Luigi Pirandello
Il fu Mattia Pascal
Premessa seconda (filosofica) a mo' di scusa
L'idea o piuttosto, il consiglio di
scrivere mi è venuto dal mio reverendo amico don Eligio Pellegrinotto, che al
presente ha in custodia i libri della Boccamazza, e al quale io affido il
manoscritto appena sarà terminato, se mai
sarà.
Lo scrivo qua, nella chiesetta
sconsacrata, al lume che mi viene dalla lanterna lassù, della cupola; qua,
nell'abside riservata al bibliotecario e chiusa da una bassa cancellata di legno
a pilastrini, mentre don Eligio sbuffa sotto l'incarico che si è eroicamente
assunto di mettere un po' d'ordine in questa vera babilonia di libri. Temo che
non ne verrà mai a capo. Nessuno prima di lui s'era curato di sapere, almeno
all'ingrosso, dando di sfuggita un'occhiata ai dorsi, che razza di libri quel
Monsignore avesse donato al Comune: si riteneva che tutti o quasi dovessero
trattare di materie religiose. Ora il Pellegrinotto ha scoperto, per maggior sua
consolazione, una varietà grandissima di materie nella biblioteca di Monsignore;
e siccome i libri furon presi di qua e di là nel magazzino e accozzati così come
venivano sotto mano, la confusione è indescrivibile. Si sono strette per la
vicinanza fra questi libri amicizie oltre ogni dire speciose: don Eligio
Pellegrinotto mi ha detto, ad esempio, che ha stentato non poco a staccare da un
trattato molto licenzioso Dell'arte di amar le donne libri tre di Anton
Muzio Porro, dell'anno 1571, una Vita e morte di Faustino Materucci,
Benedettino di Polirone, che taluni chiamano beato, biografia edita a
Mantova nel 1625. Per l'umidità, le legature de' due volumi si erano
fraternamente appiccicate. Notare che nel libro secondo di quel trattato
licenzioso si discorre a lungo della vita e delle avventure
monacali.
Molti libri curiosi e
piacevolissimi don Eligio Pellegrinotto, arrampicato tutto il giorno su una
scala da lampionajo, ha pescato negli scaffali della biblioteca, Ogni qual volta
ne trova uno, lo lancia dall'alto, con garbo, sul tavolone che sta in mezzo; la
chiesetta ne rintrona; un nugolo di polvere si leva, da cui due o tre ragni
scappano via spaventati: io accorro dall'abside, scavalcando la cancellata; do
prima col libro stesso la caccia ai ragni su pe'l tavolone polveroso; poi apro
il libro e mi metto a
leggiucchiarlo.
Così, a poco a poco, ho
fatto il gusto a siffatte letture. Ora don Eligio mi dice che il mio libro
dovrebbe esser condotto sul modello di questi ch'egli va scovando nella
biblioteca, aver cioè il loro particolar sapore. Io scrollo le spalle e gli
rispondo che non è fatica per me. E poi altro mi
trattiene.
Tutto sudato e impolverato,
don Eligio scende dalla scala e viene a prendere una boccata d'aria
nell'orticello che ha trovato modo di far sorgere qui dietro l'abside, riparato
giro giro da stecchi e spuntoni.
- Eh,
mio reverendo amico, - gli dico io, seduto sul murello, col mento appoggiato al
pomo del bastone, mentr'egli attende alle sue lattughe. - Non mi par più tempo,
questo, di scriver libri, neppure per ischerzo. In considerazione anche della
letteratura, come per tutto il resto, io debbo ripetere il mio solito
ritornello: Maledetto sia
Copernico!
- Oh oh oh, che c'entra
Copernico! - esclama don Eligio, levandosi su la vita, col volto infocato sotto
il cappellaccio di paglia.
- C'entra, don
Eligio. Perché, quando la Terra non
girava...
- E dàlli! Ma se ha sempre
girato!
