Introduzione alla funzione religiosa

 

 

Introduzione allo zazen

Come pregare la lode e il ringraziamento

Prospetto dei vangeli di ogni giorno

Il pasto atto religioso

 

 

*La pratica dello zazen e la celebrazione dell’eucaristia*

 

Pratica e celebrazione sono due nomi differenti che indicano significati differenti; ma tutte e due sono nomi del vero cammino religioso. Si pratica lo zazen e si celebra l’eucaristia (ascolto comunitario del Vangelo, preghiera comunitaria di lode e ringraziamento).

Specifichiamo subito che pratica significa un esercizio religioso che ciascuno compie tutto intero con il suo corpo, e in cui ciascuno è solo con se stesso, anche se nella stessa aula sono riuniti molti, come avviene quando si pratica lo zazen. Nell’unicità della pratica di ciascuno viene abbracciato tutto l’universo; è l’uno che abbraccia il tutto. Attraverso la pratica dello zazen ciascuno fa ritorno all’uno che è il suo essere qui ora, e in tale atto di fede dentro di sé percepisce l’unità vitale di tutto ciò che esiste.

Invece celebrazione (liturgica), più che un esercizio, significa un’azione religiosa che per sua natura si può compiere soltanto in modo comunitario. In essa ciascuno svolge una parte, una funzione, che non è completa se non è completata dalla parte di tutti gli altri. Nella celebrazione liturgica, per esempio nella messa, è come se l’assemblea abbracci tutti i singoli, uno a uno: è quindi il tutto che abbraccia ogni uno. È molto evidente che c’è spazio per tutti, per la persona adulta molto attenta come per il bambino che non riesce a star fermo: infatti per sua natura nell’azione liturgica l’uno aiuta l’altro.

Va riconosciuto che sia il cammino cristiano e sia quello dello Zen conoscono e valorizzano e la pratica e la celebrazione. Ma nello Zen la pratica, ossia lo zazen, è centrale, mentre la celebrazione, per esempio il recitare assieme il Sutra, è marginale. Nel cammino cristiano la celebrazione liturgica, ossia la messa e i sacramenti, è principale, mentre la pratica (la meditazione e la preghiera personale) è quasi un momento preparatorio alla celebrazione liturgica.

La pratica individuale esige di essere inverata dalla celebrazione comunitaria; l’azione liturgica, che è comunitaria, esige di essere personalizzata attraverso la pratica individuale. Quindi non ci deve dispiacere affatto di passare dal silenzio dello zazen alla preghiera comunitaria; né di passare dalla funzione comunitaria che si compie assieme al silenzio dello zazen dove ciascuno è solo con se stesso. Il vero cuore religioso è dell’uomo che nella solitudine dello zazen abbraccia tutti e tutto, e che nella celebrazione comunitaria della messa non smarrisce mai la propria individualità e la propria solitudine. È, in mezzo a tutti, conservare la propria unicità; e, nella propria unicità, comunicare con tutti.

 

*Introduzione allo zazen*

 

 

 

Immoto: perché star seduti in silenzio?

 

La parola zazen vuol dire essere profondamente immersi nella realtà stando seduti. Viene allora da pensare che ciò che più conta sia immergersi nella realtà, rispetto allo stare seduti: invece, a meglio riflettere, noi siamo già immersi nella realtà, la qual cosa non dipende da noi ma è un fatto che sussiste, che, in un certo senso, ci precede. Io sono, perché sono immerso nella realtà. Neppure un atomo del mio essere, neppure il più insignificante dei miei pensieri, nulla di nulla è fuori dalla totale profondissima immersione nel flusso vitale che definisco realtà. Per cui il problema non è se sono o non sono immerso nella realtà, ma come ci sto immerso. Lì gioca la mia libertà, la mia volontà, la mia intenzione, e anche la mia fede, che non hanno invece giurisdizione alcuna sull’immersione in sé. Ecco allora che lo Zen propone lo stare seduto come modo più adatto per essere totalmente presente nell’immersione che mi fa essere. Infatti un altro termine giapponese per dire zazen in modo ancora più scarno e preciso è shikantaza, che vuol dire letteralmente con tutto me stesso proprio stare seduto. L’attenzione va quindi concentrata sullo stare seduto, perché quella è la mia parte: a quello io posso dire sì o no. Va perciò chiarito il perché dello stare seduto.

