RINASCIMENTO LOCALE L'accordo del 18 luglio 1817 lasciò al Vescovo di Novara il palazzo di San Giulio ed il castello di Gozzano. Abbiamo un nuovo periodo di pace, ma con i moti rivoluzionari ed i fermenti indipendentistici torna una ventata di orgasmo con il cosiddetto quarantotto, cioè 1848, come per significare disordine e caos. Nel 1849, a seguito della sconfitta di Novara, 1200 austriaci stanziarono a Gozzano e ne approfittarono per fare qualche ripetuta e pacifica puntata a Gargallo per bere un buon bicchiere di vino e gettare occhiatacce golose alle belle nostre paesane. Sul calar della sera, di una di queste visite, una dozzina di militi che avevano bevuto più del solito ignari che il vino di Gargallo accelerava il suo effetto, al passaggio della Grua sentirono le gambe e le ginocchia piegarsi maledettamente. Per smaltire la sbornia non trovarono di meglio che infilare la strada del molino appena dopo il ponte su detto torrente e, tenendosi ben stretti, percorsero un centinaio di metri. Giunti presso un boschetto decisero di sdraiarsi e si addormentarono profondamente. Il comando di Gozzano, visto che il drappello tardava a rientrare, saputo che Gargallo era la sua meta preferita e temendo chissà quale carneficina, inviò immediatamente alla ricerca una compagnia di duecento soldati armati di tutto punto, al comando di un baffuto capitano. Giunti in paese, per prima cosa perlustrarono tutte le osterie, interrogando chiunque, poi si misero a frugare casolari ed abitazioni per tutta la notte fino a quando, verso l'alba, arrivò tutto trafelato un loro compagno da Gozzano per avvertire che i dispersi erano rientrati in caserma abbracciati, cantando e farneticando alcune parole per loro incomprensibili quanto per noi ben famigliari: vin bon, pinta, matascieta. Non manca il contributo dei gargallesi durante le guerre dell'indipendenza. Chi è molto più anziano di me ricorda l'allora messo comunale, guardia campestre, portalettere e tutore dell'ordine locale Cavigioli Luigi, ex sergente delle truppe piemontesi durante l'Indipendenza Italiana e figlio di un carbonaro puro sangue e di ardenti patrioti. Ad ogni festa nazionale, riquadrato il bianco pizzo e piegati i baffoni, si infilava la giubba militare, sempre pronta ad ogni bisogna già fregiata di tutte le innumerevoli medaglie, fra cui quella del nonno, donatagli dal primo Francesco Giuseppe d'Austria nel 1780 per aver combattuto al suo servizio quando il Piemonte arrivava solo fino al Sesia. Girava marziale per le vie del paese, e come si arrabbiava contro chi non festeggiava la ricorrenza! In quel giorno, all'uscita degli scolari (si vede che non si usava concedere vacanze), immancabilmente si trovava davanti alla porta della scuola per arringarli, spiegare loro il significato delle sue decorazioni e per raccontare le vicende belliche di ognuna. Terminava la concione con un poderoso incitamento ad amare e difendere la nostra grande ed amata Patria. Alla parola Patria pareva che dalla sua bocca uscisse una cannonata. Un altro sergente, Maioni Antonio, partecipò a tutte le guerre della nostra indipendenza, ed al ritorno su sua richiesta gli fu subito concessa la privativa di Gargallo come merito particolare. Ma andiamo alla Valetta, vera fucina di Patrioti. Troviamo Guidetti Luigi Musunat e Giuseppe Pezan, che tramandarono fino a noi il vanto di aver scorazzato su tutti i campi di battaglia, dal Piemonte al Veneto; Bacchetta Bartolomeo, che andò in Crimea coi soldati di Cavour non senza aver partecipato a tutte le battaglie dal 1848 al 1859, da Montebello a Palestro, Turbigo, Magenta, Marignan, Solferino... Sì, Solferino, coi francesi, come dice una medaglia d'argento conferitagli da Napoleon III Empereur a parziale ricompensa della ferita alla mano destra per la quale percepiva la pensione di una lira al giorno. Troviamo Barbaglia Giovanni del III Cavalleggeri Savoia, che si coperse di gloria sotto la sferza del famoso temporale del 24 giugno 1859 sui declivi di San Martino. Avanzava nel suo reggimento verso la conquista del colle quando vide un ufficiale austriaco dirigersi a cavallo in carica contro il