CONSIDERAZIONI SULL'ANACRONISTICO REATO DI "ATTI OSCENI" La letterale formulazione della disposizione normativa in esame, come noto, punisce “chiunque in luogo pubblico, aperto, o esposto al publico, compie atti osceni”, da intendersi, secondo la dizione di cui all’art. 529 c.p., come quegli “atti e gli oggetti che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore” Invero,
il parametro di riferimento della disposizione, nella misura in cui necessita,
per la determinazione del suo stesso contenuto, di una integrazione extra
giuridica che rinvia a norme sociali e di costume (il comune sentimento del
pudore), diventa inevitabilmente incerto, creando forti dubbi circa il limite
discretivo tra rispetto di un sufficiente livello di determinatezza e carattere
indefinito dell'elemento del fatto di reato. Al
contrario, il c.d. principio di "tassatività" - uno dei capisaldi
della legge penale, ricavabile dalla disposizione costituzionale di cui all'art.
25 Cost. - vincola, da un lato, il legislatore ad una descrizione il più
possibile precisa del fatto di reato e, dall'altro, il giudice ad una
interpretazione che rifletta il tipo descrittivo così come legalmente
configurato. In
generale, l'elasticità del criterio di giudizio sconfina in una
indeterminatezza contrastante palesemente col principio - anch'esso ricavabile
ex art. 25 Cost. - di tassatività, tutte le volte in cui il segno linguistico
non riesce a connotare il parametro valutativo, ovvero il parametro valutativo
non trova riscontro univoco nel contesto sociale di riferimento. Il
su rilevato principio di legalità sarebbe palesemente violato nel caso in cui
la legge elevi a reato un dato fatto configurandolo però in termini così
generici da non lasciare individuare con sufficiente precisione il comportamento
penalmente sanzionato. Se,
infatti, la tutela penale è tendenzialmente apprestata soltanto contro
determinate forme di aggressione a beni giuridici, è necessario che il
legislatore specifichi con sufficiente precisione i comportamenti che integrano
siffatte modalità aggressive. Nello
specifico, la persistente oscillazione della stessa giurisprudenza, di merito e
di legittimità, tra diversi parametri di valutazione dell'osceno,
contraddittori al di là di ogni ragionevolezza, costituisce la miglior riprova
dell'indeterminatezza del concetto di buon costume o di pudore, talmente
frantumato e diversificato nella nostra società non omogenea da apparire
difficilmente riconducibile ad un univoco sentire collettivo. In
questo caso è la stessa inafferrabilità del bene oggetto di protezione a
tradursi in una conseguente inafferrabilità dei fatti che lo ledono. E,
poi, certo vero che gli elementi normativo-sociali consentono di adeguare
costantemente la disciplina penale all'evoluzione della realtà sociale, ma è
altrettanto vero che ritenere il giudice sempre capace di adeguare gli stessi al
caso specifico appare certo un eccesso rasente il libero arbitrio. Se
l'esigenza di utilizzare strumenti tecnici suscettibili di istituire un costante
raccordo con la realtà sociale non può essere soddisfatta ponendo in seconda
linea il rispetto dei principi di tassatività e legalità, ne deriva che
debbono essere meglio individuate le condizioni che di fatto consentono la
compatibilità tra le due contrapposte esigenze; in questo senso, la
determinazione legislativa e giudiziale di parametri valutativi di fonte sociale
risulterà tanto più univoca, quanto più si sarà in grado di avvalersi di
criteri di rivelazione degli stessi obiettivamente valutabili. Il
su esposto assunto assume più che mai rilevanza in un periodo, quale quello
attuale, caratterizzato da un profondo cambiamento del (per dirla con la
Relazione Ministeriale sul progetto del codice penale , II, p. 317) "pudore
medio, costituito dall'insieme delle norme consuetudinarie di civile convivenza,
in rapporto alla sessualità". Ancora,
la dottrina tutta conviene, e non si può non farlo con essa, che il fatto
tipico va inteso nell'accezione più ristretta, comprendente cioè il complesso
degli elementi che delineano il "volto" di uno specifico reato, per
cui il fatto, come oggetto del giudizio di tipicità, ingloba soltanto quei
contrassegni in presenza dei quali può dirsi adempiuto un particolare modello
delittuoso e non un altro. Costruire
il concetto di fatto attorno ai contrassegni che delineano il volto di uno
specifico illecito penale equivale, innanzitutto, a plasmare questo concetto in
funzione del principio nullum crimen sine
lege: in tal modo la categoria dogmatica in esame assolverebbe la funzione Nel
tipizzare i contrassegni delle diverse figure delittuose, il fatto non soddisfa
solo le esigenze del principio di legalità, tassatività e tipicità, ma si
atteggia anche a precipitato tecnico di un diritto penale ispirato all'idea
della protezione dei beni giuridici. In
questo senso, compito del fatto tipico è quello di ritagliare e circoscrivere
specifiche forme di aggressione ai beni penalmente tutelati: selezionando le
forme o modalità di offesa che il legislatore ritiene così intollerabili da
giustificare il ricorso all'extrema ratio della
sanzione penale. La
categoria della tipicità segna - nel medesimo tempo - i limiti e i confini
della tutela che il diritto penale accorda ai beni giuridici considerati
meritevoli di protezione. Nell'ambito
di un diritto penale veramente rispettoso dei principi di legalità, materialità
e tassatività, le norme dovrebbero, pertanto, assolvere la funzione di ancorare
i modelli delittuosi a tipi di comportamento basati a loro volta su ben definite
e concrete tipologie. Tutto
ciò non è, però, dato rilevare nella lettera delle disposizioni normative di
cui al combinato disposto degli artt. 527, 529 cp. Cosa
si dovrebbe intendere, infatti, per "comune
sentimento"?, e cosa si dovrebbe intendere per "atti
che offendono il senso del pudore"? Ancora,
da cosa è dato ricavare il parametro di riferimento di un offesa al senso del
pudore? La
norma stessa lascia irrisolte queste domande, né alle stesse potrebbe essere
data una risposta giuridicamente soddisfacente e costituzionalmente orientata,
dalle specifiche applicazioni che ciascun Giudice opera nell'interpretazione di
questa infelice disposizione normativa. Dott. Marco Dugnani
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data ultima modifica 25/01/01 |