L’OPERA

“IL fu Mattia Pascal” apparve a puntate sulla “Nuova Antologia” nel 1904. Pirandello lo scrisse a Roma vegliando la moglie colpita da una paresi alle gambe, di origine nervosa. Fu quello un periodo particolarmente brutto per l’autore in quanto arrivavano da Girgenti notizie preoccupanti sulla condizione economica della famiglia. Ed è proprio in questo clima, in cui Pirandello raggiunse momenti di disperazione, che nasce “Il fu Mattia Pascal”. E’ l’opera che presenta l’autore nella pienezza della sua dolorosa visione del mondo, in un momento  in cui egli sente il bisogno di ribellarsi alla vita  e alla società, e di iniziare un’ esistenza diversa. Con questo romanzo si ha l’accentuazione del fondo pessimistico e doloroso dello scrittore, ma anche uno sviluppo delle sue qualità letterarie. Compaiono, infatti, numerose pagine bellissime in cui si ha la vera sensazione della scena che lo scrittore vuole descrivere. Per questa sua descrizione minuziosa della realtà, Pirandello potrebbe essere inserito tra gli scrittori veristi, ma poi con le sue soluzioni, alquanto impreviste e cerebrali, esce dai canoni del verismo e  la sua ubicazione nell’ ambito della letteratura italiana non è circoscritta ad una precisa corrente tanto che si può dire che va al di là del verismo e del decadentismo. Inoltre in contrapposizione all’oggettività e all’impersonalità verista, il romanzo è scritto in prima persona da un <<io narrante>> che è anche un <<narratore interno>>(il FU Mattia Pascal) che racconta il suo <<caso…strano e diverso>>.Mattia scrive la sua storia dopo che questa è gia terminata e definitivamente archiviata; la storia quindi comincia alla fine, alterando la linearità cronologica, il passato,il presente e il futuro si sovrappongono continuamente,dal tempo oggettivo scandito dall’orologio, si passa al tempo oggettivo <<interiore>>,al tempo <<perduto>>.l’organizzazione della materia non obbedisce più ad un rapporto di causa-effetto, ma spesso è casuale, irrazionale, beffarda,per cui ogni progetto si rovescia nel suo contrario e la vita appare caotica e paradossale: Mattia entra in modo casuale nel casinò di Montecarlo e ne esce vincitore e ricco; apprende casualmente della sua morte.

Non vengono trascritti i fatti, ma i moti e flussi della coscienza, e i labirinti della psiche proprio perché della realtà si ha ora una visione frantumata  e lacerata. Per quello che riguarda lo stile si nota nel romanzo un susseguirsi di dialoghi e monologhi nati dall’ esigenza di “trovare una forma che sia mobile come mobile è la vita”, inoltre Pirandello ricorre anche a costruzioni sintattiche e a vocaboli propri del dialetto siciliano.

Questo tuttavia non gli basta e a volte si serve anche di parole rare o addirittura neologismi pur di rendere  efficace ciò che descrive. Basta ricordare che il cognato di Adriana  che si presenta “strisciando una riverenza”; e suo fratello epilettico che se ne sta “quasi asserpolato su un baule”.

Quando si parla di situazione Pirandelliana sappiamo di riferirci ad una situazione poco chiara che non si riesce a capire immediatamente secondo i nostri convenzionali metri di giudizio. Lo stesso titolo di questo romanzo è già di per se una situazione Pirandelliana. Si tratta infatti di un ossimoro (accostamento di sue o più parole o concetti che si negano a vicenda).

"Il fù" = sembra che si parli di una persona morta, mentre in realtà il protagonista che è anche la voce narrante del romanzo è vivo.

"Mattia"= somiglia foneticamente alla parola matto e quindi ci suggerisce l'idea di una persona pazza.