Comandante piemontese, a sua volta in sella alla testa della truppa. Il gargallese, uomo monumentale, intuìto il pericolo che correva il Colonnello, balzò dallo schieramento e trafisse l'ufficiale nemico in un violento corpo a corpo dopo averlo atterrato. Afferrate le briglie del cavallo austriaco, ormai privo di regolamentare cavaliere, vi montò con fermezza, si pose alle spalle del suo scampato Comandante e si autonominò sua guardia del corpo con impegno di trafiggere a destra ed a manca quanti nemici osassero contrastarne il passo. A vittoria conclusa il Barbaglia andò in cerca della sua vittima per avere un ricordo della gran giornata. Trovatolo, gli dette degna e cristiana sepoltura, trattenendosi come ricordo la spada e gli stivali. Il suo ardire venne diversamente giudicato dai superiori: chi lo ritenne un atto di indisciplina, in contrasto con le disposizioni di schieramento e fautore di confusione nella compagine, chi lo giudicò un atto di autentico eroismo. Decise il Re Galantuomo per tutti, battendo le mani sulle spalle del Barbaglia e pronunciando la frase che il gargallese non si stancava mai di ripetere, motto del resto della sua esistenza: Bravo Barbaglia! Fossero tutti come te i miei soldati! Il rapporto ufficiali decise per l'encomio solenne ed una licenza premio, con autorizzazione di tenersi il cavallo del nemico caduto e, naturalmente, stivali e spada. Sappiamo che giunto a Novara il cavallo fu venduto per quindici marenghi (300 lire). Arrivarono invece fino a Gargallo la spada e gli stivali speronati: la prima andò smarrita, ma gli stivali venivano indossati dal Barbaglia durante le feste solenni e nazionali come medagliere della sua epica impresa. Sono arrivati fino a noi gli speroni, che ho avuto il piacere di sfiorare con le mani in casa del nipote alla frazione Valetta. Durante la conquista coloniale d'Africa del 1896 parecchi gargallesi partirono; uno, Maioni Giulio, non fece ritorno ed è ben ricordato in una lapide murata sulla facciata del Municipio. Con molta letizia fu salutata l'alba del 1900, perché pareva che finalmente il popolo avesse trovato quella tranquillità e quel benessere che si aspettava. Già Gargallo era percorso da viaggiatori, ovvero rappresentanti di importanti ditte forestiere che offrivano i loro prodotti alle nascenti aziende di cui parlo in altro capitolo. Nel 1909 Gargallo fu teatro delle grandi manovre militari. Sarebbe una notizia insignificante se non si fosse acquartierato l'allora Re d'Italia Vittorio Emanuele III che, da buon monarca, accarezzava volentieri i bambini che incontrava ben sapendo che con quell'atto avrebbe acquistato anche la simpatia dei genitori. Fu durante l'attraversamento del paese che si prodigò in tale simpatico gesto verso una bambina (tuttora vivente) che stava in braccio alla madre. Costei, usa alle favole domestiche in cui tutti i principi sono bellissimi e tutti i generali sono marziali, riteneva che tutti i Re superassero almeno i due metri in quota, anche a giustificazione del titolo di Altezza loro riservato, ed uno e cinquanta di torace. Vedendo staccarsi dal gruppo un ufficialuccio che allungava una mano per accarezzare la figlia, si premurò chiedere chi fosse. Alla risposta imbarazzata e sussurrata degli ufficiali, immagino del tipo Ma signora, è il Re d'Italia!, la donna con spontanea sincerità sbottò sorpresa: Possibile? Così piccolo? Disagio del seguito e sorriso spiritoso del monarca in rapido allontanamento... Si lamenta all'11 aprile 1911 una massiccia nevicata che raggiunge l'altezza di oltre 60 cm. Scoppiata la guerra italo-turca nel 1911 parecchi gargallesi combatterono per la conquista della Libia e ritornarono tutti salvi. Ben più grave doveva essere quella prima guerra mondiale del 1915, quando a poco a poco si vuotarono tutte le case degli uomini validi dai 18 ai 44 anni, cioè dalle classi dal 1900 al 1874. Ben tre anni e mezzo durò tale mancanza ed ogni tanto, purtroppo, circolava in paese la triste notizia, pervenuta dal comando militare, che una nuova vita si era spenta per la Patria. La merce diradava e rincarava ogni giorno. Molti generi alimentari