ARTIGIANATO ED INDUSTRIA CALZATURIERA

 

     Anche la  confezione della  calzatura ebbe in Gargallo maestri di parecchio valore la cui attività data ancora una volta da tempi lontanissimi. Di nuovo per mancanza di documentazione non mi sarà possibile risalire nel tempo oltre il 1700, periodo in cui sorsero diversi laboratori il cui titolare provvedeva anche allo smercio fuori paese, da casa in casa od al mercato. Anche qui è stato inutile ogni tentativo di individuare i pionieri perché, al contrario delle fornaci, anche in Soriso si praticava questo lavoro  con  importanti botteghe-laboratori e distinguere l'appartenenza fra i due paesi (data la faccenda dell'unione) è difficilissimo.

     Mi è piacevole ricordare come i calzolai del novarese fossero tenuti in grande considerazione. Gli artigiani si chiamavano paratici e tali erano tessitori, pellicciai, calzolai, ferrai, beccai, formaggiai. Questi artigiani avevano parte importante  nel Comune e se i loro Codici andarono in gran parte dispersi quelli dei calzolai resistettero, portano la data del 1229 e danno una codificazione di regole alquanto disordinate:

     Vi sono anzitutto  delle norme  disciplinari. I Consoli  del paratico  erano responsabili verso i soci. Chi chiamato due volte a presentarsi in giudizio rifiutasse, era multato. Chi  in presenza dei giudici dicesse a uno "tu menti" o gli dicesse "aso" (asino?) in giorno di mercato sotto  il portico o dicesse parole ingiuriose ai Consoli del paratico o venisse a rissa o ferisse con le mani, con i piedi o con  la spada, era variamente colpito. Così chi rubava ad un calzolaio pagava una multa di lire tre, però se era  un "magister offici" od  un "discipolus" solo  soldi venti. Multa colpiva chi rifiutava di  ubbidire  agli ordini dei Consoli, approvati dal Podestà. Multa colpiva chi nel giorno di mercato avesse rissato sotto il portico dei calzolai e gravi erano le multe per chi avesse ferito un calzolaio. Nessun calzolaio poteva tenere più di otto giorni un discepolo  se  non faceva promessa di tenerlo al suo servizio. Nessuno poteva eleggere il Console se non avesse conciato pelli o fatto scarpe per non meno di  due  anni. Il discepolo per essere tale doveva pagare una tassa di dodici denari.  Al paratico dei calzolai dovevano pure essere iscritti i conciatori.  Lo statuto ricorda anche i quattro tagliatores del paratico, pagati a sei denari al giorno.  Era  proibito  comperare  cuoi segretamente; l'acquisto doveva essere pubblico.  Nessun calzolaio poteva fare società con uno che non fosse calzolaio. I soci erano obbligati ad intervenire al funerale (mortorio) di un calzolaio.

     Gli imprenditori di Gargallo si chiamavano padroni e noi  citeremo soltanto quelli che la memoria ha mandato fino a  noi e che frequentavano i mercati (naturalmente a piedi, giacché la ferrovia arrivò fino a Gozzano solo nel 1854).  La più remota, di cui si parlava largamente, era la bottega del Samatè e  doveva  essere ben vecchia se arrivò fino a noi il detto vecchia da padre in figlio come la bottega del Samatè.

