next essayprevious article indice volumeStudi Storici 2, aprile-giugno 1995 anno 36


LE LUSINGHE DELLA BIOGRAFIA

Valeria Sgambati

Sembra sempre piú vero che quella pur vaga figura storica di Scilace di Carianda - esploratore delle coste indiane per ordine di Dario I e, a quanto pare, inventore1, della biografia - abbia lasciato un problema agli storici, ai teorici della storiografia e persino ai filosofi, su cui discutere, polemizzare e addirittura appassionarsi. Vengono subito in mente le prime distinzioni tra biografia e storiografia fatte da Polibio, Plutarco e Livio, e riprese poi da Bodin, oppure gli strali contro la biografia lanciati da Acton o ancora le polemiche piú vicine a noi, come quelle sorte tra Mayer e Weber oppure tra Collingwood e Popper. Anche ai giorni nostri molti storici di professione risultano spesso divisi sul valore e il ruolo da attribuire alla biografia nella ricerca storica. Per esempio, uno storico politico dell'età moderna come Maurice Cowling sostiene con sicurezza che la biografia « è quasi sempre fuorviante» , perché « la sua angolazione è parziale» e consente soltanto un'interpretazione « semplificata e lineare degli avvenimenti» . 2Edward H. Carr, invece, ha avvertito che sarebbe stato « allettante distinguere tra la biografia, che considera l'uomo in quanto individuo, e la storia, che considera l'uomo come parte di un tutto per concludere che una buona biografia è una cattiva opera di storia» , mentre a suo avviso le biografie sono da considerare « seri contributi storiografici» .3

In anni piú recenti la levata di scudi a favore della biografia conta su un numero crescente di sostenitori, cosí come crescente è il numero delle analisi dedicate al fenomeno; da piú parti viene sottolineato ed a volte anche enfatizzato il « ritorno» alla biografia degli storici, soprattutto giovani, e il rinnovato interesse verso questo genere di molti lettori, tra cui sembrano prevalere quelli che non coltivano interessi specialistici4. Si potrebbe interpretare questa « explosion biographique» in modo « minimalista» , cioè come una moda, « une foucade, un engouement passeger [...], une variation à court terme au sein d'un paradigme explicatif qui reste fondamentalement structural et abstrait» . 5Ma nell'aria c'è senz'altro qualcosa di piú se, come avviene, l'interesse alla biografia da parte degli storici investe il loro stesso orizzonte epistemologico, la riflessione teorica sulla storiografia. Salvadori aveva già messo in guardia contro una concezione restrittiva e dogmatica della storiografia che, pur in nome di una necessaria e sperimentale estensione e innovazione degli oggetti e dei metodi di ricerca, tendeva a ridimensionarne, svalorizzarne o addirittura ad escluderne alcuni, considerati piú tradizionali o appartenenti alla cosiddetta « petite histoire» e pertanto poco significativi e incapaci di ulteriore e positiva evoluzione.

Cosí - affermava polemicamente Salvadori - occuparsi della storia delle feste, del sesso, del senso dell'amore, della morte, sarebbe estremamente importante, mentre occuparsi della formazione dello stato moderno sarebbe tradizionalismo; occuparsi della biografia di un commerciante di vini dell'Astigiano nel medioevo sarebbe meritoria « microstoria» , mentre scrivere un libro su Pietro il Grande o su Bismarck sarebbe roba da storici passatisti; usare i metodi della statistica o della psicologia significherebbe dar prova di una metodologia rinnovata, mentre interpretare il pensiero di Rousseau significherebbe restare nella vecchia minestra6.

Però occorre anche sottolineare il fatto che i rinnovati fasti della biografia non hanno risparmiato e non risparmiano gli storici piú sensibili alla « microstoria» , ai nuovi temi e alle nuove impostazioni della ricerca; basti pensare alla decisione di Jacques Le Goff di cimentarsi come biografo di Saint Louis, oppure all'opera fortunata di uno storico italiano come Carlo Ginzburg dedicata alla vita di un mugnaio friulano del Cinquecento; e simili esempi potrebbero continuare7.

Si può insomma affermare che sul finire degli anni Ottanta si è sviluppato in modo inaspettatamente positivo quel rapporto definito da Vovelle « somme tout ambigu» - ma pur esistente - dei padri fondatori delle « Annales» con la biografia. Proprio sulla prestigiosa rivista, Giovanni Levi ha asserito senza mezzi termini che « la biographie constitue donc un th&egraveme dont il faut debattre, en s'&eacuteloignant peut-eˆtre de la tradition des Annales, mais en restant, pourtant, au carrefour des probl&egravemes qui nous semblent aujourd'hui particuli&egraverement importants» .8

Ma perché tanto e vario interesse intorno alla biografia da parte degli storici? Forse, per individuare delle risposte, o meglio dei possibili ragionamenti da seguire e sviluppare, occorre partire dalla constatazione che la biografia si è accompagnata in modo unitario - con un ruolo spesso ancillare e a volte anche antesignano - alla storiografia ed è stata, almeno dal Cinquecento in poi, considerata una delle legittime forme di scrittura della storia9; pertanto si può a ragione ritenerla un genere storiografico ormai classico che, tuttavia, si rinnova continuamente, registrando spesso fedelmente e sensibilmente le variazioni tematiche, teoriche, metodologiche e tecniche del fare storia. La biografia-elogio, l'agiografia, la biografia umanistica e galante, la biografia morale, la biografia rappresentativa, la biografia psicologica o addirittura psicoanalitica, le biografie collettive, l'&eacutetude de cas 10. In tal senso anche la sommaria e un po' arbitraria elencazione delle definizioni e classificazioni intorno al genere e ai suoi sviluppi può offrire una significativa indicazione, rinviando ai diversi metodi ed opzioni teoriche e culturali che esse sottendono e presuppongono. In secondo luogo questo rinnovato interesse verso la biografia può essere considerato, come peraltro è stato fatto da piú parti, uno dei tanti sintomi della crisi delle « ideologie» , delle utopie collettivistiche, delle « filosofie della storia» , che porterebbe a privilegiare l'individuo (e a volte anche l'individualismo) e perciò la riflessione storiografica limitata ad un oggetto particolare e definito come la vita del personaggio prescelto, che oggi non è necessariamente un grande personaggio, un ricco o un potente, ma anche, e pour cause, un « eroe mediocre» , oppure marginale e del tutto « oscuro» .

Inoltre - e per chi scrive questo rappresenta uno degli elementi di maggiore interesse - si è anche sottolineato lo stretto legame che intercorre tra la biografia e il carattere narrativo della storiografia, anche se spesso lo si è fatto in polemica con il « settarismo» e le « secche» di tanta storia « sociale» .

