next essayprevious article indice volumeStudi Storici 2, aprile-giugno 1995 anno 36


LA SOCIALDEMOCRAZIA TEDESCA NELLO SPECCHIO DELLA "CRITICA SOCIALE" (1899-1904)

Giorgio Trichilo

Tra le esperienze politiche dei partiti socialisti europei l'attività della socialdemocrazia tedesca continuò ad essere per la « Critica sociale» oggetto di interesse in modo preminente anche all'inizio dell'età giolittiana. In questo periodo il confronto tra la politica della Spd e quella del Psi forní infatti elementi nuovi alla rivista diretta da Filippo Turati per valutare in una dimensione piú ampia la svolta riformistica dei socialisti italiani.

Come è noto, già all'indomani del successo elettorale del 1890 il partito guida della II Internazionale aveva assunto anche in Italia una funzione paradigmatica e nel primo decennio di pubblicazione la « Critica sociale» aveva piú volte fatto riferimento agli sviluppi della sua azione per favorire la maturazione di una reale coscienza socialista nel nostro paese1.

« A costo di passare agli occhi di piú d'uno per bigotti di quanto è opera ed esempio del socialismo germanico» , 2la « Critica sociale» aveva evidenziato la connotazione marxista del nuovo programma di Erfurt, documento che divenne un'importante pietra di paragone per il giovane socialismo italiano, impegnato ad affermare la propria autonomia dal radicalismo democratico e dall'anarchismo e a dare vita a un soggetto politico che fosse espressione cosciente del movimento operaio. In seguito ospitò nelle sue pagine articoli dei principali esponenti della socialdemocrazia tedesca, come Karl Kautsky e Friedrich Engels, che offrirono notevoli spunti di discussione per la rivista. Erano gli stessi anni in cui la « Critica sociale» cominciava a interessarsi di problematiche destinate agli inizi del nostro secolo a diventare in tutta la loro complessità la materia del dibattito interno al Psi sia in rapporto alla situazione nazionale sia in rapporto alle evoluzioni in atto nel socialismo internazionale e in primo luogo nella Spd.

Per il Psi si posero sul tappeto problemi già emersi sul finire del secolo scorso, ma che ora si inserivano in una prospettiva nuova, che influí gradualmente sull'approccio della « Critica sociale» al modello socialdemocratico tedesco.

I modi e i limiti dell'attività del partito della classe operaia all'interno di istituzioni considerate, in un'ottica marxista, borghesi; il dialogo con le forze del liberalismo progressista; il nesso tra il grado di sviluppo della società capitalistica e la possibilità di una sua trasformazione condotta da un proletariato maturo e consapevole del suo ruolo politico e sociale: su questi temi si sviluppò nelle pagine della rivista il confronto tra l'esperienza del Psi e quella della Spd, al cui interno, in questi anni, emerse lo scontro sulle tesi revisionistiche di Eduard Bernstein.

Quale fu l'atteggiamento della « Critica sociale» di fronte alla controversia ideologica in atto nel socialismo tedesco? Esiste un nesso tra le prese di posizione della rivista turatiana nei confronti del riformismo socialista e le sue opinioni intorno ad alcuni punti del revisionismo bernsteiniano? Quale fu il vero significato della Bernstein Debatte per la « Critica sociale» e in relazione a che cosa deve essere preso in esame? Per tentare di rispondere a queste domande e avviare una riflessione sotto certi versi nuova su temi già ampiamente affrontati dalla storiografia italiana è opportuno innanzitutto precisarne il metodo e l'obiettivo.

Uno studio sul confronto tra il socialismo italiano e quello tedesco attuato dalla « Critica sociale» all'inizio dell'età giolittiana deve prendere in considerazione i suoi aspetti propriamente politici. Gli articoli della rivista offrono in questo senso un preciso angolo visuale che - seppur limitato ad alcuni problemi specifici - consente di spostare questa analisi dallo schema interpretativo fornito dalla dicotomia « ortodossia/revisionismo» ad uno diverso, teso a vedere anche nel rapporto con la socialdemocrazia tedesca - e con ciò che questo partito rappresentò in quegli anni - un momento fondamentale del tentativo del Psi di stabilire una sintesi tra elementi strategici del marxismo e soluzioni tattiche gradualistiche e riformistiche.