Detto in una parola, perché essere seduto è la forma ideale dello stare immobile da desto. E stare immobile da desto è la forma ideale per essere presente con tutto me stesso alla totale immersione nel flusso vitale che mi fa essere. Immoto e sveglio, io spalanco me stesso: e verifico che il movimento della vita è tutto presente nella mia immobilità. Mi accorgo, fin oltre la mia cosciente consapevolezza, che quando non faccio assolutamente niente, stando immobile, tutta l’energia della vita è comunque presente e in moto. Immoto, in moto: nell’assenza totale di movimento, la presenza di tutto il movimento. Quel movimento che è prima dei miei movimenti, senza il quale nessuno dei movimenti, fisici e mentali, sarebbe possibile. È allora l’abbandono di ogni movimento che mi fa sapere di essere immerso nella sorgente di ogni movimento. Lì, nel movimento che è prima dei miei movimenti, prima di essere io sono: ma non c’è niente di speciale in questa condizione, nella quale ogni cosa è già da sempre immersa.

Stare seduto è il modo che rende facile lo stare davvero immobili e l’essere svegli. Curare la posizione che permette l’immobilità vegliante è dunque tutto ciò che dobbiamo fare. Per questo quella cosa che chiamiamo zazen consiste nello stare seduti e basta. Tutte le indicazioni meticolose sulla posizione non sono che aiuti per trovare la nostra posizione in cui stare immobili e desti e quindi affidarci ad essa come unico supporto.

Così forse si comprende un po' meglio perché non si tratta di meditare, né, a rigore, di praticare; perché non ha niente a che fare con il benessere o il malessere, con il migliorare se stessi o con il divenire perfetti; perché è, a un tempo, la cosa più insignificante e ordinaria, e la più significativa e straordinaria; perché non serve a niente, ed è necessaria; perché è sempre uguale, e ogni volta è la prima e unica volta; perché basta un solo minuto, e più si sta lì meglio è.

 

Fukanzazenghi

 

La forma dello zazen che è invito universale

 

Eihei Doghen

 

La via originariamente è intrinseca ovunque in modo perfetto,

perché pretenderla attraverso pratiche e risvegli?

Il veicolo della verità è incondizionato e presente,

perché sprecarsi in accorgimenti?

Ancora: Tutto non solleva affatto polvere,

perché credere nei metodi per purificarlo?

Il centro non si allontana da qui,

ehi! non girovagare col corpo e con la mente in pratiche religiose.

Eppure, se dai origine anche al minimo scarto, il cielo e la terra si fanno incommensurabilmente lontani; se dai adito al pur minimo "mi piace - non mi piace", il cuore si smarrisce nella confusione. Per esempio, chi si vanta della consapevolezza raggiunta, chi abbonda di illuminazione, chi è riuscito ad adocchiare la sapienza, chi ha ottenuto la via, chi ha chiarito il cuore, chi ha dato impulso all'ideale di scuotere il cielo: altro non fa che trastullarsi nei pressi della soglia del nirvana, però ignora quasi del tutto l'operoso sentiero della libertà.

Vedi anche l'orma dei sei anni di perfetto zazen del Budda, il sapiente della vita; ascolta l'eco dei nove anni trascorsi seduto di fronte al muro da Bodidarma, colui che ha trasmesso il sigillo del cuore della via. Così furono i santi antichi, così deve praticare l'uomo d'oggi.