Val la pena ricordare che, già oltre vent'anni fa, Arnaldo Momigliano avvertiva - contro i facili entusiasmi suscitati dalla storia quantitativa e « totale» - che « chiunque segua con ammirazione le attività della Sixi&egraveme Section della Ecole des Hautes Etudes si domanda se una siffatta analisi microscopica di sviluppi sociali possa proseguirsi indefinitamente.Saranno mai capaci gli storici di numerare gli innumerevoli aspetti della vita? In questa situazione d'incertezza, una biografia sembra rappresentare, se non altro, qualcosa di ben delimitato» . 11Piú recentemente John Tosh ha osservato che la narrazione, oltre ad essere una forma che lo storico condivide con lo scrittore, il letterato, « è anche la tecnica di base di cui lo storico si serve per comunicare il suo atteggiamento nella osservazione o nella partecipazione agli eventi passati. Le forme narrative, il cui effetto di ricreazione è piú efficace, sono quelle che si avvicinano maggiormente al senso del tempo che sperimentiamo nella nostra vita: di ora in ora, come nella descrizione di una battaglia, di giorno in giorno, come nel resoconto di una crisi politica, o lungo l'arco di una vita, come in una biografia» . 12Negli ultimi tempi, forse anche a causa di una sempre piú avvertita crisi della storia « scientifica» e piú in generale di determinati modelli epistemologici13, sono fiorite interessanti teorie di filosofi ma anche di storici sulla spiccata vocazione « narrativistica» della storiografia, sulle cause e caratteristiche di questa « vocazione» , che altro non sarebbe se non la sua precipua struttura argomentativa, l'intelaiatura del discorso storico, addirittura la sua « &eacutepisteme» . Alcune di queste argomentazioni, pur avendo suscitato - come nel caso di Momigliano - polemiche puntualizzazioni sul permanere della distinzione e contrapposizione tra « verità» e « retorica» , oppure perplessità, diffidenze, se non vere e proprie controffensive teoriche14, hanno però contribuito in modo decisivo, seppure da diversi punti di vista culturali e professionali, a mettere l'accento sullo stretto legame esistente tra storia e racconto, tra storiografia e « intelligenza narrativa» ; sul fatto che la storia non è sic et simpliciter contenuta nelle fonti; sulla constatazione che il procedimento storiografico non può in toto o in parte essere assimilato né a quello della scienza fisica e nemmeno, per molti aspetti, a quello delle scienze sociali15.

La gamma delle posizioni è però piuttosto ampia e differenziata, come si è accennato, e va da quella dei filosofi « analitici» , soprattutto Danto e Gallie che, non contrapponendo « spiegazione» e « comprensione» , riconoscono alla narrazione una fondamentale e consolidata funzione logica ed interpretativa all'interno della storiografia16; alla posizione di J. R&uumlsen che riconosce la struttura fondamentalmente narrativa (in senso logico piú che linguistico) della storiografia, la quale però « non esclude, anzi è adatta ad evidenziare il contenuto razionale specifico della scienza storica nel momento in cui, all'interno della trama narrativa, trovano spazio quelle regole metodologiche che consentono il controllo intersoggettivo» ; 17a quella piú radicale, rappresentata da White, che rivendica il carattere esclusivamente narrativo della storiografia, concependo cosí il lavoro dello storico soprattutto come una prescelta « strategia di spiegazione» , che corrisponde fondamentalmente a quattro « forme archetipe» , la romantica, la comica, la tragica, la epica, e che utilizza, come la poetica e la letteratura, precisi codici linguistici (la metafora, la metonimia, la sineddoche). Einoltre va ricordata la complessa analisi di P. Ricoeur che, in Tempo e racconto, stabilisce invece un rapporto « indiretto» e « nascosto» , ma « analogico» , tra storia e racconto, tra spiegazione storica e « configurazione dell'intrigo» , tra « cambiamento» ed « evento» e tra « il tempo degli individui e il tempo delle civiltà» .18

Tra gli storici « di mestiere» , invece, la riflessione sulla storiografia sembra ancorarsi il piú possibile ai risultati ed alle prospettive concrete della ricerca storica. È nota la celebre quanto sorprendente diagnosi fatta la L. Stone della crisi della storia quantitativa, analitica, « scientifica» che sarebbe responsabile della ripresa, persino tra i piú insospettabili detrattori dell' histoire &eacutev&eacutenementielle, della storia narrativa e delle ricerche biografiche. Infatti, secondo lo storico inglese, dopo l'eccessiva insistenza sui fattori economici, geografici, demografici di tanta parte della storiografia, soprattutto a partire dal periodo tra le due guerre mondiali, si è poi assistito e si assiste ad una rivalutazione dei fattori intellettuali, della « mentalité» , per la semplice ragione che « molti storici sono ormai convinti che la cultura del gruppo, e persino la volontà dell'individuo, possono essere agenti causali di cambiamento importanti almeno quanto le forze impersonali della produzione materiale e della crescita demografica. Non esiste un motivo teorico per cui le seconde debbano imporsi alle prime, ed anzi si vanno accumulando gli esempi documentati che indicano il contrario» .19

In fondo, Stone sembra suggerire che la crisi - cioè lo scarto eccessivo tra metodologia impiegata e risultati ottenuti - dei modelli storiografici troppo rigidi, monocausali (di tipo economicistico, demografico, geografico ecc.) ha spinto gli storici, seguaci in molti casi di quegli stessi modelli, verso la scelta del modulo narrativo, in modo spesso tacito, implicito o addirittura inconsapevole. C'è insomma nell'aria la voglia « di gettare il calcolatore per ricominciare a raccontare le storie» . 20Lo sforzo diventa principalmente quello di scoprire « cosa avvenisse nella mente degli uomini del passato e che cosa significasse vivere nel passato» , perciò sono persino ritornate in auge dimenticate categorie come l'intuizione, la sensibilità, la simpateticità pregi come le qualità letterarie e narrative e persino il buon senso21. Le osservazioni di Stone sembrano essere confermate - come ha scritto P. Burke - anche dalle tendenze e riflessioni storiografiche piú recenti che, mettendo in crisi i « modelli piú o meno deterministici di interpretazione storica» , puntano al superamento della falsa dicotomia tra fatto e struttura, tra esposizione e analisi. Sempre di piú sembra individuarsi come peculiarità ineliminabile della ricerca e del pensiero storiografici l'interesse e l'attenzione privilegiata all'azione e alla libertà umane22, e perciò alle motivazioni soggettive che spingono a scegliere, ad agire, a mutare. Si passa cosí dalla tradizionale ma forse un po' generica individuazione dell'oggetto della storia nell'uomo - come già aveva esemplificato M. Bloch con la famosa similitudine tra lo storico e l'orco della fiaba23 - all'individuazione dell'oggetto privilegiato della storia, o almeno di tanta storia, nei « motivi» , nelle « intenzioni» , che orientano e consentono l'azione umana24.

La spiegazione storica - ha scritto J. Tosh - ha a che fare essenzialmente con cause e conseguenze, e quanto piú importanti sono le conseguenze di un evento, tanto maggiore è l'attenzione che va posta nel rivelarne le cause. Chiedersi il « perché» può significare semplicemente chiedersi perché un singolo individuo ha preso una certa decisione. Gli storici hanno sempre dedicato molta attenzione allo studio delle motivazioni, sia per la tradizionale preminenza della biografia negli studi storici, sia perché le motivazioni dei grandi sono riflesse, almeno in parte, nelle loro carte che ancora esistono25.