È stata piú volte sottolineata la scarsa dimestichezza di Turati con la teoria marxiana e messo in rilievo come le lacune teoriche del direttore abbiano non solo causato un contatto superficiale e parziale della « Critica sociale» con il revisionismo, ma anche provocato un sostanziale disinteresse per le sue problematiche. Questa tesi è in un certo modo avallata dalle stesse dichiarazioni di Turati che cosí puntualizzava la linea editoriale della rivista in merito agli echi del revisionismo in Italia: « È sottinteso che, in queste giostre affatto teoriche fra collaboratori, la Direzione sta alla finestra a guardare, riservandosi di intervenire soltanto per motivi d'ordine e di sicurezza, o quando gli spettatori, rumoreggiando, reclamassero la fine del divertimento» . 3Spiegare lo scarso interesse della « Critica sociale» per l'argomento facendo ricorso unicamente al carattere empirico del marxismo di Turati risolve, tuttavia, solo parzialmente la questione del significato per questa rivista del revisionismo tedesco: questa linea interpretativa ha indotto, in generale, a tracciare facili paralleli tra questo e il riformismo italiano, quasi che il secondo non fosse altro che l'effetto pratico di una adesione incondizionata ai postulati bernsteiniani senza un'adeguata e compiuta riflessione su di essi4.

È vero, nelle pagine della « Critica sociale» ci troviamo di fronte all'assenza di un approfondimento teorico del revisionismo marxista e la polemica viene seguita esclusivamente su un terreno politico. Su questo terreno, però, si possono rilevare punti che emergono in tutta la loro importanza se messi in relazione alle esigenze tattiche che in Italia, come in altri paesi d'Europa, maturavano all'interno del movimento socialista.

L'obiettivo di una nuova riflessione sulla natura della ricezione di Turati e della « Critica sociale» della Bernstein Debatte come fatto politico non è, pertanto, stabilire se o quanto il direttore e la sua rivista furono ortodossi o revisionisti, « kautskiani» o « bernsteiniani» . Occorre invece mettere in risalto come la discussione in Germania fece scaturire delle precise aspettative da parte della rivista nei confronti del modello tedesco, viste come una logica conseguenza di atti e decisioni, grazie ai quali la Spd aveva assunto una precisa immagine nelle sue pagine. Un'immagine, legata all'evolversi del dibattito politico del Psi e che, come tale, conobbe nel periodo che va dal 1899 al 1904 un profondo mutamento, frutto di una riconsiderazione critica della funzione paradigmatica svolta dalla Spd.

L'asse intorno al quale si sviluppò l'interpretazione politica del revisionismo di Bernstein da parte della « Critica sociale» fu il rapporto tra socialismo e democrazia. Un rapporto, quest'ultimo, che occupava una posizione di primo piano nell'opera di Bernstein e che costituí sin dalla sua nascita uno dei punti fermi di quella del foglio turatiano.

Socialismo e democrazia: un legame che poneva concretamente il problema della cittadinanza politica del proletariato all'interno delle istituzioni e quello del senso di questa cittadinanza, con tutte le sue conseguenze, al fine di una trasformazione della società. Nei suoi Voraussetzungen il revisionista tedesco scriveva infatti che « il principio della democrazia è la soppressione del dominio di classe» ; 5e da questa affermazione faceva scaturire precise finalità pratiche: « la socialdemocrazia non vuole distruggere questa società o proletarizzare l'intera massa dei suoi membri; essa anzi opera incessantemente per elevare il lavoratore dalla condizione sociale di proletario a quella di cittadino e quindi a generalizzare il sistema civile ( B&uumlrgerthum) o la condizione di cittadino (B&uumlrgersein)» .6

L'impostazione evoluzionista e gradualista di Bernstein non poteva non interessare la « Critica sociale» . Senza dubbio vi era in Turati e in altri collaboratori della rivista e futuri esponenti del socialismo riformista una certa predisposizione intellettuale prima ancora che politica ad accogliere alcuni spunti del pensiero del socialdemocratico tedesco.