andarono soggetti a razionamento e noi ragazzi, quando i fornai gargallesi avevano esaurito le scorte o le giacenze, ci dovevamo recare per la misera spesa fino a Gozzano o Borgomanero, dove gli esercenti avevano maggior possibilità di provvedersi attraverso scappatoie e dove trovavamo sempre negozianti disposti ad accontentarci. Una volta all'anno circa ritornavano i militari in licenza di 10-15 giorni, in visita alla famiglia; quanta gioia al loro arrivo e quante lagrime alla partenza! Io mi recavo sovente alla stazione di Gozzano per assistere a quelle partenze e non di rado vedevo qualche militare che, memore dei patimenti della trincea nella quale doveva ritornare, veniva preso da sconforto e disperazione e si rifiutava di salire sul treno. Il poveretto veniva spinto amorevolmente dai familiari recatisi ad accompagnarlo, che gli ricordavano loro malgrado e piangendo le pesanti sanzioni militari a cui sarebbe andato incontro disertando. Qualcuno partiva rassegnato, ma qualcun altro, all'arrivo del treno in stazione, dava in escandescenze e strappava perfino le insegne. Veniva allora spinto sul vagone dai carabinieri inviati per tale scopo, ma anch'essi avrebbero preferito estraniarsi per evitare commenti dei parenti ed offese del milite recalcitrante. Qualcun altro, rimasto calmo fino all'arrivo del treno, appena questo si rimetteva in moto e realizzato l'allontanamento dai propri cari, tentava di buttarsi dai finestrini trattenuto a stento dai commilitoni che erano saliti dalle stazioni precedenti ed ormai rassegnati al distacco. Nel 1916 il Comune costruì il nuovo cimitero sul terreno confinante con Vergano, ad un centinaio di metri oltre quello preesistente risultato troppo angusto ed insufficiente. L'ultima deposta nel vecchio fu la salma di Giromini Marianna; la prima nel nuovo fu quella di sua figlia Giromini Caterina. Quanta gioia, infine, al IV novembre 1918, quando arrivò la notizia della fine della guerra con la vittoria; gioia condita, purtroppo, dalle lagrime delle spose e delle madri dei ventiquattro militari che più non tornarono: i loro nomi sono eternati in una lapide murata sul frontone della casa municipale e sui cippi del viale d'ingresso del cimitero. Sempre nel 1918 l'Italia fu funestata dall'epidemia di Spagnola e Gargallo dette anche in quella occasione il suo tributo di ammalati e di vite umane. In quasi tutte le case entrò il morbo ed oltre cinquanta persone non resistettero e furono trasportate alla tomba. Nel 1919 si sentirono le prime arie Fasciste, ma nulla di rilevante turbò il paese all'infuori di qualche sparuto esibizionismo di chiacchiere o di qualche ragazzata di irresponsabili di nessun valore o conseguenza. Si abolì l'elezione del Sindaco e si istituì la podesteria con nomina diretta dalla Prefettura di Novara. Nel 1928 si diede mano ai lavori di ampliamento della piazza Municipale abbassando il sagrato al livello della piazza ed allargando le curve al sommo della salita sul piazzale stesso. Nel 1937 si costruirono le scuole attuali e col dirottamento degli scolari in queste furono chiuse quelle site nel Casale Toeschi e nel locale sotto l'attuale Municipio. Nel 1936 venne la guerra per la conquista dell'Etiopia ed un solo gargallese partì volontario: Cartelli Giovanni, della classe 1904, che morì su quella terra nel 1937 in seguito, pare, a morsicatura di cane idrofobo. Era un trovatello, e nessuno pensò di ricordarlo con l'incisione del suo nome su uno di quei piccoli cippi ancora vergini nel viale del cimitero... Nel 1939 scoppiò quasi improvvisamente la seconda guerra mondiale e nel 1940 anche l'Italia ne fu coinvolta. Era la guerra dei bombardamenti aerei sulle città e sui paesi importanti, ma soprattutto era la guerra della fame. Tolta totalmente l'illuminazione stradale ed oscurate in senso assoluto porte e finestre, per non dar modo agli aerei nemici di scorgere nella notte le abitazioni ed interdetta, più tardi, anche l'uscita serale, il paese sembrava senza vita. Man mano che la guerra perdurava diminuivano i viveri ed i vestiari ed il governo ordinava altri tesseramenti restringendo quelli già in atto. Così