PARROCI DI GARGALLO Sebben esistesse sempre l'usanza del canonico che si recava saltuariamente o mensilmente da Gozzano a curare le anime gargallesi, con l'unione civile di Gargallo con Soriso di riflesso veniva anche quella religiosa. I curati di Soriso lo erano anche di Gargallo e l'elencazione dovrà partire da questi fino alla separazione delle due parrocchie. A Soriso già nel 1467 esisteva il primo cappellano fisso di nome Pietro del fu Martino Scolaris. Morendo lo Scolaris, il 21 aprile 1485 gli successe Petrino De Bonini. Indi il frate di Soriso De Magrano Pietro, nominato nell'anno 1553 al 14 novembre. Ritiratosi il frate, venne nel 1556 Francesco Melchioni. Partito questi fu eletto nel 1557 Pietro Cotta di Oleggio Castello; nel 1572 Pietro Vallerani di Soriso s'insediò nella parrocchia. Lasciò il posto nel 1573 a Francesco Debellanis. Nel 1575 Pietro Cotta fu rieletto: egli può considerarsi il primo parroco di Soriso (con Gargallo), perché nominato direttamente dal Vescovo; i precedenti avevano bisogno della conferma del capitolo di Gozzano, il che prova che la chiesa di Soriso fino a quel giorno era legata alla Pieve di Gozzano. Alla morte del Cotta venne nominato nel 1594 Domenico Parrucconi, inizialmente poco accetto ai parrocchiani, che rimase fino al 1599. Per contrasti e capricci la parrocchia rimase vacante per ben dieci anni, retta provvisoriamente da vicecurati alternantisi. Nel 1610 Giovanni Cucciotto di Soriso fu nominato alla cura di Soriso e, nel riordinare le faccende della parrocchia, sostenne che gli impegni dei parrocchiani di Soriso-Gargallo verso il parroco dovevano essere, fra l'altro, la primizia di vino, segala e miglio nella misura di una brenta per fuoco (famiglia). Il Vescovo invece fissò il dovuto in una emina * per ciascun fuoco; allora, fra Gargallo e Soriso, erano in numero di 140. Venne nominato nel 1636 Mora Francesco e dopo questi venne nel 1662 Obicino Giacomo, titolare fino al 1706 ed ultimo parroco della parrocchia di Soriso con Gargallo. Non troviamo nessuna spesa compiuta da questi parroci per la chiesa di Gargallo. Da ciò si ritiene che la loro attenzione era quella di abbellire la parrocchiale di San Giacomo onde apparire zelanti verso i loro superiori. Si forma a questo punto parrocchia di Gargallo staccata da Soriso, quindi passeremo subito ed in dettaglio ai suoi parroci. Con atto del 7 marzo 1703 fu nominato Lorenzo Perolio, già parroco di Alzo separato da Pella e di Massiola. Prima preoccupazione del Perolio fu quella di costruire la casa parrocchiale, il battistero ed il pulpito su cui si accedeva con una scala mobile. Per sopperire alle forti spese si convenne di costruire per conto della chiesa una fornace di mattoni. Riveduti paramenti ed altre necessità, si costruì pure nel 1704 il coro e nel 1705 la porta maggiore della chiesa parrocchiale. Si restaurò l'altar maggiore, collocando panche e genuflessori nel coro, che si cominciò a praticare nel 1707. Si cinse il cimitero attorno alla chiesa nel 1708 e nel 1710 registriamo un secondo furto sacrilego nella chiesa. Il primo parroco di Gargallo moriva il 7 ottobre 1712. Il 1° maggio 1713 Carlo Guglielmini di Cravegna lo sostituì. Subito provvide ad ultimare i lavori intrapresi dal suo predecessore, acquistando nello stesso anno i quadri dei Santi Pietro e Paolo. Fu ampliato il cimitero attorno alla chiesa inserendo il pezzo di terreno donato dagli eredi di Toesco Francesco Maria in ricompensa del permesso ottenuto per la sepoltura del suddetto sotto il portico della chiesa, in cui non vi fu mai sepolto alcun cadavere. Nel 1727 fu collocata