Contro la concezione di Hume che assegnava ai « fenomeni fisici» la stessa natura dei « fenomeni morali» , per cui « un prigioniero condotto al patibolo prevede la morte come conseguenza egualmente certa della fermezza dei suoi carcerieri e della durezza dell'ascia» , già Paul Veyne avvertiva che « tra l'ascia e i carcerieri passa una grossa differenza: all'ascia noi non accreditiamo alcuna intenzionalità (salvo forse durante l'infanzia), mentre sappiamo che gli uomini hanno intenzioni, fini, valori, deliberazioni, scopi o come altro li si voglia chiamare» e che costituiscono i temi e i referenti privilegiati della storia26.

A questo punto è forse piú facile spiegarsi la costante permanenza della biografia all'interno della storiografia e il grande interesse che tuttora suscita; infatti quale genere storiografico risulta piú adatto a indagare e comprendere l'universo di motivi e intenzioni che si traduce in scelte e azioni? Insomma, si può affermare senza grosse forzature che i problemi e le tematiche intorno a cui molti teorici e storici dibattono sono molto vicini, dal punto di vista teoretico e metodologico, a quelli che un biografo, consapevolmente o meno, affronta proprio perché intende descrivere e interpretare le variazioni di una continuità nel tempo. Per esempio, il rapporto tra individuo (soggettività/libertà) e contesto (oggettività/necessità), tra individuale e generale, il grado di rappresentatività o tipicità del soggetto indagato; il rapporto tra sfera pubblica e sfera privata, tra intenzioni ed atti o, come direbbe Veyne, tra coscienza e azione; il grado di coinvolgimento, d'immedesimazione del biografo col biografato (di natura, per cosí dire, emotiva, prerazionale, oppure di natura politica, ideologica, razionale); il rapporto tra tendenze profonde, strutturali e variazioni piú o meno di superficie, quello tra aspettative ed esperienze (passato/presente). Infine come tacere il fatto che la biografia contiene per eccellenza quel modello « genealogico» , nella dimensione del tempo, che necessariamente tiene conto del « prima» e del « poi» , seppure non sempre e non necessariamente in modo cronologicamente e progressivamente ordinato, oppure secondo la logica del post hoc, propter hoc 27.

Sul primo punto occorre innanzitutto ricordare la premessa alla prima edizione del Martin Lutero, dove Lucien Febvre afferma che suo fondamentale proposito è stato essenzialmente porre « nei confronti di un uomo di una vitalità eccezionale, quel problema dei rapporti tra l'individuo e la collettività, tra l'iniziativa personale e la necessità sociale, che è, forse, il problema fondamentale della storia» . 28Rosario Romeo ha anche lui affermato che fare storia è soprattutto far correre una « navetta» tra particolare e generale, cosí come avviene a maggior ragione in una biografia, dove l'individuale è addirittura rappresentato principalmente da un individuo29. Il biografo, insomma, si caricherebbe come un novello Atlante del mondo della storia, proprio per sussumerlo nell'individuo prescelto e, attraverso questo, come attraverso un prisma, filtrare altra e piú chiara luce su quel mondo che ci si è prima messi sulle spalle. Si può perciò dire che la biografia esalta quel rapporto individuale/generale proprio della storia, facendolo emergere con immediatezza dal punto di vista pratico e metodologico; infatti se vuole essere veritiera, critica o scientifica che dir si voglia, deve necessariamente presupporre e riferirsi ad una dimensione « esterna» al soggetto indagato, e quanto piú risalto riuscirà a dare all'interazione tra individuo, ambiente e circostanze, tanto meglio sarà valorizzato quel rapporto tra individuale e generale e tra libertà e necessità.

Lo storico-biografo ha poi acquisito una sempre maggiore dimestichezza con una logica del tempo sí scandita dal « prima» e dal « poi» (nascita/sviluppo/morte), ma non per questo intesa in modo evoluzionistico, necessario, lineare, quanto invece orientata ad intercettare i legami piú profondi e « sensibili» tra passato e presente, tra continuità e discontinuità. In alcuni casi si travalica addirittura temporalmente il soggetto indagato, per interrogare piú o meno proficuamente quegli « archivi del silenzio» , cioè mentalità, valori, residui anchilosati ma ancora in qualche modo vitali del passato che possono provenire dall'incontro con generazioni precedenti, attraverso i nonni, i « fratelli maggiori» , i maestri, ma anche libri, documenti, istituzioni, movimenti sociali o politici30.

Riguardo alle intenzioni, alle motivazioni, ai fini consapevoli del soggetto, le « antenne» della biografia sembrano essere diventate sempre piú sensibili, utilizzando e rielaborando spunti e temi relativi all'antropologia, alla psicologia e addirittura alla psicoanalisi, anche se alcuni esiti di questa sperimentazione risultano spesso criticati e criticabili31.

Le azioni di un individuo - ha scritto Tosh - si possono comprendere pienamente soltanto alla luce della sua disposizione emotiva, del suo temperamento e dei suoi pregiudizi. Ovviamente, anche nelle vite meglio documentate molto rimane affidato alle congetture: soprattutto gli scritti dei personaggi pubblici sono di solito velati sia dall'autoillusione che dal calcolo deliberato. Ma il biografo che abbia studiato lo sviluppo del suo personaggio dall'infanzia alla maturità avrà probabilità molto maggiori di trarre le conclusioni opportune. È per questo motivo che in questo secolo i biografi hanno messo in luce in misura sempre maggiore la vita privata o intima dei loro personaggi, insieme alla loro carriera pubblica32.

Molto spesso nelle biografie scritte dagli storici di professione la penetrazione psicologica, la valutazione umana ed anche etica del biografato sono sottese, implicite, sfumate anche se risulta abbastanza chiaramente che hanno rappresentato una filigrana indispensabile per il biografo33. Gli storici contemporanei hanno insomma imparato a muoversi - influenzati dal romanzo moderno e dalle idee freudiane - « come guardinghi esploratori del subconscio, invece di attenersi ai fatti nudi e crudi, e hanno imparato dagli antropologi ad utilizzare il comportamento per disvelare i significati simbolici» . 34Peter Gay ha però acutamente osservato che spesso ciò è avvenuto quasi sempre in modo « volgare» , « facile» , poco consapevole dal punto di vista culturale e teoretico, tanto da accusare scherzosamente gli storici di « appropriazione indebita» delle scoperte scientifiche della psicoanalisi e da invitarli ad una piú attenta ed impegnativa valutazione delle conseguenze teoriche e delle implicazioni pratiche che il rapporto di « fratellanza» tra storia e psicologia può e deve comportare35.

