete che l'argilla è un materiale fatto in modo che se riceve i raggi solari si indurisce e riesce a sostenere un peso molto grande sopra di sé, ma se riceve qualche goccia d'acqua diventa una poltiglia e il peso che ci sta sopra crolla. Noi rappresentiamo i piedi del sistema e sta a noi stabilire se vogliamo che questa argilla si solidifichi, diventi sempre più dura e consenta al potere che ci sta sopra di stare su sempre più eretto, o se invece questa argilla deve diventare poltiglia che un po' alla volta fa crollare il potere che ci sta sopra. Noi abbiamo questa possibilità, la possibilità che noi abbiamo si chiama non collaborazione, si chiama vivere la vita in senso critico, non soltanto il consumo deve essere critico, ma tutta la vita deve essere critica. Ancora una volta io ritorno alle mie origini e ricordo che a Barbiana ci veniva detto in maniera ossessionante di non fare mai niente se prima non l'avete passato al vaglio del vostro pensiero. Ogni volta che ricevete un invito da chiunque e in special modo dal potere chiedetevi sempre se è giusto o sbagliato e alla fine aderite soltanto se voi a partire da voi stessi, dai vostri pensieri, dalle vostre convinzioni ritenete che sia giusto, altrimenti obiettate. L'invito ad obiettare non è qualcosa che si applica soltanto nell'ambito militare ma deve diventare uno stile di vita che si attua quotidianamente e che si confà se noi riusciamo ad essere persone dignitose che hanno un pensiero da far valere prima di tutto.

Questo è il punto di fondo. Guardando alle possibilità che noi abbiamo per tentare di indebolire questo sistema, per tentare di fare in modo che questi piedi d'argilla diventino poltiglia, ecco che il consumo assume un posto di rilievo proprio perché il consumo è l'anello finale che consente al sistema di portare avanti tutti i suoi progetti. I mercanti, le multinazionali producono per ottenere profitto, e per ottenere profitto devono vendere. Noi rappresentiamo l'architrave del sistema, se i consumatori dicono basta, questo sistema crolla come una pera cotta, non rimane mattone su mattone. Noi da questo punto di vista siamo veramente potenti, ultra potenti, aiutatemi a dire quanto siamo potenti. Noi non abbiamo ancora preso questa consapevolezza e quindi non la utilizziamo. Il consumo è un'arma potente per far cambiare le cose.

Tentiamo di capire brevemente in che modo noi possiamo usare il consumo come mezzo per condizionare le imprese. Alla fine anche i governi, e Greenpeace in qualche maniera ce l'hanno fatto vedere quando c'è stato il caso degli esperimenti nucleari a Mururoa. Lascio un attimo da parte il commercio equo e solidale non perché non sia importante ma perché mi pare che sia un argomento tutto sommato abbastanza noto. Affronto invece gli altri due temi che sono il boicottaggio e il consumo critico. Bisogna essere capaci di fare la distinzione tra i due strumenti. Il boicottaggio è un'azione forte che si fa nei confronti di un'impresa cui si fa una contestazione ben precisa.

Il boicottaggio è qualche cosa che si organizza per vincere: ci si organizza chiedendo all'impresa quella cosa non accettiamo di lei facendole tutta una serie di richieste e sostenendo le richieste attraverso il ricatto della sospensione degli acquisti. Ma non ci limitiamo soltanto a sospendere gli acquisti, tentiamo anche di creare allo stesso tempo tutta una serie di altre alleanze che riescano a condizionare l'impresa anche da altri punti di vista. Tutti i movimenti esteri che hanno esperienza nel settore del boicottaggio ve lo potrebbero testimoniare: non si limitano soltanto a chiedere ai consumatori di smettere di comprare un certo prodotto anche se questa è un'azione chiave, ma allo stesso tempo cercano le alleanze nel settore della chiesa, nel settore sindacale, da parte delle forze politiche, degli investitori esteri e via discorrendo. Il boicottaggio è un'azione forte che tenta di ottenere una cosa ben precisa da un'impresa. Con questa azione si chiede cosa si vuole venga cambiato e si sostiene la richiesta attraverso questo gesto. Quando poi finalmente abbiamo ottenuto quello che volevamo il boicottaggio si sospende. In Italia abbiamo in questo momento un boicottaggio solo, che è quello contro la Nestlè, un boicottaggio che finalmente abbiamo cominciato sulla scia di un'esperienza che si sta portando avanti da diversi anni in ambito internazionale, un boicottaggio che si sta facendo soprattutto per contestare le imprese che producono latte, che, pur essendo molte, in realtà hanno come capostipite la Nestlè. Infatti la Nestlè è il più grande produttore e commerciante di latte in polvere per cui si sa bene che se la Nestlè cambia atteggiamento anche tutte le altre accetteranno poi di cambiare. Per questo è stato deciso di prendere di mira essenzialmente questa impresa, perché è la capostipite.