sul campanile una terza campana, costruito l'ossario e scolpita la statua della Beata Vergine del Rosario. Il 27 dicembre 1732 moriva don Guglielmini. Successe il 23 febbraio 1733 Luigi Tencone, teologo e dottore, di Ornavasso. Distrutto l'antico portico davanti alla chiesa, se ne costruì un altro allo stesso posto con tre archi e colonne di granito. Nel 1738 si ultimò l'ossario e nel 1746 un'oscura vicenda scoppiò durante una relazione dei fabbricieri della chiesa di Gargallo alla presenza del Vicario Foraneo, Prevosto di Gozzano. Se ne parla in modo velato anche sul quaderno già più volte menzionato. Nonostante la riservatezza del linguaggio, saltan fuori dei coltelli con sangue sopra il cimitero (attorno alla chiesa), tanto che il Vescovo dovette provvedere a ribenedirlo e secondo i suoi riti venne riconciliato. Come ho detto la faccenda non è chiara, ma si può senz'altro pensare che, prima dei coltelli, andarono in aria parole grosse con svolazzi di mani aperte e chiuse con in mezzo parroco e Vicario, in veste di offesi, di colpevoli oppure in qualità di pacieri. Lasciamo il giudizio nel modo che ciascun crede. Nel 1751 fu smantellato l'altare di cotto e legno e rimpiazzato con uno di marmo fatto a Borgosesia. Dopo la rinuncia di un credito da parte di Toesco Andrea rileviamo la costruzione della sagrestia dei confratelli; nel 1752 notiamo il dono di una tela a San Pietro da parte dei fratelli Vallerani di Cremona. Don Tencone moriva il 29 marzo 1764. Gli successe con atto del 30 settembre 1764 Giovanbattista Piazza di Bagnella. Immediatamente dispose di ultimare i lavori iniziati dal suo predecessore, facendo appello alla popolazione che concorse con privati prestiti secondo le proprie forze. Il denaro fu posto sotto l'archivio dell'altar maggiore, ma una mano furtiva se ne impossessò con grande indignazione del popolo. Riuniti, i prestatori di detto denaro rinunciarono ai loro crediti con scrittura privata del 3 aprile 1765, e ciò anche nel caso che la somma venisse restituita; anzi, ordinarono che si debba procurare la scomunica contro li esecutori di detto furto e trovando detto denaro si debba consumare a comodo e a vantaggio di detta chiesa parrocchiale. Dieci giorni dopo il prevosto di Borgomanero Curti, per mezzo del curato Majoni di Vergano (è il parroco Piazza che scrive), mi fece avere lire 321.126 dello stesso denaro rubato come sopra, al sopraddetto consegnato in confessione, come lui mi disse, e questo denaro è stato convertito a favore della chiesa parrocchiale di San Pietro secondo la mente degli uomini di questo popolo. Nell'anno 1766 si pose l'orologio sul campanile con relativa sfera segnante le ore ** e nel 1767 si ottenne il permesso di lavorare in giorno di festa, per la chiesa..., per riuscire ad eseguire imponenti modifiche come l'abbattimento della sagrestia dei confratelli, il rifacimento della nuova e l’allungamento della navata di mezzogiorno, in capo alla quale si costruì il nuovo altare in cotto e nella nicchia si collocò la statua della Beata Vergine del Rosario trasportando quella di San Fermo nella navata opposta. I quattro piloni che sostenevano la navata della chiesa furono sostituiti da sei colonne rotonde di cotto. Il lavoro fu molto pesante e difficile e durò una decina d'anni, tanto che si incominciò a pitturare le cappelle solo nel 1771, compresa quella del Santissimo Rosario. *** Questa cappella è adornata da figure rappresentanti ai lati dell'ancona San Domenico e Santa Rosa da Lima, nell'arco sovrastante il fianco della navata maggiore i misteri del Santissimo Rosario ed al lato delle