Perciò smetti la prassi di cercare detti e investigare parole; impara a rientrare in te stesso e a guardare il tuo vero modo di essere. Così il tuo corpo e spirito con naturalezza è abbandonato e appare il tuo volto originario. Se ambisci ad acquisire questo, subito devi impegnarti in questo.

Per lo zazen è ideale un posto tranquillo; bevi e mangia con regolarità. Liberati e sii separato da qualsiasi tipo di relazione e di rapporto, lascia riposare qualsiasi iniziativa. Senza pensare né al bene, né al male, non curarti di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato. Interrompi l'attività del cuore, della mente e della riflessione. Interrompi le indagini del pensiero, dell'immaginazione, della contemplazione. Non misurare quanto hai realizzato la via (misurare Budda): essa non ha niente a che fare con lo stare seduti o sdraiati.

Di solito si mette un cuscino quadrato, largo e spesso, sul pavimento e, sopra questo, un altro cuscino alto e rotondo su cui ci si siede. La posizione è con le gambe incrociate o in modo completo, o in modo incompleto.

Nel primo caso mettere il piede destro sulla coscia sinistra, e il piede sinistro sulla coscia destra. Nel secondo caso soltanto il piede sinistro sulla coscia destra.

Indossa un vestito comodo e pulito. Posa il dorso della mano destra sul piede sinistro e il dorso della mano sinistra nel palmo della mano destra. Le punte dei pollici devono toccarsi leggermente. Siedi eretto, senza inclinare né a destra, né a sinistra, né avanti, né indietro. Le orecchie devono essere in linea con le spalle, il naso deve essere in linea con l’ombelico. La lingua riposa contro il palato. Le mascelle e le labbra sono chiuse senza sforzo. Tieni sempre gli occhi aperti. Respira tranquillamente attraverso il naso. Dopo avere regolato la posizione nel modo descritto, espira tranquillamente e poi inspira. Fa qualche movimento ondulatorio con tutto il corpo a destra e a sinistra. Quindi siedi immobile.

La disposizione del tuo pensiero si posi su questo fondo del non pensiero. Come la disposizione del pensiero si posa sul fondo del non pensiero? Non pensandoci. Ecco, questo è il fulcro distintivo dello zazen.

Questo zazen non consiste nell'imparare a meditare. Semplicemente è la porta reale della pace e della gioia, è la pratica del risveglio che esaurisce l'essenza della via. Il presente si fa presente con evidente profondità, qui non arriva la ragnatela dei condizionamenti e delle illusioni. Se trovi dimora in questa direzione dello spirito, è come il drago che trova la sua dimora nell'acqua, assomiglia alla tigre che si sdraia nella montagna. Occorre conoscere con correttezza che la realtà autentica si manifesta e si fa avanti per forza sua e che distrugge innanzitutto l'intontimento e la dissipazione. Quando ti alzi dallo zazen muovi il corpo adagio, alzati in modo tranquillo, non muoverti in modo violento.

Andare oltre il mediocre e andare oltre il santo, perfino trapassare in zazen o morire in piedi: tutte queste cose, che da sempre sono tenute in considerazione, affidale completamente a questa forza. Inoltre, anche il perno dell'insegnamento impartito scuotendo un dito, una canna, un ago, un martello, anche l'avvertimento fornito con lo scacciamosche, col pugno, col bastone, con il grido, tutto questo non scaturisce dall'avere bene valutato e discriminato, e non credere che derivi dalla conoscenza di poteri magici. Sono comportamenti la cui autorità va oltre ciò che si sente e ciò che si vede, scaturiscono completamente dalla norma che è prima della conoscenza intellettuale.

Così è! Quindi, senza discutere di sapienza e di stupidità, non discriminare fra uomo che vale e uomo stolto. Buttare tutto te stesso in questo: ecco è il cammino religioso. La pratica del risveglio per sua natura non produce contaminazione e, attuandola, diviene sempre più piana e costante.