Viene contestato alla Nestlè di fare una pubblicità aggressiva che contravviene ad un codice che si è dato una decina di anni orsono l’O.M.S. per tentare di regolamentare il comportamento delle imprese che vendevano latte in polvere perché si è constatato che nel sud del mondo il latte in polvere molto spesso invece di far crescere i bambini sani e belli li fa morire. Li fa morire attraverso due meccanismi. Da una parte li fa morire di fame, subentra la denutrizione, perché dovete pensare che molto spesso la proposta di allattare attraverso il biberon con il latte artificiale viene fatta a famiglie molto povere, che quindi soltanto nelle prime settimane di vita hanno la forza economica per mettere nell'acqua i giusti dosaggi di latte in polvere. Via via che il bimbo cresce, continuano a mettere sempre gli stessi dosaggi perché non hanno la forza economica per comprare due o tre barattoli alla settimana o al giorno come sarebbe necessario. Si nota ad un certo punto che il peso dei bimbi allattati con il latte artificiale si ferma, e quello è l'inizio del calvario, perché dei bimbi denutriti sono dei bimbi più esposti alle malattie e quindi subentra complicazione su complicazione.

La seconda causa di morte dei bimbi allattati artificialmente nel sud del mondo è la dissenteria. I biberon che si utilizzano per allattare artificialmente, se non si osservano tutta una serie di regole igieniche, diventano delle vere e proprie armi batteriologiche. Voi provate a pensare di essere una famiglia di Nairobi che appunto ha dato il latte in polvere al bimbo. Nel biberon ne avanza un po' e non si può buttarlo via perché è costato molto, quindi si conserva, ma lo conservate a trenta e più gradi per cui pensate alla quantità di batteri che si moltiplicano su questo fondo di latte in polvere. Poi aggiungete il fatto che la tettarella è rimasta sporca di latte e ci si depositano centinaia di mosche che portano tutta la sporcizia del mondo, queste bottiglie alla fine diventano un concentrato di batteri e generano nei bimbi delle diarree che sono fulminanti e li fanno morire. Fino a qualche tempo fa si diceva che l'O.M.S. aveva calcolato che morivano ogni anno nel sud del mondo un milione e mezzo di bambini per l'allattamento artificiale. Non so se questa cifra sia stata rivista ma questa è l'ultima ufficiale che io ho visto scritta per cui non sono cose che raccontano soltanto quelli che ce l'hanno con le multinazionali ma sono dati ufficiali delle stesse istituzioni internazionali che sono adibite a salvaguardare la salute della gente. C'è in corso questo boicottaggio contro la Nestlè perché nonostante l'O.M.S. abbia prescritto tutto un codice che devono rispettare le multinazionali riguardo al non fare pubblicità, riguardo a scrivere sui campioni di latte le istruzioni in lingua locale dicendo sempre che l'allattamento materno é il migliore, il codice mondiale della sanità prevede tutto questo ma prevede anche che non debbano essere dati dei campioni gratuiti negli ospedali perché questi sono un modo indiretto per fare di nuovo promozione del latte in polvere e invece ci sono numerosissimi casi nel sud del mondo che dimostrano che Nestlè e altre imprese multinazionali continuano a fare promozione attraverso i campioni gratuiti, e questo è uno dei motivi per cui si sta portando avanti ancora il boicottaggio nei confronti della Nestlè. All'estero il boicottaggio è un'arma molto nota, negli Stati Uniti esistono addirittura delle riviste dove mensilmente si dice quali sono i boicottaggi in corso, mentre in Italia siamo agli inizi e questo per il momento è l'unico boicottaggio in corso. Accanto al boicottaggio poi c'è quest'altra iniziativa che è il consumo critico.