     Per i pionieri non esisteva il banco di vendita. Questo era un lusso che venne dopo. Il loro banco erano i gradini  di qualche chiesa od il muretto a lato di qualche strada. Chi poteva sistemare in mattinata la sua merce su qualche balaustra di portico di chiesa poteva chiamarsi benedetto da Dio. Nel pomeriggio giravano fra le osterie offrendo le paia rimaste ed a tarda sera, soddisfatti o meno, rifacevano la strada pel  ritorno. Gli operai erano pagati un tanto al paio ed il lavoro si svolgeva in bottega, cioè in un  grande locale che il padrone metteva  a  loro disposizione. Da questo locale, per  l'abbondanza di elementi giovani, usciva ogni  sorta di ribalderia. Fra le botteghe vi era una gara per quella che ne combinasse di più succose. Colle bricconate, in  inverno, usciva pure  da  quei locali un puzzo pestilenziale, derivato dal fatto  che  mai si ventilavano per non disperdere il calore formato da traspirazione umana, respiro e peggio, nonché da una sgangherata stufa fumosa messa nel mezzo del locale ed alimentata  da  detriti di  cuoio, di gomma e quant'altro di putrido si trovasse nei fossi e che si prestasse alla  combustione. Gli uomini maturi ed amanti di tranquillità ottennero allora di lavorare al  proprio domicilio e buona parte di essi, provvisti di nuovo deschetto, s'insediarono in casa portando a fine settimana il manufatto al padrone. Tanto a casa quanto in  bottega, d'inverno, dopo il lavoro giornaliero e dopo cena, si rimettevano  al deschetto alla luce delle candele prima e delle lucerne poi fino a  mezzanotte circa  per  raggiungere il quid che era di almeno un paio al giorno; paio che veniva iniziato con la preparazione della tomaia e terminato con la lucidatura e con la lustratura del fondo a cera, data con ferro caldo e sfregata col polpastrello del pollice in modo che la scarpa uscisse liscia e brillante.

     Come mi  è nostalgico ricordare  questi  lavoranti a domicilio! Coll'inizio della buona stagione dalle porte che davano sulla strada trasportavano  i loro deschetti che, situati ai bordi delle vie, davano una nota di folclore caratteristico!  Siccome di calzolai era pieno il paese e non vi era famiglia in cui non ce ne fosse almeno  uno, è  facile capire come  in tutte le strade si sentisse il ticchettare degli sbroccini, ovvero punteruoli, che facevano il foro per lo stecco di legno e susseguente martellata secca che cacciava il legno nel buco stesso. Era un ritmo gioioso, come un operoso concerto che durava tutta la giornata.

     Come mi è piacevole ricordare il tratto di  strada rettilinea che parte dalla piazzetta del peso * ed arriva fino all'angolo nord del Casale Casarotti con tutti quei  deschetti allineati appena fuori della  porta d'abitazione.  Si vedevano, uno dopo l'altro, il deschetto del Giromini Battista, del Baroli Teofilo, del Giromini Giuseppe, del Baroli Ermenegildo, del Poletti Enrico, del Curioni Giovanni, del Torriani Giovanni, del Poletti Giovanni e del Piralli Luigi, che battevano suole, piantavano  chiodi o stecchi, informavano  tomaie col caratteristico colpetto delle  pinze  per  affrancare e sagomare; il tutto  come  una  vasta danza di operosità. Accanto ai mariti, le donne sferruzzavano o  rattoppavano i panni appena tolti asciutti dal sole.

     Da sotto il portone ogni mercoledì si sentiva il fruscio della mola e si  vedeva affaccendato l'arrotino; biondo, grosso e zeppo di lentiggini, veniva da Auzate per molare i coltelli a questi artigiani.

     Non di rado si udiva il motivo della canzone più  in voga  alla quale  facevano eco dai cortili interni altri calzolai che preferivano l'ombra delle piante a quella della strada; motivo ogni tanto rotto dal passaggio di qualche carro guidato da conoscenti che salutavano allegramente scambiando scherzosi frizzi che non facevano altro che aumentare la gioia dell'animo volto al rispettivo lavoro.

     Anche dei padroni scriviamo i nomi. Mi spiacerebbe tralasciarne qualcuno. Essi sono, dopo il già menzionato Samatè:

  • Cominazzini Fortunato, esponeva ad Arona

  • Minotti Giovanni, Arona

  • Baroli Matteo, Arona

  • Guidetti Ambrogio, Domodossola e Gattinara

  • Baroli Ernesto, Novara.

