LA BATTAGLIA DI LEPANTO E SANTA MARIA DELLA VITTORIA IN STAITI

 (nel trecentenario della fine dei lavori di ampliamento e restauro)

Nella prima metà del XVI secolo, con il regno di Solimano il "Magnifico" (1494-1566), l'impero ottomano raggiunse la sua massima espansione in Europa che si andava ad aggiungere ai già consistenti domini afro-asiatici. Ma già da tempo alcuni mali minavano l'impero e con la morte del grande sultano si intensificarono dando origine a quella lenta e travagliata decadenza che dopo numerose battaglie e atroci sconfitte portò al dissolvimento quello che fu uno dei più grandi imperi mai esistiti sulla faccia della terra. Ciò nonostante grande era ancora la paura e il terrore che la Sublime Porta costituiva per le popolazioni martoriate del Mediterraneo, più volte assediate e saccheggiate. La Spagna, suo principale nemico, gli impedì di espandersi in occidente, aspettando con ansia il momento giusto per uno scontro decisivo. L'antica e declinante Repubblica di Venezia mantenne invece nei riguardi della Sublime Porta un atteggiamento di neutralità, cercando di evitare ad ogni costo ogni ipotetico ma allungo inevitabile scontro; (la Serenissima non ha avuto mai, tutto sommato, scopi espansionistici ma voleva rimanere, e cosi è stato, una potenza commerciale). L'atteggiamento veneziano era però mal visto dagli infedeli e a Stambul si pensava che Venezia volesse fare una politica a doppio fondo aspettando un amico valoroso e potente con cui allearsi per uno scontro decisivo contro il secolare nemico. Mossi da questi forti presentimenti, gli infedeli decisero quindi di riprendere le ostilità in occidente attaccando e conquistando Cipro che rientrava nei domini veneziani. I tempi erano ormai maturi per una coalizione anti-ottomana e con l'ascesa al soglio pontifìcio di Pio V (1504-1572), il sogno diventava finalmente realtà. Il nuovo pontefice vedeva in questa grande crociata contro gli infedeli il coronamento di quell'azione di riconquista cattolica che la Chiesa aveva iniziato con il Concilio di Trento. Iniziavano così a Roma i lunghi ed estenuanti negoziati per la costituzione della "Lega Santa" alla presenza di Pacheco, Granvelle e Zuniga per la Spagna, Soriano per Venezia, Ceso, Grassi ed Aldobrandini per il Papa, conclusosi il 20 maggio 1571. Ad essi si aggiunsero in un secondo momento il Granducato di Toscana, i Gonzaga di Mantova, i Della Rovere di Urbino, i Farnesi di Parma, i Cavalieri di Malta, gli Estensi di Ferrara e il Duca di Savoia. Il comandante supremo era Don Giovanni d'Austria, fratello naturale del sovrano di Spagna Filippo, consigliato dai tre capitani generali: spagnolo, veneziano e pontificio.

La flotta si ricongiunse a Messina nel settembre dello stesso anno dove si svolse il Gran Consiglio della Lega. La Calabria, per secoli saccheggiata e impoverita, contribuì enormemente alla mitica battaglia contro il suo più importante nemico; tantissimi calabresi si arruolarono nella flotta e molti altri partirono con proprie navi. Bisogna ricordare Giovanni Paolo Francoperta, signore di Pentidattilo, Scipione Cavallo, da Amantea, Vincenzo Marnilo, conte di Condojanni, Gaspare Toraldo, barone di Badolato, Cesare Galluppi, Sanseverino, principe di Bisignano, il principe di Scalea, Gian Ferrante Bisvalle, conte di Briatico, e tanti altri di cui non si ricordano i nomi ma che tanto si sono impegnati e prodigati in questa gloriosa battaglia. Il 16 settembre, tra gli applausi e i festeggiamenti dei rivieraschi, accompagnati dal suono delle campane e dalla benedizione del Vescovo di Messina, la flotta cristiana imboccò lo stretto risalendo la costa jonica in cerca del nemico con a guida il calabrese Cecco Pisani di Belvedere, esperto navigatore di quelle acque. Il 7 ottobre 1571 presso le acque di Lepanto, l'antica Naupactos, le 208 navi cristiane si scontrarono con le 230 navi turche. Dopo alcuni successi della flotta turca la battaglia divenne terribile e dopo manovre e contro manovre da entrambe le parti, gli infedeli furono travolti e sconfitti e solo una trentina di navi turche furono tratte in salvo grazie ad un altro calabrese, Lucciali, ovvero Gian Dionigi Galeni, da tempo diventato musulmano.

