Mondo&Solidarietà - Rassegna stampa di Solidarmente - Scuola di solidarietà Saluzzo

La strategia non violenta

di Nanni Salio

Il satyagraha

La strategia nonviolenta comprende una proposta generale di organizzazione sociale ed economica della società (il fine), detta capitinianamente del benessere e del potere di tutti e gandhianamente sarvodaya, e un metodo di azione (il mezzo) per la sua realizzazione. L'economia nonviolenta è stata approfondita, in particolare da Romesh Diwan, economista indiano che, analizzando l'opera di Gandhi, ne ha elaborato le sei parole chiave: - self-reliance; - lavoro per il pane; - non possesso/non attaccamento; - amministrazione fiduciaria; - non sfruttamento; - uguaglianza. La settima parola chiave indica il mezzo per realizzare tutto ciò: satyagraha.

In questa sintesi, per motivi di spazio, trascuriamo la visione economica e ci soffermiamo sul metodo satiagraha, la lotta nonviolenta propriamente detta, che ha valore in sé in quanto strategia volta al cambiamento sociale attraverso la trasformazione nonviolenta dei conflitti. La parola satiagraha, coniata da Gandhi per denominare il suo metodo, significa letteralmente "forza della verità" ed in italiano è generalmente tradotta con nonviolenza. A fondamento della nonviolenza è la coerenza tra fini e mezzi: i mezzi contengono i fini, l'uso di un mezzo violento rende violento lo stesso fine che attraverso quel mezzo si vorrebbe realizzare, perciò un fine nonviolento può essere realizzato solo con un mezzi nonviolenti.

Il cambiamento sociale

Il cambiamento sociale può essere misurato, indicativamente, dal seguente schema:

(segue uno schema, che vede indicati su un asse lo spazio e su un altro il tempo, all'interno del quale si dispongono le "azioni dirette nonviolente", le "campagne" e i "movimenti")

nel quale lo spazio si misura in termini di micro, meso e macro, il tempo in breve (meno di 1 anno), medio (tra 1 e 10 anni) e lungo periodo (tra 10 e 30 anni e oltre). L'azione diretta nonviolenta è un'azione di breve durata (anche se può essere necessaria una lunga preparazione) che mira a raggiungere degli obiettivi minimi, anche solo di sensibilizzazione. La campagna dura nel tempo e può prevedere molte azioni dirette, fino al raggiungimento dell'obiettivo o allo scioglimento della stessa. I movimenti hanno una durata temporale di lungo periodo, perché mirano alla trasformazione delle strutture profonde della società. Tutte e tre le modalità possono avvenire sulle tre dimensioni spaziali. Questi indicatori possono dare la scala del cambiamento sociale: alcuni obiettivi si possono raggiungere nel breve periodo, altri più profondi e duraturi nel medio, ma i veri cambiamenti delle strutture culturali di una società avvengono nel lungo periodo.

 

La dinamica della lotta nonviolenta

La strategia nonviolenta è stata studiata in particolare da Gene Sharp (Politica dell'azione nonviolenta, EGA 1997), il quale ha fatto un esame sistematico di molte lotte nonviolente sviluppatesi nella storia in diverse parti del mondo, individuandone la dinamica costante. Il conflitto può essere equilibrato o squilibrato, rispetto al potere delle parti. Nei conflitti equilibrati la trasformazione del conflitto può avvenire attraverso la mediazione. Nei conflitti squilibrati, prima della mediazione, l'intervento deve tendere a riequilibrare la situazione di potere delle parti coinvolte. Il conflitto squilibrato ha un certo numero di attori:

-         oppressore;

-         oppresso;

-         terze parti

In questa situazione l'oppresso ha tre possibilità:

-         accettare lo stato di oppressione;

-         rispondere con una contro-violenza;

-         rispondere con la nonviolenza.

Caratteristica dell'azione nonviolenta è lo sviluppo attraverso la gradualità dei mezzi.

Il "gruppo di protesta" che avvia la lotta nonviolenta può nascere sia dall'interno del gruppo oppresso - dopo un processo che parte dal riconoscimento della propria oppressione e giunge alla maturazione della scelta nonviolenta (come è avvenuto nelle lotte storiche di Gandhi e Martin Luther King) - sia dalle "terze parti", cioè coloro che apparentemente non coinvolti possono essere indifferenti o, almeno in parte, attive (e quindi confluire nel gruppo di protesta).

Il gruppo di protesta - usando le tecniche della nonviolenza - reagisce senza contro-violenza alla repressione, finché la violenza si rivolta come un boomerang contro coloro che la praticano, innescando nel tempo quello che Sharp chiama il ju-jitsu politico.