Un'altra caratteristica che sembra contraddistinguere la biografia - soprattutto contemporanea - è comunemente indicata nella rappresentatività o tipicità storica (di qualsiasi carattere: politico, sociale, culturale, economico ecc.) del biografato, presupposta e attribuita, in maggiore o minor misura e in modo piú o meno esplicito, dallo storico. Ciò vale forse un po' per tutti i generi attuali di biografia, anche per la prosopografia o biografia collettiva che comunque esalta e rende emblematica la categoria dei soggetti prescelti e indagati, valorizzando perciò molto spesso i tratti socio-culturali comuni, le analogie e le affinità psicologiche e intellettuali delle vite « parallele» . La biografia « individuale» , forse la piú diffusa e la piú vicina ai modelli tradizionali, sceglie molto spesso il soggetto da indagare perché « rappresentativo» , se non dello spirito del tempo, almeno, e quanto meno, delle caratteristiche - ad esempio intellettuali, politiche, morali o quant'altro - di una generazione, di un movimento sociale, di un partito politico di una piú o meno vasta ed omogenea area sociale o ideologica; oppure perché si considera il biografato almeno un osservatorio privilegiato per esemplificare e cercare di affrontare in modo piú adeguato il o i problemi storici che urgono al ricercatore. Anche la biografia dei « casi-limite» o « &eacutetude de cas» non riesce a sfuggire alla logica della rappresentatività: « Dans ces cas - ha scritto acutamente G. Levi - le contexte n'est pas per&ccedilu dans son int&eacutegrité et dans son exhaustivité statiques, mais à travers ses marges. En d&eacutecrivant le cas limites, ce sont pr&eacutecis&eacutement les marges du champ social à l'interieur du quel ces cas sont possibles qui sont mises en lumi&egravere» . 36« Meˆme un cas limite - aveva già precisato C. Ginzburg - [...] peut se r&eacutev&eacuteler representatif. Soit negativement - car il aide à pr&eacuteciser ce qu'il faut entendre, dans une situation donn&eacutee par statistiquement le plus fr&eacutequent. Soit positivement - car il permet de circonscrire les possibilit&eacutes latentes de quelque chose [...] qui ne nous est connu qu'à travers une documentation fragmentaire et d&eacuteform&eacutee» .37

Nonostante la rappresentatività - soprattutto se considerata in modo non ingenuo o rozzo - abbia svolto un ruolo non secondario nella biografia, alcuni storici hanno sviluppato una certa ostilità nei suoi confronti, poiché con essa si pretenderebbe di far incarnare in un solo individuo piú individui o, peggio ancora, di rintracciare in modo privilegiato in un particolare individuo quel telos della storia che può chiamarsi progresso, spirito, provvidenza o classe. In fondo - si osserva - il concetto di rappresentatività si basa sulla convinzione che « gli individui sono solo rappresentativi di qualcosa di piú grande di loro, sono solo immagini ingannevoli di una realtà piú vera che sta dietro di loro» , 38e sottende una concezione della storia di matrice sia idealistica che positivistica. Taluni altri invece - non sottraendosi del tutto ai tentacoli della rappresentatività - ritengono che la biografia sia soltanto uno degli strumenti piú adatti per « veder» meglio « il tessuto» culturale, antropologico di un determinato periodo, di una determinata realtà sociale e politica39; altri ancora pensano alla biografia come a un'occasione per considerare l'individuo una « possibilità» rispetto al suo contesto, al suo ambiente, in cui perciò deve essere inserito in modo « contrastato, antagonistico, liberissimo» . L'individuo diventa cosí per lo storico « una bussola sensibilissima, un rivelatore prezioso che permette di cogliere forme, tempi, caratteri d'altre, molteplici storie piú generali» . 40In questo modo però l'individuo biografato, seppure considerato non manovrato dall'« astuzia della ragione» e non esclusivamente rappresentativo di una realtà esterna e trascendente, rimane comunque un rivelatore di realtà che hanno forme e contenuti necessariamente piú ampi e generali, che non possono prescindere da determinate civiltà, società, classi e gruppi sociali. La critica al concetto di rappresentatività può, a mio giudizio, essere utile e stimolante se mira a superare un'interpretazione essenzialistica, deterministica, teleologica della storia, ma diventa discutibile se allude al rifiuto un po' « anarchico» e insieme rassegnato di considerare in modo adeguato il binomio necessità/libertà e quindi di ritenere l'individuo in un rapporto necessario - per quanto dinamico, conflittuale e liberissimo nelle condizioni storiche date - con determinati e determinanti sistemi sociali, economici, culturali, politici (nazioni, ambienti, istituzioni, sistema di valori, ceti, gruppi di appartenenza ecc.). Altrimenti il rischio che si corre è quello di considerare l'individuo come una « monade» incrociata da altre « monadi» , cioè come una « potenza indipendente» in quanto si è venuto a lacerare quell'indispensabile « nesso tra l'individuo e la società» . 41La biografia può essere invece considerata il genere storiografico piú adatto ad evidenziare quella peculiarità logica della storia, che consiste proprio nel rintracciare e valorizzare soprattutto esperienze di libertà, cioè di scelta e di trasformazione, pur entro determinate condizioni. « La biographie» - ha scritto con acume G. Levi - può perciò costituire « le lieu id&eacuteal pour v&eacuterifier le caract&egravere interstitiel - et n&eacuteanmoins important - de la liberté dont disposent les agents, comme pour observer la facon dont fonctionnent concr&egravetement des syst&egravemes normatifs qui ne sont jamais exempts de contradictions» .42

Continuando a ragionare intorno a quegli aspetti della biografia che sembrano risaltare in modo particolare e insieme sembrano esaltare il modo proprio del fare storia, bisogna senza dubbio riferirsi all'empatia, cioè a quel particolare grado d'immedesimazione, sensibilità e intuizione che dovrebbe possedere un biografo, capace cosí di rivivere « dal di dentro» gli uomini e le vicende del passato. Questa particolare attitudine può però diventare nella biografia - cosí come piú in generale nella storiografia - la tentazione, dovuta nel migliore dei casi all'esigenza di sopperire alle lacune documentarie e di comprendere in modo piú profondo il soggetto studiato, a dare una spiegazione troppo partecipe e « giustificazionista» , che inevitabilmente potrebbe offuscare le capacità critiche dello storico, tradendo un suo coinvolgimento eccessivo di natura non solo ideologica, politica o culturale ma anche psicologica, che a volte può addirittura dar luogo a qualcosa di simile a quello che gli psicoanalisti definiscono un « transfert» .