epistole il Signore sdegnato in atto di fulminare con la Beata Vergine e San Domenico che ne placano le ire. Nel 1778 troviamo un tal Gerolamo Argenti di Viggiù che si impegnò coi fabbricieri della chiesa di Gargallo a costruire l'altar maggiore in marmo e passare l'esistente sotto la nicchia della Beata Vergine del Rosario al prezzo di lire 500 imperiali. Nel 1779 si acquistarono i quattro busti di rame argentato contenenti le reliquie dei Santi effigiati, cioè San Carlo Borromeo, San Grato, San Gaudenzio e San Biagio. Nel 1787 la fabbricieria ritenne il coro troppo basso in relazione alle navate, per cui si decise di alzarlo di circa tre metri. Anche il fonte battesimale fu spostato dalla navata di San Fermo e fu collocato in fondo alla navata stessa chiudendolo con cancelletto. Fu riparato l'organo (di cui, finora, nessuno aveva parlato) e fu collocato colla cantoria sopra la porta principale costruendo sul portico esterno della facciata uno stanzino per collocare i mantici per l'aria necessaria all'organo stesso. Nel 1790 Parravicini del Bosco di Cellio fece un affresco all'ancona del coro rappresentante il Redentore che in mezzo agli apostoli, dopo la resurrezione, consegna le chiavi a San Pietro e lo nomina capo della Chiesa. **** Con un'officiatura di suffragio si ricorda l'anima del Barone Ravizza in riconoscenza del dono fatto nel 1791 alla nostra chiesa di un calice d'argento, due pianete, un camice ed altri vari ornamenti. Per lo stucco dei capitelli, le lesene e le tazze si penserà nell'anno 1793 con l'arte di Ignazio Piola (o Pirla). Sappiamo che i bellissimi scranni e sedie del coro, in noce con specchi d'ulivo, furono fatti nel 1794 ad opera dell'artista falegname Valoggia Giovanni di Bolzano. Furono completati gli arredi con l'aggiunta di un raggio d'ottone lavorato ed argentato per l'esposizione del Santissimo Sacramento. Il 30 gennaio 1797 Don Giovan Battista Piazza si spense. A suo successore fu chiamato il 22 giugno 1797 Carlo Malacchia Pirinoli di Trobaso. Nel 1798 si acquistò, a mezzo Gerolamo Gemelli di Orta, il paramento di broccato damasco rosso e nel 1801 parroco e fabbricieria andarono a Milano per l'acquisto di sei candelieri con croce in rame argentato e tribuna di tela e oro per il Santissimo Sacramento. Le cose in parrocchia pare non andassero troppo bene e lo sappiamo attraverso una lagnanza al Vescovo in data 24 giugno 1726, nella quale la confraternita del Santissimo Sacramento si lamentava che la fabbrica spendeva a suo arbitrio il denaro senza dare conto alcuno e che l'abuso durava da parecchi anni. Il Vescovo durante la sua visita del 7 luglio 1821 regolamentava l'amministrazione della fabbricieria. Le due date del 1726 e 1821 non vanno assolutamente d'accordo, sia in ordine di tempo (un secolo di diversità) che in quello cronologico. Come le ho rilevate le lascio, allo stesso posto. Peccato che non si sia potuto rintracciare il nome del Vescovo, altrimenti sarebbe stato facilissimo trovare l'esattezza della data. Nel 1823, durante una visita pastorale, il Vescovo Cardinale Morozzo dichiarò irregolare l'altare di San Fermo e ne ordinò la demolizione o la trasformazione. Il parroco, non avendo denaro in cassa, ordinò la demolizione, che non poté effettuarsi per l'opposizione di moltissimi fedeli vituperando l'ordine del parroco. Baroli Giovan Battista detto Romonzino, ricco esponente del paese, vietò a tutti i suoi dipendenti, che erano molti, di ubbidire al sacerdote e non favorire tal demolizione sotto pena dell'irrevocabile ed immediato licenziamento. Inoltre fece sapere al parroco che se avesse insistito