Il consumo critico è un'iniziativa meno appariscente, è uno stile di vita in fin dei conti, è il cominciare ad andare a fare la spesa con la consapevolezza che ogni volta che noi compriamo qualcosa, non compriamo qualcosa che soddisfa i nostri bisogni, ma compriamo degli oggetti che hanno una loro storia, che può essere positiva o negativa. Don Battistella dice che i prodotti hanno un'anima proprio perché dietro ai prodotti ci sono delle persone che hanno sofferto magari per produrre quei beni, perché dietro i prodotti c’è sempre una storia e un'avvenire di carattere ambientale. Andate a fare la spesa con questa consapevolezza, ma anche con un'altra: i prodotti ci vengono offerti da imprese che molto spesso sono molto grandi e non si limitano soltanto a produrre quel particolare prodotto che magari in quanto tale può avere una storia pulita, ma invece spaziano in tanti altri settori dove si possono trovare comportamenti che non sono accettabili. Tanto per fare un esempio: prendiamo il formaggio Osella, non so se qui a Trieste si vende. Il formaggio Osella è un formaggio banale che se uno lo compra probabilmente ha l'impressione di comprare un formaggio locale e sicuramente sarà un formaggio che sarà prodotto qui in Nord Italia, nella Padania. Le fattorie Osella non sono un'impresa che appartiene alla Padania, ma appartiene alla Kraft, e la Kraft, benché sia una grande multinazionale, non è priva di genitori: la Kraft appartiene alla Philip Morris, quindi ogni volta che mangiamo un formaggio banale senza significato come é questo piccolo formaggio Osella, in realtà noi compriamo Philip Morris, noi diamo un obolo alla Philip Morris. Ecco, e la Philip Morris sta combinando dei grossi guai nell'ambito del tabacco perché la Philip Morris, che è appunto un gigante del tabacco, sta tentando disperatamente di trovare fuori dall'Europa e fuori dagli Stati Uniti i due milioni di fumatori che muoiono ogni anno nel nord del mondo. Ogni anno muoiono infatti due milioni di fumatori perché contraggono il cancro. Altri si perdono perché riescono ad acquistare la consapevolezza che fumare fa male e quindi smettono. Questo è l'imperativo o, come dicono in gergo aziendale, la "mission" (perché anche in campo economico si utilizza questo linguaggio semi-ecclesiastico): trovare due milioni di fumatori nuovi per rimpiazzare quelli che se ne sono andati. Li cerca naturalmente dove la popolazione è numerosa e quindi li cerca essenzialmente nel sud del mondo ed è dimostrato che li trova soprattutto tra gli adolescenti. Quindi va aumentando il numero dei fumatori in Africa e in Asia nelle grandi città, perché le sigarette si possono frantumare, non è necessario venderne un pacchetto intero, se ne può vendere anche solo una riuscendo così a carpire i pochi centesimi che il ragazzino, che l'adulto ha in tasca inducendolo a comprare la sigaretta. Qualcun altro lo induce a comprare la Coca Cola per cui ecco, noi notiamo che nel sud del mondo queste grandi imprese tentano di trovare anche loro la loro quota di mercato frazionando i prodotti.