- Non è vero. L'uomo non lo
sapeva, e dunque era come se non girasse. Per tanti, anche adesso non gira. L'ho
detto l'altro giorno a un vecchio contadino, e sapete come m'ha risposto? ch'era
una buona scusa per gli ubriachi. Del resto, anche voi scusate, non potete
mettere in dubbio che Giosuè fermò il Sole. Ma lasciamo star questo. Io dico che
quando la Terra non girava, e l'uomo, vestito da greco o da romano, vi faceva
così bella figura e così altamente sentiva di sé e tanto si compiaceva della
propria dignità, credo bene che potesse riuscire accetta una narrazione minuta e
piena d'oziosi particolari. Si legge o non si legge in Quintiliano, come voi
m'avete insegnato, che la storia doveva esser fatta per raccontare e non per
provare?
- Non nego, - risponde don
Eligio, - ma è vero altresì che non si sono mai scritti libri così minuti, anzi
minuziosi in tutti i più riposti particolari, come dacché, a vostro dire, la
Terra s'è messa a girare.
- E va bene!
Il signor conte si levò per tempo, alle ore otto e mezzo precise... La
signora contessa indossò un abito lilla con una ricca fioritura di merletti alla
gola... Teresina si moriva di fame... Lucrezia spasimava d'amore... Oh,
santo Dio! e che volete che me n'importi? Siamo o non siamo su un'invisibile
trottolina, cui fa da ferza un fil di sole, su un granellino di sabbia impazzito
che gira e gita e gira, senza saper perché, senza pervenir mai a destino, come
se ci provasse gusto a girar così, per farci sentire ora un po' più di caldo,
ora un po' più di freddo, e per farci morire - spesso con la coscienza d'aver
commesso una sequela di piccole sciocchezze - dopo cinquanta o sessanta giri?
Copernico, Copernico, don Eligio mio ha rovinato l'umanità, irrimediabilmente.
Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione
dell'infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente
nell'Universo, con tutte le nostre belle scoperte e invenzioni e che valore
dunque volete che abbiano le notizie, non dico delle nostre miserie particolari,
ma anche delle generali calamità? Storie di vermucci ormai le nostre. Avete
letto di quel piccolo disastro delle Antille? Niente. La Terra, poverina, stanca
di girare, come vuole quel canonico polacco, senza scopo, ha avuto un piccolo
moto d'impazienza, e ha sbuffato un po' di fuoco per una delle tante sue bocche.
Chi sa che cosa le aveva mosso quella specie di bile. Forse la stupidità degli
uomini che non sono stati mai così nojosi come adesso. Basta. Parecchie migliaja
di vermucci abbrustoliti. E tiriamo innanzi. Chi ne parla
più?
Don Eligio Pellegrinotto mi fa però
osservare che per quanti sforzi facciamo nel crudele intento di strappare, di
distruggere le illusioni che la provvida natura ci aveva create a fin di bene,
non ci riusciamo. Per fortuna, l'uomo si distrae
facilmente.
Questo è vero. Il nostro
Comune, in certe notti segnate nel calendario, non fa accendere i lampioni, e
spesso - se è nuvolo - ci lascia al
bujo.
Il che vuol dire, in fondo, che noi
anche oggi crediamo che la luna non stia per altro nel cielo, che per farci lume
di notte, come il sole di giorno, e le stelle per offrirci un magnifico
spettacolo. Sicuro. E dimentichiamo spesso e volentieri di essere atomi
infinitesimali per rispettarci e ammirarci a vicenda, e siamo capaci di
azzuffarci per un pezzettino di terra o di dolerci di certe cose, che, ove
fossimo veramente compenetrati di quello che siamo, dovrebbero parerci miserie
incalcolabili.
Ebbene, in grazia di
questa distrazione provvidenziale, oltre che per la stranezza del mio caso, io
parlerò di me, ma quanto più brevemente mi sarà possibile, dando cioè soltanto
quelle notizie che stimerò
necessarie.
Alcune di esse, certo, non mi
faranno molto onore; ma io mi trovo ora in una condizione così eccezionale, che
posso considerarmi come già fuori della vita, e dunque senza obblighi e senza
scrupoli di sorta.
Cominciamo.