nel suo proposito avrebbe fatto portare sulla porta della chiesa migliaia di mattoni e col popolo avrebbe murato le porte a sue spese. Il Pirinoli, ben sapendo di che tempra fossero il Baroli e tutti i gargallesi e quale fosse la loro venerazione per San Fermo, lasciò le cose come stavano; a dire il vero, anche perché l'esagerata parsimonia era uno dei suoi difetti. Più tardi, pressato dal popolo, a malincuore si adoprò, mercé la firma di 35 capi famiglia, per inoltrare petizione al Vescovo perché l'altare di San Fermo fosse ripristinato ed aperto al culto, come il Concilio tridentino prescriveva. La supplica venne accettata ed il parroco dovette, suo malgrado, accettare di iniziarne la messa a punto coi proventi di riffe e lotterie, alle quali il popolo partecipò largamente in modo da consentire l'erezione dell'altare in marmo e porre i relativi cancelli. Il lavoro venne eseguito dalla ditta Stefano Clerici di Viggiù con l'enorme spesa di lire milanesi mille. Venne terminato ed inaugurato il 9 di agosto 1828 con una grande festa durata tre giorni, rallegrati da musica, mortaretti, fuochi e giuochi popolari con un immenso concorso di forestieri. Le spese alle quali si andava incontro per tale festa mandarono di nuovo in orgasmo il parroco Pirinoli, che si pacificò soltanto quando notò che soltanto nei primi due giorni le offerte superarono abbondantemente le spese. Era ora di pensare anche alla costruzione del cimitero. Si acquistò dai canonici di Gozzano un gerbido chiamato prato dei preti ***** che fu subito adibito a camposanto. Appena messo in funzione si scoperse che era inadatto allo scopo perché paludoso, offrendo ripugnante spettacolo di dover seppellire i cadaveri in fosse piene d'acqua. Abbandonatolo, si provvide all'acquisto di altro terreno a mezzogiorno del casino dei Bellosta ****** (già Gemelli), luogo trovato adatto e benedetto nell'anno 1834. Dal pittore Pietro Vallata nel 1836 venne dipinta nella tazza della cappella la Gloria, mentre sul muro laterale il martirio di San Fermo. Su una relazione parrocchiale del 1838 si parla di un fabbriciere, certo Toesco (segue il nome...), che avuto l'incarico di sovrintendere certi lavori pretese due lire al giorno. L'amico però stava assente anche per delle settimane per curare i proprii interessi e cadde in opinione di uomo di malafede, qualità che fu sempre ed è tuttora in lui naturale, e venne mai più rieletto e mai più lo sarà. Il 18 febbraio 1843 colpito da apoplessia Don Pirinoli moriva all'età di ottant'anni, dopo aver governato la parrocchia di Gargallo per ben 48. Un suo biografo ha scritto che anche il Pirinoli ebbe, come tutti gli uomini, amici e nemici, forse più questi che quelli; ebbe egli delle persecuzioni di pochi malevoli di cui non si poté mai perdere la razza in questo paese, ma egli colla fermezza e col disprezzo che ha superato e vinte più che con la pazienza. Per reazione i parrocchiani lo volevano prodigo e non di rado si facevano opere senza interpellarlo, se non addirittura contro la sua volontà. Amava la pace anche in guerra e se da una parte si poteva considerarla una virtù dall'altra diventava un difetto, come quando la usava per comporre liti fra ubriachi (che allora erano quasi giornaliere) e metteva tutti i suoi buoni uffici perché la faccenda si appianasse nel migliore dei modi, per la soddisfazione di poter dichiarare che nessuno dei suoi parrocchiani si trovava in prigione od in disgrazia con la giustizia. Se questo spirito pacifico denotava una certa qual bontà di animo (che i fatti del 1810 mettono in dubbio), dava anche modo di favorire in