  • Baroli Luigi (Visu), esponeva a Sesto Calende, Ispra e Gavirate

  • Guidetti Giovanni, Novara e Borgomanero

  • Piralli Carlo, Borgosesia e Sesto Calende

  • Fantini Giovanni, Romagnano

  • Maioni Eliseo, Romagnano

  • Piralli Francesco, esponeva a Grignasco, Crepacuore e Coggiola

  • Cominazzini Maurizio, Sesto Calende

  • Casarotti Silvestro, Oleggio

  • Cominazzini Giuseppe (Gesuita), Domodossola

  • Maioni Adofo, Villadossola

  • Toeschi Gentile, Ghemme

  • Fratelli Toeschi, esponeva a Cossato, Biella, Omegna

  • Casarotti Ernesto, Domodossola

  • Cominazzini Pietro

  • Cavigioli Carlo e Nando, Ameno

  • Casarotti Enrico, Domodossola

  • Baroli Benedetto, Intra e Cannobio

  • Guidetti Luigi Intra, Cannobio e Borgomanero

  • Quintilini Giacinto, Romagnano

  • Nevada Eugenio

  • Piralli Franco, Crevacuore e Coggiola

  • Casarotti Luigi, Coggiola e Intra

  • Galleazzi Fermo

  • Benotto

     Questi fino ad oggi.

     Coll'arrivo della corrente elettrica, inverno 1922, * i gargallesi non indugiarono ed installarono subito qualche motorino per indirizzare la propria attività dai mercati alla lavorazione in serie. Sorse una cooperativa fra calzolai con sede in Casale Toeschi, di fronte verso nord all'attuale calzaturificio Guidetti Giulio e Fratello. La società ebbe un inizio felicissimo e si distinse con rapidità.  La sua produzione aumentava ogni giorno e la richiesta del suo manufatto era pressante, anche per il fatto che la migliore mano d'opera locale era nelle sue mani. Vi fu un periodo di tempo  in cui  detta cooperativa sovrastava di importanza ogni altra attività calzaturiera privata e locale; poi una  cattiva amministrazione e la faciloneria di parecchi dirigenti la fecero crollare trascinando  più di qualche famiglia in difficoltà. La lavorazione in serie progredì e  se non vado errato la prima ditta che istituì tale sistema fu la Maioni Eliseo, seguita immediatamente da altre. Chi rimase allo stato artigianale e  chi passò  a quello  industriale, da cui scaturirono altre aziende con produzione in continuo sviluppo che divennero gli attuali calzaturifici:

  • Guidetti Ambrogio (ora Guidetti Giulio e fratello), Marca GI.GI.EFFE

  • Maioni Eliseo (ora Orlando ed Ugo fratelli), Marca MAIONI

  • Comminazzini Pietro (ora Giancarlo Comminazzini), Marca ALTO GUSIO

  • Guidetti Pietro (ora Arturo e Alfredo fratelli), Marca MONTEBIANCO

  • Fratelli Toeschi, Marca TOESCHI

  • Baroli Attilio con il figlio Ermanno, Marca BAROLI

  • Giromini Alberto con il figlio Aldo, Marca GIROMINI

  • Casarotti Luigi con il figlio Adriano, Marca MONGINEVRO

     E qualche altra minore.

     Queste aziende si spinsero sul mercato nazionale ed estero tanto che il nome di Gargallo suona come il più importante e rinomato centro calzaturiero del novarese.

     Nel Casale Toeschi Baroli Cesare creò un importante tomaificio a  carattere industriale, unico nella zona.  La  ditta Fratelli Toeschi costruì a sinistra della salita per Gargallo, ma su territorio di Auzate, la propria fabbrica di calzature. Anche  uno dei figli di Maioni Eliseo, Ugo, costruì a destra della  strada, stazione crocetta, in  territorio di Gozzano, un altro padiglione per la confezione calzature. Sul confine territoriale fra Briga e Borgomanero, presso la frazione San Marco, i due  gargallesi  Baroli Pierino e  Guidetti Pierino hanno innalzato una nuova fabbrica di calzature che promette molto bene. Nel 1965 la ditta Montebianco, dei fratelli Arturo ed  Alfredo Guidetti, ha aperto un’ulteriore nuova fabbrica di calzature a Soriso e nel 1966 un'altra a Gozzano.