Questo per dire che è assolutamente necessario oltre a fare un'analisi della storia del prodotto fare anche un'analisi dell'impresa prima di comprare qualsiasi cosa. Il consumo critico è l'atteggiamento di quello che va a comprare un prodotto non soltanto badando alla qualità e al prezzo, ma soprattutto guardando alla storia del prodotto, la storia individuale del prodotto e badando al comportamento generale dell'impresa con la consapevolezza che scartando i prodotti delle aziende che si comportano male lancia un messaggio all'impresa che ci sta dietro, un messaggio concreto, fatto sui quattrini, che è l'unica lingua che capiscono le imprese. Il consumo critico dice che io non sono d'accordo con ciò che tu, impresa, stai facendo. Al contrario, concentrando gli acquisti sulle imprese che si comportano meglio si lancia l'invito alle imprese che hanno assunto un certo comportamento a proseguire lungo una certa strada. E' per questo che padre Zanotelli dice che nel supermercato si vota quotidianamente, si danno costantemente dei voti e non se ne dà uno solo, se ne danno decine, se ne danno tanti quanti sono gli oggetti che si buttano nel carrello e il voto è proprio questo lanciare il messaggio alle imprese: condivido o non condivido la tua scelta. E' un modo per tentare di condizionare le imprese attraverso le loro stesse regole: non ci è sempre stato detto che il consumatore è sovrano, che è il consumatore che deve decidere quali sono gli oggetti che devono essere venduti in base alla regola della domanda e dell'offerta? Prendiamola sul serio questa regola, ma prendiamola però per riuscire a costruire un mondo migliore, quindi non inseriamoci soltanto nella logica di guardare quello che apparentemente è di nostro interesse e dico apparentemente perché poi ci sono sempre i boomerang che tornano indietro. Se noi abbiamo la pazienza di aspettare ci renderemo conto che il nostro cadavere passa dentro al fiume perseguendo una certa logica. Prendiamola sul serio cercando di condizionare le imprese sulla logica nostra che è quella dell'etica e che è quella di finalmente riuscire a costruire un'economia al servizio dell'uomo. Il problema più grosso quando si decide di essere dei consumatori critici cioè che hanno la pretesa di acquistare i prodotti tentando di comprare in base al comportamento delle imprese è quello dell'informazione. Io ho un bell'andare al supermercato con questa volontà dentro di me se poi non riesco neanche a sapere chi sono i produttori che stanno dietro al prodotto che sto per comprare, se io non so neanche chi è il gruppo multinazionale di appartenenza. Il problema dell'informazione è il problema chiave del consumo critico. Quando andai in Inghilterra quattro anni fa e mi resi conto che circolavano delle riviste che avevano per compito quello di dare informazione ai consumatori rispetto al comportamento delle imprese rimasi strabiliato, rimasi proprio appassionato e mi dissi che bisognava tentare di realizzare qualcosa di analogo anche in Italia. Ho pensato che davvero se si riusciva ad informare, la possibilità di diventare dei consumatori potenti che riescono a condizionare le imprese diventava una realtà e non più soltanto un sogno.

Un po' alla volta siamo riusciti a mettere in piedi questa guida ["Guida al Consumo Critico", ed CEM, N.d.R.] come primo tentativo di informazione ai consumatori. Noi abbiamo fatto una guida che differisce un po' dalle guide che circolano all'estero, perché all'estero hanno una concezione più morale dell'economia per cui danno moltissima importanza a problemi come il trattamento degli animali che è sicuramente importante, danno molta importanza all'ambiente, danno molta importanza alle pari opportunità per gli uomini e per le donne, per gli invalidi, tutti aspetti importanti ma che però secondo noi hanno il difetto di non concentrarsi invece sui problemi sociali che sono altrettanto gravi. Perciò ci sono delle guide che circolano all'estero dove non si analizza per niente il comportamento delle imprese nel sud del mondo. Ci sono delle guide che circolano all'estero in cui non si analizza per niente il rapporto col mondo del lavoro, cioè non ci si chiede come si comportano le imprese in ambito sindacale. Noi abbiamo fatto una guida con una forte attenzione per tutti gli aspetti sociali e abbiamo tirato fuori questo libretto dove si analizzano appunto 180 imprese della spesa quotidiana da 12 punti di vista e sono veramente tanti. Qualche volta non ci siamo riusciti, abbiamo dovuto mettere dei punti interrogativi per onestà. Però molto spesso invece, cercando qua e là, appoggiandoci al sindacato, appoggiandoci ad un gruppo di ricerca estero, appoggiandoci ad un gruppo che operava localmente, siamo riusciti ad avere tutta una serie di informazioni per cui oltre ai temi che venivano affrontati all'estero ne abbiamo inseriti altri molto importanti per noi come l'abuso di potere, per esempio. Questo è un criterio nuovo che abbiamo inserito.

Noi contestiamo alle imprese che, per il solo fatto che loro hanno tanto denaro da spendere, possano gestire una fetta di potere che è superiore a quella di ciascuno di noi. Io non glielo riconosco, questo per me è abuso di potere, non soltanto la pressione che le imprese fanno di continuo sui governi, particolarmente appariscente a livello della Comunità Europea. Ci sono tutta una serie di organizzazioni, di associazioni che hanno messo in piedi le imprese multinazionali più potenti d'Europa esclusivamente per fare quello che si chiama "lobby", cioè pressione sulla CEE affinché vengano fatte delle regolamentazioni che siano loro favorevoli. Ci sono associazioni apposta per tentare di fare pressioni su istituzioni come la FAO dove si decidono per esempio i parametri della quantità dei pesticidi che sono ammessi dentro gli alimenti o le istituzioni come l'Organizzazione Mondiale del Commercio che sono costantemente sotto la pressione delle imprese perché lì si discute del commercio, quindi proprio dell'aspetto principale che fa vivere le imprese. Noi non riconosciamo questa fetta di potere alle imprese, quindi abbiamo voluto creare questo capitolo apposta dove si sono messi al bando tutti questi comportamenti ma anche il possesso dei mezzi di informazione.

