CAMBIO DI STAZIONE

Da Milano a Bologna, da Firenze a Palermo.

Ecco il progetto che ridisegna i grandi snodi

Di Enrico Arosio

L’Espresso, 7 novembre 2002

 

Siete mai entrati al bar Sovietico parastatale della Stazione centrale di Milano con il desiderio di imbracciare un lanciafiamme e bruciare tutto, dalle tovaglie ai camerieri, come ispirati dal Robert Duvall di “Apocalypse Now”? E’ capitato a parecchi, e non se ne vergognano più di tanto. Perché il dannato bar che chiude la galleria monumentale di accesso ai binari, di cui per carità di patria e pax sindacale tacciamo il nome, riassume il degrado (estetico, igienico, antropologico) di una stazione che pure figura nei manuali di storia industriale come l’ultimo, tardo, fascinoso esempio di Bahnhof ottocentesco centroeuropeo. E, per estensione, incarna lo squallore, la sciatteria, la pericolosità di tante stazioni italiane.

Ora, la redenzione di Milano è alle porte.

E con Milano quella di tutte e 12 le stazioni interessate dalla ristrutturazione avviata da Grandi Stazioni, la società mista delle Ferrovie Italiane (60 per cento) e di Eurostazioni (Edizione Holding, Pirelli, Vianini, Sncf) creata per riqualificare il patrimonio) ferroviario delle nostre maggiori città. Sul modello di Roma Termini, inaugurata all’inizio del 2000 con buon successo di critica e di pubblico, dove sta per partire il secondo lotto di lavori. Ora, finalmente, tocca agli altri. Milano, Torino, Venezia, Mestre, Verona, Genova (Principe e Brignole), Bologna, Firenze, Napoli, Bari e Palermo. Più o meno in parallelo. Dopo l’uscita della legge-obiettivo, e la consegna dei progetti definitivi, si attende l’approvazione del Cipe. A fine anno partirà la gara d’appalto: un’unica gara per tutti. E all’inizio del 2003 si avvieranno i pre-cantieri. Obiettivo comune, trasformare le dodici stazioni, con una durata lavori che varietà da 12 a 24 mesi, in moderni centri d’interscambio e in luoghi d’incontro e di consumi) accoglienti, efficienti e sicuri. Come avviene un po’ ovunque in Europa, da Oslo ad Atene. Dietro a questo ambizioso programma (chi avrebbe detto, solo dieci anni fa, che Roma Termini avrebbe mai potuto scrollarsi di dosso quella certa atmosfera da suk levantino?) sta un signore che qualcuno chiama l’uomo in grigio. Forse perché predilige camicie, cravatte, abiti scuri; forse per i gusti estetici asciutti, di un funzionalismo poco latino e men che mai romano, un po’ alla svizzera, alla tedesca; forse per l’indole controllata, la capacità di mediare sottovoce tra portatori d’interessi contrastanti. Marco Tamino, pesarese, 57 anni ben portati, viso e occhi chiari, naso arcuato alla Montezemolo, è il responsabile della progettazione architettonica di Grandi Stazioni. Non è un architetto da rivista o da salotto. Si è formato a Firenze, dove ha insegnato a lungo e ora latita, ha costruito parecchio nelle Marche, è autore di piani urbani, uno specialista di mobilità. Ed è pure l’architetto dell’ultimo congresso Ds a Pesaro, quando Piero Fassino si scontrò col correntone di Berlinguer. L’architetto Tamino, di area diessina ma senza tessera, farà parlar di sé per forza, lo voglia o no: perché il recupero delle 12 stazioni avverrà sotto la sua regia, con una squadra di 30 persone, negli uffici dell’ala mazzoniana della stazione Termini in via Giolitti, dove accanto all’intervento alle­gro e vistoso dell’Atelier Mendini troviamo lo spazio gestito) dalla Galleria nazionale di arte moderna, un bel caffè alla barcellonese come il bar Mokà (opera dello stesso Tamino) e i magazzini Upim di imminente apertura.

Come verranno riorganizzate le nostre stazioni? L’11 novembre Tamino sarà a Milano a parlarne con il sindaco Gabriele Albertini (la città lombarda, con i suoi 330 mila passeggeri al giorno, è seconda per traffico solo a Roma). E nel frattempo anticipa a L’Espresso le linee generali del programma. Per cominciare, è un modello centralista. Il contrario di un ipotetico federalismo ferroviario. Tutti i progetti sono gestiti da Roma (con società d’ingegneria diverse). “Abbiamo creato un manuale unico d’intervento”, spiega Tamino, “con un sistema di regole, materiali, tecniche, rivestimenti, segnaletica che sarà applicato ovunque. Con gestione unica del magazzini ricambi, e notevoli economie di scala. Questa è l’idea forte”. Vi sembra un po’ astratto ? Allora semplifichiamo, andiamo sul pratico. In tutt’e 12 le stazioni, da Torino a Palermo, non solo dominerà il medesimo linguaggio (vetro, acciaio, tendenza al non colore) ma saranno in dotazione gli stessi corrimano, gli stessi controsoffitti, le stesse scale mobili e tapis-roulant, gli stessi ascensori, ringhiere, balaustre, rivestimenti, bagni: e cioè gli stessi lavandini, rubinetti, cestini rifiuti, maniglie, banchetti per Madame Pipì. Tutto chiaro? Per tornare a volare alto: “Oggi nelle stazioni si va imponendo una sorta di linguaggio internazionale, come accade agli aeroporti. Non può dominare l’aspetto scenografico, l’iperdecorazione. Le città italiane sono troppo piene di segni. Una stazione va ripulita, semplificata. Qual è il suo vero linguaggio? Le migliaia di persone che l’attraversano. Il nomadismo degli spostamenti quotidiani. I diversi motivi, ben oltre l’arrivo e la partenza, per cui ci troviamo a usare una stazione”.

