Premessa
Lo scopo di questa tesi è quello di indagare sul “fenomeno” studi di settore
che, negli ultimi anni, è venuto acquisendo un’importanza sempre crescente.
Dapprima , infatti, soltanto oggetto di studio per gli “addetti ai lavori” gli studi di
settore, con riferimento ai redditi prodotti a partire dal 1998, hanno interessato concretamente alcune
categorie economiche, iniziando a coinvolgere in maniera diretta moltissimi contribuenti.
Poiché gli studi di settore sono uno strumento realizzato per permettere all’Amministrazione
finanziaria di rideterminare induttivamente i ricavi dichiarati dai contribuenti quando questi appaiano
inverosimili (a prescindere dalla regolarità formale della contabilità) è sembrato
necessario innanzitutto analizzare i principi generali e l’origine storica dell’accertamento
induttivo. Per inquadrare esattamente la natura e le funzioni dell’accertamento induttivo, come
momento in cui l’Amministrazione finanziaria “inferisce” da particolari circostanze
l’esistenza di un’evasione d’imposta, è stato necessario esaminare in via
preliminare la funzione che, più in generale, deve essere attribuita all’accertamento
nell’ambito del prelievo tributario.
Attraverso lo studio dell’evoluzione del concetto di reddito imponibile si è cercato,
poi, di mostrare come l’accertamento, che dapprima si identificava tout court con il
“momento liquidativo” dell’imposta, è andato assumendo, nel corso degli anni,
una propria autonomia, la cui finalità è legata alla necessità di effettuare
soltanto un controllo, peraltro eventuale, sulle dichiarazioni presentate dai contribuenti.
Nell’ambito dell’esigenza di verificare la correttezza del quantum dichiarato
è stato inserito, quindi, l’accertamento induttivo, come una particolare “modalità”
attraverso la quale e possibile rideterminare il presupposto d’imposta.
Nel secondo capitolo, attraverso l’analisi dei principi della riforma del 1973, si sono delineati
i vari metodi di accertamento esperibili nell’attuale ordinamento. In particolare, si è
rilevato come emerga chiaramente, dalla lettura degli articoli relativi all’accertamento tributario,
la volontà del legislatore di garantire il privilegio di una tassazione in base al reddito
“contabile” (attraverso, appunto, un accertamento contabile) laddove gli adempimenti a
tal uopo strumentali siano stati realizzati correttamente dal contribuente.
Poiché attraverso l’induzione si tenta di inferire da un fatto noto una circostanza che,
invece, è sconosciuta, il problema dell’accertamento induttivo è strettamente
legato a quello delle “garanzie”, offerte al contribuente, dal procedimento logico che
l’Amministrazione finanziaria ha seguito nella rideterminazione del presupposto d’imposta.
E’ per questo che, come si è cercato di illustrare, l’utilizzo di metodi d’accertamento
tanto analitico-induttivo, quanto induttivo-extracontabile, è stato visto dal legislatore del
1973 come “un’eccezione” giustificata soltanto dall’esistenza di irregolarità
nella tenuta delle scritture contabili e, perciò, determinata in qualche misura dalla negligenza,
se non addirittura dal dolo, del contribuente stesso.
Sebbene il “garantismo” che pervade la riforma del 1973 appaia in linea teorica ineccepibile,
dopo pochi anni dalla entrata in vigore della stessa è apparso evidente come, di fatto, il
fenomeno “evasione” fosse in continua crescita, specie fra i contribuenti minori.
Nel terzo capitolo, si sono illustrati i “correttivi” mediante i quali, dagli anni ottanta
in poi, si è cercato di proporre una soluzione all’impossibilità di consentire
delle “rideterminazioni induttive” laddove i ricavi dichiarati apparissero inverosimili.
Attraverso l’introduzione di nuovi strumenti d’accertamento, in sostanza, ha avuto inizio
un processo volto a superare i dati contenuti in contabilità che, dietro un’apparenza
formalmente corretta, celavano episodi di evasione assai difficili – se non impossibili –
da scoprire, così da agevolare l’attività di controllo dell’Amministrazione
finanziaria.
Gli studi di settore, analizzati nel quarto capitolo, rappresentano dunque l’ultima delle “strategie”
messe a punto nella lotta all’evasione.
Nel caso in cui, grazie al supporto di questo strumento - che trae la sua “credibilità”
oltre che dalle elaborazioni statistiche di cui è il frutto, anche dal consenso fornito in
sede di validazione dalle associazioni professionali e di categoria - si giunga alla conclusione che
i ricavi dichiarati non siano verosimili, è possibile per l’Ufficio procedere all’accertamento
induttivo.
Come si è evidenziato nell’ultima parte del lavoro, la tendenza riscontrabile in base
a questo strumento di accertamento ed alla previsione della possibilità di addivenire ad un
accordo pre-giudiziale attraverso l’accertamento con adesione, è quella di abbandonare
gli accertamenti autoritativi ed unilaterali, in favore di una soluzione “concordata”
dei contrapposti interessi dell’Amministrazione e del contribuente.
Se ciò, da un canto, dovrebbe facilitare enormemente il compito per gli Uffici accertatori,
dall’altro, senza alcun dubbio, rende assai più scomoda la posizione dei piccoli contribuenti,
costretti a dover render conto della propria “marginalità” in un “dialogo”
diretto con l’Ufficio accertatore.
Una previsione degli effetti che produrrà il sistema d’accertamento basato sugli studi
di settore, del resto, è possibile soltanto mettendosi nei panni dei contribuenti minori, che
in un momento di recessione economica come quello attuale, anziché “stare con le mani
in mano”, hanno preferito intraprendere un’attività economica di modeste dimensioni.
E’ dunque facilmente immaginabile quali conseguenze avrà, nei confronti di questi contribuenti
la prospettiva di dover sistematicamente “giustificare” la propria posizione “minimale”
ad un interlocutore che viene spesso sentito come “vessatorio”.
Probabilmente si assisterà, nei prossimi anni, ad un esodo “volontario” dei piccoli
imprenditori dalla libera iniziativa economica, riconosciuta e tutelata dall’art. 41
della Cost., verso l’illusoria ricerca di un più tranquillo “posto fisso”.
D’altro canto, in base a quanto è parso di capire, per coloro che, invece, rientrino
in una situazione ritenuta “normale”, la “quasi certezza” di non subire accertamenti
potrebbe condurre ad un fenomeno di “normalizzazione” che si sostanzierebbe nel pericolo
di permettere loro, una volta che rispondano alle “aspettative” dell’Amministrazione,
di evadere le imposte con maggiore “tranquillità”.
Restano, infine, da valutare gli effetti che gli studi di settore produrranno nei confronti di chi,
pur non rientrando nella “media”, si ostini a combattere contro le “dure leggi”,
oltre che del mercato, dell’Amministrazione finanziaria. La loro posizione, invero, sebbene
sia senza alcun dubbio la più interessante è, tuttavia, anche la più difficile
da prevedere.
Si può tuttavia immaginare che un ruolo fondamentale nel garantire il successo degli studi
di settore sarà, in ogni modo, giocato dagli Uffici accertatori. Spetterà, infatti,
proprio ad questi il compito di promuovere un contraddittorio costruttivo ed intelligente al fine
di prevenire delle controversie mediante una politica volta a promuovere l’adozione di soluzioni
concordate.