CURIOSITA' E VITA ECONOMICA PRIMA DELL'ATTUALE

 

     A Gargallo, come in tutti i paesi della zona, nei tempi lontani non vi era  altra economia che quella derivata dall'agricoltura. Più tardi, colla scoperta di  altre terre, si manifestò il movimento di emigrazione e parecchi  anche  tra i gargallesi partirono in cerca di miglior sistemazione. Purtroppo moltissimi tornarono a mani vuote.

     Pochissimi  denari  dovevano passare per le mani degli abitanti di questa zona, per il grande valore che aveva allora la moneta, se il Fara dice che  nel  1156 i canonici Fratelli della Riviera, in numero di dodici, venivano beneficiati  di una pensione annua di due soldi con la facoltà di usarli per un pasto ciascuno per loro dodici e i due  custodi. Da ciò si può capire  cosa  valessero allora due soldi, se erano sufficienti a sfamare quattordici bocche per un intero anno! Ma la meraviglia del Fara scoppia quando viene a sapere che due Olina ed il Del Forte hanno pagato una lauta libagione ben soldi 15. Non occorre arrivare al 1156 per capire il valore di quel  denaro; basta  avvicinarsi  al  secolo XX, se mio nonno paterno mi assicurò che a Gargallo gli uomini che si potevano reputare possessori di cento lire liquide non superavano le dita  di  due mani. Con pochi soldi in tasca si doveva destreggiarsi a far  fruttare maggiormente  la  terra, così da poter barattare i suoi prodotti con altre necessità.

     Ben coltivata, la nostra  terra: a prati, a campi di segale, di orzo, miglio, panico, ravizzone, e poi a granoturco dopo che Bonifacio III ne ebbe  introdotta la coltura  nel 1325, verdura di ogni tipo, legumi, frutta assortita, ma soprattutto grandi vigneti  nella zona di Risiola, Ronco, Quaranta, Chepolo, Zuel, Boscaccio,  Alpe, Paneghera. Specialmente prima della comparsa  della peronospora  e oidio, verso il 1848, questi luoghi producevano un eccellente vino, di non elevata gradazione ma di un gusto e sapore particolari, sottile, frizzantello, pizzicante, ottimo per pasto e non  pesante per  dissetarsi. Di colore rubino brillante e trasparente, limpido,  di gusto gradevolissimo, lasciava il palato soddisfatto ed al suo ricordo faceva sbatter la lingua ed invogliava a rigustarlo. Era ricercatissimo, nella zona, per le provviste familiari. Le  osterie nostrane  erano sempre visitate, specialmente nei giorni festivi, da comitive di forestieri  che  si  recavano  volentieri a gustare il nettare fra la proverbiale ospitalità della nostra gente.  Non molti anni fa a chi volgeva lo sguardo ad occidente del paese un sorriso di  compiacimento illuminava il volto alla vista dei colli completamente tappezzati da vigneti sui quali troneggiava il Casino del Prete in Orfarina come tutore delle messi, così come il suo conduttore lo era delle anime. Per chi si recava nella zona del Quaranta la visione era completa e  soddisfatta, gli occhi  si trovavano immersi in un grappolaio immenso che si estendeva oltre la  visuale  senza interruzione da ogni lato. Il periodo della vendemmia era quello delle grandi  feste, se l'annata era stata buona. Canti di gioia e cori popolari echeggiavano rimbalzando di  colle in colle, di poggio in poggio, di  terrazzo  a terrazzo, di  vigneto a vigneto; a questi rispondevano quelli della vigna opposta od adiacente, come in una gara di letizia, come un Te Deum per tanta grazia, come un inno finale alla provvidenza  del Creatore.  I carri  carichi  di  tini s'incamminavano di buon'ora ingorgando la strada delle vigne fra il vociare  allegro dei carrettieri e dei ragazzi sul carro calati nei recipienti vuoti. Alla sera questi  veicoli formavano una colonna rotante che si avvicinava al paese per mettere al sicuro il  frutto dell'annuale fatica. Ogni carro era seguito dalle proprie vendemmiatrici che a coronamento della giornata, stanche ma soddisfatte, davano fondo al repertorio canoro al quale rispondeva il gruppo che seguiva con l'altro carro.