A mio giudizio, questo aspetto problematico è senz'altro presente, carico di conseguenze e lungi dall'essere risolto nel « corpore vili» costituito dalla pratica biografica e storiografica, ma si può dire che è stato affrontato adeguatamente, almeno sul piano teorico e nel quadro di una piú ampia riflessione metodologica, da Max Weber, e ha poi influenzato, in modo crescente, un gran numero di storici nella seconda metà del Novecento43. Weber infatti non nega - anzi lo sottolinea come tratto differenziale rispetto alle scienze della natura - che le scienze storico-sociali sono necessariamente orientate e condizionate - altrimenti non sussisterebbero - dai « valori» del ricercatore, i quali aiutano a formare e formulare le ipotesi, fungendo cosí da indispensabili filtri e selettori della massa informe dei dati, dei fatti, dell'empiria44, senza per questo diventare ineluttabilmente un paralizzante « letto di Procuste» . 45Questa fondamentale considerazione, però, non equivale ad inficiare il carattere veritiero, « scientifico» della ricerca storica, che è essenzialmente assicurato dal rigore del metodo e delle procedure di cui è capace lo storico e dalla verificabilità, o meglio non falsificabilità, dei risultati raggiunti. Inoltre interviene quel precetto, che potrebbe essere definito quasi di deontologia professionale (di cui deve/può dar prova il ricercatore anche e soprattutto - perché no? - quello consapevolmente influenzato dal proprio « nucleo metafisico» ), cioè l'avalutatività, quella sospensione del giudizio durante l' iter della ricerca, che consente di sfumare, correggere, se non addirittura di smentire le ipotesi e le interpretazioni di partenza, a fronte delle repliche dei fatti del passato, emersi dalla gamma piú vasta possibile di documenti, testimonianze, tracce residuali46.

A questo punto occorre rendere ancora piú espliciti gli interrogativi sottesi ai ragionamenti tentati fin qui: perché la biografia sembra serbare meglio di altri tipi di ricerche storiche i « totem» - come venivano ironicamente definiti all'inizio del secolo dalla « Revue de sinth&egravese historique» - della storiografia? E perché, come suggerisce Stone, si assiste fatalmente ad un ritorno al modulo narrativo di cui la biografia è parte integrante e fondamentale? La spiegazione intorno alla « fatalità» del rapporto tra storia e biografia - che conta non a caso illustri « vittime» - 47 ha forse veramente bisogno, come invita a fare Giovanni Levi, di riflessioni piú ardite?

A quest'ultima domanda la risposta non può che essere affermativa e, anche confortati dai comuni tratti che emergono da alcune stimolanti e recenti riflessioni pur cosí diverse tra loro, si potrebbero indicare due distinte direzioni da far imboccare o riprendere alla riflessione teorica: la prima è quella relativa alla tradizionale distinzione tra la storia, che si occupa del particolare, dell'irripetibile, dell'individuale, e le scienze sociali, che si occupano delle generalizzazioni e delle modellizzazioni. Anche se questa divisione si è rivelata troppo rigida e forzosa, perciò facilmente disattesa e smentita dalle concrete ricerche degli studiosi di entrambe le discipline48, rimane pur vero che resta una distinzione in qualche modo imprescindibile perché, per quanto riguarda la storia, riesce a fare salvo quell'elemento filologico, narrativo, appartenente all'individuazione, ricostruzione, interpretazione di un fatto particolare, di un periodo delimitato, di un singolo organismo o di un individuo, intorno ai quali e grazie ai quali si può tessere la trama storica; e riesce a dar conto di quella « discontinuità» piú o meno visibile e rilevante che possiamo chiamare mutamento, trasformazione, libertà, sia pure « interstiziale» . Quando lo storico, ha scritto Salvadori,

si misura con atti dell'agire che dipendono da fattori come « giudizi» , « volontà» , « valori» , « interpretazioni» che sono sí radicati nelle dimensioni strutturali della società ma che non sono unilateralmente causati da essa, e fanno riferimento a idee soggettive del mondo e dei fini che s'intendono dare ad esso, egli non può ricevere le proprie regole da nessuna scienza che si fondi sulla serialità, sul quantitativo e sull'analisi generalizzante. La storiografia, in questo caso, si colloca come conoscenza dell'umano, e ha un posto qualitativamente diverso da quello delle scienze sociali49.

La biografia in modo particolare sembra essere in grado di esaltare proprio quell'irrinunciabile carattere « individuale» , « qualitativo» , « configurante» della ricerca storica, non solo perché, come si è già detto, tiene in maggior conto « l'intervento intenzionale e innovativo dei soggetti individuali» , ma anche perché impedisce la riducibilità a cause uniche (o, che è la stessa cosa, a griglie rigide di causalità, a modelli e paradigmi univoci e generalizzanti) del comportamento umano e quindi dei fenomeni storici.

D'altro canto, sarebbe utile approfondire il perché la maggioranza degli storici, quando si pone la domanda « che cos'è la storia?» , dà una risposta « che non è mutata da quando, duemila e duecento anni fa, i successori di Aristotele la trovarono; gli storici raccontano avvenimenti veri che hanno l'uomo per attore» . 50Secondo la tradizione giunta fino a noi l'uomo è dunque l'oggetto privilegiato della storia: sarebbe forse meglio dire la sua dimensione di « vita» , o addirittura la « banalità quotidiana» del « vissuto» , 51quel « nascere, amare, morire» che, secondo il vecchio bibliotecario persiano citato da L. Febvre, costituirebbe il facile segreto della storia52. Lo storico cerca di dare « senso» alla vita passata, rendendola « reale, ordinata e leggibile» , 53ma forse inevitabilmente non si sottrae alla tendenza umana, troppo umana, di « antropomorfizzare» l'accadere, « temporalizzare» lo svolgimento degli eventi. Col termine antropomorfizzare non si vuole alludere alla banalità della figura retorica della personificazione, non si vuole cioè intendere quell'ingenua proiezione della dimensione psico-fisica dell'uomo - a cui gli uomini spesso indulgono - sulla natura animata o inanimata, ma piuttosto si vuole individuare quella tendenza tutta umana a ricavare il significato, il « senso di un esito» , connettendo « il termine conclusivo di un processo con la sua origine, in modo tale da conferire a tutto quel che è accaduto nel mezzo una significanza» . 54Antropomorfizzare vuol dire ricostruire i comportamenti dell'uomo del passato producendo una conoscenza « sui generis» , in quanto contemporaneamente « autocoscienza e autoconoscenza» , 55cioè, come diceva piú semplicemente Febvre, « insieme inquadrare se stessi ed inquadrare l'universo nella durata, dunque nella storia» . 56Sul piano empirico balza agli occhi, nella lettera e nella logica della storiografia, come quasi sempre uno storico presupponga e proietti l'uomo nei suoi oggetti di studio, facendoli diventare, come direbbe Ricoeur, dei « quasi personaggi» , siano essi attori di medio o di lungo periodo, come una civiltà, un mare oppure un'armata o un'azienda. Forse non è un caso il fatto che il suo lessico sia farcito di termini come nascita, sviluppo, fioritura, crisi, decadenza, fine, morte. Infatti - come ha scritto Veyne - « non si vede in quale altra regione dell'essere che non sia la vita, giorno dopo giorno, potrebbe mai riflettersi la storicità» .57

La biografia, che si sforza di « afferrare insieme» , come parti di una « totalità significante» , 58gli eventi di una vita; che si concentra sul « tempo vissuto» di un uomo particolare, cioè sulla molteplicità - e anche imprevedibilità - di cause e circostanze che determinano le sue idee, intenzioni, scelte, azioni ed esperienze in relazione col mondo esterno e passato, rappresenta dunque non solo un genere storiografico suscettibile di trasformazioni significative e di evoluzioni, ma una sorta di « geroglifico» della storia, proprio perché in grado di aiutare a meglio identificare il pensiero storico, il suo modello « razionale» , gnoseologico, in cui un posto centrale hanno sicuramente le azioni e « innovazioni» soggettive, individuali e individuanti, cosí difficili da ricondurre a schemi esplicativi troppo rigidi, monocausali e/o finalistici.