facendo dilagava la borsa nera, * commercio clandestino extra razionamento con prezzi fortemente aumentati. I gargallesi si sguinzagliavano nei paesi vicini (ed anche lontani) presso produttori di derrate alimentari, pagando qualsiasi prezzo la merce pur di non tornare a mani vuote e sfidando le innumerevoli guardie che cercavano di frenare quella necessaria irregolarità con sequestri, confische e multe, se non addirittura pretendendo la divisione del sequestrabile e conseguentemente della soddisfazione da recare alle esigenze delle rispettive famiglie... Sì, perché di fronte alla fame ogni legge crolla, diventa inoperante. Anche le scarpe erano soggette a razionamento ed i gargallesi si rifacevano ritorcendo ai bisognosi che si recavano a Gargallo per provvedersi di calzature gli abusi ai quali, a loro volta, erano assoggettati. Coll'armistizio di Badoglio del 1943 gli eventi precipitavano ed i vecchi alleati tedeschi occupavano l'Italia, specialmente la centrale e la settentrionale, dando inizio a quel movimento partigiano di cui tanto hanno parlato altre penne più autorevoli della mia. Gargallo non ne fu esente e se in un primo tempo questo movimento era pressoché inesistente, nel 1944 cominciò a farsi sentire con visite serali da parte di partigiani, in cerca di cibo e calzature, e diurne da parte di Fascisti e tedeschi, in cerca dei partigiani della sera precedente; visite che andavano aumentando secondo il precipitare degli eventi. La dimora dei partigiani era la macchia e Gargallo, coi suoi ampi boschi ** ai confini fra novarese e Valsesia, si prestava benissimo alla guerriglia, ai collegamenti fra le due province e come posto tranquillo di convegno fra i comandanti di zona. Sovente s'incontrava questa barbuta milizia per i sentieri dei boschi o fra vigneti abbondanti di casini che permettevano ricovero in giornate proibitive. Pare però che l'acquartieramento nei nostri boschi avesse solo carattere organizzativo e di comando, perché non si ebbero a registrare battaglie o molestie. Si dice che esistesse un tribunale di guerra partigiano e si vuole che parecchi condannati a morte per spionaggio o tradimento venissero subito giustiziati e sepolti nelle nostre vigne e boschi. Nessun gargallese subì gravi danni personali o ai propri beni in questo periodo, se escludiamo qualche comprensibile necessità di cibo o vestiario che i paesani consegnavano con più o meno spontaneità. Con la cattura di Mussolini a Dongo il 25 aprile 1945 cessò la guerra, con conseguente scomparsa totale dei Fascisti e trasformazione della quasi totalità degli Italiani in partigiani... Un gargallese, Guidetti Pietro, milite fascista, ritenendo che la pace fosse giunta per tutti, anche negli animi, credette di poter fare ritorno alla sua famiglia. Giunto col treno alla stazione di Gozzano fu riconosciuto, tradotto davanti ad un tribunale di guerra, condannato e subito fucilato. Altri gargallesi purtroppo rimasero sui campi di battaglia o perirono per causa di questa guerra. Anche per loro perdura l'attesa di essere ricordati sui cippi già menzionati... Ci accontenteremo, per ora, di nominarli qui: Guidetti Emiliano, Fornara Battista, Cominazzini Francesco, Antonioli Pierino, Tacca Santino. Colla caduta del Fascismo dittatore una nuova ondata di libertà percorse tutta la nostra penisola ed anche Gargallo provvide subito ad organizzarsi secondo i nuovi principii indicendo le elezioni per la nomina del nuovo Sindaco. Venne eletto Galleazzi Tersillo, maestro di scuola. Durante la sua amministrazione ritenne di aver scovato una irregolarità commessa del Cav. Lorenzo Ferraris nell'acquisto di boschi dal Comune all'epoca in cui era Podestà. Gli eredi Ferraris sostenevano invece che l'acquisto era stato regolarissimo, per cui scoppiò una lite giudiziaria fra le parti. Trascinati dalla passione o dagli interessi i gargallesi si divisero in due opposte fazioni, ricreando in paese una frattura che ricordava l'antica divisione di Sanguigni e Rotondi: chi trovava doveroso e corretto l'operato del Sindaco, chi dava ragione ai Ferraris. Le ostilità si acuirono durante le elezioni comunali del 1952, quando