INCOMPRENSIONI CAMPANILISTICHE

 

     Se si placò l'urto fra i parroci di Soriso e Gargallo di  cui  al capitolo XVIII, restarono delle incomprensioni fra i rispettivi parrocchiani. Era una  sciocca usanza  (chiamiamola così) che allora si insinuava in tutti i paesi nei  riguardi  dei confinanti. Infatti correvano nella zona soprannomi per indicare gli appartenenti a questo o quel  paese: Guzzabuboli quei di Auzate, Gatti quei di Bolzano, Coltellini quei di  Soriso, Carbonari di  Pogno, Nebbioni di Gozzano, Lupi d'Orta, Volpi di Migliarino, Cani di Ameno, Labani di Vergano, Tapuloni di Borgomanero, Famoni, Mantaroli o Fargaioni quei di  Gargallo, ecc... Era quel senso di presuntuosa superiorità che avevano i paesi che si credevano  più progrediti soltanto perché più  numerosi.  Naturalmente si  creava la logica reazione di coloro che non accettavano inferiorità.  Siccome  di  gente buona  e cattiva se ne trova in ogni paese, pur piccolo esso sia, sarebbe ridicolo dare un giudizio a distanza di  anni sul quale dei due avesse gli abitanti più turbolenti. Probabilmente quei di Soriso mal tolleravavano le ingerenze gargallesi e quei di Gargallo mal accettavano le decisioni sorisesi, preoccupati di non far da Cenerentola.

     Uno dei motivi che spinse il Vescovo ad emanare il decreto di separazione  era la continua animosità, la reciproca malafede, gli odi, il continuo bisticciare fra Gargallo e Soriso, figli litigiosi di una  stessa parrocchia e di un sol Comune. Non vi erano feste locali che non finissero in violenti litigi. Leggiamo cosa riporta un cronista del 1860-1870:

     Ad ogni ben che minimo leggero atto di  disprezzo, ad  ogni  minima  parola offensiva, che povera fosse, o per tale creduta, di coltelli quei di Soriso e di bastoni quei di Gargallo si armavano tosto e gli uni insorgevano contro gli altri e sfogavano il loro sdegnoso odio. Il trattenersi, poi, di notte tempo  l'uno  nel paese dell'altro senza essere ben munito di soci o di mezzi di difesa, sarebbe stata imprudenza grave che gli avrebbe  procacciato  dispiacevole posizione, critiche circostanze e tante  volte pericolo  della vita.  Ed avrebbe dovuto reputarsi fortunato se non si recava alla propria casa malconcio.  E  questi disordini  si potevano dire in quei tempi, giornalieri ed ordinari, e  ciononostante non lasciano di rinnovarsi, sebben di rado, anche ai nostri tempi.

     Era poi destino che a Pianezza, in occasione della festa di Santa Eurosia, che si celebra la domenica successiva al 26 giugno, le antipatie divampassero. Qui si davano convegno i sorisesi, forti dell'appartenenza della frazione al Comune di Soriso, ed i gargallesi, altrettanto  forti della  vicinanza  al  loro  paese. A Santa Eurosia si rinverdivano i vecchi rancori, le botte erano sonorissime da ambo le parti ed i feriti abbondanti. Pareva che vi si recassero apposta per chiudere il bilancio delle offese date e ricevute durante l'anno. Si racconta che in una di queste sere un buon gruppo di robusti gargallesi partirono per Pianezza ben decisi di render pari una partita di  vere o presunte offese. Per essere certi del successo condussero con loro un tal Galleazzi  Antonio, detto Tunon per la mole del suo corpo e per la forza sempre dimostrata  nel  sollevare da solo tronchi d'albero tali da richiedere per il loro peso la forza unita di quattro uomini. Appena giunti a  Pianezza, sicuri della loro superiorità, i gargallesi si diedero a stuzzicare i sorisesi che  stavano tranquilli a godersi la serata. Questi, offesi e più  agili, giustamente si ribellarono scattando verso i nemici e menando tali manrovesci e cazzotti da  far pensare ai gargallesi di far la fine dei famosi pifferi della favola. Per di più il Tunon, come tutti gli uomini monumentali, stava tranquillamente seduto e si beava ad assistere alla zuffa  come se la cosa non lo riguardasse; i sorisesi poi guardavano bene dal molestarlo... Messi a mal partito i gargallesi stavano per essere  sopraffatti  quando  uno  di  loro, tal Travaini, approfittando della semi oscurità delle rare lanterne si decise di destarlo  sferrandogli, ben di nascosto, un poderoso calcio che gli arrivò diretto all'osso sacro. Il Tunon si alzò di scatto con la bocca spalancata pel gran dolore; ritenendosi calciato  da  un  sorisese  afferrò un palo e, ruggendo come una belva ferita a morte, menò tante e tali palate che  in un baleno pulì tutto il campo di battaglia fugando i nemici  con un tal terrore da  sconsigliarli perfino di riprendersi le giacche lasciate sugli schienali delle sedie. *

