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Nei panni di mia moglie

"Nei panni di mia moglie" pubblicato da Editrice Nuovi Autori

Imago mortis - un'esca per la regina nera

"IMMAGO MORTIS- un'esca per la regina nera" pubblicato da Il Filo


Pathos

di Andrea Saviano


Per Carla non era stata una grande giornata. Aveva fissato impotente la borsa far scivolare verso il baratro i risparmi di una vita, rendendoli pochi spiccioli. Inerme, aveva visto il cielo aprirsi come una cloaca per riversare pezzi di ghiaccio grandi quanto patate sulla sua macchina nuova. Adesso, come la ciliegina sulla torta, un problema tecnico stava sospendendo la proiezione del film che aveva deciso di andare a vedere tanto per distendere i nervi dopo una giornata a dir poco tremenda.

Non fosse stato che per una questione di principio, si sarebbe alzata e se ne sarebbe andata, ma nessuno dei quattro gatti che popolavano quella sera la sala cinematografica pareva avere il coraggio di fare per primo quella dura scelta, cosicché rimasero tutti fermi lì per più di un'ora in attesa che la cosa si sistemasse.

Quando la proiezione finì era molto tardi. Carla se ne accorse per il fatto che le strade erano praticamente deserte. Giunta nel parcheggio rimase un attimo a osservare la debole luce emessa dai fari che aveva scordato accesi.

Un'imprecazione ad alta voce le tornò indietro a mo' di eco, poi entrò nella vettura tentando inutilmente d'avviarla. Girando la chiavetta nel cruscotto, l'unica cosa che riuscì a ottenere fu un ansimare da parte del motorino elettrico e un tossicchiare da parte del motore. Nulla di più. A quel punto lasciò che si liberasse in tutta la sua potenza la crisi di nervi che fino a quel momento aveva tentato d'arginare. « Giornata di m... » Quindi chiuse gli occhi tentando di pensare a cosa avrebbe potuto fare a quell'ora.

La cosa durò solo qualche attimo, perché un rumore dall'esterno attirò la sua attenzione.

Si guardò intorno, intimorita. Il parcheggio sembrava deserto.

Socchiuse gli occhi per aguzzare la vista e cominciò a scrutare ogni alberello e ogni siepe. Finalmente riuscì a intravvedere qualcosa.

Dietro un paio di siepi si celava di sicuro qualcuno e, forse, un terzo individuo s'era frettolosamente nascosto dietro il tronco di un albero.

Carla si appiattì sul sedile tentando di trattenere l'urlo di paura che le si stava gonfiando in gola.

Che fare?

Lentamente fece scivolare la mano sulla leva che fa scattare la serratura. Fu un gesto leggero e misurato, quasi da scassinatore.

Un impercettibile click le fece capire che il meccanismo era scattato liberando la portiera.

Restando aderente al sedile, in modo da sembrarne lei stessa una parte, sgusciò fuori dall'auto. Quindi, trattenendo il respiro e tentando di restare quanto più bassa fosse possibile, attraversò lo spazio che la separava da una siepe e vi si gettò all'interno.

I rami la graffiarono, ma lei evitò accuratamente di gridare per il dolore.

Con il respiro affannoso controllò lì dove le era parso di aver visto qualcuno.

Nel dubbio tra l'aver visto il nulla e l'essere sotto l'incombente minaccia di tre malintenzionati, scelse di uscire all'improvviso dalla siepe e correre verso la vicina fermata della metropolitana.

Una corsa folle che non s'arrestò nemmeno quando perse una scarpa.

Giunta sui primi gradini, si fermò e si acquattò per controllare se qualcuno la stesse inseguendo.

La strada era deserta, nemmeno un automezzo.

Il piazzale era popolato da un'unica vettura, la sua.

Con il cuore che le batteva nei timpani tentò di mantenere la calma, ma la sensazione che delle ombre nel piazzale si stessero muovendo verso di lei la spinse a correre verso l'interno della stazione.

Cercò la presenza di un controllore, di qualche anima pia che le potesse dare una mano o anche solo conforto con la propria presenza, ma non c'era nessuno. Chiamò, gridò, ma non ottenne risposta.

Un tabellone luminoso indicava il tempo che mancava al prossimo mezzo: venti secondi.