Come giustamente disse lo storico Brandel, con la battaglia di Lepanto “l'incanto della potenza turca fu infranto” e la Calabria salutò questo glorioso evento con grandi manifestazioni, celebrazioni religiose, fuochi d'artifìcio, per festeggiare la fine di quel lungo terrore che per secoli governò indisturbato sul Mediterraneo.

Staiti, che come gli altri centri della costa jonica viveva il panico delle incursioni turche, rispose a quella che doveva rimanere come la più grande battaglia navale mai vista fino ad allora con entusiasmo unito ad un grande fervore religioso (basti pensare all'abbazia di Santa Maria di Tridetti e al monastero di Santa Maria dell'Alica) dedicando la Chiesa parrocchiale alla Vergine Vittoriosa che in quel 7 ottobre (giorno della Madonna del Rosario) aveva intercesso a favore della Lega Santa nella decisiva battaglia contro l'impero Ottomano. Ovunque, successivamente, si intensificò il culto del rosario e in molti monasteri vennero costituite le "Confraternite del Rosario". La chiesa, in origine più piccola, subì un lungo lavoro di ampliamento e restauro secondo lo stile del tempo che si concluse dopo lunghi anni nel 1699. Ancora oggi un'iscrizione latina posta sul portale della chiesa ricorda il grandioso evento: «VICTRIX VIRGO TUIS VICTRICIA SUGGERE TELA NIGRA QUEIS DITIS VERTERE CASTRA DATUR C1VIUM PIETAS A FUNDAMENTIS AUXIT ET ORNAVIT SINDICO DIDACO LEOCANI, ANNO DOMINI 1699» (La Vergine Vittoriosa ai tuoi abitanti, o Staiti, concederà armi vittoriose tali da distruggere le nere fortezze di Satana. La pietà dei cittadini ingrandì e

adornò dalle fondamenta. Sindaco Didaco Leocani Anno del Signore 1699).

Santa Maria della Vittoria in Staiti costituisce un raro esempio di architettura Barocca in Calabria, testimone di un contesto socio-culturale travagliato in un'Italia politicamente dominata dagli spagnoli prima e dai francesi dopo. L'equilibrio rinascimentale portato alle estreme conseguenze, un'artificiosità e pomposità, un'arte spettacolare e sperimentale tipica del tempo, si riscontrano in questo splendido monumento che doveva sbalordire ed attirare i fedeli alla Chiesa Madre dopo il momento di crisi cagionato dalla Riforma Protestante di Martin Lutero. La nuova concezione dello spazio e della natura, tenacemente sorretta dalla scienza sperimentale galileiana, creava un rapporto nuovo tra uomo e universo e una natura intesa come rappresentazione benigna della provvidenza divina. Si sentiva inoltre la necessità di ricoprire quella sensazione di "marcio" che stava alla base della società italiana e allo stesso tempo di meravigliare, risvegliare i sensi, stupire; dimostrata in letteratura dalle metafore di Giovan Battista Marini ed in filosofìa dai sillogismi della scolastica.

Tra il 1560 e il 1660 gran parte delle chiese italiane venivano modificate, restaurate, abbellite di stucchi, fregi e decori, di splendidi altari, nuove cappelle ed oratori. Fu un impegno economico sbalorditivo all'interno del quale occupa un posto importante, nel caso di Santa Maria della Vittoria, la situazione politico-amministrativa della Staiti di allora. Un paese edificato di recente che vide, un anno dopo la mitica battaglia, l'acquisizione delle proprie terre da parte di una nobildonna messinese, la baronessa Eleonora Stayti, in occasione del matrimonio del figlio Andrea Stayti Spatafora con la figlia del signore di Brancaleone, Ippolita d'Ajerbo d'Aragona. La famiglia Stayti contribuì enormemente allo sviluppo del centro aspromontano al quale diede nome e stemma contribuendo, fra l'altro, ai grandi lavori per la "nuova chiesa". Così la chiesa arcipretale di Santa Maria della Vittoria rispecchia in un certo senso anche il benessere e la maestosità, nonché l'importanza che i baroni Stayti detenevano in quei tempi. Da una visita pastorale del 1670 del vescovo di Bova, Marcantonio Contestabile, si può denotare l'importanza che il paese aveva assunto nel secolo XVII: «// Vescovo arriva a Staiti da Brancaleone la mattina del 17 aprile 1670, vi si ferma per due giorni interi, riparte da Staiti il 19 di prima mattina e visita la chiesa di Santa Maria dell’Alica, comune di Palazzi. Ordina alcune trasformazioni strutturali di questo edifìcio, si informa sui redditi della chiesa, interroga Don Felice Toscano di Staiti sull’uso di cinquanta ducati appartenenti alla chiesa e depositati presso di lui. Con tutto ciò riesce ad arrivare col suo seguito ante prandium al casale di Pietrapennata, dove si ferma mezza giornata, dato che la sera e già a Palazzi. A Brancaleone era giunto da Galati il 15 aprile sera». Si può ricostruire, consultando l'archivio parrocchiale, l'elenco degli arcipreti che dal lontano 1644 si sono susseguiti nella guida spirituale della comunità; inoltre dalle numerose cappelle della chiesa parrocchiale e dal numero veramente sbalorditivo di sacerdoti, che arrivarono fino a 12 insieme all'Arciprete, si può considerare il grande fervore e sentimento religioso della comunità Staitese. Il Ricciardi nelle memorie storico-feudali di " Stayti nella Calabria ulteriore" del 1895 riportava: « i luoghi pii che nel territorio medesimo tenevano beni erano la Chiesa di S. Anna e le Cappelle del Venerabile, dei S.S. Biagio e Vincenzo nella Chiesa Madre; del Carmino, del Purgatorio, del Rosario, di Gesù e Maria pure nella Chiesa Madre; di S, Caterina e di S. Antonio nella chiesa diS. Caterina, tutte di Staiti...... Ed ancora ricordava: « vi erano i Sacerdoti Antonino Miliadò, Antonino Carneri, Antonino Sgrò, Bruno Lecconi, Carlo Mastici, Diego Lecconi, Domenico Barbaro, Giovanni Paolo Carmeri arciprete, Giuseppe Antonio aitali, Leonardo Ferrara, Simone Casmano, Tommaso Carneri, Tommaso Condemi e Fortunato Cafari.»