Tra le novità che abbiamo inserito c’è il ricorso a paradisi fiscali. Noi siamo qui che tentiamo di raschiare il barile, ticket di qua ticket di là, e questi signori hanno legalmente la possibilità di poter prendere la loro casa madre finanziaria e spostarla a Panama, dove fanno confluire attraverso tutta una serie di giochi di prezzi e di fatturati tutti i loro profitti e non pagano invece quello che pagherebbero in Italia o dove si produce la ricchezza. Questa è evasione fiscale legalizzata, tutti gliela riconoscono, ma noi cittadini non gliela dobbiamo riconoscere. Veramente sarebbe una grande rivoluzione se i consumatori cominciassero a dire: noi non compriamo i tuoi prodotti perché tu sei un evasore fiscale e non te lo riconosciamo perché, lo ha detto anche Scalfaro l'altro giorno, tu non fai soltanto il tuo interesse ma fai il danno nostro, perché siamo noi dopo che dobbiamo tentare di porre rimedio a tutto ciò che non paghi tu. Questo è un altro aspetto che abbiamo messo in risalto.

Io non passo in rassegna tutti i 12 punti. Vorrei rammentare il coinvolgimento con le armi e qui ne vengono fuori delle belle; non abbiamo soltanto la Agnelli con la sua proprietà della Valsella e di tante altre industrie che producono armi. Può stupire che la Barilla è associata alla produzione di armi non perché lei, poverina, produca armi: lei produce soltanto pastasciutta e biscotti. Non mi ricordo se per caso vende pastasciutta all'esercito, però sta di fatto che soltanto il 51% della Barilla è della famiglia Barilla, l'altro 49% è di investitori esteri uno dei quali è un signore svizzero che produce i più grandi sistemi di armi in Italia. Ogni volta che si compera un pacco di pasta Barilla non viene fuori soltanto lo spaghettino ma anche la ruotina di un carroarmatino, perché purtroppo di queste cento lire che diamo alla Barilla una parte va a finire nelle tasche della ditta che produce carriarmati. Questa purtroppo è la realtà.

E' veramente interessante fare queste ricerche perché vengono fuori delle cose inaspettate. Io vi rimando al libro per vedere quali sono tutti i criteri.

Vorrei dire altre due cose, non so se stiamo andando fuori tempo massimo. Vorrei dire soltanto altre due cose. Non pensiate che le imprese siano insensibili all'azione dei consumatori: sono estremamente sensibili, e che siano sensibili lo dimostra il fatto che se voi vi provate a scrivere a un'impresa, salvo eccezioni, questa vi risponde. Quelle che hanno una certa dignità, una certa esperienza alle spalle, specie le imprese americane e del Nord Europa, ogni volta che ricevono una lettera da un consumatore si prendono sempre la briga di rispondere, magari di rispondere delle fregnacce. Gli rispondono delle cose che non stanno né in cielo né in terra, o rispondono così come sta bene a loro, però si prendono la briga di rispondere proprio perché sanno che il consumatore può avere un grande potere nei loro confronti. Noi dobbiamo tentare di utilizzare al meglio questo potere che abbiamo tra le mani e cercare di capire anche come si può usare questo potere per tentare di risolvere i problemi più gravi che abbiamo davanti.

Uno dei problemi più gravi che almeno io sento come persona è la situazione di sfruttamento che sta crescendo nel sud del mondo. Questa massa di persone è sempre più ridotta in condizioni di schiavitù per produrre per noi. Oramai il mondo è stato diviso in due: i ricchi consumatori da una parte e tutti gli altri, ridotti alla schiavitù, dall'altra.