vennero presentate due liste: una col simbolo della torre campanaria, che rappresentava i sostenitori Ferraris, l'altra con le mani in atto di stretta, schierata dalla parte del Sindaco Galleazzi. Il tranquillo e fraterno Gargallo fu assalito dal bacillo della faziosità e quasi tutti, chi più chi meno, ne furono contagiati, tanta era la virulenza del morbo che infestava l'aria di quei tempi. Quando capitavo in paese in quel periodo e mi soffermavo a parlare con qualcuno, mi pareva di essere ritornato nella epoca degli untori di manzoniana memoria! Inizialmente ci si limitava alle discussioni, ma in seguito si arrivò ad un fanatismo tale che ben volentieri gli uni avrebbero morsicato il naso o le orecchie degli altri. La diffidenza serpeggiò per le strade, la calunnia s'insinuò nei discorsi, il dubbio usciva dagli sguardi torvi dei più scalmanati. Per la faccenda dei boschi si vedevano amici d'infanzia che si guardavano in cagnesco, vicini di casa che non si sarebbero soccorsi neppure in caso d'incendio, parenti fino a ieri fraterni si erano tolto il saluto per il campanile o le mani incrociate, fedeli che non si recavano più alle funzioni per il timore di trovarsi un rivale sullo stesso banco della chiesa... Non è mia intenzione e competenza andare in cerca di chi fosse il depositario della ragione; anzi, come spesso avviene in questi casi, probabilmente lo erano tutti, perché ben sappiamo quanto faccia trascendere l'estrema partigianeria. Proprio al di sopra di tutte le faziosità, non mi pare fosse stato il caso di alimentare tanto astio per una faccenda che interessava marginalmente e che comunque si trovava già sul tavolo del Magistrato, il quale decise, più tardi, un accomodamento per la restituzione al Comune di quasi tutti i boschi in parola. Fortuna che il nostro saggio popolo, da ambo le parti, seppe trovare il solito buon senso che a Gargallo non mancò mai, anzi, è sempre stata una delle sue grandi doti, e la guerra fratricida si limitò sempre e solo allo scambio di qualche mala parola e ad un po' di cocciuta musoneria; cose queste che non lasciano tracce, anzi lasciano il tempo che trovano. Sfumati i bollori, i gargallesi si trovano sempre buoni fratelli; e lo furono, infatti. Il sindaco Galleazzi Tersillo si adoprò moltissimo per dare al paese scuole confacenti alle esigenze locali e finalmente, con lettera del 20 maggio 1955 (Registrata alla Corte dei Conti il 15-6-55 sul registro 22, lavori pubblici, foglio 90) disponeva:
In un'atmosfera meno calda si svolsero le elezioni comunali nel 1956, con la vittoria del campanile e con la nomina del Dott. Arturo Galleazzi. Le acque si erano placate ed il nuovo Sindaco si adoprò moltissimo per far tornare la bonaccia usando il tatto necessario per smussare gli angoli e sfrondare il paese di tutti i malintesi. Tanta fu la sua capacità che si accattivò la simpatia di parecchi seguaci delle mani incrociate. Detta amministrazione ritenne di non dar corso ai lavori di cui il summenzionato mutuo. Non è mio compito e desiderio conoscere il motivo; mi limito ad informare il lettore che nell'ultima elezione del 1964 l'elettorato gargallese rinnovò la sua fiducia al Sindaco uscente; non solo, ma il paese risolvette di presentare una sola lista capeggiata dal Dott. Arturo Galleazzi, attuale Sindaco in carica. Come cronaca recente riporto che il territorio di Gargallo ha fatto parte del primo Rallye automobilistico 999 minuti, organizzato dall'Automobile Club di Novara, che ha visto la partecipazione di un centinaio di concorrenti e che si è tenuto fra la sera del 15 e la mattinata del 16 aprile 1967. E' stata la prima manifestazione automobilistica sul nostro territorio e si estendeva da Novara a Domodossola riservando a Gargallo ben tre passaggi. Un controllo orario con rifornimento era stato allestito accanto all'oratorio San Michele. Pubblico rilevante, dislocato anche sulla strada delle vigne (il percorso andava verso Soliva, Arlezze, Valduggia, ecc.), assisteva alla gara. * Già
nel 1600 il Vescovo Bescapè, a seguito del razionamento del sale, si lamenta
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