     Mi si permetta di citare un altro autentico gargallese, Piralli Carlo di Luigi, mio cugino di primo grado, come uno dei proprietari della Lombarda pelli, di risonanza nazionale e con sede a San Vittore Olona. Già proprietario del Calzaturificio Gallaratese, costruì anche un nuovo stabilimento a Lonate Pozzolo dando lavoro a centinaia di operai. Mi si perdoni il peccato d'orgoglio per la mia casata, ma per la verità  debbo  aggiungere che questo calzaturificio non è una comune  fabbrica  di scarpe, bensì una ditta creatrice di moda con studio modellistico di avanguardia e maestranze di severa  selezione. I suoi prodotti figurano solo nelle vetrine dei più quotati negozi cittadini ed i suoi modelli, contesi moltissimo all'estero, destano ammirazione come primizia mondiale.

     La manodopera locale andava assottigliandosi ed altri nostri  italiani venivano ad abitare nel paese, sempre bene  accolti dall'ospitalissima popolazione. Vennero dapprima veneti e bergamaschi, indi, da  pochissimi  anni, gente  della nobile Sardegna che trovò buona sistemazione come in un rinnovarsi della fratellanza  sardo-piemontese. Calabri e mantovani, tutti trovarono buon accoglimento; tutti  trovarono lavoro  e  pace  in questo pianoro vibrante di operosità i cui abitanti sono tutti protesi verso un benessere ed un avvenire migliore.

     Anche qualche gargallese si trasferì altrove. Già il Morbio scrive  dell'emigrazione dei maestri calzolai gargallesi trasferiti a Soresina, ma molti altri trasferirono i loro deschetti verso luoghi promettenti  benessere.  Ne troviamo in Val d'Aosta, in Val di Susa, in Val d'Ossola, in Valsesia, in Valcamonica, in Valtellina, nelle Centovalli, a  Sesto Calende e Torino, nel biellese, ecc... Perché preferivano le valli? Perché  la loro specializzazione era la scarpa pesante.

     Siccome su questo libro si è dovuto necessariamente  accostare Gargallo a Soriso, mi sia concesso ora fare un parallelo, non certo per ferire alcuno, che non è nei  miti intendimenti, ma per constatare come il tempo trasformi uomini e  cose.  Soriso è stato in miniatura quello che furono i grandi imperi. Questo nobile  paese, ricco  di palazzi che denunciano il passato splendore, restò il vecchio  Soriso, pago della posizione conquistata. Non così fu  per  Gargallo che, composto da gente fresca, grezza e povera, si scosse dal suo torpore e, novello di mente e di braccia, si prodigò per uscire  da quello stato di rinuncia, rimboccandosi le maniche, e  per  operare  il raggiungimento  di  quel  livello al quale tutti i volonterosi aspirano.  Non  voglio dire che  a Soriso mancarono o mancano questi elementi; al contrario, voglio sostenere che da pochissimo tempo si sono diradati. Soriso, considerando la sua remota importanza industriale, andò lentamente  verso la vita di reddito. Scomparse le concerie, che erano il suo  vanto, decimate  o  peggio  quelle aziende calzaturiere dai grandi nomi che erano l'orgoglio del borgo...  Nessuna nuova industria calzaturiera è stata impiantata, se facciamo meritevole eccezione per il florido e moderno Calzaturificio Uzzeni, risorto più bello e più importante  sulla  falsariga del Marelli già esistente allo stesso posto, per il Guidan ed altro minore. Anche  nel  campo demografico ed immigratorio Soriso  lasciò  il passo  a Gargallo; infatti oggi si rileva che la popolazione attuale di Soriso è di 800 anime  circa mentre  quella di Gargallo supera le 1200.

 

* A proposito del peso comunale non mi è stato possibile conoscere l'anno. in cui fu sistemato. Io l'ho sempre visto, perciò è da presumere che sia stato situato alla fine del secolo scorso.
** La prima lampadina pubblica stradale si accese la sera  della  vigilia di Natale, durante una copiosa nevicata.

 

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