- MICROECONOMIA -
I sindacati nel mercato del lavoro e la domanda e offerta degli altri fattori produttivi
(lez. n° 8)

Il caso del sindacato monopolista

Ipotizziamo che nel mercato del lavoro esista un unico sindacato (che può essere definito perciò monopolista), al quale sono iscritti tutti i lavoratori.

E’ chiaro che in questa situazione, il sindacato monopolista avrebbe uno strapotere, perché avrebbe la possibilità di controllare totalmente l’offerta di lavoro nel mercato.

Il salario monetario sarebbe stabilito unilateralmente dal sindacato e quindi per l’impresa esso risulterebbe come un valore non modificabile.

Graficamente il salario monetario (e quindi l’offerta di lavoro nel mercato), deciso dal sindacato monopolista, è rappresentabile come una retta parallela all’asse delle ascisse.

il salario monetario nel caso di un sindacato monopolista

Immaginiamo che, in assenza del sindacato, il salario monetario deciso dal mercato in concorrenza coincida con il salario medio del sistema economico (in figura W*), corrispondente ad un livello di occupazione L*

rappresentazione del salario imposto dal sindacato e del salario medio

mentre il salario stabilito dal sindacato monopolista fosse W1, corrispondente ad un livello occupazione L1. Quali conclusioni economiche si ricavano da questa situazione?

Risulta che l’intervento del sindacato, anziché aumentare l’occupazione, incrementa la disoccupazione (della quantità L* - L1) e produce, teoricamente, una tendenza all’aumento dei prezzi del comparto (per il maggior costo di produzione delle imprese) ed una spirale di crescita dei salari relativi (i risultati salariali raggiunti in questo settore produttivo provocano, infatti, una rincorsa salariale negli altri settori economici), con conseguenze sui prezzi dell’intero sistema economico.

Quindi, in definitiva, il salario deciso dal sindacato porta a dei risultati diametralmente opposti a quelli che un sindacato dovrebbe perseguire.

Questo discorso è importante e deve essere tenuto ben presente quando, nelle trattative sindacali riguardanti la conclusione di un contratto collettivo di lavoro, i sindacati si adoperano esclusivamente per garantire un certo livello salariale ai propri lavoratori.

Il caso dei sindacati corporativi in competizione oligopolista

Arriviamo alle stesse conclusioni cui siamo giunti nel caso del sindacato monopolista, se consideriamo un mercato del lavoro in cui i lavoratori sono rappresentati, anziché da un unico sindacato, da più sindacati, in competizione fra di loro per avere il maggior numero di iscritti. E’ sicuramente questa la situazione più realistica.

Anche con più sindacati in competizione oligopolista, gli effetti sull’economia di salari imposti, più alti di quelli concorrenziali, sono controproducenti per i sindacati stessi. Infatti, i livelli salariali, contrattualmente stabiliti dai sindacati, provocano una maggiore disoccupazione nel comparto produttivo disciplinato dal contratto collettivo, con tutti i riflessi negativi che una siffatta situazione comporta per l’intera economia (prezzi più alti nel settore economico, effetti sui salari e sui prezzi degli altri settori, spirale inflazionistica alimentata dall’aumento dei costi di produzione).

L’unica particolarità economica di rilievo, in un mercato del lavoro caratterizzato da più sindacati corporativi, anziché uno solo, è la configurazione ad angolo della domanda di lavoro da parte delle imprese (in modo speculare alla domanda ad angolo dei beni, che abbiamo visto nell’oligopolio d’impresa).

