Le remote conoscenze di santa Cesarea Terme, e per tanto al
promontorio Salentino si perdono nella nebulosa lontananza dei tempi attraverso
leggende che non mancano di fascino e poesia. Questo estremo lembo italico era in quell’epoca
lussureggiante di giardini, foreste e
caro al Dio Saturno che vi aveva elargito ogni bene, come narra Dionigi di
Alicarnasso. La gente vi viveva già diciassette anni prima che Troia fosse
bruciata.Questa Terra divenne meta di gente proveniente da Creta o
dalle isole Egee, dopo la distruzione di Troia. Erodono descrive che ciurme di
cretesi ritornando dalla Sicilia dove erano andati a vendicare la morte del re
Minasse e del figlio Dedalo, furono sbattuti dalla tempesta e naufragarono sulle
coste salentine. Qui si fermarono e fondarono colonie messapiche. Anche
Stradone, geografo illustre dei tempi di Ottaviano (51 a.C.) nel suo libro di
geografia, narra che i paesi salentini, lungo la costa, divennero colonie di
Pelasgi, emigrati dalla Tessaglia da Creta e dalle isole Egee, costituirono la
“Magna Grecia” in quella parte d’Italia allora denominata Calabria, e che comprendeva
il Salentum o Salentia.Altri sostengono che in quell’epoca Pencezio ed Enotria,
figli dell’arcade Licaone, invasero il tallone italico con ciurme arcadiane, il
primo ad oriente nel Promontorio Salentino, l’altro nell’Ansonia.Vi furono altre invasioni, di cui una capitanata da Tesero,
e altre da Japige il quale, vinti i Pencezi, si estese per tutta la regione
salentina espandendosi da Crotone al Golfo di Taranto e fino a Leuca. Egli
governò tutta la Japigia, sostituì alla lingua messapica la greca.Alcuni studiosi reputano che Messapia e Japigia indicano la
stessa cosa, vale a dire il Promontorio Salentino sito tra due mari l’Adriatico e lo Jonio.Vi furonono paesi di origine messapica nelle vicinanze di
S.C.T., come Muro Leccese, Vaste e probabilmente anche Vitigliano. In queste,
come per le mura di Micene e Tirino, vi sono resti di costruzioni fatte con
enormi blocchi di pietra squadrati e sovrapposti uno sull’altro senza malta.
In Vitigliano, frazione di S.C.T., uno di questi ruderi è attribuito
ad un cisternale o ad una vora, ma pensiamo che non debba escludersi l’ipotesi
che possa anche essersi trattato di opere di difesa contro invasioni
barbariche. Altri resti sono “le pietre fitte” che sorgono qua e là nella
montagna di Terra d’Otranto, erette in onore di divinità. Se ne trovano dipinte
anche su anfore messapiche. Nella nebulosa preistoria trae origine la leggenda
di Ercole, narrata da Omero e da Esiodo, dallo stagirita Aristotele nel suo
“Libro dei racconti meravigliosi”. La leggenda narra che Ercole, il semidio tenuto in grande
onore dai cretesi e caro a Giunone che lo aveva allattato, fu consigliato, da
Pallade ad accorrere in aiuto a Giove, sfidato a guerra dai giganti Lestrigoni
o Titani, forti in armi e ritenuti invincibili poiché temprati nel ferro e nel
fuoco. Ercole dopo aver compiuto i rituali sacrifici sul colle Saturnio, oggi
Capitolino, si recò ai Campi Flegrei tra Baia e Pozzuoli, dove sconfisse la
maggior parte dei Lestrigoni. Ne inseguì i fuggitivi supersiti fin lungo la
costa della Japigia, impraticabile perché formata da enormi rocce, caverne, e
lì li trucidò. Dai loro corpi, in dissoluzione, venne fuori tale putrenide
da dar luogo alle sorgenti sulfuree esistenti a Castro, Badisco, S.C.T., Santa
Maria al Bagno (sorgente oggi dispersa). Quel tratto di costa dove avvenne la
fatica di Ercole, era evitato dai naviganti a causa delle acque inquinate,
emananti forti gas solfurei. Molti secoli dopo, la regione Salentina, ponte per
l’oriente, fu la prima ad essere irradiata dalla luce del Cristianesimo. Vi
sbarcò l’apostolo Pietro. Qui, poi, furono note le vicende dei crociati, i quali dai
porti di Brindisi, Otranto, Gallipoli, si imbarcarono per la Terra Santa o vi
sbarcarono provenienti da questa. Fu proprio in questo periodo che avvenne il pietoso episodio
di Cisaria (e non Cesarea come è stata impropriamente chiamata la località
nella sua costituzione a comune autonomo nel 1913). Cibaria era stata
consacrata dalla madre, fin dalla nascita, alla Vergine del Carmelo da cui
entrambe avevano la devozione dello scapolare (introdotta dai Crociata), fatto
questo che ci fa risalire al XIII secolo. Dove ella nacque e visse non è ben
chiaro. Vi è chi la ritiene oriunda dalla famiglia dei Vinciguerra, di
Francavilla Fontana nel Brindisino, o secondo il parere di alcun studiosi, sia
nata e vissuta nei pressi di Porto
Miggiano, distante circa un chilometro e mezzo dall’attuale località termale.