     Ciò che si può definire la conclusione ufficiale del campanilismo fra Gargallo e Soriso fu il fatto di sangue capitato nel  1899, quando un sorisese, soprannominato Leone per la sua enorme forza, capitò una sera nell'osteria di Claudio Cominazzini (Furei) all'omonimo casale.  Il temerario era abituato a vedersi trattato con sommo riguardo e tutti gli avventori dovevano alzarsi per lasciargli la scelta del posto ed ubbidire alle sue istruzioni. Generalmente molti abbandonavano l'osteria per non aver a che fare con  simile individuo, ma anche per timore di  finire a casa  sanguinanti. Quella sera un certo Torriani Carlo, ometto di poco conto ma di animo diverso dalla figura, ritenne di non alzarsi dalla panca su cui era seduto. Il Leone ci mise poco a farlo scivolare a terra con fare altezzoso e di compatimento. Il Torriani dondolò la testa  in segno  di  disapprovazione, girò gli occhietti aguzzi per il locale e prese  la porta  inseguito dallo  sghignazzare del forte e dei suoi soci. Recatosi a casa sua, infilò nel fucile ad  avancarica  polvere  e chiodi da scarpe arrugginiti e si recò ad appostarsi fra le robinie sul dosso ove  sorge ora  il  calzaturificio Baroli. Poco dopo sentì la voce tonante del Leone e della sua compagnia che  si avvicinavano canticchiando. Giunti a pochi passi, Chi va là! gridò il Torriani. Amici! fu la risposta del Leone. Proprio amici? chiese il Torriani, sebben  fosse  già  sicuro dell'identità. Sì, amici! assicurò uno della compagnia. Il Torriani premette il grilletto ed una rosa  di chiodi raggiunse il ventre del disgraziato sorisese che si abbattè  al suolo contorcendosi ed urlando a gran voce. I compagni come al  solito fuggirono e gli urli sempre più laceranti giunsero fino al paese e fecero accorrere gli abitanti balzati dai letti in  soccorso. Non si potè far altro che ricoverarlo provvisoriamente sotto il portone  del  casale Casarotti in attesa di approntare una rudimentale  barella-lettiga, solitamente una scaletta da cantina. Si spense a Soriso fra atroci dolori. Triste conclusione; inutile  se si vuole, perché con la civiltà odierna le acque si sono totalmente calmate. Sorisesi e  Gargallesi si incontrano sorridenti e si salutano con molta  cordialità, siano  essi con i piedi sulla terra dell'uno o dell'altro paese. Hanno realmente relegato agli archivi gli  sciocchi pregiudizi; li hanno gettati come si sono gettati i fascicoli degli stregoni e del malocchio.

 

* Comprenda il lettore che non intendo compiacermi sull'esito della lite, ma far risaltare il macchiavellismo del Travaini (Pinin) che si vedeva ormai sopraffatto.

 

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