Coloro che, in questo mondo come altrove, in Occidente e in Oriente, vivono così, sono quelli che portano il sigillo della via e per di più fanno soffiare liberamente il vento della verità. Essi semplicemente si applicano nello zazen, e lo zazen li sostiene nella costanza della pratica. Ci sono infinite situazioni differenti, ma tu pratica con tutto il cuore la via dello zazen. Non disertare il posto che è dimora della tua pratica, e non girovagare altrove nel polveroso mondo. Se sbagli un passo, inciampi e devii dalla direzione. Hai già il fulcro della via che è il corpo umano, non attraversare il tempo invano. Hai da preservare e applicare l'essenza della via di Budda, chi vorrà questa scintilla goderla in modo vano? Non solo, i fenomeni sono come la rugiada dell’erba, il corso della vita assomiglia a un lampo, all'improvviso, ecco, sono nulla, in un attimo, ecco, finiscono.

Questa è la mia preghiera: che coloro i quali compongono la nobile corrente dei praticanti, avendo a lungo imparato a tastoni attraverso imitazioni, non disdegnino ora il vero drago.

Avanza con energia nella via diritta e radicale, rispetta l’uomo che tronca l’affidarsi al sapere e annulla l’affidarsi all’agire, entra nella compagnia di coloro che vivono l’essenza della via, eredita la pace di coloro che hanno praticato prima di te. Se a lungo compi questo, certamente diventi questo. Lo scrigno dei tesori si apre da se stesso, e tu ricevi e usi a volontà.

· · ·

Questo è il primo testo scritto da Doghen nel 1227, subito dopo il suo ritorno in Giappone dalla Cina.

(traduzione dal testo originale di p. Luciano Mazzocchi e Jiso G. Forzani )

 

*Come pregare la lode e il ringraziamento*

 

 

La preghiera è sempre lode e ringraziamento; tuttavia alla preghiera del mattino si addice particolarmente il tono della lode e a quella della sera il tono del ringraziamento. Nella liturgia della chiesa lodi mattutine è il nome proprio dato alla preghiera del mattino e vespri (vespro: parola latina per sera) è il nome proprio dato alla preghiera della sera.

Tutta la preghiera va elevata affidandola all’onda del respiro: una riga (o breve espressione) di preghiera su ogni espirazione, mentre l’inspirazione ovviamente resta silenziosa. Non bisogna accelerare né l’inspirazione né l’espirazione. Il ritmo del respiro deve restare naturale. Non c’è spazio per alcuna lode o alcun ringraziamento fuori dal ritmo della vita che è il respiro. La preghiera scaturisce dalla vita e la vita nasce dal respiro.

Senso della preghiera. La preghiera è personale: non c’è preghiera se non attraversa il proprio cuore. Tuttavia la preghiera non è mai un atto privato, finalizzato ai propri bisogni. Se uno prega soltanto quando ne sente il bisogno, non fa che ripetere se stesso e non si apre al grande cielo. Partendo pure dalla propria esperienza, pregare è aprirsi ai bisogni di tutti e dare voce alla grande domanda di grazia, di perdono, di pace, di riconoscenza che scaturisce dall’universo intero. Quindi c’è un profondo senso nel pregare anche quando personalmente non se ne avverte un bisogno urgente; c’è profondo senso nel dire grazie, o nel chiedere perdono, o nel chiedere la pace anche quando uno personalmente ha sentimenti diversi, perché c’è sempre qualcuno e qualcosa per dire grazie o per chiedere perdono o per chiedere la pace. Pregare non è chiudersi, ma aprirsi.

Nozioni metodologiche. Il testo per la lode e il ringraziamento (denominato salterio dai salmi che ne costituiscono la parte preponderante) da noi utilizzato è La preghiera del mattino e della sera (Edizione Dehoniane Bologna) che contiene la forma integrale della preghiera di lode e di ringraziamento della Chiesa cattolica, in un ciclo di quattro settimane. Si invita tutti ad avere questo libretto (disponibile anche in comunità), come strumento della pratica quotidiana; e a portarlo con sé venendo ai ritiri e agli incontri.