buona fede i disordini, tanto che i fedeli dicevano ...tanto il parroco con le sue amicizie ed influenze mette tutto a posto. Il 12 marzo 1845 Giacomo Gavinelli di Bellinzago venne nominato parroco di Gargallo. Visto il misero stato del vecchio organo, acquistava nel 1846 quello della chiesa di Gozzano e, riassettato il localino dei mantici, lo inaugurò in occasione delle Sante Quarantore istituite in detto anno, grazie alle promesse di lascito del sig. Mongini Giobbe di Soriso, conciatore, che gradiva legare il suo nome a questa istituzione. Pare che il lascito non venne mai e trovandosi la chiesa in disperate condizioni per povertà di suppellettili, interpellata la popolazione che si offerse con una spontaneità ammirevole, chiese il permesso alle autorità civili ed ecclesiastiche di poter rappresentare la passione di Nostro Signore Gesù Cristo nel cortile del luogo nominato Il convento, ceduto dalla proprietaria Rosa Gippini di Orta. Grande fu l'abilità degli interpreti, tutti gargallesi, se detto spettacolo tenne il cartello per ben sette mesi, cioè dal giovedì Santo del 1847 al seguente 31ottobre con recita in ogni giorno festivo. Qualcuno potrebbe sospettare che questa tragedia (Il popolino la chiamava trigenia, interpretando e mescolando a modo suo i tre Genii della Santissima Trinità) fosse stata ristretta ai soli gargallesi; invece divenne zonale, se non addirittura extramandamentale, per l'immenso concorso di spettatori dai paesi vicini e di quelli relativamente lontani come Invorio, Briga, Maggiora, Borgomanero, Boca Cavallirio, Cressa, Cureggio, Pogno, Prerro, Soliva, Santa Cristina, Bogogno, ecc., che si recavano per tempo con i propri carri per godere tale spettacolo. Da memorie scritte allora ho ricavato l'importanza che ha suscitato tale rappresentazione e la sua imponente mole. Se l'avarizia dello spazio non me lo impedisse vorrei elencare i nomi dei trentadue bravissimi attori, molti dei quali in grado di supplire qualsiasi mancante: settanta comprimari, due suggeritori nel segretario comunale e nel maestro di scuola, un organista, due direttori di scena, quattro macchinisti, otto comparse di autentici militari, dodici angioletti, due costumiste, due parrucchiere. Il falegname Bovio Gaudenzio di Bellinzago pensò all'allestimento del palco, mentre per gli scenari provvide il pittore Pietro Buzzi di Novara. L'imperiale fu fornito dalla ditta Rovaglia & C.. Da Ugo Scaglia del Teatro della Scala di Milano (udite udite!) furono noleggiati i costumi e le armature. Prestava sempre servizio la banda di Gattico diretta da Bacchetta Costantino e Crusca Serafino. I biglietti si vendevano alle due finestre sotto il portico dell'oratorio di San Michele e costavano cinque soldi per la platea e dieci soldi per i palchi. Se consideriamo che l'incasso generale fu di una somma enorme per quei tempi, ben lire quattro mille e più, dobbiamo convenire che la Tragedia di Gargallo, come veniva volgarmente chiamata ovunque, era stata applaudita da oltre trentamila spettatori complessivi, se consideriamo anche coloro che per una ragione od un'altra erano esenti dal pagamento d'accesso. Folla imponente per un paese tanto piccolo, ma che dice di qual levatura dovevano essere gli artisti e quale impegno dovevano aver dimostrato per la buona riuscita dello spettacolo. Leggiamo in un commento dell'epoca che l'opera ...fu condotta con tale franchezza che si sarebbe detto essere trattato da attori provetti nell'arte drammatica. La grandezza e la dignità dello spettacolo, la bellezza, la facilità dell'argomento, la comodità del locale e la perizia degli