Dal resoconto del Bilancio del 1737 si denota che "l'Università" di Staiti pagava: ducati 6 come «provisione al sacristano della Chiesa Madre per il servigio che presta»; ducati 1,50 come « provisione al sacristano della Chiesa di S. Caterina idem»;e ducati 35 « per elemosina alii R.R. Sacerdoti per celebrazione di messe. »

Un anno dopo la battaglia di Lepanto veniva commissionata alla Scuola del Gagini una bellissima statua in marmo bianco di Carrara della Vergine col Bambino datata appunto 1572. Una splendida tela, posta sull'altare maggiore, (molto simile ad un'opera del pittore veneziano Paolo Caliari detto il Veronese) raffigurante la Vergine in segno di aiuto alla flotta cristiana, intorno agli anni '50, durante lavori di restauro, scomparve misteriosamente. Un bellissimo coro ligneo, sorretto da due meravigliose colonne che insieme all'organo era posto nella parte terminale della navata centrale, veniva soppresso senza lasciare traccia alcuna; stessa sorte toccò al pulpito in legno dal quale l'arciprete svolgeva l'omelia domenicale. La chiesa conserva un grandioso campanile leggermente ruotante rispetto all'asse centrale con il tetto dalla caratteristica forma cuspidata, tipica delle chiese seicentesche, dal quale fuoriesce un antico orologio a pesi. Vi sono tre campane dal suono veramente eccezionale fra cui la più grande riporta l'anno 172 e la media data 1684. Di recente, durante lavori di restauro, è stata rinvenuta la lapide sepolcrale risalente al 1711 degli arcipreti Leocani e Carneri; mentre un'acqua santiera in marmo riporta il nome dell'arciprete Laurentius Misitano. Nella navata destra della chiesa sono ancora conservati due splendidi altari barocchi dei Santi Vincenzo e Antonio; quest'ultimo riporta il nome del devoto che originariamente lo aveva fatto costruire in onore a San Biagio. (Franco Catroppa Rectore Anno Domini 1704).

La chiesa subì nel corso dei secoli numerosi restauri e rifacimenti. Il terremoto del 1908 gli infierì il colpo di grazia facendo crollare le bellissime volte a crociera delle tre navate lasciando. la squarciata a metà. Solo con l'immaginazione di chi si interessa, trasponendo idealmente alcuni elementi dalla mezza cupola dell'altare maggiore (ancora intatta) a ciò che rimane della parte alta delle tre navate, si può cogliere a nudo quello che era il meraviglioso progetto originario. In questo fine millennio, nel quale ricorre il trecentenario della fine dei lavori di ampliamento e restauro, mi auguro vivamente che Santa Maria della Vittoria in Staiti possa essere, in un futuro molto prossimo, centro di attenzione da parte del Ministero ai Beni Culturali e degli organi preposti, per un restauro integrativo e conservativo al fine di riconsegnare questo splendido gioiello barocco alla fede viva come sempre della comunità staitese, cosi come i suoi avi l'avevano consegnato al devoto culto mariano nel lontano 1699.

Fortunato Stelitano

 

 Pubblicata con il permesso dell'autore