"Pascal"= è il nome di un illustre filosofo francese che può essere quasi quasi considerato il modello ideale della razionalità

<< Una delle poche cose, anzi forse la sola ch'io sapessi di certo era questo: che mi chiamavo Mattia Pascal>>

Con questa frase Pirandello comincia il romanzo, è certo di chiamarsi Mattia Pascal , ma non di esserlo, potrebbe sembrare una piccola differenza in realtà è il nucleo della filosofia pirandelliana per la quale noi siamo, nessuno, e centomila, tanti quanti sono coloro che ci conoscono e non possiamo quindi dire di "essere" nel senso assoluto del termine. Il romanzo, quindi verte tutto su quella profonda incapacità di coincidere con noi stessi in quando non vi è una relazione stabile tra ciò che siamo in realtà e tra quelli che gli altri vogliono che siamo, cioè esiste una maschera attribuitaci da altri a cui noi dobbiamo sottostare e che ci rende la vita difficile, ma se noi abbandoniamo questa maschera, vivere è impossibile. Questo dissidio interiore tra ciò che siamo e ciò che vogliamo essere è sempre presente nei personaggi pirandelliani e si manifesta con un difetto esteriore: l'occhio strabico di Mattia Pascal; il naso storto di Vitangelo Moscarda. Questo romanzo può essere considerato come la prima espressione dell'umorismo pirandelliano. L'umorismo è il sentimento del contrario, cioè lo scoppio di quel contrasto, tanto sentito dallo scrittore, tra l'apparenza e la realtà, tra ciò che si può notare superficialmente e ciò che in realtà è profondamente. Infatti l'umorismo, a differenza della comicità, non vede solo l'aspetto esteriore delle cose, ma mette in evidenza quel contrasto tra quel che sembra e che ci fa ridere e quel che è in realtà e che ci conduce a riflettere e ci fa sorridere amaramente. Con Mattia Pascal nasce il personaggio-tipo di Pirandello, egli è il più caratteristico, famoso e discusso lungo la fantasia drammatica o narrativa. Entra in scena "un uomo senza qualità " , un "inetto" alla vita, incapace di dominare gli eventi, di determinare la propria vita, nella quale il caso svolge un ruolo decisivo. Mattia è prigioniero di una società sentita come regno del CAOS delle assurde contraddizioni, delle menzogne, degli imposti ruoli sociali, della "forma, non riesce mai ad essere padrone della propria vita /ne di quella vera, ne di quella finta), ne perde il controllo logico pratico, è un oggetto passivo del caos. C'e nelle varie vicende di Mattia un motivi di fondo che le unifica: la sua condizione di <<forestiere della vita>>, ossia il suo mancato rapporto con la realtà in una dimensione di positività, di pienezza, di totalità. Mattia prigioniero della sua maschera, per una <<sinistra partecipazione del caso>>, intravede la possibilità di una <<vita nuova>>, di una nuova e insperata condizione di libertà esistenziale, la possibilità finalmente di uscire dalla prigione di sempre e divenire soggetto, l' <<artefice>> delle proprie scelte. Ma, pur avendo riguadagnato un presente vergine, sottratto al quotidiano dominio dell'alienazione, il nuovo Adriano Meis deve ben presto constatare l'ineluttabilità e l'irreversibilità delle convenzioni sociali, che via via stringono  la fila attorno a lui. La nuova vita non è più autentica della prima, è anch'essa un'esistenza fittizia, assurda, una trappola che non gli consente alcuna realizzazione, Adriano è un morto vivo. Egli Allora decide di tornare ad indossare la maschera di Mattia Pascal, come tentativo ulteriore di estrema affermazione di identità. Purtroppo a Miragno si dissolvono le ultime illusioni,  perché Mattia avverte concretamente di non essere nessuno per gli altri, di essere  definitivamente morto da quando lo hanno riconosciuto, cadavere nella gora di Stia. Il suo sogno di rinnovamento è fallito, egli anzi ha subito una perdita irreparabile, quella dell'identità. E il romanzo non può che chiudersi con questa battuta: << ....io non saprei dire ch'io mi stia...>>. Il personaggio non è che un pugno di parole, ormai <<...eh, caro mio...io sono il fu Mattia Pascal>>. è questo l' <<homo tragicus>> caratterizzato dallo scacco e da un impossibile identificazione tra il bisogno di una dimensione certa per se e per gli altri e la disgregazione della persona. L'esistere è una condizione di angoscia instabilità, in un gioco assurdo di apparenze che sono realtà e di realtà che sono apparenze. E l'assurdo è l'individuo che nella vita non sa più ormai dove localizzare se stesso o il senso del proprio esistere: <<un vuoto circonda l'io che si sente sprofondare nell'abisso>>.

progetto Pirandello

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