In quel tempo la costa salentina era, con grande fraquenza, tormentata da
scorribande di predoni e pirati saraceni, turchi, tripolini. In una di questa incursioni un guerriero saraceno si invaghì
della bella fanciulla e nel tentativo di rapirla la inseguì fino all’attuale
Grotta Sulfurea, che la descrizione del tempo, a causa dell’episodio,
localizzavano al piè di Mons. Saracenus. Quando fu raggiunta, il guerriero fu
bruciato da improvvise fiamme di zolfo. La tradizione popolare invece tramanda
che Cibaria, fatta segno dal genitore ad incestuose voglie, fuggì di casa
rifugiandosi in quella grotta che lei prese denominazione “Grotta di S.
Cisaria”. Non vi furono documentazioni sicure sull’accaduto, salvo
cronache riportate dai Padri Bollandisti che raccoglievano le credenze
popolari. Ad ogni modo balza evidente il fatto che Cisaria fu acclamata santa
dal popolo e le acque Litus Lenternum, che la leggenda pagana faceva originare
dalla dissoluzione dei corpi dei giganti, divennero per merito di Cisaria, che
vi aveva trasfuso la sua purezza e santità, meta di sofferenti che accorrevano,
anche da lontano a chiedere la santità del corpo. Il Galateo nel suo libro dà la descrizione della località,
che aveva visitato, ed afferma la validità curativa sulle sorgenti sulfuree.
Il Galateo descrive che la sorgente sulfurea nasce dal fondo
di una grotta, nella quale si penetra da monte attraverso un forame e per mezzo
di una scala a piedi, appoggiata in basso su un’impalcatura. Cisaria, patrona del luogo, viene commemorata il 12
settembre. La località era di difficile accesso all’inizio del 1800. Non vi era
una strada carrozzabile, ma solo un sentiero che terminava a circa 1 Km dalla
sorgente sulfurea, nei pressi della località marina “Ardei”. La cittadina era costituita da qualche casolare di tipo
campagnolo. I sofferenti giungevano con carri agricoli, fin dove il sentiero lo
consentiva e la maggior parte di essi, per l’insufficienza delle abitazioni, si
accampavano sotto i tendoni. I reumatici prendevano il bagno nella sola Grotta
Sulfurea. Se poi gli infermi non erano in condizione di penetrarvi da soli
venivano caricati sulle spalle dei bagnini. L’acqua potabile era scarsa. Nei primi del 1800 si manifesta un improvviso interesse per
le sorgenti sulfuree della località per opere di geologi e di analisti, tanto
che nei Consigli dell’Amministrazione Provinciale si votò per valorizzarle.