La preghiera della lode e del ringraziamento è distribuita nell’arco di quattro settimane, secondo le quattro fasi lunari. La settimana madre è quella di Pasqua che corrisponde al primo plenilunio di primavera. Di conseguenza tutte le settimane che iniziano dal plenilunio sono prima settimana del salterio, quelle della luna calante sono seconda settimana, quelle della luna nuova terza settimana, quelle della luna crescente quarta settimana. Questa distribuzione della preghiera mette in evidenza la eco cosmica della preghiera. È riportata pure la preghiera di mezza giornata, chiamata ora media, che qui noi non consideriamo.

Un ultimo particolare è questo: il Sabato non ha i suoi vespri, perché dal tramonto del Sabato ha inizio la Domenica (la festa comincia dalla sera precedente), per cui la Domenica ha due vespri: i primi vespri al Sabato sera e i secondi vespri la Domenica sera. Le preghiere proposte nella liturgia della chiesa sono di varia origine. Ci sono gli inni, poesie composte dai santi fra cui Ambrogio e Francesco; i 150 salmi, preghiere dell’Antico Testamento usate anche da Gesù quando pregava; i cantici, preghiere dei profeti e degli apostoli contenute nella Bibbia; le invocazioni che sono preghiere formulate dalla Chiesa per chiedere perdono e grazia per il mondo intero; le orazioni, le preghiere che concludono la lode e il ringraziamento; c’è soprattutto la preghiera del Signore (Padre nostro) che viene elevata ogni mattina e sera.

Terminato la zazen e letto il Vangelo, viene quindi celebrata la preghiera di lode. Se uno è solo declama da solo tutta la preghiera; nel caso di due la preghiera viene declamata a turno; nel caso di più persone: o si costituiscono due cori e si prega un versetto a turno alternandosi come quando si è in due, oppure progressivamente un versetto ciascuno in forma circolare. L’esempio che segue si riferisce al caso in cui si prega in due persone o due cori la lode della Domenica della prima settimana (la Domenica della settimana successiva il plenilunio). Vedere pag. 48 del libretto.

invito iniziale: Chi presiede inizia invitando alla preghiera: "Signore apri le mia labbra" e l’altro risponde: "e la mia bocca proclami la tua lode". Quindi assieme si proclama l’invitatorio: "Venire, esultiamo al Signore..."

inno: tutti assieme si prega l’inno

salmo - cantico - salmo: ognuna di queste preghiere è preceduta dall’antifona che intona chi presiede (l’antifona preannuncia il contenuto del salmo). La declamazione del salmo e del cantico viene fatta in forma alternata, un versetto ciascuno (un versetto è composto da due a quattro righe). Al termine si declama il "Gloria", antichissima preghiera che esprime la fede cristiana in Dio che è il Padre che ci crea, il Figlio che ci perdona e lo Spirito che ci vivifica. Il Gloria viene pregato chinando profondamente il capo.

Chi presiede legge la lettura breve, un breve insegnamento sapienziale preso dalla Bibbia. Poi intona il salmo responsoriale, che è come la eco dentro di noi del brano letto; l’altro risponde.

Quindi chi presiede intona l’antifona del cantico: il Benedictus (preghiera di Zaccaria alla nascita del figlio Giovanni, il futuro Battista). Al ringraziamento della sera viene recitato il Magnificat (preghiera di Maria madre di Gesù). Cantico pregno di speranza il primo e di riconoscenza il secondo.

Seguono le invocazioni: chi presiede intona la prima parte dell’invocazione e gli altri la seconda. Alla fine delle invocazioni prescritte è bene lasciare uno spazio di silenzio per le invocazioni personali. Le invocazioni terminano con la preghiera corale del Padre nostro.