1 Cfr. A. Momigliano, Lo sviluppo della biografia greca, Torino, Einaudi, 1974, p. 110; cfr. anche, dello stesso autore, The classical Fondations of Modern Historiography, Berkeley-Los Angeles-Oxford, University of California, 1990, pp. 9-15, in cui è scritto che « Scylax wrote a biography of Heraclides, the tyrant of Mylasa. Both the writer and his subject lived in the Persian sphere» . Viene poi precisato che risultavano maggiormente interessati ai « biographical details» i greci dell'Asia minore, piuttosto che quelli di Sparta o Atene. Inoltre Momigliano ritiene la novellistica il probabile « background» della storiografia « of Jewish and Greek» .

2 Cfr. M. Cowling, The impact of labour 1920-24, Cambridge-London-New York, Cambridge University Press, 1971, p. 6, citato in J. Tosh, Introduzione alla ricerca storica, Firenze, La Nuova Italia, 1989, p. 97.

3 Cfr. E. H. Carr, Sei lezioni sulla storia, Torino, Einaudi, 1966, p. 53.

4 Cfr. Aa.Vv., Biografia e storiografia, Milano, Angeli, 1983, in particolare gli interventi di A. Riosa, pp. 9 sgg., e di R. Romeo, p. 35 e p. 89; Aa.Vv., Probl&egravemes et m&eacutethodes de la biographie, Actes du Colloque, Paris, Sorbonne 3-4 mai 1985, Paris, 1985, in particolare le relazioni di D. Madel&eacutenat, Situation et signification de la biographie, pp. 129 sgg., e di F. Torres, Du champ des Annales à la biographie-r&eacuteflexions sur le retour d'un genre, pp. 141 sgg.

5 Cfr. D. Madel&eacutenat, Situation et signification de la biographie, cit., p. 135, che prevede pure « une interpretation maximaliste du retour de la biographie» , come « fracture dans la vie culturelle: la r&eacutehabilitation du sujet comme instance productrice de sens; une mutation de paradigme dans les processus d'explications: l'abandon des grands syst&egravemes "laplaciens" [...], r&eacuteductionnistes, au profit d'une conception pré-h&eacuteg&eacutelienne de l'histoire qui valorise le hasard, la cr&eacuteativité impr&eacutevisible, la liberté disloquant les determinismes» .

6 Cfr. M. L. Salvadori, Le molte storie, in Aa.Vv., La teoria della storiografia oggi, a cura di P. Rossi, Milano, Il Saggiatore, 1983, p. 241.

7 Cfr. F. Torres, Du champ des Annales, cit., pp. 141 sgg., e cfr. anche M. Vovelle, De la biographie à l'&eacutetude de cas, in Aa.Vv., Probl&egravemes et m&eacutethodes, cit., pp. 191 sgg. Cfr. F. Diaz in Aa.Vv., Biografia e storiografia, cit., pp. 23 sgg.

8 Cfr. G. Levi, Les usages de la biographie, in « Annales Esc» , 44, 1989, n. 6, pp. 1333, 1326.

9 Cfr. A. Momigliano, Lo sviluppo della biografia greca, cit., pp. 4-5; F. Tateo, I miti della storiografia umanistica, Roma, Bulzoni, 1990, pp. 100 sgg.

10 Cfr. E. Fueter, Storia della storiografia moderna, Milano-Napoli, Ricciardi, 1970, pp. 66 sgg., 118 sgg., 167-168, 439, 582 sgg.; cfr. anche J. Tosh, Introduzione alla ricerca storica, cit., pp. 96 sgg., e G. Levi, Les usages de la biographie, cit., pp. 1329 sgg.

11 Cfr. A. Momigliano, Lo sviluppo della biografia greca, cit., p. 93.

12 Cfr. J. Tosh, Introduzione alla ricerca storica, cit., p. 129.

13 Cfr. in Aa.Vv., La teoria della storiografia oggi, cit., l'introduzione di P. Rossi, pp. XI sgg., W. H. Dray, Alcune riflessioni sul narrativismo e i suoi problemi, pp. 187 sgg., J. Topolski, Il carattere scientifico della storiografia e i suoi limiti, pp. 164 sgg., J. R&uumlsen, Narratività e modernità nella storia, pp. 199 sgg. Cfr. anche G. Levi, A proposito di microstoria, in Aa.Vv., La storiografia contemporanea, a cura di P. Burke, Roma-Bari, Laterza, 1993, pp. 111 sgg.; A. Musi, La storia debole: Critica della Nuova storia, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1994, pp. 11-12 e 66 sgg.

14 Cfr. Aa.Vv., La storiografia contemporanea, cit., p. 132; A. Musi, La storia debole, cit., soprattutto il saggio Pensiero debole e storia debole; G. R. Elton, Ritorno alla storia, Milano, Il Saggiatore, 1994, pp. 43 sgg.

15 Cfr. Aa.Vv., La teoria della storiografia oggi, cit., l'introduzione di P. Rossi, pp. XX sgg.; ancora: W. J. Mommsen, La storia come scienza sociale storica, pp. 93 sgg., A. Ja. GurevicÈ, La storia, dialogo con gli uomini delle età passate, p. 237, J. R&uumlsen, Narratività e modernità, cit., pp. 202 sgg. Cfr. anche M. L. Salvadori, Storiografia e forme dell'agire umano, in Aa.Vv., La storiografia contemporanea. Indirizzi e problemi, a cura di P. Rossi, Milano, Il Saggiatore, 1989, p. 381; cfr. anche P. Ricoeur, Tempo e racconto, Milano, Jaca Book, 1991, pp. 254 sgg., 269.

16 Cfr. in Aa.Vv., La teoria della storiografia oggi, cit., l'introduzione di P. Rossi, pp. XII sgg., in cui si afferma che « il termine di riferimento» della teoria di Gallie e Danto « era, ancora una volta, l'impostazione hempeliana; ma in questo caso non si trattava piú di una critica formulata sul suo stesso terreno [come nel caso di Dray], bensí di un'opposizione frontale. Contro l'interpretazione della storiografia come procedimento esplicativo fondato sul ricorso a generalizzazioni Gallie e Danto facevano valere due tesi strettamente connesse tra loro: che la storiografia è essenzialmente narrazione, non spiegazione, e che la narrazione storica è autoesplicativa, cioè capace di spiegare gli eventi narrati senza bisogno di riferirsi a elementi esterni alla narrazione stessa» . Cfr. ivi, H. White, La questione della narrazione nella teoria contemporanea della storiografia, pp. 68 sgg., 53 sgg.; cfr. anche P. Ricoeur, Tempo e racconto, cit., pp. 108 sgg. e 216 sgg.