La rivista accolse tuttavia con cautela le novità che giungevano dalla Germania. Durante la reclusione in carcere, le pubblicazioni tedesche rappresentarono per Turati alcune delle sue letture preferite7, ma le preoccupazioni politiche e gli sviluppi della situazione italiana confinavano in secondo piano la volontà di un approfondimento teorico. Nello scambio di lettere con Bebel e Kautsky, con i quali Turati corrispose in questo periodo, vi furono accenni alla Bernstein Debatte, ma questa polemica, proprio perché era sentita estranea alla reali esigenze del Psi, non divenne l'oggetto principale - salvo, come vedremo, alcune precise eccezioni - di queste lettere8.

Il primo intervento diretto della rivista sull'argomento fu l'editoriale dedicato al congresso della Spd di Hannover del 18999. Il revisionismo di Bernstein si configurava come un aspetto del tutto fisiologico e del marxismo e del dibattito teorico di un partito che aveva dato fino a quel momento prova di grande maturità: « Le critiche di Bernstein e seguaci al programma del partito - affermava Turati - non furono in fondo che l'esagerazione teoretica di una tendenza necessaria. La loro esistenza è benefica quanto sarebbe deleterio il loro sopravvento» . 10Si evidenziava, inoltre, la sostanziale unità ideologica e politica della Spd:

L'eresia, dove non sia il prodotto di personali vanità o di meschini ripicchi, ma esca dal conflitto delle cose reali, è il miglior aiuto, la vera pietra di paragone per la teoria che sembra attaccare, è controllo e stimolo continuo di revisione e di perfezionamento; è sale di vita che allontana la putrefazione. Se gli attacchi di Bernstein non fossero stati, il partito socialista tedesco non avrebbe aggiunto all'elenco il piú grande e il piú salutare dei suoi Congressi11.

Questo giudizio era del tutto coerente con alcune precedenti prese di posizione di Turati sulla cosiddetta crisi del marxismo. La « Critica sociale» aveva sottolineato, infatti, la necessità di distinguere la profondità e l'originalità della proposta che giungeva dalla socialdemocrazia tedesca dalle critiche provenienti da altre parti: la revisione di Bernstein, in sostanza, era ben diversa da quella di un Merlino o di un Sorel.

Sulla peculiarità delle tesi bernsteiniane come fattore di sviluppo del marxismo aveva espresso in un primo tempo giudizi positivi lo stesso Antonio Labriola, il quale, valutandone in modo piú rigoroso di Turati le sottili implicazioni teoriche non solo aveva fatto notare in una lettera a Kautsky che « Marx ed Engels non hanno completato il loro sistema, e cosí, i marxisti, ognuno a suo modo, dovranno completare il marxismo» , 12ma aveva dichiarato in seguito che: « Sotto il rispetto pratico in genere, e politico in ispecie, ciò che pomposamente chiamiamo crisi del marxismo non potrebbe avere, a mio avviso, importanza che nella sola Germania, perché in Germania soltanto ci fu tale congiunzione tra movimento operaio socialistico e marxismo, da rassomigliare a un di presso a perfetta fusione» .13

Il fatto che in Germania la discussione avvenisse tra valenti socialisti marxisti spingeva anche Turati a sottolinearne la legittimità ideologica e politica e a prendere le distanze da altre correnti revisionistiche non di matrice marxista. In quest'ottica si inseriva la critica apparsa sulla rivista alle tesi di Merlino14. Sotto accusa non era il tentativo di riesaminare alcuni punti della dottrina marxista per adattarli ai nuovi risultati dell'esperienza, ma la prospettiva entro cui l'ex anarchico napoletano aveva condotto questo tentativo: il rifiuto di una impostazione classista dell'evoluzione della lotta per il socialismo, la riduzione di quest'ultimo a una vaga ispirazione di giustizia e libertà15.

