Brevi note sull'Avviso di Accertamento. Natura e requisiti minimi di validitàLa
motivazione dell’Avviso di Accertamento E'
noto come all'accertamento inteso come controllo, e, cioè alle indagini svolte
dagli uffici fiscali, segua spesso un accertamento inteso come atto impositivo,
per mezzo del quale viene formalmente mossa una pretesa nei confronti del
contribuente; esso, inoltre, in quanto atto recettizio, assume rilevanza e si
perfeziona solo nel momento in cui viene portato a conoscenza del contribuente
mediante l’apposito avviso.
Tra
i requisiti dell’avviso di accertamento, particolare rilevanza assume quello
costituito dalla motivazione: essa, infatti, assolve la funzione di esternare
l’iter logico-argomentativo seguito
dall’autore di esso e, quindi, si traduce nella indicazione delle ragioni in
fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto medesimo (RUSSO).
Giova
preliminarmente soffermarsi a sottolineare che proprio una corretta motivazione,
così come prescritta dall’art. 42 del DPR 600/73, circostanza che, peraltro,
deve essere valutata con riferimento all’idoneità dei motivi addotti in
concreto nell’atto in vista della funzione perseguita per il loro tramite,
rappresenta il necessario presupposto che consente all’avviso di accertamento
di esplicare le varie funzioni attribuitegli dall’ordinamento.
Prima
di tutto, esso è un atto amministrativo: in quanto atto finale del
procedimento amministrativo, infatti, esso risulta essere lo strumento di
esternazione dell’atto sostanziale di accertamento, consentendo a
quest’ultimo di pervenire a giuridica esistenza (ALLORIO/MOSCHETTI).
Come
tale, dunque, esso deve essere certamente compreso tra quei provvedimenti per i
quali la motivazione costituisce un elemento di validità dell’atto
medesimo, in forza di un principio generale ( art. 3, lex
241/90) che impone alla P.A. di motivare, tra i suoi atti, quelli che incidono
negativamente nella sfera giuridica del destinatario. In tal senso, quindi, attraverso la motivazione la P.A.
indica la valutazione in base alla quale essa, tenendo presenti determinati
presupposti di fatto e di diritto, ha dovuto assumere un determinato
provvedimento: proprio attraverso la motivazione è possibile risalire al
ragionamento percorso dall’autorità che lo ha emanato, ragion per cui essa
deve essere sufficiente, ovvero di tale ampiezza da consentire di ricostruire il
processo logico attraverso cui quella volontà si è formata e di rivedere la
concatenazione logica che lega le varie proposizioni.
Ne
segue che, se, da un lato, esso, in quanto provvedimento amministrativo non
discrezionale, è espressione di una funzione vincolata, dall’altro, un
avviso non motivato è illegittimo.
Tale
concetto è stato più volte ribadito dalla Corte di Cassazione, la quale,
infatti, ritiene necessario individuare “lo
scopo della motivazione dell’avviso di accertamento, oltre che rendere
manifesto l’iter logico giuridico seguito nella formazione dell’atto, anche
quello di consentire ai destinatari la cognizione e la contestazione degli
eventuali errori di fatto e di diritto che lo inficiano” ( Cass. I,
27/3/87 n° 2999).
L’obbligo
di motivazione, del resto, è immanente a qualsiasi atto amministrativo di
carattere individuale, pur atteggiandosi diversamente in relazione alla natura
ed all’oggetto di esso: in particolare, la motivazione prescritta dall’art.
42 DPR. 600/73 viene riferita non solo alla determinazione dei singoli redditi
ed alle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e/o detrazioni, ma,
ancor prima, alla specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che
giustificano il ricorso a metodi di accertamento induttivi o sintetici.
D’altronde,
collocandosi in un contesto più generale, è dato ricavare anche da altre
disposizioni (art. 43 ultimo comma) la necessità di una doppia motivazione: da
un lato con riguardo all’an e al quantum
debeatur, e, dall’altro, con riguardo a quelli che sono i presupposti
specifici dell’accertamento (Cass. 11/7/85, n° 4129).
E’
di tutta evidenza, dunque, come la distinzione fra omissione e insufficienza di
motivazione abbia valore meramente descrittivo ma sia priva di giuridica
rilevanza.
In
secondo luogo, l’avviso di accertamento ha anche un importante ruolo
processuale: esso, infatti, è anche considerato dalla dottrina quale atto
introduttivo del rapporto processuale. Sull’avviso di accertamento, e, dunque,
sui contorni motivazionali in esso contenuti, si realizza il contraddittorio
nella successiva sede contenziosa (senza possibilità, da parte dell'Ufficio e
del Giudice, di affermare la pretesa contributiva su presupposti nuovi o
comunque ulteriori rispetto a quelli cristallizzati nell'avviso), poiché esso
solo è idoneo a portare a conoscenza dell’altra parte gli elementi di fatto e
di diritto su cui è basata la maggior pretesa contributiva.