In un mercato del lavoro caratterizzato da più sindacati corporativi vi è la configurazione ad angolo della domanda di lavoro da parte delle imprese

La spiegazione di questa forma peculiare della domanda è più semplice di quello che sembra. Se ipotizziamo che il livello salariale nel mercato sia W0, dal punto di vista dei sindacati è come se la domanda di lavoro nel punto E fosse spezzata, perché ciascun sindacato presume che, se esso riesce a far aumentare (con la contrattazione) il salario, gli altri sindacati lo seguiranno necessariamente (per non perdere gli iscritti), per cui ci si muoverà verso sinistra, sulla curva di domanda Dl, che è poco elastica. Viceversa, se un sindacato decide di far abbassare il salario, esso presume che gli altri sindacati non lo seguiranno (sempre per rafforzare gli iscritti), per cui ci si muoverà verso destra, sulla domanda di lavoro delle imprese dl, che ha molta più elasticità, con grosse ripercussioni sul lato occupazionale.

L’introduzione dei salari minimi

Dopo aver visto il caso dei salari minimi imposti dai sindacati, analizziamo adesso il caso generale riguardante l’introduzione, per qualsiasi ragione, di livelli garantiti di salario, in determinati mercati del lavoro.

La situazione di mercato può essere rappresentata graficamente in modo seguente

livelli garantiti di salario, in determinati mercati del lavoro.

in cui si ipotizza un’offerta di lavoro totalmente rigida (verticale): i lavoratori sono disposti ad accettare l’occupazione per qualsiasi salario. In particolare, l’offerta di lavoro nel mercato corrisponde all’occupazione L*, mentre l’occupazione di pieno impiego (cioè senza disoccupazione) è L. Il salario determinato liberamente dalle forze di mercato è W*.

E’ facile comprendere quando il livello di salari minimi non provoca distorsioni nell’allocazione delle risorse di questo mercato. Infatti, solo per un salario minimo più basso di quello di mercato W*, p. es. Wmin, si ha un miglioramento della situazione, e, addirittura, si riesce a raggiungere la piena occupazione della forza lavoro.

In tutti gli altri casi, in cui viene stabilito un salario minimo più alto di quello di mercato, p. es. W’min, la disoccupazione aumenta sensibilmente. Questo perché si provocano delle forti distorsioni all’efficiente allocazione delle risorse, in quanto s’impedisce alle forze di mercato di agire liberamente.

Il problema è che, spesso, quest’aggiustamento verso il basso del salario concorrenziale, andrebbe ad operare in un mercato in cui il salario che si formerebbe (se non intervenissero i sindacati) liberamente sul mercato, è già basso di per se stesso e quindi un ulteriore abbassamento sarebbe inaccettabile.

Inoltre, nel decidere il salario minimo da imporre in un determinato mercato, bisogna valutare bene il differenziale rispetto al salario di mercato, perché altrimenti si potrebbe correre il rischio di determinare un salario minimo troppo basso in assoluto (come il salario tratteggiato in figura, vicino all’asse delle ascisse), con gravi conseguenze sul mercato del lavoro (eccesso di domanda, mercato nero del lavoro, ecc.).

La conclusione è una sola. In linea di massima, il salario minimo, garantito ai lavoratori, è utile, per aumentare l’occupazione, solo quando è più basso del salario formato dalla libera concorrenza di mercato. La difficoltà sta nel determinare quel livello minimo dei salari in grado di assicurare al lavoratore uno stipendio comunque “dignitoso”.

Anche in un altro caso, la fissazione di un salario minimo è efficiente. E’ il caso del monopsonio, cioè dell’impresa unica acquirente sul mercato del lavoro (i lavoratori possono offrire il proprio lavoro solo a quell’impresa). In un contesto del genere, in realtà molto inverosimile, data l’oramai apertura mondiale di tutti mercati (compreso quello del lavoro), il salario minimo garantito darebbe la possibilità ai lavoratori di controbilanciare l’enorme forza contrattuale dell’impresa monopsonista.

L’equilibrio nel mercato degli altri fattori produttivi

A conclusione della parte di microeconomia di questo corso, un accenno all’equilibrio nel mercato dei fattori produttivi diversi dal lavoro: terra e beni capitali.