17 Cfr. D. Conte, La storiografia come scienza sociale storica, in Aa.Vv., La storiografia contemporanea, cit., pp. 69-70; J. R&uumlsen, Narratività e modernità, cit., pp. 199 sgg., in cui è detto che « soltanto con argomenti di tipo narrativistico si può determinare esattamente in che cosa consista propriamente la razionalità a cui la storia aspira in quanto scienza, e soltanto con argomenti di tipo narrativistico si può dire esattamente in che cosa consista la modernità della ricerca storica e della storiografia rispetto alle precedenti forme di pensiero storico che si è soliti chiamare (nel linguaggio ordinario) "narrazione"» .

18 Cfr. H. White, La questione della narrazione, cit., pp. 33 sgg.; cfr. anche l'introduzione di P. Rossi, cit., pp. XIV-XV. Cfr. P. Ricoeur, Tempo e racconto, cit., pp. 263 sgg., 338 sgg., 331.

19 Cfr. L. Stone, Viaggio nella storia, Roma-Bari, Laterza, 1987, pp. 83 sgg.

20 Ivi, p. 83.

21 Ivi, p. 93; cfr. anche J. Tosh, Introduzione alla ricerca storica, cit., p. 156, dove è scritto che nonostante « gli idealisti, da Ranke a Collingwood, abbiano attribuito un'importanza eccessiva all'"unicità" degli eventi, gli individui sono senza dubbio un legittimo e necessario oggetto degli studi storici; e la varietà e l'imprevedibilità del comportamento individuale (di contro alla regolarità del comportamento di massa) richiedono al ricercatore capacità di empatia e di intuito e abilità nella logica e nella critica. E, mentre gli scienziati possono spesso produrre da sé i dati grazie agli esperimenti, gli storici si trovano a volte di fronte a lacune nelle testimonianze, che possono superare solo sviluppando una sensibilità per i possibili avvenimenti derivata da un quadro ideale, che si è formato nel corso del piú o meno prolungato contatto con la documentazione conservatasi» . Cfr. anche R. Romeo, in Aa.Vv., Biografia e storiografia, cit., pp. 76 sgg.

22 Cfr. G. Levi, Les usages de la biographie, cit., pp. 1333 sgg.; Aa.Vv., La storiografia contemporanea, cit., pp. 21 e 113 sgg. Cfr. anche G. Galasso, Storia e sociologia, in « Nuova antologia» , 1974, n. 2080, pp. 3 sgg.; E. Sestan, Storiografia dell'otto e novecento, Firenze, Le Lettere, 1991, p. 99; G. R. Elton, Ritorno alla storia, cit., pp. 17 e 67, in cui si afferma che la storia « ha molto da dire a favore del libero arbitrio. Naturalmente essa ci mostra anche l'effetto delle circostanze, dei condizionamenti, delle interrelazioni, ma dimostra anche che, in circostanze simili, gli esiti possono discostarsi enormemente perché non dipendono solo dall'ambiente, ma anche dall'uso che dell'ambiente fanno gli esseri umani» .

23 Cfr. M. Bloch, Apologia della storia, Torino, Einaudi, 1969, p. 41.

24 « Se si ritiene - afferma Salvadori - che gli atti della soggettività siano meri "accidenti" di una sostanza strutturale - magari movimenti "liberi", ma liberi entro un recinto sociale predeterminato, che è quello che conta - allora la storia dell'agire umano è identificabile con la storia dei movimenti evolutivi delle strutture. In un quadro del genere la storia individualizzante diventa storia non scientifica, meramente "empirica", espressione fenomenica della sostanza profonda. Se, al contrario, si pensa che esistano momenti dell'agire umano (quello che chiamo "innovativo") basati su fini e valori soggettivi, la cui caratteristica peculiare è di produrre atti storici "unici" e di decisiva importanza - e quindi non riducibili ai movimenti entro il recinto di cui parlavo sopra - in questo caso lo storico dovrà accettare non soltanto l'utilità, ma anche la necessità di un'analisi individualizzante. La narrazione di quegli atti diventa lo strumento indispensabile della loro "unicità" storica» (M. L. Salvadori, Storiografia e forme dell'agire umano, in Aa.Vv., La storiografia contemporanea, cit., p. 380). Cfr. anche P. Veyne, Come si scrive la storia, Roma-Bari, Laterza, 1973, pp. 298 sgg., e E. Sestan, La storiografia dell'otto e novecento, cit., p. 99.

25 Cfr. J. Tosh, Introduzione alla ricerca storica, cit., pp. 129-130.

26 Cfr. P. Veyne, Come si scrive la storia, cit., p. 305; cfr. anche P. Ricoeur, Tempo e racconto, cit., pp. 296 sgg.

27 Cfr. K. G. Faber, Cogito ergo sum Historicus novus, in Aa.Vv., La teoria della storiografia oggi, cit., p. 217; cfr. anche J. Tosh, Introduzione alla ricerca storica, cit., p. 132. Paul Ricoeur, in Tempo e racconto, cit., p. 331, precisa che l'analogia tra il tempo degli individui e il tempo delle civiltà è un'« analogia di crescita e di declino, della creazione e della morte» ..

28 Cfr. L. Febvre, Martin Lutero, Roma-Bari, Laterza, 1974, p. 7; cfr. anche, dello stesso autore, Problemi di metodo storico, Torino, Einaudi, 1992, pp. 111-112.

29 Cfr. R. Romeo, in Aa.Vv., Biografia e storiografia, cit., pp. 122-123, che afferma: « In qualunque libro di storia, sia esso intitolato a Carlo Magno o al Sacro Romano Impero, oppure a Bismarck, all'età dell'unificazione tedesca, in ogni pagina continuamente si succedono discorsi attinenti a fatti puramente biografici e individuali e discorsi relativi agli effetti che l'azione individuale ha avuto sui fatti e, all'inverso, sull'influenza delle situazioni strutturali e collettive condizionanti l'agire individuale. Nei libri di storia ogni resoconto di avvenimenti umani è un continuo va e vieni fra questi momenti diversi, e dunque questa di biografia e storia è solo una distinzione di generi letterari che non bisogna poi prendere troppo sul serio» .

30 G. De Rosa, in Aa.Vv., Biografia e storiografia, cit., pp. 54 sgg.

31 Cfr. G. Levi, Les usages de la biographie, cit., pp. 1332-1333, che sottolinea come l'approccio antropologico ed anche psicoanalitico abbiano suggerito agli storici « d'aborder le mat&eacuteriau biographique de fa&ccedilon plus probl&eacutematique, en repoussant l'interpr&eacutetation univoque des destin&eacutees individuelles» ed inoltre li ha guidati « à un usage plus maitrisé des formes narratives» e « vers des tecniques de communication plus respectueuses du caract&egravere ouvert et dynamique des choix et des actions» ; cfr. anche P. Gay, Storia e psicanalisi, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 25 sgg., 104, 182, in cui, nell'ambito di uno stimolante bilancio teorico e storiografico del rapporto tra storia e psicologia, l'autore, pur attribuendolo ai « dolori» della crescita, riconosce nel « riduzionismo» il peccato in cui piú frequentemente è caduta la psicostoria.