La
mancanza della motivazione in quest’ambito contrasterebbe, tra le altre, anche
con le norme processuali generali, e, prima tra tutte, con l’art. 156 c.p.c.,
in base al quale un atto processuale è affetto da nullità “ ... quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il
raggiungimento dello scopo”: la nullità comminata dall’art. 42 DPR 600/73, alla luce di quanto
affermato dal citato art 156 c.p.c., non può che essere dovuta al fatto che
l’assenza di motivazione (cui va equiparata la motivazione meramente
apparente) impedirebbe di raggiungere lo scopo dell’atto medesimo, il quale,
infatti, sarebbe proprio quello di salvaguardare i principi del diritto della
difesa e del contraddittorio.
Del
resto, quanto detto trova piena conferma in numerose sentenze della Cassazione,
la quale, in particolare, afferma che “ ...
l’obbligo di motivazione deve ritenersi adempiuto allorché la motivazione
... sia tale da esternare le ragioni del provvedimento, esternandone i momenti
ricognitivi e logico deduttivi e consentendo di conseguenza al destinatario di
svolgere efficacemente la propria difesa attraverso la tempestiva e motivata
impugnazione giurisdizionale dell’atto medesimo” ( Cass. 23/3/85, n°
2085).
Va
altresì ribadita la funzione esplicata da tale avviso una volta che il processo
sia già stato instaurato: quella, cioè, di indicare i confini fattuali e
giuridici del confronto tra le affermazioni della P.A. e la posizione del
privato cittadino.
Proprio
a questo proposito, è intervenuta un’importante sentenza della Suprema Corte,
la quale ha ribadito con fermezza che, tra le finalità di una congrua
motivazione dell’accertamento, vi è sicuramente quella di “delimitare l’ambito del diritto alle ragioni adducibili dall’Ufficio
nell’eventuale fase contenziosa successiva” poiché in tale sede
contenziosa proprio l’Ufficio “ ha
l’onere di provare la sussistenza dei concreti elementi di fatto ... peraltro
rimanendogli inibito di dimostrare la fondatezza della sua pretesa allegando
criteri diversi da quelli enunciati” ( Cass. SS UU, 26/10/88, n°5787), di
ampliare, cioè, l’oggetto del giudizio di merito.
Nell’attuale
sistema, del resto, non c’è alternativa alla motivazione (LUPI): la necessità
di informare il contribuente è un logica conseguenza dell’idoneità degli
accertamenti a diventare definitivi se non tempestivamente impugnati, giacché,
infatti, il requisito della motivazione potrebbe essere meno rigoroso se la
tempestiva impugnazione dell’accertamento non fosse richiesta e se
l’accertamento fosse solo l’inizio di un contraddittorio tra contribuente e
Ufficio.
Infatti
se, da un lato, generalmente si consente all’accertamento di fare specifico
riferimento ad un precedente verbale di contestazione per ciò che riguarda gli
elementi probatori ed i fatti certi che si assumono a fondamento della maggior
pretesa di imposta, dall’altro, la motivazione ha l’obbligo, più volte
ricordato, di assolvere allo scopo di rendere palese il ragionamento in forza
del quale l’Autorità ha adottato un provvedimento con un determinato
contenuto: ne consegue la illegittimità di un avviso che pretenda di
motivarsi mediante richiamo meramente acritico alle risultanze del verbale e
privo di un’autonoma rielaborazione dei dati da altri acquisiti (Comm.
Trib. 1° grado di Genova, 2/2/81), giacché il verbale di contestazione può
valere ad integrare la motivazione, non a sostituirla ( Comm. Trib. 1°
grado di Lecce, 14/6/83).
In
ultima analisi, quanto ora affermato, trova altresì conforto in una pronuncia
della Commissione Tributaria di Cosenza, la quale, infatti, afferma che “...
il riferimento puro e semplice al processo verbale non è di per sé
sufficiente ad assolvere l’obbligo della motivazione, in quanto l’art
42, DPR 600/73 richiede espressamente che l’avviso di accertamento rechi la
specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che lo inducono e che si ha
solo con l’esposizione contestuale dei fatti e delle circostanze medesime”
ed, inoltre: “ ... un mero rinvio agli
alieni documenti non consente al contribuente di intendere se i fatti
verbalizzati e, in special modo quelli favorevoli, siano stati realmente e
giustamente considerati in sede di rettifica, sicché, mancando qualsiasi
motivazione in ordine agli stessi, non è posto in grado di esprimere appieno le
proprie contestazioni e svolgere le più opportune difese in sede contenziosa.”
( Comm. Trib. 2° grado di Cosenza, IV 28/11/88). Dott.ssa Lorenza Maraschi
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data ultima modifica 04/07/00 |