Anche in questi mercati l’equilibrio è conseguenza della teoria del prezzo, in base alla quale i valori di equilibrio (prezzo P e quantità Q) sono determinati dal mercato, in corrispondenza dell’intersezione fra domanda e offerta ed in particolare nel punto cui corrisponde l’uguaglianza fra la quantità domandata e quell’offerta, del fattore produttivo.

Per quanto riguarda il fattore terra, la peculiarità di esso sta nel fatto che in natura ne esiste un quantitativo fisso, non modificabile (tranne il caso di bonifica), per cui l’offerta di terra si raffigura graficamente come un asse verticale (offerta rigida o completamente anelastica).

l'offerta di terra

Il prezzo della terra è deciso unicamente dalla posizione della domanda di terra e quindi dai suoi spostamenti. In questa situazione, ma anche in tutte quelle in cui il prezzo di un bene è deciso unicamente da una curva, per la rigidità dell’altra, il prezzo prende il nome tecnico di rendita.

Per quanto riguarda, invece, il fattore capitale, è importante sottolineare che esso raggruppa sia il capitale monetario (cioè i finanziamenti necessari all’impresa per lo sviluppo della sua attività), sia il capitale reale (cioè l’acquisto da parte dell’impresa di macchine indispensabili per la sua produzione).

Nel primo caso, capitale finanziario, l‘equilibrio fra domanda e offerta avviene nei mercati finanziari (per es. in borsa o attraverso il sistema bancario) ed il prezzo che si forma è il tasso d’interesse, cioè il costo del denaro. La domanda proviene dalle imprese, che hanno bisogno dei finanziamenti per realizzare i loro investimenti produttivi, mentre l’offerta di capitali in prestito proviene dalle famiglie o dagli investitori istituzionali, che puntano a realizzare un profitto dai capitali investiti (interesse o dividendo). Il prezzo che si forma è il tasso d’interesse, cioè il costo del capitale preso a prestito.

Nel secondo caso, capitale reale (macchine), l’equilibrio fra l’offerta, rappresentata dai proprietari delle macchine (le case produttrici) e la domanda da parte delle imprese, porta a determinare il prezzo delle macchine, inteso come tasso di remunerazione del bene reale. In questo mercato intervengono delle valutazioni circa i flussi attesi di rendimento e circa il valore attuale delle remunerazioni future delle macchine.

l'equilibrio del mercato dei servizi

Importante è, infine, la distinzione tra macchine riproducibili nel breve periodo e macchine non riproducibili, anche dette macchine specialistiche, nello stesso periodo.

Queste ultime macchine, particolarmente tecniche, non possono essere costruite nel quantitativo desiderato nel breve termine e di conseguenza la loro offerta sul mercato è pressoché rigida.

andamento del prezzo

Il prezzo, ovvero il tasso di remunerazione, dei beni capitali specialistici è dato quindi, nel breve periodo, esclusivamente dalla posizione della domanda. Per questa sua caratteristica, il prezzo dei beni reali specialistici prende il nome di quasi-rendita. Chiaramente nel lungo periodo il problema di riproduzione delle macchine specialistiche non sussiste, potendo esse essere costruite nella quantità richiesta dal mercato, perciò la loro offerta assume la tradizionale forma crescente (relazione diretta fra P e Q).

andamento crescente dell'offerta

Per le macchine normalmente riproducibili non è necessaria questa doppia considerazione del breve e del lungo periodo. L’equilibrio del loro mercato avviene nel canonico punto d’intersezione fra domanda e offerta,

L'equilibrio del mercato per le macchine normalmente riproducibili

dove si determinano la quantità ed il tasso di remunerazione (prezzo) d’equilibrio. E’ tuttavia ipotizzabile, per alcune macchine, un’offerta infinitamente elastica, in conseguenza della facilità di riproduzione, nel lungo periodo, del loro stock. La rappresentazione grafica del mercato delle macchine con questa caratteristica è la seguente:

rappresentazione del mercato delle macchine di facile riproduzione

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L'ottava lezione di Economia Politica inserita da SteveRound il: 14/09/2003

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