Il dibattito in corso nella Spd presentava caratteristiche profondamente diverse, in quanto in Germania la polemica partiva da un fedele amico di Friedrich Engels ed esponente di punta del partito durante il periodo della Sozialistengesetz e forniva un valido stimolo alla riflessione politica della Spd. Su questo punto Turati fermava l'attenzione alla fine del suo editoriale:

Essa nasce dalla necessità di gradualità e adattamenti, da cui la tattica socialista non potrà mai liberarsi, salvo la questione di natura e di modo; essa seguirà il partito come l'ombra il corpo, anzi come al diritto aderisce il rovescio, or piú or meno accentuandosi e formando tema di discussione, a seconda dei tempi e degli eventi16.

Il congresso di Hannover sembrava confermare quanto Turati aveva sostenuto contro Sorel proprio sulle pagine della « Critica sociale» . In uno degli ultimi articoli prima della chiusura della rivista in seguito alla crisi del '98, egli aveva osservato come al marxismo restasse « quella facoltà di revisione di se stesso, quella potenza di autocritica e di assiduo perfezionamento, di cui si fanno forti coloro che ne annunciavano la crisi e ne preconizzavano il dissolvimento» .17

Se il revisionismo sul piano teorico appariva frutto di un'esigenza di continua evoluzione insita nel socialismo marxista - un'evoluzione che per la « Critica sociale» aveva « aria di famiglia» - 18 sul piano politico faceva emergere la questione dell'attualità e dell'attuabilità della tattica socialista. In relazione alla tattica, in una nota intervista all'« Avanti!» , rilasciata dopo la scarcerazione, Turati aveva dichiarato:

Tu sai che da lungo tempo io andava predicando, non certo la fusione, ma un'intesa con i repubblicani ed i radicali [...] No, la democrazia, in Italia, non ha ancora esaurito il suo compito storico, e nostro dovere non è quello di osteggiarla, ridurla all'impotenza, ma di aiutarla a compiere la sua missione, per poterne poi, un giorno, raccogliere l'eredità feconda19.

La « Critica sociale» aveva affrontato questo problema sia all'indomani della rivolta dei Fasci siciliani, sia nell'ultimo scorcio del secolo scorso quando i socialisti avevano non solo aderito alla Lega della libertà con radicali e repubblicani, ma anche preso parte a cartelli elettorali comuni.

Per confermare la corrispondenza di questa tattica ai principi del marxismo, il riferimento alla socialdemocrazia tedesca divenne una costante della linea della « Critica sociale» . Non si trattava, però, di una mossa puramente strumentale: secondo Turati esistevano precise affinità tra la politica del Psi e della Spd.

Nell'ultimo decennio del secolo scorso la politica della Spd fu, perciò, oggetto di approfondimento nelle pagine della « Critica sociale» . Sulla scia delle affermazioni di Turati e Labriola nel 1890, secondo i quali la socialdemocrazia tedesca era « antesignana del proletariato universale e preparatrice consapevole della rivoluzione sociale» , 20la rivista si sforzò di trovare ulteriori elementi che convalidassero questa tesi.

Il problema di fondo, pertanto, legato indissolubilmente all'impatto della Bernstein Debatte sulla riflessione politica della rivista, è quello di cogliere gli aspetti rilevanti dell'immagine della socialdemocrazia tedesca nello specchio della « Critica sociale» per sottolineare le lacune e gli elementi di ambiguità che stanno alla base delle successive prese di posizione sulla controversia revisionistica e sulla sua relazione con la politica della Spd.

La vittoria elettorale del 1890 e le conclusioni del congresso di Erfurt avevano fornito ai socialisti italiani la prova della validità del modello della Spd. Ha osservato acutamente Leo Valiani: « Il marxismo [...] Turati l'interpretava perfettamente compatibile, nelle condizioni italiane, ossia in un paese che aveva conquistato da poco la sua indipendenza e unità nazionale attraverso il congiungimento del metodo liberale e dell'iniziativa democratica, con l'evoluzione sociale graduale della democrazia politica alla quale il regime parlamentare cominciava a avvicinarsi anche in Italia» . 21Queste valutazioni nascevano senza dubbio anche grazie alla precisa influenza della socialdemocrazia tedesca. Il marxismo si configurava in primo luogo come la base ideologica di un partito uscito rafforzato dalla esperienza della Sozialistengesetz e divenuto, attraverso una forte organizzazione e una valida elaborazione programmatica, un serio interlocutore delle forze e delle istituzioni borghesi.