attori, il buon ordine ed il rispetto mantenuto a tutto rigore, accresceva ogni giorno la buona opinione della tragedia di Gargallo ed in tutte le feste dai vicini e lontani paesi si recavano ad assistere e poi partivano pienamente soddisfatti col proposito di ritornarvi. Le spese raggiunsero le duemila lire ed il netto fu usato per coprire le spese dell'organo e di molti paramenti. La direzione generale e la responsabilità furono assunte dal geniale e zelante Don Gavinelli, il quale dovette subire non poche gelosie ed intrighi anche da parte del clero confinante, eccezion fatta per Don Rattizzi, parroco di Vergano, sempre fedele collaboratore. Il sig. Maurizio Minotti nel 1848 legava il fondo Rivascia per garantire la festa delle Quarantore. La chiesa acquistava dal Comune nel 1850 un livello di otto pertiche in Orfarina, che i fedeli dissodarono gratuitamente e resero vigneto. Francesco Masini, forestiero, terminò nel 1854 il pavimento alla veneziana del coro e del presbitero, dopo che il Sindaco Matteo Cominazzini aveva promesso un sussidio comunale di lire 200 poi negato per ignote ragioni. Anche l'organo acquistato a Gozzano si logorò irrimediabilmente e nel 1857 si provvide alla sostituzione con uno nuovo, fatto da Giovanni Scolari di Bolzano e collaudato dall'avvocato Monti di Borgomanero, celebre organista. Il 21 febbraio 1871, improvvisamente, mentre stava a tavola, all'età di soli 58 anni e dopo ben 27 di permanenza nella nostra parrocchia, moriva Don Giacomo Gavinelli, amato e stimato dalla popolazione. Un suo biografo giustamente lamenta il fatto che i parrocchiani si siano poi dimostrati ingrati nonostante tutto e non abbiano pensato a porre sulla sua tomba nemmeno un piccolo ricordo, un segno che permettesse ai visitatori di riconoscere facilmente ove riposa. A Don Gavinelli, di cara memoria, succedette nel 1871 Don Giuseppe Bartolomeo Bastari di Borgomanero, che resse la parrocchia fino al 1878 ma non lasciò opera alcuna legata al suo nome. Lo sostituì nel 1878 Don Giuseppe De Gaudenti, che lasciò il posto dopo poco più di due anni, nel 1881, a Don Panizza Giuseppe, che rimase fino al 1884. Da quell'anno la parrocchia rimase vacante, sebben fosse stato nominato Don Tranquillo Fracchia che, in armonia col suo nome, non prese mai possesso. Nel 1887 Don Colli Lanza Camillo resse la nostra parrocchia per lasciarla nel 1889. Lo sostituì nel 1890 Don Zotti Pietro, che restò a Gargallo per quattro anni. Dal 1894 Don Bionda Giuseppe stette parroco fra i gargallesi fino al 1901. Durante la sua cura, nel 1899, fu posta nella nicchia di San Fermo una nuova statua del martire romano, donata da Guidetti Giulio ritornato dopo una fortunata emigrazione. Ben poco hanno fatto questi parroci, per la brevità di permanenza nella parrocchia e per il carattere di provvisorietà che dimostravano nel prenderne possesso. A Gargallo cominciavano ad arrivare le prime brezze socialiste ed i parroci che vi arrivavano, fiutata l'aria per loro poco adatta in un ambiente così piccolo, anziché adoprarsi per riportare le bibliche pecorelle all'ovile e infonder o sostenere la parola di Cristo, preferivano abbandonare il campo con un'ombra di viltà; appena si presentava l'occasione di qualche nuovo concorso approfittavano per involarsi verso lidi più confacenti ai loro desideri. Così la nostra parrocchia rimase di nuovo vacante per un paio d'anni. Tutto ciò scomparve nel momento in cui venne a parroco, nel 1903, Don Giovanni Faretti, che posso definire il mio parroco in quanto mi battezzò, mi comunicò, assistette alla mia cresima e benedisse le mie nozze durante