Associazione Amici di Villa Strohl Fern |
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Questo articolo risale al 1995-96 ed è scritto da Donatella Trombadori, figlia del pittore Francesco, titolare dello studio n° 12 di Villa Strohl-fern. E' attualmente presidente dell'Associazione, cui ci si puó rivolgere per visite guidate alla villa e allo studio n. 12, adibito a Museo e mantenuto nelle condizioni originali. |
Sono passati
quarant’anni da quando il Consolato di Francia decise di trasferire
poche classi elementari in soprannumero al Liceo Chateaubriand negli studi
dei pittori a Villa Strohl-fern, da allora Ia Villa è molto cambiata,
pochissime persone ancora conservano il ricordo di come era e molti
cittadini romani non sanno della sua esistenza. La Villa Strohl-fern si trova al centro di Roma, da Piazzale Flaminio corre in alto lungo la via Flaminia fino quasi alle Belle Arti e risale confinando con Villa Borghese; ha tre ingressi: uno su via di Villa Ruffo (Piazzale Flaminio), il secondo sul Piazzale di Villa Giulia e sulla Villa Borghese il terzo. Nella foto aerea è evidenziata l'aera in cui sorge villa Strohl-fern. Piazza del Popolo è chiaramente identificabile quasi al centro dell'immagine, con il "Tridente" formato da via Ripetta, via del Corso, via del Babuino. A nord di piazza del Popolo, dopo piazzale Flaminio in cui ha sede l'Associazione, via del Corso riprende l'antico nome di via Flaminia.
II nome di Villa Strohl-fern deriva dal suo ultimo proprietario,
un giovane barone alsaziano venuto a Roma verso il 1875, che Ia acquistó
da un inglese (vedi F. Lucchini “Area Flaminia” ed. Officina) e legó
a questo luogo se stesso, Ia sua esistenza solitaria, le sue fortune e ii
suo sconfinato amore per l’arte ; qui morí cinquant’anni dopo , senza
eredi , legandola allo Stato Francese con un testamento non olografo. Fin dal 1882 si leggeva
sulla Guida Monaci Ia rèclame degli studi a Villa Strohl-fern, cui
seguiva un elenco di nomi di artisti che già vi operavano. Inserzione sulla guida Tito Monaci, 1882. II grande parco di circa otto ettari è attraversato nella sua lunghezza dal “Viale Grande”, che inizia dalla portineria su Via di Villa Ruffo e finisce con un cancello cinquecentesco sul Piazzale di Villa Giulia. Sotto Ia portineria, sconfinante con Villa Ruffo, si trova un ninfeo di epoca romana comprensivo di otto vani, sulle pareti del quale si intuiscono ormai sbiadite affrescature. Rilievo del ninfeo romano di villa Strohl-fern, eseguito dalla Soprintendenza. In una lettera all'Ambasciata di Francia, in cui si fa esplicita menzione del "portale ornato che si affaccia sul Piazzale di Villa Giulia" la Soprintendenza ai monumenti del Lazio rammentava che il la villa "deve considerarsi tutelata dalle norme della predetta legge" (n. 1089 dell'1.6.1939) Durante l’ultima guerra, il
portiere Bernardo teneva Ií sotto le provviste racimolate da stentati e
improvvisati “orti di guerra”, vi conservava anche documenti di alcuni
inquilini politicamente compromessi e vi ospitava, per brevi periodi,
qualche rifugiato in gravi difficoltà. Dopo l’8 settembre
1943, mentre da VaIle Giulia scappavano gli ultimi rifugiati, dalle scale
della portineria saliva un presidio di soldati tedeschi, che piantó Ia
bandiera nella pineta e mise tende tutto intorno nei boschi. La sera i
soldati bussavano alla porta degli studi per scaldarsi alla stufa e
ascoltare un pó di musica aIla radio: tnasmettevano spesso valzer
viennesi. Era un inverno gelido, cibo non ce n’era, ne avevano poco
anche loro. Il 4 giugno 1944, per
Roma finí Ia guerra e qualche tempo dopo, si videro salire per il
“Viale Grande”, alla spicciolata, soldati americani, inglesi,
francesi, marocchini che chiassosamente fraternizzavano, offrendo
cioccolata e scatolette di “pork and vegetables”; ricordo un soldato