La socialdemocrazia tedesca dimostrava di possedere due requisiti necessari a una matura forza socialista: una fisionomia precisa e la consapevolezza che la rivoluzione fosse un fatto politico collegato a trasformazioni socio-economiche e lontano da qualsiasi atto volontaristico e insurrezionale come sostenevano gli anarchici. Su questo punto la « Critica sociale» insisterà a piú riprese nell'ultimo decennio dell'Ottocento, sviluppando contemporaneamente la riflessione sul significato della cittadinanza politica della classe operaia. Una riflessione che divenne per la rivista una via di assimilazione della tattica della socialdemocrazia tedesca ben prima dello scoppio della Bernstein Debatte, a sua volta percepita come un momento di verifica di un'impostazione politica ormai consolidata.

Sono degne di nota, pertanto, le osservazioni di Turati a due interventi apparsi a poca distanza l'uno dall'altro nelle pagine della « Critica sociale» negli anni Novanta del secolo scorso: la famosa lettera di Engels, scritta in occasione della rivolta dei Fasci siciliani e l'introduzione ad un brano estratto da Ein sozialdemokratischer Kateschismus di Karl Kautsky, apparso sulla « Neue Zeit» . Due scritti, utilizzati in modi e tempi diversi da Turati per legittimare ideologicamente l'evoluzione tattica del Psi, senza però cogliere la differenza tra la natura delle elaborazioni in atto nella socialdemocrazia tedesca e la loro « traduzione» in termini politici nelle pagine della « Critica sociale» .

Nel famoso scritto di Kautsky sono due le considerazioni fondamentali: la prima, secondo la quale la socialdemocrazia tedesca è « un partito rivoluzionario, ma non è un partito fabbricatore di rivoluzioni» , e la seconda, nella quale si afferma: « La democrazia non può eliminare le antitesi di classe del capitalismo; né stornarne l'esito fatale: ma ciò che essa può fare è di evitare, con una piú diffusa consapevolezza delle forze reciproche, sollevazioni premature da un lato e troppo temerarie resistenze dall'altro» .22

La « Critica sociale» presentava questo articolo per mettere in risalto la peculiarità della rivoluzione socialista, che non poteva prescindere da una valutazione consapevole delle dinamiche di sviluppo del rapporto tra Stato e movimento operaio. Questa convinzione faceva scrivere al direttore della rivista nell'introduzione all'articolo: « Il Kautsky si occupa di un "Catechismo democratico" [...] Egli comincia col censurare l'atteggiamento nichilistico di quei socialisti che credono di potersi sbarazzare della questione repubblicana col dire che, la repubblica essendo anche una forma di governo capitalista, essendo anzi l'ideale del capitalismo, il socialismo non ha niente a che fare» 23. Si delinea qui, chiaramente, l'interesse specifico per il rapporto socialismo e democrazia e per il suo legame con quella rivoluzione di cui la socialdemocrazia tedesca, anche in virtú dei giudizi kautstkiani, appariva di nuovo « l'antesignana consapevole» .

Sulla questione verteva anche lo scambio di opinioni tra Turati, la Kuliscioff ed Engels. Non vale spendere altre parole sull'importanza per l'evoluzione tattica del Psi della lettera scritta dal pensatore marxista all'indomani della rivolta dei Fasci siciliani: questo documento rimase un punto di riferimento obbligato negli anni che condussero all'adozione della tattica riformistica24.

