NEMBI SU GARGALLO A questo punto bisognerà ritornare a quanto nel 1523 Anchise Visconti, asserragliatosi nella fortezza di Arona, respinse i Francesi obbligandoli a ripassare le Alpi. Per tale fatto d'armi il Visconti fu premiato col feudo di Borgomanero, Cureggio e Marzalesco e tollerato nel ritenersi anche autorizzato ad esigere le contribuzioni di Orta, dato che la sede vescovile era vacante. Orta resistette, ed il Visconte ne ordinò il saccheggio con l'imprigionamento dei più facoltosi abitanti, per la liberazione dei quali richiese ben duemila zecchini. La reazione degli ortesi fu energica. Soriso ebbe il suo comparto di gravame in centoventi zecchini, ma il paese si rifiutò in forza dei privilegi già menzionati. Ciò procurò una nuova pressione del Visconti, che aggravò la somma di altri cento scudi di multa. Soriso inviò allora una supplica ricevendo risposta del seguente tenore:
Udite queste ragioni il tesoriere dell'Anchise volle ascoltare gli uomini di Soriso ed avendo preso conoscenza dell'istrumento del 9 giugno 1494 fece pronunciare la seguente sentenza:
Dalle letture effettuate viene presentato l'Anchise Visconti come un violento affamato di denaro e d'onori, ma ben peggiore doveva essere il suo successore Bonifacio Visconti nel 1528 se quel minuto descrittore della storia rivierasca che fu il Canonico Fara lo descrisse con colori tanto foschi da definirlo tremendo, selvaggio, lo scempio di Orta del 1528. Persone e cose furono tratte dalle loro case e gettate in piazza alla mercé della soldataglia inferocita ed affamata di ogni sorta di desideri. I corpi dei molti morti venivano gettati nel lago seguiti dalla merce rimasta dalle loro gozzoviglie. La fame invase letteralmente la Riviera e provocò una crisi in tutta la zona e oltre i suoi confini, se la segale passò dal prezzo di undici soldi allo staio a lire 3,10. Non si può negare (anzi, è molto probabile) che qualche gargallese abbia partecipato alla resistenza di Orta, perché il Fara specifica largamente che tutti i paesi circonvicini non mancarono d'inviare armati per la difesa dell'interesse comune. Il quadro economico lo dà scrivendo dopo aver mangiato tutti gli animali commestibili si passò a quelli meno mangiabili, arrivando perfino a quelli da rifiuto, che la fame fa saporosi. I semi di panico, di grano nero, di canape, di brugo e di ogni altra sorta, stripolati; i frutti di nocciolo, noci, ravizzone e ghiande erano posti a condimento con patate, zucche, crusca, farina di saginale miste a romici, ai lapazi, alle malve e cicorie, cotte con poco latte avidamente si divoravano e beato chi ne aveva.Vedevasi famiglie intiere andare in cerca di ogni verde sito, massimo alle sorgenti delle fontane e dove la neve non copriva il suolo, per isvellere quella poca erba e quelle radici che non ispegner, ma ingannar potean la loro fame. Da questo modo di nutrimento o meglio dalla mancanza di questo, estenuati di forze, quegli infelici andavano coi visi pallidi ed occhi torvi, riempiendo di lamentevoli voci le proprie e le altrui case dove, affranti e svenuti, incontravano in molti la morte dopo averla bramosamente invocata come sollievo. Come se ciò non bastasse, arrivò anche un Capitano di Carlo V, Colonnello Cesare Maggi, il quale la fece da padrone imponendo taglie con cruda violenza. Di fronte alla nuova imposizione gli ortesi decisero di difendersi e ritirarsi tutti con donne e bambini all'Isola, ben munita di armi e vettovagliamento, sotto il comando del Vescovo Arcimboldo ed in attesa che questi desse l'ordine di insurrezione generale col suono della campana della torre di Buccione. Giunto il Maggi ad Orta senza colpo ferire, trovò solo pochi frati nel chiosco di San Bernardino. Intuito che la popolazione si era rifugiata all'Isola, ingaggiò battaglia. Respinto con gravi perdite risolse di insediarsi ad Orta e di stringere d'assedio l'Isola cerchiandola al largo con barche, controllando i porti di Pella ed Alagna e sguinzagliando i suoi soldati in tutti i paesi della Riviera e limitrofi, non esente Gargallo, (ommia e quoeque plana, montes, silvae, memora et capsinae ac colles nivibus munitos tune fuerunt - Olina) commettendo ogni sorta di violenze. Da tutti i vicini era atteso con impazienza il segnale della torre di Buccione ed il Vescovo, visti vani i tentativi dei messi inviati presso l'imperatore Carlo V e le preghiere al Generale De Leva di Milano ed al Capitano di Novara Tornielli, dette ordine di dare colla campana l'atteso segnale. ** A questo risposero tutte le campane della Riviera e ben volentieri quelle di Soriso e Gargallo si associarono al coro bronzeo, pur di allontanare il prepotente che troppe volte aveva manifestato di non voler rispettare i diritti della nostra Repubblica. Cruenta fu la battaglia sulla terra della Riviera e sulle barche intorno all'Isola, finché il Maggi fu costretto a ritirarsi sconfitto ad Omegna.Questi fatti avvenuti ad Orta sembrerebbero non interessare il nostro paese, ma non è così; la vicinanza del conflitto ed i soprusi subiti necessariamente obbligavano i cittadini ad un volontariato nelle file dei Rivieraschi. D'altronde non era possibile esimersi dal concedere il passaggio di truppe, concessione che se non data di buon viso sarebbe stata presa con la forza. Troviamo infatti un ordine che dice:
Pare che il Maggi fosse costretto ad emanare questo ordine, per ingiunzione del Duca di Toledo Don Fernando Alvarez e dietro lamentela dei sorisesi, non essendo tenero e di animo malleabile come dimostrano le sue vessazioni nei molti anni di sua permanenza nella zona. Vicino alla morte, avvenuta ad Asti, per pacificarsi con Dio volle che si erigesse una cappella a Varallo ed essere lì sepolto, in quella terra in cui fu ferito gravemente durante una delle sue tante prepotenze. Con la morte dell'ultimo Sforza nel 1535 si riaccese la lotta fra Carlo V di Spagna e Francesco I di Francia per il dominio di Milano, conclusa con l'assegnazione agli spagnoli di tutta la Lombardia, fino alla Valsesia, con raccomandazione di sospendere ogni ostilità verso la Riviera e di alleggerire la stessa di molti balzelli. * L'istrumento fu redatto il 9 giugno, non il 12. ** Anche il Giovanetti nel suo racconto Maria Canavese ricorda la strage e da a questa Maria Canavese il merito di essersi recata sola alla torre di Buccione e di aver dato l'allarme in quel 1529. Scoperta, fu gettata dalla torre stessa col giovane figlio. © Tutti i diritti sono proprietà esclusiva e riservata degli eredi dell'Autore
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