Invisibile a volte è anche ciò che non si vuol vedere

di Andrea Saviano

Menzione speciale al 2° Premio Internazionale Il Montello - 2008


Le luci e i festoni brillavano e, ovunque uno camminasse, si poteva vedere scritte augurali: buone feste, buon natale, buon anno...

Per un mese e mezzo almeno la notte non sarebbe stata buia in nessun centro città e persino le campagne si sarebbero rischiarate di luci intermittenti.

Tutto ciò, in ogni caso, non avrebbe disturbato la sua insonnia. Questa a differenza del sonno, che può essere disturbato, è scevra da ogni possibile turbamento.

Il “Poeta” – così lo chiamava la gente del quartiere – avrebbe passato anche quella notte a scrivere surreali racconti, delicate favole o struggenti poesie. Con quelle parole, a volte in prosa altre volte in rima, riusciva a scaldare i cuori degli altri come, ormai, non riuscivano più a scaldare il proprio. Era una vigilia di Natale anche il giorno in cui sua moglie, insieme al loro figlio, era partita in macchina per andarlo a prendere all'aeroporto. Era più di due mesi che era lontano da casa per maledetti motivi di lavoro.

Non faceva particolarmente freddo quell'anno. Quel ventiquattro di Dicembre il tempo era piuttosto bello. Niente pioggia. Niente nebbia. Niente neve. Il cielo particolarmente terso, come spesso accade d'inverno, era così limpido da poter intravedere la via lattea. Quella notte d'inizio inverno era caratterizzata da una temperatura molto bassa, ma si trattava di un freddo asciutto che, avendo l'abbigliamento adatto, era facile da sopportare.

Quel giorno lui, irrequieto, era andato avanti e indietro per la sala d'attesa dell'aeroporto, impaziente per la voglia di riabbracciare il suo piccolo e di baciare nuovamente la moglie. I pensieri erano rivolti soltanto all'ansia di vedere il figlio scartare i regali di Natale e al desiderio di fare di nuovo l'amore con la compagna di una vita.

Insomma, un universo riassunto in due soli nomi.

Chissà che ora della notte era adesso, fu il suo fuggevole pensiero. I campanili non battevano più le ore notturne da quando qualcuno s'era lamentato che la cosa disturbava il sonno dei giusti e lui, da quel ventiquattro di Dicembre, non portava più l'orologio al polso.

Da allora non aveva più voglia di vedere i minuti d'attesa farsi ore. Non aveva più voglia di provare apprensione per un ritardo che si prolunga oltre ogni plausibile spiegazione. Non aveva più voglia di chiamare un numero di telefono che non risponde. Non aveva più voglia di sentire lo squillo di un telefono, una fredda voce, un altrettanto freddo comunicato con il quale s'annuncia che l'universo – almeno il tuo – non esiste più, che è stato cancellato da un TIR. Un automezzo che, senza un preciso motivo, aveva invaso l'altra corsia di marcia dell'autostrada.

L'uomo guardò al suo fianco, perché aveva intravisto un'ombra. Sua moglie, che era lì sorridente a fissarlo, per invitarlo ad innamorarsi un'altra volta, non di una donna ma della vita, perché era il gusto per la vita che lui aveva perso.

Lei, sotto forma d'ombra, lo fissava e lui, in carne e ossa, le prendeva la mano, delicatamente, come tante altre volte aveva fatto, trattenendola tra le sue, quasi a volerle scaldare dal gelo. Quasi un'abitudine durante i freddi giorni dell'inverno. La fissò negli occhi, ripensando ai tanti momenti dolci d'amore trascorsi insieme; rivivendo ogni piccola caratteristica che gliela rendeva speciale, unica.

PIAZZA GRANDE
(Baldazzi, G. - Bardotti, S. - Cellamare, R. - Dalla, L.)
*
«Santi che pagano il mio pranzo non ce n'è
sulle panchine in Piazza Grande,
ma quando ho fame di mercanti come me, qui non ce n'è.
Dormo sull'erba e ho molti amici intorno a me,
gli innamorati in Piazza Grande,
dei loro guai dei loro amori tutto so, sbagliati e no.

A modo mio avrei bisogno di carezze anch'io.
A modo mio avrei bisogno di sognare anch'io.

Una famiglia vera e propria non ce l'ho
e la mia casa è Piazza Grande,
a chi mi crede prendo amore e amore do, quanto ne ho.

Con me di donne generose non ce n'è,
rubo l'amore in Piazza Grande,
e meno male che briganti come me qui non ce n'è.

A modo mio avrei bisogno di carezze anch'io.
Avrei bisogno di pregare Dio.
Ma la mia vita non la cambierò mai mai,
a modo mio quel che sono l'ho voluto io

Lenzuola bianche per coprirci non ne ho
sotto le stelle in Piazza Grande,
e se la vita non ha sogni io li ho e te li do.

E se non ci sarà più gente come me
voglio morire in Piazza Grande,
tra i gatti che non han padrone, come me, attorno a me.»

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