Infatti nel 1839 su ordine del Re, il Duca di Montuasi, su voto espresso dal
Consiglio Generale, un progetto di opere da effettuarsi in C. Cesarea, laddove
l’acqua sgorga salutifera, nonché la costruzione di un edificio che doveva
comprendere nel suo mezzo l’apertura della Grotta Sulfurea ed offrire nello
stesso tempo un comodo riposo ai bagnanti. Per tale lavoro era prevista una
spesa di 9000 ducati, ma ciò non rimase che un desiderio. Il 6 giugno 1847 il Decurionato di Poggiardo pressava
vivamente con una istanza le Autorità Provinciali, proponendo l’urgente
necessità di una strada rotabile che, partendo da Vaste, doveva arrivare fino
all’abitato di Santa Cesarea. Solo nel 1857 la strada fu costruita a spese dell’Amministrazione
Provinciale, che migliorò l’antico
sentiero che menava alla grotta. Per rivalsa delle spese sostenute venne
imposta una tassa di circa 6 centesimi che ogni bagnante doveva pagare in base
al sovrano rescritto del 1857, con il quale il Re, con il parese della Consulta
di Stato, aveva approvato tale tariffa. La tassa era in vigore nel 1861, come
si rivela da un manifesto del governatore Calende, fatto affiggere per
l’esazione di essa. Ma un anno prima, nel 1860, veniva annunziata una scoperta
eclatante riportata sul “Corriere Meridionale” di Lecce: un inserviente,
addetto, addetto ai bagni solfurei, aveva scoperto nella pregrotta sboccante a
mare, chiamata “Ferrata”, un cunicolo a fior d’acqua che comunicava con un
antro di meravigliosa bellezza. Fu organizzata subito una spedizione, si
addentrarono nello stretto giungendo in una caverna, il cui fondo era occupato
da un laghetto melmoso, dove l’acqua era molto calda e sulle quali nuotavano numerosi
fiocchetti di una materia biancastra e viscida. Si era giunti alla scoperta
della Grotta Gattula. Dopo di che fu aperto un varco in modo da utilizzare la
grotta come piscina per bagno naturale ad acque fluente. In seguito esplose la
contestazione sul diritto di proprietà che fu attribuito al Demanio
Patrimoniale dello Stato, in seguito si dette inizio all’appalto sia della
Grotta Sulfurea, sia della Ferrante, sia della Gattula. Passò sotto la guida di
diverse persone da Carrozzini, a Cota, Pasca, fino al 1899 quando in seguito a
due successivi bandi le grotte andarono sotto la gestione di una Ditta, molto
fiorente in campo nazionale ed estero, fin dal 1816, epoca della sua fondazione
Oronzo Sticchi, devolse l’incarico al figlio Saverio ed il 16 giugno 1899, un
delegato dell’Ufficio Tecnico Erariale di Lecce, l’Ing. Cavazza, assieme al
procuratore del registro Carlo Scotti, consegnava le terme a Sticchi. Il verbale imponeva l’allestimento sulla Grotta Sulfurea e
sulla Gattula di una baracca di legname a due piani, di cui, quella superiore
doveva servire come sala d’aspetto e quella inferiore come spogliatoio. Così nel giugno del 1899 Saverio Sticchi cominciò a gestire
S.C.T. con la ferma intenzione di trasformare la località rocciosa ed
inospitale e, senza perder tempo, presentò un progetto di opere murarie in
sostituzione delle baracche andate distrutte in una mareggiata il 19 novembre
1899 perché la stagione termale era alle porte. Saverio Sticchi, ideando la
futura sistemazione del complesso termale, allestiva un modello in plastica,
che presentò nel 1900 alla Mostra d’igiene di Napoli, veniva premiato con
medaglia d’oro. Alla fine del 1901 i lavori murari erano in fase avanzata ed un
illustre talentino, il Prof. Cosimo De Giorni, descrisse sul Corriere
Meridionale i lavori in corso, i cambiamenti appunto che migliorarono
soprattutto l’accesso alle grotte. Le suddette opere furono inaugurate nel settembre 1902 alla
presenza di tutte le Autorità della Provincia di Lecce. La Ditta Sticchi ha realizzato una grande mole di opere e di
lavori, trasformando con intuito e dedizione pionieristica la località rocciosa
e selvaggia in un’oasi di piacevole soggiorno. Santa Cisaria non era ancora costituita in comune autonomo
poiché per una questione di confini era contesa tra Minervino e Ortelle.
Saverio Sticchi con l’aiuto dell’On. Alfredo Codacci Pisanelli si adoperò
affinché fosse approvata la legge (26.06.1913) con cui si costituiva il nuovo
Comune Autonomo, con il nome di Santa Cesarea Terme. Gli stabilimenti termali e
le opere adiacenti avevano raggiunto la completezza nel 1936 tanto che S.C.T.
fu degnamente sede di Convegno Nazionale
di Idrologia Medica nel settembre di tale anno. Sul finire della seconda guerra
mondiale le terme e tutte le case della cittadina servirono per ospitare molti
rifugiati stranieri, i quali fecero scempio di tutto.
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