Tratto da "un cinquantennio di rivolgimenti mondiali" di L. Salvatorelli
La seduta del Gran Consiglio si iniziò alle diciassette di sabato 24 luglio.
Non ne possediamo alcun resoconto autentico e ufficiale: anche quello
particolarmente esteso del discorso Grandi non fa propriamente eccezione: esso
"riflette la stesura predisposta nell'imminenza della riunione, e fissata subito
dopo il termine di essa".
Mussolini parlò calmo e fiacco, disordinato e incoerente... stette sempre
stilla difensiva (Federzoni). Disse di aver convocato il Gran Consiglio noti per
discutere la situazione interna, ma per informarlo di quella bellica e prendere
una decisione militare. Fece la storia degli avvenimenti militari gettando la
colpa delle sconfitte su tutti salvo che su se stesso. Presentò la guerra come
cosa non sua personale, tua di tutto il partito; l'Inghilterra del resto non
faceva guerra al partito, tutta all'Italia. Si doveva concludere con un ordine
del giorno che indicasse le misure da adottare.
De Bono, prendendo per primo la parola, difese calorosamente i combattenti
italiani, e rinfacciò a Mussolini la sua responsabilità nella scelta dei capi
militari (che Farinacci, secondo oratore, trattò da traditori). De Bono era per
la resistenza. Qualcuno domandò: "Ma ci sono i mezzi?". Non vi fu risposta.
Tanto più per la resistenza fu Farinacci che, tuttavia, bistrattò Mussolini e
propose un comando unificato tedesco-italiano. Bottai affrontò il problema
capitale: seguitare o no la guerra: l'esposizione mussoliniana, egli disse,
aveva dato l'impressione che non fosse possibile una difesa efficace della
penisola. "Un tarlo corrode il nostro sistema di comando". Seguì Grandi con un
discorso lunghissimo, dopo letta la sua mozione. Ricordò che il Gran Consiglio
non era stato più convocato dal 7 dicembre '39, seduta in cui aveva approvato la
politica di neutralità: vane erano state in seguito ripetute richieste di
convocazione. Prima dell'odierna esposizione mussoliniana non aveva creduto che
la situazione militare fosse così disperata. Bisognava guardare in faccia la
realtà, e agire con audace decisione. Proclamò la responsabilità militare totale
di Mussolini che aveva avuto diciassette anni di tempo per la preparazione
militare della nazione. Il popolo italiano ha inteso subito che questa guerra,
"guerra ideologica", non era la sua. Passò quindi a tratteggiare la storia dei
due decenni fascisti, di cui il secondo, quello della dittatura che aveva
soppresso il partito quale organo politico, era stato la distruzione del primo.
Ricordò la sua politica estera - dopoché Mussolini l'aveva escluso dalla interna
-, politica pacifica europea, che aveva conciliato il fascismo col laburismo
britannico e la democrazia francese. Allontanato anche dalla politica estera,
era seguito l'asservimento al nazismo. Aveva propugnato il mantenimento della
neutralità dopo che la condotta sleale della Germania aveva annullato il vincolo
dell'alleanza. Sintetizzò l'ordine del giorno presentato: esso significava che
il Gran Consiglio dichiarava decaduto il regime di dittatura, e deliberava si
rimettesse ogni potere agli organi costituzionali, ripristinando tutte le
funzioni statali, a cominciare da quelle della corona, cui spettava il comando
effettivo delle forze armate. Occorreva ritornare allo Statuto, alla
Costituzione, al Consiglio dei ministri quale organo supremo esecutivo, al
Parlamento ritornato libero e consapevole.
Il tono dell'oratore seguente, Ciano, fu naturalmente assai differente.
Aderendo al programma costituzionale di Grandi, egli tenne personalmente a
dimostrare che nessuna accusa di tradimento potevano farci i tedeschi: noi se
mai, eravamo stati traditi. Subito dopo il discorso di Ciano, parlò il Gauleiter
(come lo chiamavano a Roma) Farinacci che, ribadita l'alleanza tedesca, affermò
la continuazione a fondo della guerra; ma parlò anche lui di ripristino
integrale delle funzioni statali, e invitò Mussolini a richiedere al re di
assumere il supremo comando militare. Seguì un intervento di De Marsico, di
carattere essenzialmente giuridico: poiché dei due organi fondamentali, uno, il
regime, era entrato in crisi, l'altro, il re, doveva entrare praticamente in
azione.
Mussolini, adducendo la richiesta di alcuni membri, propose il rinvio al dì
seguente: al che Grandi si oppose risolutamente. Ci fu una sospensione di
mezz'ora. Era mezzanotte. Alla ripresa Mussolini, cambiando tono, disse: "Vi ho
lasciato parlare liberamente, avrei potuto interrompervi e farvi arrestare: vedo
tra voi gente che mi tradisce". La guerra era stata una necessità primaria per
l'Italia. Chiamò i venti anni del suo potere una meravigliosa avventura: avrebbe
potuto anche andarsene, ma non l'avrebbe fatto perché re e popolo erano per lui.
"Cosa capiterà domani a quelli che mi si sono opposti stanotte?". Scorza allora
propose un ordine del giorno (concordato con Mussolini) per la resistenza ad
oltranza, e per riforme immediate negli organi costituzionali e nei comandi
militari. Farinacci tornò a sostenere il suo. Seguì ancora una discussione
confusa con proposte di compromesso. Finalmente alle 3 antimeridiane del 25
luglio si votò l'ordine del giorno Grandi, presentato per primo, che ebbe 19 si,
7 no, un astenuto (Suardo, presidente del Senato). Mussolini concluse la seduta dichiarando: "Avete provocato la crisi del
regime". Spuntava l'alba quando la riunione si sciolse tranquillamente, e tutti
se ne andarono liberamente per conto loro.
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