L’orazione finale recitata in coro e il segno della croce concludono la preghiera. Infine è spontaneo scambiarsi l’un l’altro il saluto del mattino o della sera. In questo modo l’acqua limpida e gratuita della fonte continua a scorrere nelle faccende della giornata; e alla sera l’acqua della vita, che durante il giorno si è sporcata nelle tante faccende, rientra nel ventre silenzioso della montagna e si purifica.

N.B. Un altro testo che consigliamo per la lode e il ringraziamento è "La nostra preghiera - liturgia dei giorni" curato da padre Davide Turoldo (CENS). Il nostro opuscolo  La stella del mattino , ogni volta, propone una forma abbreviata di lode o ringraziamento per chi non può attenersi alla forma integrale del libro suaccennato.

 

A proposito del Vangelo di ogni giorno

Il Vangelo può essere letto in tanti modi. Comunque ha senso il criterio seguito dalla Chiesa di formulare un repertorio annuale di lettura del Vangelo: un brano per ogni giorno dell’anno. Ciò garantisce che tutto il Vangelo sia letto e soprattutto promuove un ascolto comunitario. Anche se lontani gli uni dagli altri, ha senz’altro valore il fatto che milioni di uomini, di ogni ceto e razza, siano uniti nella pratica religiosa e leggano nello stesso giorno lo stesso brano di Vangelo.

L’anno liturgico della Chiesa è composto dal tempo ordinario e dal tempo speciale. Sono tempo speciale il periodo che precede e segue il Natale e quello che precede e segue la Pasqua. Tutto il resto, la maggior parte dell’anno, è tempo ordinario.

tempo speciale Il tempo speciale comprende il periodo attorno al Natale e quello attorno alla Pasqua. Il periodo natalizio a sua volta si suddivide in Avvento, Natale ed Epifania e copre pressappoco il mese di dicembre e i primi giorni di gennaio, in tutto un mese e mezzo. Il periodo pasquale invece si suddivide in Quaresima, Passione, Pasqua e Pentecoste e va dalla fine di febbraio o inizio marzo fino all’inizio di giugno, in tutto 13 Domeniche.

Trattandosi di tempi speciali, i Vangeli del giorno sono scelti ad argomento, sicché è l’argomento che è progressivo e non la lettura testuale. Non c’è quindi altro legame tra il Vangelo di un giorno con quello del giorno seguente se non quello logico.

tempo ordinario Il tempo ordinario copre la maggior parte dell’anno, 34 settimane; infatti comprende grosso modo i mesi di gennaio e febbraio e i mesi da giugno a novembre, ossia tutto il tempo che non fa parte del tempo di Natale e di Pasqua.

A differenza del tempo speciale in cui il Vangelo di ogni giorno è scelto per argomento, nel tempo ordinario segue in modo progressivo il testo originale. Ciò facilita la meditazione e l’approfondimento dei Vangeli. Le Domeniche hanno un loro ciclo e i giorni feriali un altro.

Nelle Domeniche viene letto uno dei tre Vangeli sinottici (uno ogni anno per un ciclo di 3 anni). I Vangeli sinottici sono quelli secondo Matteo, Marco e Luca. Sinottico, come indica il prefisso greco sin o sun che corrisponde all’italiano con, significa simile punto di osservazione. I Vangeli secondo Matteo, Marco e Luca sono chiamati così per la loro somiglianza, dovuta al fatto che tutti e tre attingono ai detti e ai racconti su Cristo che circolavano nella prima comunità cristiana. Si chiama anno A quello in cui si legge il Vangelo secondo Matteo (1999, 2002 ecc.) anno B quello di Marco (2000, 2003 ecc.) anno C quello di Luca (1998, 2001 ecc.). In alcune Domeniche la lettura del Vangelo sinottico di turno viene sostituita dalla lettura di qualche brano del Vangelo secondo Giovanni. Questo Vangelo, data la sua natura mistica e teologica, fa eccezione. Non gli è riservato un anno come agli altri, ma i suoi discorsi sono praticamente inframmezzati ogni anno con i brani del Vangelo sinottico di turno.