     Non è per fare della poesia spicciola, perché di poetare non ho la stoffa e la cultura, ma quante ansie procuravano nell'animo dei gargallesi  questi  ettari di vigneti. Gli occhi miei hanno visto la gioia di questi agricoltori sprizzare da ogni poro quando l'annata aveva ricompensato il loro sudore sparso sul pendio delle vigne.  I  miei  occhi hanno visto il buon nonno materno, autentico contadino, saltellare da tralcio in tralcio preso dalla frenesia raccogliticcia, a far la spola fra le vendemmiatrici e le botti sul carro in attesa, sulla strada, ai piedi della vigna. I miei occhi videro quella  santa  donna  di Baroli Martina in Casarotti, madre di un mio fraterno amico, inginocchiarsi fuori della porta  ad  ogni temporale a scongiurare Iddio e la Madonna e non so quanti mille altri Santi  perché proteggessero quel suo modesto vigneto, informando Loro che quel raccolto era l'unica sua risorsa. I miei occhi videro ciglia di contadini vaganti come sperduti fra i filari della  vigna bagnate da lungo pianto a seguito di una violenta grandinata... Oggi  si sorride increduli a queste narrazioni, ma non esagero se affermo che dopo una tempesta  il  povero contadino gironzolava per la campagna  muto, affranto, con  le mani  in  tasca come colui che ciondola in un cimitero dopo una grave perdita.

     Il vino era la risorsa principale di Gargallo. Il Cotta ha  scritto di  Soriso:

     Possi meglio pascer la veduta che regalarci e consolare il palato coi generosi liquori  che produce... ...al meridiano dilungasi  una  pianura per  lo  spazio  di  quasi  due  miglia, larga non meno della metà né men ricca di casali feraci  di  vini e di grani.

     Certo  avrà  pensato a Gargallo in quanto unito a Soriso; specificando perfin pianura di due miglia e Casali naturalmente intese Casali di Gargallo, perché Soriso è unito in gruppo. Aggiunse ancora,  parlando di Soriso, che il paese è di aspetto piacevole come  nei  territori di Gargallo. Anche il Filippo Bagliotti si entusiasma dei luoghi della Bassa  Riviera ridenti di vigneti; e siccome i vigneti più apprezzati di quella zona erano quelli  di Briga e di Gargallo, salutiamo anche il Bagliotti come cantore dei nostri colli. ***

     Un altro provento gargallese  era  l'allevamento  del  baco da seta. Se non proprio dal seicento, quando fu introdotto in Italia, certo da  tempi abbastanza  remoti. Vecchi e rugosi gelsi si trovavano ovunque ed i nonni ne parlavano come di coltura usuale. E' di mia ricordanza quando, ancor fanciullo, mi aggiravo in diversi locali della casa del nonno materno fra graticci odoranti di zolfo, per difendere il bruco dai mali, in un  tepore costante mantenuto, nei giorni freddi, da piccole stufe. Sentivo  il brusio leggero ed il rosicchiare delle mandibole che tranciavano le foglie di gelso stese con cura sui ripiani  dal personale addetto. Erano settimane di intenso lavoro e di ansie, fino al giorno  della  raccolta dei bozzoli che il baco filava su rametti di  ravizzone o di brugo.  E  con quale  soddisfazione il connetto si aggirava fra le ceste colme di  bozzoli, bianchi  o  arancione, già pregustando l'incasso che doveva sanare qualche debituccio familiare. Faremo  questo e faremo questo altro, se van bene i bügatt!, si diceva alludendo al raccolto del baco da  seta. In quasi tutte le famiglie allevatrici questo raccolto rappresentava benessere o privazione, per la facilità con cui la larva veniva assalita da una malattia  chiamata calcino e che  in pochi giorni poteva vuotare i graticci.