francese che non riusciva a pronunciare II mio nome e mi chiamava
“Donassielle”. Dopo Ia portineria,
risalendo il viale a destra si trova iI parco al centro del quale
Strohl-fern aveva voluto Ia sua abitazione: un palazzotto tarchiato molto
romantico, ii cui ingresso è sormontato da un balcone sostenuto da
due grosse teste di cane: da questo balcone egli poteva ammirare uno
straordinario antiquarium, da lui ordinato su una terrazza sovrastante
grotte con reperti provenienti dal sottosuolo. Se ne trovavano un pó
dappertutto sparsi per Ia Villa: una bianca statua di donna senza testa,
con peplo posata su una altura, chiudeva un vialetto di alti e scuri
cipressi dove, mio fratello Antonello,
ricordava Francesco Saverio Nitti a passeggio, ed io molti anni
dopo, il celebre fotografo Pellerano. Ancora oggi vi sono
resti di massicce colonne romane di pietra, tratti di muro a secco, due
bellissimi capitelli… Intorno
all’antiquarium e al palazzo era un giardino incantato, guardato
daIl’alto da una casetta dove abitavano le governanti di Strohl, e
dalI’altro lato da una torre sbocconcellata affacciata su Villa
Bonghese. Fra sedili di pietra ed altri di cemento, sotto finte grotte con
stalattiti, si intrecciavano percorsi acquiferi che finivano in
cascatelle, vasche con pesci rossi, fontane e, fra gorgoglii d’acqua,
ruderi, edere e capelvenere, sorgevano alberi di cemento. Di questi uno,
sparuto, è ancora Ií oggi. II prezioso, ricco e
significativo contenuto del palazzo di Strohl-fern e quasi tutto ció che
a Iui apparteneva, fu disperso ad un’asta pubblica indetta
daII’amministratore francese della villa, Signor Fieschi. Non
dimenticheró mai l’espressione dolorosa e impotente di mio padre
quando, rientrando in casa, ci annunció il deprecato e ineluttabile
evento. Strohl-fern non aveva eredi diretti e noi non avevamo denaro; solo
i meno poveri tra gli artisti poterono comperare qualcosa da tenere per
ricordo. Oltre i cancelli con lo
stemma di Strohl-fern con aspide e cartiglio, erano gIi studi dei pittori:
padiglioni esposti a nord per esigenza di luce, con soppalco di legno e
grande lucernaio, sparsi nei viali, prospicenti iI “Belvedere” a
perdita d’occhio su Roma, alcuni vicino a fruscianti canneti di bambú,
altri in mezzo a macchie di magnolie, di acacie, di ombrosi noci,
retroaffacciati gli uni e gli altri con i loro giardinetti su prati
fioriti di margherite e di violette, fra i rossi tappeti degli alberi di
Giuda, altissime palme, immersi nel profumo del vicino roseto. Si arrivava
cosí alle falde di una plurisecolare pineta di pini romani, sparpagliata
fra prati e boschi, che nascondevano i grossi e cilindrici serbatoi di
cemento levigato e ferro per I’acqua piovana e, al centro di una
macchia di cipressi una “colonna montante”, struttura in ferro tondo,
bella come una scultura, dalla cui sommità scrosciava con fragore il
troppo pieno deII’acqua corrente che arrivava ai cassoni sovrastanti gIi
studi. Superata Ia pineta, dopo
I’incrocio con il “Viale dei pericoli”, dall’alto del quale si
poteva rotolare giú fino al Borghetto Flaminio, si arrivava al
“Giardino privato”, cosí veniva chiamata un’altura recintata e
chiusa da cancellate confinante con Villa Poniatowsky, in mezzo alla quale
era un lago - scavalcato da un ponte di tufo muschioso, con una piatta
barca di cemento neIl’acqua; sul quale affacciavano tre grotte; intorno
un antico bosco di lecci, un praticello con macchie di profumate bianche
giunchiglie e grandi cedri del Libano: sui pochi che resistono alle edere,
si annida oggi una colonia di aironi cinerini. Questo giardino confina
anche con lo “studio al ponte” che, sovrastato da grandi quercie, si
trova a cavallo del “Viale Grande” dalla parte di Villa Giulia; qui
visse nel 1904 Rainer Maria Rilke, e nel 1938 fugacemente e in gran
segreto vi soggiornó Greta Garbo, Ia Divina. Costeggiando I’antico