trentadue anni di permanenza a Gargallo. Di statura piuttosto bassa, faccia quadrata e grassoccia, come il suo corpo, aveva due gambette sempre in movimento come i suoi occhi luminosissimi. Un naso a patatina stava piantato in mezzo alle guance paffutelle e sempre rosee, che confinavano alle tempie con due orecchie molto piccole che richiamavano sovente la mia curiosità. Pulitissisimo, buon predicatore, aveva una parola forte, simpatica e convincente, incisiva e penetrante, buona, talvolta perfin accorata quando doveva richiamare l'attenzione dei fedeli su qualche necessità o lamentela. Era stimato, nel vicariato, come predicatore di elevata classe e di poetico concetto. Anch'egli fatto di creta, non andava esente da difetti. Dimenticava qualche principio evangelico e non porgeva mai la guancia sinistra, anzi immediatamente ritorceva il male, vero o presunto, fatto alla destra. Il suo carattere era riassunto ed espresso in una frase che troppo sovente tirava alla mano: Su questo non transigo! E non transigeva mai. Di carattere forte, era solitamente intollerante ai compromessi. Mirava dritto al bersaglio, incurante delle conseguenze che potevano sorgere durante il percorso della freccia. Deciso nei suoi voleri, non di rado si trovava in urto coi reggitori del Comune o con qualche famiglia, oppure con la bollente gioventù che voleva educare con la forza. Con questa, poi, era in conflitto quasi perenne e purtroppo le sue decisioni sortivano l'effetto perfino contrario a quello da lui desiderato. Era nato per comandare, almeno per quanto riguardano i rapporti fra lui ed i suoi fedeli. Se i suoi scapaccioni, elargiti con larghezza ai ragazzi disturbatori in chiesa, erano santi, non così si può dire di certi atteggiamenti. Quando i giovani, stanchi e stufi dei suoi ordini perentori, lo estraniavano, rodeva il morso meditando e ruminando chissà quali determinazioni. Ma se giriamo la medaglia troviamo in questo parroco qualità superiori ai difetti. Sebben nato ad Armeno da famiglia modesta, aveva un portamento signorile che lo faceva uscire simpatico da tutte le battaglie. I fedeli, si sa, erano di diverse tendenze e nel giudicare il suo operato qualcuno di essi scoteva la testa come per tollerante disapprovazione, altri sorridevano bonari, altri ancora lasciavano fare riponendogli fiducia ed altri ancora si divertivano di gusto. Aveva tante buone qualità che invogliavano ad amarlo. Generalmente, quando chiedeva aiuto ai parrocchiani, questi si prodigavano per accontentarlo. Stette oltre quarant'anni e conoscendo famiglia per famiglia seppe studiare il particolare trattamento per ognuna, sì che arrivò ad ottenere simpatia e quanto altro poteva desiderare. A conti fatti i gargallesi lo amarono tanto perché aveva una dote tale da riuscire con uno zuccherino a far dimenticare un'amarezza tenuta in bocca per tanto tempo. Certo fu un grande parroco. Amava la parrocchia come se ci fosse nato. Amava i fedeli come se fossero fratelli (beninteso, minori ed ubbidienti). Era focoso, ma il fondo dell'animo era coperto da parecchia bontà. Serio, onesto, caritatevole, garbato, aveva una buona dose di signorilità che incuteva rispetto. Il suo carattere era adatto per una cura di pecoroni sottomessi, ma la sua cultura, il suo garbo, la finezza nel conversare e la sua intelligenza erano degne di fedeli di più alta levatura di quanta ne aveva trovato in un paesino di collina. Eppure non se ne lamentava e ci restava volentieri a svolgere con passione il suo ministero, mai manifestando desideri di raggiungere mete più confacenti al suo essere, diverse da quelle