Questa è una situazione che io non accetto, il fatto di poterla avvallare con i miei consumi mi fa star male, ma sto male anche soltanto se non compro più un paio di scarpe Nike per il solo fatto che so che Nike esiste. Questo già di per sé mi fa star male e tento di organizzarmi per far cessare questo fenomeno. Noi ad esempio l'anno scorso abbiamo fatto una conferenza a Pisa dove abbiamo tentato di radunare esponenti dei movimenti sindacali, dei diritti umani del sud del mondo e i rappresentanti dei movimenti delle O.N.G. del nord proprio con questo intento, di approfondire meglio la situazione dei lavoratori del sud, per tentare di capire che cosa possiamo fare assieme per obbligare le multinazionali a comportamenti diversi. Allora ci siamo resi conto ad esempio che ci sono degli strumenti particolarmente importanti che possono davvero dare un nuovo indirizzo, delle nuove prospettive ai lavoratori del sud e questi strumenti si chiamano codici di condotta.

Ci sono delle imprese che per loro iniziativa hanno incominciato a dire: "bene, io mi impegno a non trasferire più la produzione ad imprese che si comportano così e così". Allora noi pensiamo che questi strumenti siano molto importanti, ma attenzione: non possono essere degli strumenti che le imprese gestiscono da sé, è troppo facile; loro si pigliano l'impegno e se ne certificano poi il rispetto. E' troppo semplice. Poi si va a vedere quello che succede e si vede che i lavoratori continuano a stare ancora nelle stesse condizioni, quindi lo strumento va bene ma ci vuole un controllo democratico. Ecco allora che è in atto in tutta Europa e negli Stati Uniti un grande movimento per tentare di indurre le imprese a dotarsi sì di codici di comportamento per il trasferimento della produzione ma nello stesso tempo che siano codici contrattati con delle O.N.G. e soprattutto che siano messi in piedi dei comitati di controllo per verificare che poi davvero questi codici di condotta siano rispettati. Noi in Italia ci stiamo organizzando per lanciare una campagna contro la Nike e la Reebok per indurli ad accettare queste due condizioni: codici di condotta che siano contrattati con le forze sociali e l'accettazione di commissioni indipendenti. Non è una campagna che si imbastirà sul potere dei consumatori in senso classico. Per partire abbiamo deciso di cominciare con l'invio di cartoline perché ci sembrava che fosse un mezzo adatto in questa particolare situazione per cominciare a lanciare il problema e per cominciare ad avere l'adesione di molte forze. L'altra campagna che stiamo organizzando è quella verso la Chicco. L'ho detto prima: la Chicco, pur essendo una società italiana che da un punto di vista della forza di una multinazionale è molto piccola, si può considerare multinazionale perché ha anche lei le sue brave imprese sparse nel mondo.