32 J. Tosh, Introduzione alla ricerca storica, cit., pp. 98-99.

33 Cfr. P. Gay, Storia e psicanalisi, cit., pp. 25 sgg., in cui si afferma addirittura che « lo storico di professione è sempre stato [...] uno psicologo dilettante. Lo sappia o no, egli opera seguendo una teoria della natura umana: attribuisce motivazioni, studia passioni, analizza comportamenti irrazionali e costruisce il proprio lavoro sulla tacita convinzione che gli esseri umani presentino tratti stabili e caratteristici, modi di affrontare le loro esperienze che siano prevedibili o almeno conoscibili» . Aggiunge anche che è la biografia il genere storiografico piú di altri interessato a tutto ciò.

34 Cfr. L. Stone, Viaggio nella storia, cit., p. 100.

35 Cfr. P. Gay, Storia e psicanalisi, cit., pp. 26 sgg., 33 sgg., 137 sgg., 202 sgg. Secondo l'autore gli storici che negano come vero argomento della loro disciplina l'uomo, sono assai pochi, ma ciononostante quasi tutti « si innervosiscono» quando si trovano davanti i « bisogni segreti» del cuore dell'uomo, « ancora piú segreti di quanto Bloch poteva supporre» . Ed è soprattutto quando « lo storico incomincia ad occuparsi delle intenzioni, entrando cosí nella sfera della razionalità del valore, che la psicanalisi ha una funzione esplicativa piú chiara e visibile, perché i valori che le intenzioni incarnano possono trovarsi al di sotto del livello razionale» . Insomma, per Gay, storia e psicoanalisi sono entrambe « scienze della memoria» perché cercano motivazioni nel passato, tentano di stabilire ciò che è stato; ed è proprio in ragione di ciò che possono proficuamente collaborare alla « conoscenza piú salda che mai della totalità dell'esperienza umana» , che è « ad un tempo storica e psicologica» .

36 Cfr. G. Levi, Les usages de la biographie, cit., p. 1331.

37 Ivi, p. 1332.

38 Cfr. R. Romeo, in Aa.Vv., Biografia e storiografia, cit., pp. 37-38.

39 Cfr. R. De Felice, ivi, pp. 50-51.

40 Cfr. B. Vigezzi, ivi, pp. 33 sgg.

41 Cfr. E. Lepore, Una storiografia di transizione?, in Aa.Vv., La storiografia contemporanea, cit., p. 368; cfr. anche L. Febvre, Problemi di metodo storico, cit., p. 111.

42 Cfr. G. Levi, Les usages de la biographie, cit., pp. 1333 sgg.

43 Cfr. S. Veca, Pluralità di paradigmi e varietà di risposte, in Aa.Vv., La storiografia contemporanea, cit., pp. 413 sgg.; ivi cfr. anche D. Conte, La storiografia come scienza sociale e storica, cit., pp. 78 sgg. e 86.

44 Cfr. M. Weber, Il metodo delle scienze storico-sociali, Milano, Mondadori, 1974, pp. 84 sgg., 215 sgg.

45 Cfr. G. R. Elton, Ritorno alla storia, cit., p. 24.

46 Cfr. A. Saitta, Avviamento allo studio della storia, Firenze, La Nuova Italia, 1974, p. 6. « Questa disposizione - afferma Saitta - a rifiutare sempre lo schema operativo contraddetto dai risultati della ricerca e mai il documento costituisce la vera, piú autentica imparzialità dello storico» .

47 In Italia la « vittima» piú illustre che ha ceduto alle lusinghe della biografia può forse considerarsi Benedetto Croce, il quale, pur avversando questo genere sul piano teorico, in coerenza col suo hegelismo, lo ha purtuttavia coltivato nelle sue opere « minori» . Eppure, come scrisse acutamente Federico Chabod, sono proprio queste ultime ad essersi rivelate esemplari « per l'armonia di linee, la naturalezza dei trapassi di piano in piano, la costante pienezza delle cose concrete» e ci hanno restituito « un Croce che potrebbe sembrare minore, nei confronti del piú noto Croce delle grandi opere storiche, e minore invece non è» (F. Chabod, Lezioni di metodo storico, Roma-Bari, Laterza, 1973, pp. 192 sgg.).

48 Cfr. P. Burke, Sociologia e storia, Bologna, Il Mulino, 1982, pp. 30 sgg.; cfr. anche W. J. Mommsen, La storia come scienza sociale e storica, cit., pp. 33 sgg., e J. Topolski, Il carattere scientifico della storiografia ed i suoi limiti, cit., pp. 159 sgg.

49 Cfr. M. L. Salvadori, Storiografia e forme dell'agire umano, cit., p. 381.

50 Cfr. P. Veyne, Come si scrive la storia, cit., pp. 4-5.

51 Ivi, pp. 295 sgg., pp. 303-304, 428.

52 Cfr. L. Febvre, Problemi di metodo storico, cit., p. 107.

53 Cfr. P. Veyne, Come si scrive la storia, cit., p. 387; cfr. anche L. Febvre, Problemi di metodo storico, cit., p. 310, che dichiara: « siamo noi a foggiare e rifoggiare senza posa queste catene [...] nel nostro bisogno di organizzare il passato, di mettere ordine e regole nell'insieme perpetuamente in moto, nello sfarfallio e nello scintillio dei fatti che, senza leggi apparenti, si urtano, si confondono, si condizionano reciprocamente intorno ad ogni uomo ad ogni istante della sua esistenza e, dunque, nell'esistenza della società della quale fa parte» .

54 Cfr. P. Ricoeur, Narrative time, in « Critical inquiry» , VII, 1981, pp. 183 sgg., citato in H. White, La questione della narrazione nella teoria contemporanea della storiografia, cit., p. 71.

55 Cfr. A. Ja. GurevicÈ, La storia, dialogo con gli uomini delle età passate, cit., p. 237.

56 Cfr. L. Febvre, Problemi di metodo storico, cit., pp. 169-170.

57 Cfr. P. Veyne, Come si scrive la storia, cit., p. 43; cfr. anche E. Sestan, Storiografia dell'otto e novecento, cit., pp. 80, 101, che mette in guardia dall'« accentuare ciò che è duraturo, ciò che caratterizza sotto determinati aspetti un lungo periodo» perché « si corre il rischio di perdere di vista ciò che è movimento e cangiamento, cioè la vita, cioè la storia» .

58 Cfr. C. E.Reagan and D. Stewart, eds., The Philosophy of Paul Ricoeur, Boston, 1978, pp. 77-79, citato in H. White, La questione della narrazione nella teoria contemporanea della storiografia, cit., pp. 69-70.