Questo approccio produce scelte nette: un unico sistema di segnaletica, quello già applicato a Roma dallo studio newyorkese Vignelli Associates; un solo design per i sistemi d’illuminazione, affidato allo specialista milanese Piero Castiglioni; il probabile coinvolgimento di qualche progettista ospite, com’è avvenuto a Roma, dove la libreria in cristallo di Pierluigi Cerri ha riscosso un tale successo da diventare la più frequentata della capitale. Ma le stazioni hanno storie diverse: Milano è un tardo decò monumentale, Firenze un capolavoro del razionalismo; Bologna un ibrido stilistico che ha integrato la ferita della bomba neofascista del 1980. E quindi diversi saranno i problemi da risolvere. A Milano, il progetto Tamino prevede in primo luogo lo smantellamento di tutte le strutture provvisorie in plexiglas, di quel paesaggio di baracche e baracchini creato in parte con i denari di Italia 90: e molto si potrebbe aggiungere sui danni alla qualità delle nostre stazioni prodotti da quella greppia colossale. Ma soprattutto si creerà un nuovo asse strutturale sotto la quota 7,40 dei binari, una lunga galleria pedonale e commerciale che attraverserà la Centrale sull’asse est-ovest; ci sarà un nuovo collegamento interno con il metrò; la Galleria delle Carrozze sarà pedonalizzata; le scale mobili sostituite da tapis-roulants su due rampe.

A Milano si sperimenterà, adattata, la convergenza tra stazione come centro di trasporto e stazione come shopping-mall: i modello è sempre Roma con il suo Forum Termini sotterraneo, i 17 bar e ristoranti, il centinaio di esercizi commerciali, il centro medico di 800 metri quadrati, e via elencando. A Napoli, oltre al restauro delle volte in cemento armato a matrice triangolare disegnate nel 1954, si punterà su due interventi forti: la parte interrata di accesso alla Circumvesuviana, al metrò e alla stazione Piazza Garibaldi sarà trasformata in spazio di servizi, dagli sportelli bancari ai negozi; e in mezzo al deserto d’asfalto antistante, riordinata la caotica gestione dei flussi di auto e taxi, nascerà una nuova zona verde, una piazza rettangolare coperta da un vetro a onda.

A Torino, Porta Nuova sarà ristudiata intorno a un asse di viabilità a forma di croce. Nascerà una piazza centrale collegata a un mezzanino che ospiterà i servizi di ristorazione. Ci sarà una nuova biglietteria su via Sacchi, un grande parcheggio interrato. Viva attesa anche a Palermo, dove i lavori sono annunciati per il marzo 2003, a Bologna, a Genova e a Bari: in queste stazioni s’inizia con opere di rimessa a norma e di bonifica, per procedere poi con l’acciaio satinato, il vetro, i rivestimenti in colori grigi, la segnaletica blu. Si annunciano battaglie durissime contro le clientele locali, le lobby dei commercianti, le rendite antiche di coop e sindacati, ambulanti e poliziotti, camorristi e margniffoni.

Né ci sarà più l’aiuto di un decisionista come l’ex amministratore delegato Massimo Caputi, da poco passato a dirigere Sviluppo Italia, la finanziaria per il Mezzogiorno. Caputi, ingegnere abruzzese figlio di Onofrio Caputi grande amico del ras democristiano degli appalti Remo Gaspari, entrato in contatto con l’alta finanza di Stato si rivelò un incontrista nato. Grandi Stazioni è partita solo grazie a lui. E stato lui, oggi vicino al centro-destra, a pescare dal mazzo l’architetto Tamino mentre svolgeva ricerche sui poli di scambio a Parigi, caricandogli sul gobbo questo po’ di pena e di gloria. Ora ci si chiede se il modello Grandi Stazioni è originale o, come nel caso delle Poste Italiane ristrutturate dal duo Corrado Passera-Michele De Lucchi, in parte mutuato da esperienze europee. Tamino, che ama parlare di ‘zapping urbano’ e ‘tempo segmentato’, ‘nuova geografia sociale e ‘multiappartenenza’, propende per l’originalità. “Certo ritengo interessanti”, dice, “le esperienze francesi di Arep e quelle tedesche di Station & Service. Ho visto alcune buone cose a Berlino, come il nuovo Lehrter Bahnhof di von Gerkan e Marg. In Svizzera, anche in Spagna. Mentre in Gran Bretagna, dove la privatizzazione è stata più radicale, i partner commerciali hanno forse conquistato troppo spazio”. E a Euralille, dove ha operato Rem Koolhaas? “Lì stazione e centro commerciale mi sembrano entità troppo separate”. E la nuova stazione di Lisbona, di Santiago Calatrava, nata con l’Expo 2000? “Quella ancora mi manca. Ma mi creda, non c’è un modello a cui ci riferiamo”. Vale a dire? “Che in Italia stiamo costruendo qualcosa di originale”. Se nulla osta, e osterà.

 

 

Sei esempi di rivoluzione

                                               Superficie interessata    Costo dei Lavori    Passeggeri al giorno

                                                           Mq                       milioni di euro                 migliaia

TORINO Porta Nuova               29 mila                                         81                       180

MILANO Centrale                     46 mila                                         80                       380

VENEZIA Santa Lucia                 9 mila                                         15                         80

BOLOGNA                                 9 mila                                         20                       158

FIRENZE S. Maria Novella        19 mila                                         22                       160

NAPOLI Centrale                      24 mila                                          41                      135