muraglione a contrafforti che si snoda dopo lo “studio al Ponte” e
proseguendo, si aprivano nere bocche spiranti un alito caldo, rassicurante
ed inquietante al tempo stesso, dette le “grotte”. In queste grotte
gli artisti rimasti dopo il forzato e repentino rimpatrio degli stranieri
a causa della guerra, sbucando dai viali fra boati, lampi e scoppi
incombenti correvano a rifugiarsi durante i bombardamenti di Roma. SuIl’ultima curva del “Viale grande”, un arco e una scala sotto una grotta portavano al retro di Villa Poniatowsky, scendendo poi fra ciclamini e “liane”, si raggiungeva il cancello del ‘500 che chiude Ia Villa, proprio di fronte al Museo Etrusco. Si dice di Strohl-fern che egli fosse un mecenate, dilettante d’arte: in realtà egli fu il piú imprevedibile, straordinario, fantasioso e colto architetto di giardini. Questo è iI parco che egli creó intorno al suo
palazzo e agli studi abitati per piú di cento anni da artisti di tutto il
mondo, molti del quali suoi compagni di viaggio. Oggi di artista operante ne è rimasto uno solo:
Lorenzo Guerrini , scultore. L’anno scorso Ia Galleria “II Segno” e
la “Asssociazione Amici di Villa Strohl-fern”, nel ricordo del suo
fondatore, gli ha reso omaggio con una bella mostra. Dei circa cento studi,
uno solo è sopravvissuto com’era ed è vincolato, immobile e contenuto,
dal Ministero per i Beni Cuiturali e Ambientali, nonostante ció è sotto
sfratto. Questo studio è quello
dove visse e morí il pittore Francesco Trombadori e si puó visitare
dietro appuntamento. Del parco, Ia metà con Ie costruzioni è utilizzata
da una nutrita scolaresca e dal suo preside, nell’altra metà che non
serve per Ia scuola, l’edera ha ormai ragione di tutto, muri , archi ,
viali tracciati, antica e insostituibile vegetazione. Questo è il motivo per
cui ho accettato, io che non ho mai scritto, il cortese invito rivoltomi,
di scrivere su Villa Strohl-fern. La memoria di Strohl e
dei suoi giardini è quasi estinta, non cosí quella dei “suoi”
artisti. Una vasta testimonianza di opere di scultura e di pittura di
questi artisti si trova al “Museo di Roma”, nel cui catalogo
generale, mai abbastanza lodato, per precisione, serietà, impegno e
chiarezza, si parla appunto del “gruppo di Villa Strohl-fern”. Sarebbe bello, ora che
finisce questo secolo, poter sperare in una collaborazione fra Ia Francia
(Accademia e Istituti) e Roma, città ospite, per allestire una
esposizione tra le cui opere, per ricordarne una fra tutte, potrebbe
trovarsi Ia “donna al sole” che Arturo Martini creó a Villa
Strohl-fern. L’inverno scorso conobbi, in circostanze singolari, il
direttore del Museo di Arte Moderna di Springville (Utah) che, alla
ricerca di notizie su un pittore inglese a nome Godward del quale stave
scrivendo un libro, era in Europa per seguirne le tracce. Si aggirava
attonito con Ia sua bambina per i viali della Villa. I suoi riferimenti
erano lo studio che fu di Martini, perché prima di lui sarebbe stato
abitato per circa dieci anni da Godward. Da Londra, dove aveva trovato
moltissimo materiale che mi mostró, venuto fino a Roma, era sinceramente
stupefatto di non trovare niente oltre lo studio Trombadori. Poté almeno visitare Ia
mostra permanente allestita dalla Associazione Amici di Villa Strohl-fern
in Piazzale Flaminio 23, che si intitola “un sogno, un ricordo, quasi un
addio”, ricca di documenti fotografie, testimonianze sulla vita della
Villa. E vero che a volte
sembra essere stato tutto un sogno, ma è invece un vivo ricordo e non è
ancora un addlo. L’Associazione, da queste pagine lancia un appello ai
proprietari francesi, alle autorità italiane, alle associazioni
ambientaliste e a tutti quelli che, leggendole, non restino indifferenti.
Molto si puó fare, se si vuole.
DONATELLA
TROMBADORI |
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