Come tutte le imprese di giocattoli anche la Chicco esporta nel mondo, fino a tre anni fa esportava in Cina proprio a ridosso di Hong Kong. Spulciando le controllate della Chicco o della Artsana, questo è il nome esatto dell'impresa, si scopre che ha una controllata ad Hong Kong la quale controllata manipolava tutti gli affari in estremo oriente e gli trovava le imprese a cui subappaltare la produzione. Nel novembre del '93 la fabbrica che produceva per la Chicco che era di proprietà di un imprenditore di Hong Kong, perché questa è la trafila, è andata a fuoco. Ottantasette ragazzine sono arse vive nel rogo dell'impresa. Questo è successo. A gennaio ho risollevato il problema con i gruppi che avevano curato il caso e ho chiesto se le famiglie delle vittime e le vittime che erano rimaste superstiti avessero avuto un indennizzo. E' venuto fuori che la legge cinese prevedeva un certo ammontare che doveva essere dato a queste ragazze e alle loro famiglie, che però doveva pagare l'impresa di Hong Kong. L'impresa di Hong Kong ha dichiarato fallimento e non ha tirato fuori una lira. Vista la cattiva parata ha tirato fuori qualche quattrino il governo cinese, ha dato non so quanto, due o tre milioni, giusto per accontentare le famiglie e tutto è finito lì. La Chicco ne è uscita fuori onorevolmente, addirittura bene perché sembra che subito dopo l'incendio il sindacato italiano abbia contattato la direzione e abbia chiesto se erano disposti a tirare fuori dei soldi per partecipare al compenso delle vittime e la Artsana in maniera molto signorile ha detto "si, si, siamo disponibili, naturalmente solo per ragioni umanitarie, perché noi di responsabilità non ne abbiamo, perché noi siamo una ditta che aveva fatto un'ordinazione, quindi non c'entriamo per niente, però per ragioni umanitarie siamo disposti, a condizione che ci garantiate che questi soldi che noi diamo siano fatti arrivare tramite canali ufficiali e ci sia la garanzia che arrivino davvero alle famiglie." Il sindacato, non si sa se per inerzia o altro, questa garanzia non l'ha data e anche la Chicco non ha tirato fuori il becco di un quattrino. Tutti contenti e felici, tutti signori. La gente si è riportata a casa il proprio cadavere e basta, tutto è finito lì. Abbiamo deciso di risollevare il problema. Ci sembra importante, invece di attaccare soltanto le grandi multinazionali, disporre l'attenzione verso le imprese italiane. Abbiamo costituito un piccolo coordinamento di O.N.G. che abbiamo sentito nel nostro circondario che erano disposte a formare una sorta di comitato per il compenso delle vittime della Zili, ci siamo limitati a chiedere alla direzione della Artsana un incontro per riparlare del caso. Abbiamo mandato un comunicato al primo di giugno, non ci hanno ancora risposto. Pensiamo che ci abbiano fatto invece una telefonata a tranello spacciandosi per altri. Abbiamo fatto una serie di ricerche, ecco non ci ha ancora risposto e abbiamo proprio la sensazione che non ci risponderà mai. Questo è un altro caso in cui abbiamo capito che se vogliamo ottenere qualcosa dalla Chicco qui dovremo mettere in piedi qualcosa che la snida un pochino di più, un qualcosa di più pesante.

Questo tanto per dirvi che quando pensiamo alle azioni nei confronti delle imprese tentiamo di mettere in piedi delle azioni che vogliono nello stesso tempo affrontare i nodi più importanti che noi abbiamo davanti e ogni volta dobbiamo studiare delle strategie che siano appropriate.

Un ultimo discorso e finisco. Quando parliamo di acquisti non è importante soltanto puntare sulla qualità, e per quanto riguarda la qualità vi ho spiegato che cosa intendo, ma è necessario pensare anche alla quantità e questo soprattutto in chiave di giustizia planetaria. Noi oggi viviamo in una situazione in cui il 23% della popolazione mondiale, che siamo grosso modo noi, si appropria dell'80% delle risorse della terra e questa è una delle vie che condanna gli altri 2/3 della popolazione a rimanere nella povertà perenne, a diventare sempre più poveri per una ragione molto semplice che oramai abbiamo capito, che da un punto di vista delle risorse e da un punto di vista della biosfera la terra è una. La Caritas tedesca ha ordinato uno studio ad un istituto ambientalista tedesco e loro hanno incominciato a tirare fuori questo concetto dello spazio vitale individuale, cioè ciascuno di noi bene o male per vivere produce inquinamento e va mantenuto entro una certa soglia per consentire agli altri di produrre il loro inquinamento per poter vivere dignitosamente. Solo se tutti insieme manteniamo una soglia piuttosto bassa che sia compatibile con la tolleranza della biosfera riusciremo a far sopravvivere questo pianeta. E' certo che se noi facciamo la parte del leone e occupiamo non soltanto il nostro spazio ma anche il loro, noi impediremo loro di avere la crescita economica di cui hanno bisogno per riuscire a vivere meglio. E' fondamentale che noi iniziamo a rivedere in profondità il nostro stile di vita da un punto di vista dei consumi, proprio da un punto di vista della giustizia planetaria. Quale è il problema? Il problema è che noi dobbiamo consumare meno, e nello stesso tempo risolvere tutti i problemi sociali che noi abbiamo davanti ed ecco che ora il problema si ricollega all'intervento che è stato fatto nella prima parte di questa serata e cioè che tipo di sistema economico vogliamo mettere in piedi. Noi dobbiamo appunto pur disponendo di meno, garantire i bisogni fondamentali a tutti, dobbiamo nello stesso tempo essere capaci di garantire un lavoro a tutti. Io penso che questa possibilità ci sia nella misura in cui davvero facciamo un salto di logica, usciamo dalla logica di una economia al servizio del profitto per entrare nella logica di un'economia finalmente al servizio dell'uomo.

Grazie.