Ciò avviene per alcuni motivi: - il gruppo nonviolento evidenzia, assumendola su di se, la violenza cristallizata verso gli oppressi che, spesso, non è vista dagli oppressori e dalle terze parti; - in questo modo avvia un meccanismo di "riconoscimento empatico" da parte delle terze parti; - che porta alla identificazione con la lotta degli oppressi; - ed alla insostenibilità della violenza da parte degli oppressori che, non essendo minacciati, non possono giustificare a lungo la loro repressione; - finché ad un certo punto lo stesso gruppo degli oppressori si spacca;

Tutto ciò non avviene naturalmente in modo automatico, sono necessarie alcune condizioni. Le due principali sono:

1)      il gruppo nonviolento deve svolgere una grossa opera di preparazione e addestramento;

2)      la lotta nonviolenta deve mirare ad obiettivi non vaghi ma precisi e circoscritti, raggiunti i quali solo successivamente si può passare ad obbiettivi più ampi e generali.

Naturalmente i successi non sono mai definitivi perché il cambiamento reale avviene attraverso i movimenti che durano nel tempo.

 

Le manifestazioni

Le organizzazioni nonviolente a volte si trovano a prendere parte a manifestazioni nelle quali patrtecipano gruppi che non procedono secondo modalità nonviolente. Questo è un problema al quale si è dovuto fare fronte molte volte fin dalle campagne gandhiane.

L'organizzazione nonviolenta, in questi casi, deve chiedersi se è opportuno correre il rischio di partecipare ugualmente a quelle manifestazioni e se ci sono garanzie sufficienti che queste non degenereranno in atti di violenza. Deve considerare se c'è l'adesione alla nonviolenza, anche pragmatica se pure non filosofica, da parte della maggior parte dei gruppi coinvolti. Deve, infine, preparare i gruppi che aderiscono al metodo nonviolento - anche in forma pragmatica - alle misure minime da predisporre di fronte ad atti di violenza;

Le cause di esplosione della violenza possono essere: a) perché è una risposta alla carica della polizia; b) perché c'è l'impedimento da parte delle autorità a svolgere un certo percorso; c) a causa di eventi accidentali; d) a causa delle provocazioni; e) a causa dei provocatori infiltrati tra i manifestanti.

Una manifestazione nonviolenta ben organizzata deve prevedere le azioni da compiere nei

confronti di coloro che passano alla violenza. L'azione più semplice è quella di gruppi nonviolenti che isolano i manifestanti violenti interponendosi tra essi e la polizia.

Chi organizza una manifestazione si assume una responsabilità nei confronti di tutti e perché la manifestazione nonviolenta si svolga efficacemente sono necessarie almeno alcune condizioni: - il training (un'insieme di tecniche di addestramento che servono a prepararsi all'azione); - la disciplina (affinché nessuno prenda iniziative personali); - i gruppi di affinità (coloro che scelgono di stare assieme ed occuparsi di determinati obiettivi).

L'insieme di queste riflessioni indicano come l'azione nonviolenta dev' essere inquadrata all'interno di una vera e propria strategia e non può avvenire in maniera estemporanea.

 

Il lavoro per il cambiamento

Come si fa a costruire una esperienza alternativa di lavoro per il cambiamento sociale con la nonvilenza?

Molte delle persone che si occupano di queste tematiche fanno dei lavori che lasciano liberi frammenti di vita, con i quali non si costruisce un' alternativa reale. Allora bisogna cominciare ad individuare gruppetti di persone che si possano liberare dal lavoro salariato tradizionale. Perché ciò avvenga devono essere sostenuti dagli altri, almeno nella fase iniziale. Questa è una forma di autogestione sul piano economico.

Altri non hanno denaro, ma hanno tempo e possono mettere questo a disposizione. Altri possono mettere a disposizione i libri per costruire biblioteche. Altri ancora possono mettere a disposizione i locali. Ciascuno può mettere a disposizione qualcosa.

Sono necessari, infatti, dei luoghi fisici, radicati sul territorio, dove si sviluppino attività in modo continuativo, si faccia comunicazione, informazione, si scelgano campagne.

E' importante che i gruppi locali si colleghino a movimenti che hanno una storia, per evitare che - magari sorti in prossimità di avvenimenti traumatici - dopo un po' si sciolgano .

Si possono in questo modo costruire esperienze di nonviolenza che mettano radici, che siano solide e che durino nel tempo, perché è nel tempo che avvengono i cambiamenti profondi e reali.

 

Sintesi a cura di Pasquale Pugliese non rivista dall'autore.

Tratta da una riflessione di Nanni Salio, ricercatore dell'Italian Peace Reserch Institut, sulla strategia nonviolenta, svolta all'interno di un Seminario di studio organizzato dalla Rete di Lilliput di Reggio Emilia sul tema "Modelli di sviluppo e sviluppo delle guerre".

 

vedi anche Fra guerra e terrorismo c'è una terza via...

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