che, modestamente, gli dava la cura di Gargallo. Amava l'arte e si adoprò moltissimo ad abbellire la chiesa con pitture nuove come quelle sulla volta centrale e di tutti i medaglioni. Rifece l'organo ormai guasto. Rifece tutta la balconata dell'organo stesso. Provvide al rifacimento del pavimento della chiesa dalle balaustre fino alla porta maggiore. Pensò alle campane e nel 1930 sostituì totalmente il castello campanario ponendo un concerto di campane, come ben si legge su una delle campane stesse. Fornì di suppellettili il corredo della chiesa; abbellì la casa parrocchiale; costruì un teatro-asilo infantile a lato della casa parrocchiale e si prodigò per organizzare delle recite teatrali istruendo con perizia i giovani attori. Dopo le funzioni amava far divertire i ragazzi e le giovani nel salone e nel cortile del teatro e mal digeriva i divertimenti organizzati da altri, forse nel timore che la gioventù si distraesse in volgarità. Morì nell'anno 1941 dopo aver chiesto perdono ai quei suoi parrocchiani che si fossero ritenuti offesi dalla sua irruenza. I parrocchiani lo perdonarono di cuore e lo accompagnarono con grande rimpianto alla sepoltura, inumandolo nella cappella che ricorda i caduti delle guerre e dove murarono una lapide di somma riconoscenza.Gli succedette nel 1942 Don Anselmo Temporelli. Carattere mite e molto cordiale, morì giovanissimo solo un anno dopo. Fu sostituito nel 1944 da Don Angelo Bovio. Buon parroco, ma molto contemplativo. Era più adatto al misticismo che a Gargallo, ove occorreva unire all'idealismo un poco di vita pratica. Rimase dieci anni e poi sì trasferì altrove per lasciare il posto nel 1954 a Don Angelo Vasino. Già anzianotto, spese molta attività per accattivarsi la simpatia dei parrocchiani. Non troppo alto, di colorito piuttosto pallido, magretto ma pieno di vitalità, Don Vasino era il buon parroco moderno ed esperto. Fu trovato morto nel suo letto colpito da infarto. Non dimenticò i suoi parrocchiani e nel suo testamento legò alla nostra chiesa una parte dei suoi risparmi ammontanti a parecchi milioni, cinque dei quali restarono a Gargallo. Venne nominato a reggere la nostra parrocchia nel 1960 Don Attilio Corini, che giunto fra noi si preoccupò subito di studiarne le necessità. Per prima cosa provvide a costruire sul terreno del vecchio teatro-asilo una nuova e moderna struttura da adibirsi ad asilo infantile ed a sala di riunione o di divertimento. Allo stesso posto fornì pure un decente appartamento per le suore deputate alla direzione della struttura. Provvide a riassettare il primo piano della casa parrocchiale dividendo in due la camera all'estremo est e, per primo, ad accostare a queste un bagno moderno. Di animo mite, per nulla attaccato ai beni terreni, rassegnato a qualunque avversità, il suo volto è perennemente sorridente ed il suo gesto è sempre altruista. Non tanto alto, rotondo di faccia e di corpo, incede con passo calmo e sicuro elargendo sorrisi a tutti. Si entra a casa sua con la stessa sicurezza con cui si entra nella nostra casa, senza quel timore reverenziale che generalmente si sente quando s'incontra un superiore. Parlando con Don Attilio si prova una tale cordiale tranquillità che t'invoglia a rimanere, a conversare, a confidare come si fa con un padre, un fratello, un amico. Ciò che sorprende è il suo accettare di buon grado tutto quanto gli arriva (qualche volta anche amare delusioni), sempre sorretto da una grande fiducia in Dio e verso i suoi parrocchiani, i quali lo ricambiano con altrettanta benevolenza. * Litri 23
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