Il decentramento amministrativo: l'importanza di Regioni, Provincie e Comuni.

Si è da poco conclusa la tornata elettorale per l’elezione dei consiglieri provinciali ed inoltre dai mass media provengono spesso termini come “decentramento”, “autonomia”, “devolution” e addirittura “federalismo”. E’ quindi il caso di fare chiarezza, riguardo questi poteri locali della Pubblica Amministrazione, in modo da comprendere qual è lo scenario attuale ed avere gli strumenti per interpretare il futuro sviluppo che potrà avere il decentramento amministrativo.

Innanzitutto tutto l’Italia è un Paese “regionalista”. Lo dice chiaramente la nostra Costituzione quando afferma che “La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni”. Questi Enti sono detti territoriali (perché il territorio è elemento costitutivo ed imprescindibile di essi) e godono, appunto per il dettato costituzionale, di un’ampia autonomia rispetto al potere centrale. Essi costituiscono dunque l’amministrazione “indiretta” dello Stato. Tuttavia nell’ambito di questi tre Enti, la Regione è quella che gode del riconoscimento di maggiore autonomia e di poteri più grandi. Infatti, alle Regioni è addirittura attribuito il potere legislativo, lo stesso potere che nei sistemi democratici di governo, come il nostro, viene attribuito ai Parlamenti. In conseguenza di ciò si dice che nell’ordinamento italiano le Regioni hanno una funzione legislativa “concorrente” di quella parlamentare nazionale, perché esse possono legiferare, cioè emanare Leggi, aventi la medesima forza (lo stesso rango) di quelle ordinarie provenienti dalle due Camere.

In realtà il potere legislativo delle Regioni si espleta, o dovrebbe espletarsi, nell’ambito delle materie prestabilite indicate nell’art. 117 della Costituzione e, all’interno di queste materie, il potere è limitato dai criteri fissati nelle Leggi parlamentari c.d. “cornice” o “quadro”, le quali hanno appunto il compito di stabilire dei paletti che le Regioni devono rispettare nell’esercizio della loro funzione legislativa. Questa caratteristica ha portato gli studiosi a qualificare come “esclusiva” la funzione legislativa regionale, nell’ambito chiaramente delle materie di competenza.

La storia politica italiana ha registrato però una spiccata tendenza delle leggi regionali allo “straripamento” di competenza, in quanto le Regioni hanno spesso legiferato in materie riservate al potere centrale, travalicando così i confini delimitati dalla normativa nazionale. Ciò è stato causato dall’interpretazione estensiva da parte delle Regioni della norma costituzionale, che le ha portate ad includere materie aventi una qualche forma di collegamento, sia pur debole, con quelle di esclusiva regionale, fissate nella Costituzione. Ma questa “abitudine” delle Regioni è stata anche supportata dal frequente vuoto legislativo causato dal Parlamento italiano, il quale ha spesso omesso di creare quel quadro di riferimento (Legge “cornice”), all’interno del quale avrebbero dovuto inserirsi le leggi regionali.

Il discorso sulle attribuzioni regionali si completa accennando al fatto che ci sono ben cinque Regioni (Sicilia, Sardegna, Val D’Aosta, Trentino e Friuli) cui è fornita una ben più estesa autonomia. Inoltre, il loro Statuto regionale è approvato con Legge costituzionale e quindi ha lo stesso “valore” delle norme contenute nella nostra Costituzione repubblicana.

Se è vero che le Regioni, rispetto agli altri due Enti territoriali principali, Provincia e Comune, hanno dalla loro l’importante funzione legislativa, è anche vero che esse devono esercitare l’amministrazione pubblica “normalmente” delegandola a Province e Comuni (art. 118 C.). Cioè la Costituzione si preoccupa di mantenere l’amministrazione dello Stato a stretto contatto con la comunità ed i cittadini, prevedendo l’obbligo derogabile, a carico delle Regioni, di amministrare delegando i poteri (amministrativi) agli Enti più piccoli (le Province ed i Comuni della Regione) ed utilizzando le loro strutture. La Regione dunque assume il ruolo di raccordo fra potere centrale e locale, ma la funzione amministrativa sostanziale è attribuita per intero a Province e Comuni, in quanto Enti più vicini alle esigenze del territorio locale.

Le autonomie locali minori (Province e Comuni) rappresentano quindi gli snodi necessari di tutta l’azione amministrativa governativa ed in quanto tali rivestono un ruolo chiave nella ramificazione periferica della pubblica amministrazione c.d. indiretta dello Stato.

Da qui nasce l’esigenza di essere rappresentati adeguatamente a livello di amministrazioni comunali e provinciali. La struttura degli organi di governo di questi Enti, così come di quelli delle Regioni, è così costituita:

• Un Consiglio eletto dai cittadini, con poteri deliberativi, che concretizza dunque un piccolo   “parlamentino” territorialmente competente;

• Una giunta, nominata dal Presidente, che, avendo le attribuzioni amministrative dell’Ente, ha il gravoso   compito di governarlo;

• Un Presidente di giunta (nei Comuni prende il nome di Sindaco), eletto dai cittadini, che riveste il ruolo   di premier dell’Ente locale e che ha di conseguenza i poteri e le funzioni spettanti al “governatore”, sia   pur nell’ambito territoriale.

Per concludere questo breve escursus sul decentramento amministrativo della nostra Pubblica Amministrazione, si vuole fare un cenno a quella che è la forma estrema di devoluzione: la struttura federativa.

Nello Stato federale l’autonomia raggiunge la sua espressione estrema. Gli Enti territoriali esercitano tutti i poteri pubblici e godono della massima indipendenza dal potere centrale, rimanendo nelle mani del Governo federale esclusivamente la gestione della politica estera e della difesa nazionale.

un articolo sul "decentramento amministrativo" inserito da SteveRound il : 19/06/2003

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