Carla provò ad accomodarsi su una delle seggiole della stazione.

Fu solo in quel momento che s'accorse d'aver perduto una scarpa, perché qualcosa di aguzzo e tagliente le era penetrato nelle carni della pianta del piede.

Che fare?

Tornare indietro per recuperarla era inutile oltre che pericoloso.

Il convoglio in arrivo andava nella direzione opposta rispetto a casa sua, per quello giusto avrebbe dovuto attendere quasi cinque minuti e, vista la minaccia incombente, le pareva un'eternità.

« Che stupida che sono! »

Si disse, quando realizzò d'aver lasciato la propria macchina aperta, ma non si soffermò più di tanto su questo fatto, perché alcune carte cominciarono nervose ad agitarsi per poi danzare all'interno di mulinelli.

Ormai, tra qualche secondo sarebbe arrivato il convoglio e magari ne sarebbe uscita qualche persona caritatevole.

I vagoni si fermarono e aprirono le loro porte, ma nessuno ne uscì.

Carla non ebbe nemmeno il tempo di coltivare il senso di delusione che le era spuntato in cuore, dato che un rumore di persone che scendevano di corsa le scale la gettò nel panico.

Ancora prima di decidere sul da farsi, le porte del convoglio s'erano richiuse e l'immagine della stazione correva all'indietro.

Rimase qualche istante in piedi, afferrata a una barra, subendo l'accelerazione impressa dalla motrice.

Questa volta aveva intravisto qualcuno. Ne era certa! Almeno tre uomini che avevano imprecato e agitato le braccia al suo indirizzo con fare minaccioso.

S'accasciò su una poltroncina tenendo il volto nascosto tra le mani in preda ad una crisi di pianto.

Tentò di riprendere la calma e ripensare al fatto che mentre era in attesa alla fermata mancavano circa cinque minuti al successivo arrivo del convoglio nella direzione giusta. Se lei avesse proseguito su quella linea per un altro paio di minuti, le sarebbe bastato scendere e – come d'incanto – avrebbe trovato il suo convoglio ad attenderla sul lato opposto.

« Che sciocca! Se i due convogli fossero fermi alla stazione contemporaneamente, non avrei materialmente il tempo per passare da una banchina all'altra. »

Infatti, avrebbe dovuto risalire una rampa di scale, percorrere il corridoio divisorio e infine scendere una seconda rampa di scale, il tutto in meno d'un battito di ciglia.

« É meglio scendere alla prossima fermata, » disse a se stessa.

In tal modo avrebbe avuto a malapena il tempo di percorrere la distanza tra un approdo e l'altro.

Il convoglio rallentò e lei si rizzò in piedi pronta a effettuare uno scatto per uscire e correre sul lato opposto della stazione.

Lo stridere dei freni le fece tendere le nervature e lo sfiato del sistema automatico d'apertura le fece flettere i muscoli. Corse a perdifiato e a testa bassa, senza nemmeno porsi il problema di chi avrebbe potuto incontrare lungo il tragitto. Sbatté contro una colonna, perse l'equilibrio, inciampò, cade, si rialzò e riprese a correre.

Come previsto ebbe appena il tempo di saltare giù dall'ultimo gradino perché il tanto sospirato treno del ritorno stava fermandosi proprio in quel momento davanti al marciapiede.

Anche se sentiva le forze venirle meno, strinse i denti, si produsse in un ultimo sforzo e balzò all'interno del vagone. La gola le bruciava, le gambe le facevano male, le lacerazioni che s'era procurata fiondandosi nel cespuglio adesso le cominciavano a dare fastidio, inoltre le ossa le dolevano per l'urto contro la colonna e il successivo impatto con il pavimento.

Si sorresse a una barra, mentre la motrice accelerava, quindi s'abbandonò esausta su una poltroncina.

Avrebbe voluto afflosciarsi come un pallone bucato, ma il senso d'insicurezza che provava la portò a guardarsi intorno con aria circospetta.

Nel gioco di luci e ombre che si creavano all'interno del convoglio, ebbe la sensazione che qualcuno, quattro carrozze più avanti, l'avesse vista e adesso si stesse dirigendo verso di lei con fare minaccioso.

CONTINUA