     Altra fonte di guadagno per i gargallesi era la monda del riso. *** Già in febbraio-marzo i proprietari risieri del basso novarese si recavano a Gargallo dalla solita massaia (che era una specie di direttrice e procacciatrice di donne da condurre seco alla monda del riso) per stabilire la quantità delle mondine occorrenti ed il salario  da  corrispondere. Dopo questo primo contatto il paese si metteva in fermento per organizzare il reclutamento delle lavoranti. Siccome di massaie ve n’erano diverse, si apriva una gara per l'accaparramento del personale occorrente, mentre le candidate  erano  indaffarate per formare i gruppi più affiatati, simpatici od apparentati.  Era una  frenesia  che racchiudeva molte speranze, dal debito di famiglia alle spese per le prossime nozze  di qualche figlio, dall'acquisto della mucca alla riparazione del tetto di casa, dalla  bicicletta per il giovanotto, già da troppo promessa invano, al vestito per la signorina da tempo sognato  ed  altre innumerevoli necessità familiari. Il giorno della  partenza  erano fagotti e  fagotti di indumenti puliti che, messi in gerli, si incolonnavano sulla strada  che conduce alla stazione di Gozzano. Le ragazze ricevevano le ultime  raccomandazioni  dalla mamma, che solitamente accompagnava le figlie alla stazione e che per un ennesimo atto  di  amore materno portavano loro il gerlo. All'arrivo del treno  era un  chiamarsi a vicenda, in mezzo ad una confusione che faceva ammattire il capostazione e  la massaia indaffarati a sistemare fagotti e mondine, che per molte quello era il primo viaggio in ferrovia. Saluti e lagrimucce si mescolavano mentre il  treno si allontanava.  A  Novara  venivano ricevute alla stazione dai carri inviati dal padrone ed  accompagnate alle singole cascine. Dopo circa sei settimane di durissimo lavoro lo stesso treno le riportava alla stazione da dove erano partite. Ritornavano (ma questa volta cantando e tenendo ben stretto al  corpetto il gruzzolo appena ricevuto) attese dalle mamme con gli stessi gerli ove si restituiva stancamente e senza cura lo stesso fagotto ormai unto da tanta fatica ed odorante di prezioso sudore. Si  avviavano le mondine  verso casa, stanche, magre e brunite, con la pelle squamata dai riflessi del sole sull'acqua e portando qua e là  i segni delle punture delle zanzare. Lasciata la stazione, sulla via per  Gargallo riprendevano a cantare come saluto di una collettività che stava per sciogliersi, mentre qualche audace  fidanzato veniva incontro per appartare dal gruppo la sua donzella, per garantirsi e per  garantire che l'affetto e l'amore non avevano subito mutamenti e per una  nuova promessa alle nozze già programmate entro l'anno.  La  madre dietro, attenta, arrancava col gerlo carico (ma per lei leggero) compiaciuta. Tirava un sospiro come per dire ...ed anche questa figlia ormai è a posto. In autunno parecchi uomini e qualche donna riandavano alle  risaie per il raccolto del riso. Si fermavano una quindicina  di giorni e ritornavano  con un gruzzoletto accompagnato da una buona razione di riso che faceva parte del salario.

     Altro piccolo provento per diverse famiglie gargallesi  era costituito dalla paga portata da qualche figlia che lavorava al Fabricon dal Borgh, cioè nella filatura  lane di Borgosesia. Partivano giovanissime queste signorinette  e  vivevano in convitto; un convitto ben diverso di quello che s'intende oggi. Era un convitto senza vitto, perché questo, per ragioni economiche, veniva inviato dalla famiglia in ceste o sacchi o fagotti in  razioni settimanali e portato dalle mamme al centro raccolta di Piovino, da dove partiva il carro sussistenza per recapitare i colli alle destinatarie. Ogni due o tre mesi, od in  occasione di solennità, ritornavano a casa percorrendo la strada  a piedi, attraverso la Cremosina e poi i boschi, passando dalla Gelata.  Si  annunciavano  con un coro di canzoni allora in voga. Noi ragazzi ci mescolavamo alle mamme ed andavamo loro incontro festosi, come facevano i Romani verso i loro consoli vittoriosi.

 

* Oggi i nostri vigneti, o meglio quei vigneti, non ci sono più; tutto brullo e deserto. I tini si sfasciano, i vascelli perdono i cerchi, i torchi arrugginiscono. Nelle cantine fanno capolino sparute damigiane e qualche bottiglia esotica al posto del genuino vino nostrano.
** A rispetto del vino il Morbio dice che era vietato portar uva in corbella, allo scopo di evitare la dispersione del mosto dovuta a sgocciolamenti.
*** Sarà bene ricordare che nel 1449 il riso era considerato un lusso "...e però dai soli speziali venduto fino a dodici imperiali la libbra; somma davvero esorbitante se facciamo il confronto che negli stessi anni una vacca ed un manzolo di ottima qualità si vendeva a lire sette imperiali." (Morbio).

 

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