IL PALAZZO A fianco della chiesa parrocchiale, a circa otto metri verso sud, si erge un massiccio caseggiato chiamato Il Palazzo. Fu costruito nell'anno 1760 dall'allora parroco Don Luigi Tencone, che lo edificò per ospitare un collegio per i reverendi Padri Oblati su consenso e consiglio del Vescovo Balbis. Dal famoso quadernetto, di cui abbiamo largamente parlato e che si ritiene scritto da Don Gavinelli, risulta che la somma occorrente fu trovata dallo stesso Tencone in una grossa zonca * nella quale vi era nascosto un grosso stivale (forse francese o spagnolo) zeppo di monete d'oro. Il buon parroco non si sentì di tenerli per sé, ma ritenne di spenderli per scopi religiosi acquistando mattoni gargallesi ed impiegare mano d'opera locale. Il povero Tencone (ricco d'oro, ma povero d’esperienza amministrativa) pare che non seppe fare bene i conti, perché giunto alla copertura del tetto le monete d'oro erano ormai sfumate. I parrocchiani, con il buon curato in testa, persuasi che il cavaliere già proprietario del primo stivale fosse un bipede in normale stato anatomico, si diedero a frugare tutte le zonche dei boschi vicini; tutta la loro caccia rimase infruttuosa perché il compagno dello stivale si ostinava a rimanere nascosto. Il Palazzo rimase ad attendere qualche altra benedizione o tocco della Provvidenza, perché i lavori si erano limitati ai soli muri nudi e rustici coperti da tetto, ma senza pavimenti e serramenti. Pare che il Vescovo Balbis avesse promesso il suo intervento per completare l'opera, ma poi anche i Vescovi ci ripensano e visto che la spesa superava le previsioni, il Palazzo restò al punto in cui lo fece arrivare Don Tencone, cioè muri e tetto. Morto il volonteroso Don Tencone l'edificio passò, o per acquisto o per eredità, alla signora Giacinta Borroni dell'Isola San Giulio. La signora lo vendette, frazionandolo: la metà verso est ai cugini Carlo e Gian Battista Baroli (quelli della fornace Mancino), i quali ultimarono i lavori modificandone il disegno iniziale; l'altra metà, verso ovest, fu acquistata dai fratelli e cugini Galleazzi, i quali ultimarono la parte con la semplice ossatura lasciando intatto l'originale disegno col suo bel portale ed allungando la costruzione, verso sera, fino a toccare la strada per Gozzano (la vecchia strada che veniva da Gozzano); vi costruirono una piccola fornace di stoviglie e vasi di terracotta, iniziando così la formazione del più giovane casale gargallese denominato dei Galleazzi o San Pietro. * Pianta tagliata all'altezza di un uomo allo scopo di far spuntare una rosa di germogli che, maturi e grossi come un braccio d'uomo, servivano da pali di sostegno della vite. © Tutti i diritti sono proprietà esclusiva e riservata degli eredi dell'Autore
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