Nei giorni feriali, ignorando quanto viene letto nelle Domeniche, sono letti in modo progressivo i tre Vangeli sinottici, nell’ordine di Marco, Matteo e Luca.

feste Durante l’anno ci sono 6 feste che non sono fissate in Domenica: Natale, Capodanno, Epifania, Assunzione (15 agosto), Ognissanti (1 novembre) e l’Immacolata (8 dicembre). Per queste feste è stato scelto il brano di Vangelo ritenuto più confacente e viene letto ogni anno.

 

*Il pasto, atto religioso*

 

 

 

In ogni religione il pasto è compreso come momento sacro. Nel Vangelo il pasto raggiunge la sua manifestazione più santa quando Gesù spezza il pane annunciando che è il suo corpo dato e offre da bere il calice di vino dicendo che è il suo sangue versato. Gesù disse: la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda (Gv 6). Nel cammino cristiano il pasto costituisce il momento più religioso, il culto più elevato: è infatti comunione col corpo e il sangue del Figlio di Dio nel cibo e nella bevanda. Questo cibo e questa bevanda purificano, corroborano, suscitano nell’uomo il vigore per vivere, morire, risorgere. Un proverbio orientale dice: in un chicco di riso c’è il peso dell’universo. Ed è vero, perché per il formarsi di un solo chicco ha collaborato anche la miliardesima stella della miliardesima galassia. Il sole infatti gira nel cielo sostenendosi con tutte le altre stelle. Quando nell’eucaristia mangiamo il pezzetto di pane e beviamo una goccia del calice, in quel pezzetto e in quella goccia c’è l’onnipotenza del Padre che crea tutte le cose dal nulla, c’è la sofferenza del Figlio che muore in croce per redimere tutte le esistenze alla primordiale bellezza, c’è il soffio dello Spirito che educa tutto all’amore.

Mangiare e bere con atteggiamento retto è una pratica importantissima della vita religiosa. Doghen ha dettato delle norme molto accurate al cuoco del monastero Zen. Insegna a trattare anche una sola foglia di lattuga come il corpo del Budda, espressione che comunica così profondamente con la cena del Signore. Nella regola dei monaci benedettini scritta da San Benedetto, come nella regola dei monaci Zen scritta da Doghen "La cucina scuola della via", è prescritto che il cuoco compia la prostrazione davanti al cibo e davanti ai fratelli, in segno di riconoscenza

 

Alcune preghiere prima del pasto.

 

* il "Padre nostro"

 

* preghiera della comunità Vangelo e Zen:

Unisco la voce e il cuore

e ringrazio l’alimento che è giunto

attraverso le vie della fatica.

Questo cibo è vita e nutre la vita.

Lo ricevo come offerta,

per offrire me stesso;

perché non nutra la fame dei miei desideri,

ma la vera salute di spirito e corpo.

Ecco, mangiamo il cibo

che è ristoro alla fame e alla sete del mondo.

 

* * * * *

 

* antica preghiera

O Gesù, vincitore del male e della morte,

liberaci dalla tentazione di cercarti soltanto nel cielo.

Donaci la capacità di vederti in ogni essere, presente e vivo,

come il seme che attende la germinazione nel sole.

Fa’ che il nostro vivere insieme

sia sotto il segno della tua prima chiesa.

Insieme nella preghiera e nel lavoro,

insieme nel silenzio contemplativo e nella frazione del pane.

Insieme nel dividere i frutti del nostro lavoro,

insieme nel dividere i doni del tuo spirito.

Insieme nell’attesa del tuo ritorno,

insieme nel pacifico lavoro che accelera la tua venuta. Amen!

 

 

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