Fedele allo schema del Manifesto, Engels consigliava una collaborazione tra socialisti e democratici a patto di salvaguardare l'autonomia degli uni dagli altri. L'obiettivo della repubblica democratica, quindi, si profilava come un delicato passaggio politico nel quale non doveva venire meno la matrice classista dell'azione del Psi25. Indicazioni che trovavano, come ha giustamente rilevato lo Strik Livers26, scarsa corrispondenza nelle caratteristiche della realtà italiana. Poco tempo prima la Kuliscioff aveva evidenziato in una lettera a Engels, l'inconsistenza politica della democrazia radicale, rappresentante della piccola borghesia italiana e, quindi, con « tutti i difetti del ceto di cui emana» .27

L'evolversi della situazione nazionale indusse la « Critica sociale» a una revisione di questo giudizio. La formazione della Lega della libertà segnava l'inizio di un dialogo tra democratici e socialisti, che forní l'ossatura della nuova tattica del Psi. Ecco allora tornare di attualità i giudizi engelsiani, il nuovo richiamo al Manifesto: « Questo momento - scriveva Turati sotto i colpi della repressione crispina - l'ha scelto Crispi e a noi non rimane che dargli il benvenuto» . 28Una revisione, perciò, dovuta a un problema di effettiva necessità di lotta per la democrazia come presupposto indispensabile per un ulteriore sviluppo politico e nel contempo frutto della consapevolezza del lento ma significativo sviluppo del capitalismo italiano, le cui conseguenze politiche secondo Turati non potevano sfuggire a un partito che aveva desunto dal marxismo l'importanza dei processi economici. Ne scaturivano scelte tattiche che sembravano trovare nella loro piattaforma ideologica il comune denominatore con le scelte della socialdemocrazia tedesca.

La fine del secolo scorso, infatti, vide la Spd prospettare aperture verso il liberalismo progressista. Il partito accettò intese elettorali con la sinistra liberale in Prussia, dove il sistema elettorale delle tre classi rendeva ardua una vittoria autonoma della Spd. Questa politica trovava d'accordo, seppure da angolature diverse che lo scontro sul revisionismo evidenzierà profondamente, i maggiori esponenti del partito. Bebel, uno dei sostenitori dell'intransigenza, aveva motivato cosí la momentanea inversione di rotta: « Noi non dobbiamo rimanere indifferenti alla battaglia condotta dalla borghesia contro gli Junker e contro il loro dominio politico, ma dobbiamo sostenerla» .29

Sulla stessa lunghezza d'onda si trovava Turati, che riportando analoghe osservazioni di Kautsky sulla « Critica sociale» , affermava: « Speriamo che il memore lettore constaterà in questa recente prosa del Kautsky la rispondenza perfetta a tutto ciò che noi abbiamo asserito e sostenuto in materia di tattica» . 30Una posizione condivisa anche da Claudio Treves, che commentando le conclusioni del congresso di Amburgo del 1897, nel quale si confermavano le aperture elettorali in Prussia, ammoniva: « L'insegnamento è buono per la Germania e per ... altrove: approfittiamone come ha mostrato di saperne approfittare il partito socialista tedesco» .31

Fin qui l'azione della socialdemocrazia tedesca nello specchio della « Critica sociale» . Ma quanto corrispondeva questa immagine alla realtà? Erano chiari alla « Critica sociale» il quadro e le motivazioni che fecero da sfondo a soluzioni tattiche a prima vista affini a quelle del Psi?

Esula dai fini di questo saggio un'analisi dettagliata sul rapporto tra la socialdemocrazia tedesca e l'impero guglielmino; ma uno studio corretto delle lacune interpretative della « Critica sociale» sulla politica della Spd non può prescindere dall'evidenziare alcuni aspetti di questo rapporto. La necessità di un confronto con le istituzioni non solo influenzò i vari atteggiamenti verso la Bernstein Debatte all'interno della Spd, ma - ed è questo il punto essenziale - qualificò la questione in modo tale da porre agli occhi della II Internazionale, e di riflesso nella rivista turatiana, il problema della Spd come partito modello.

La collaborazione elettorale con i liberali prussiani fu il prodotto della presa d'atto da parte della Spd della realtà della politica tedesca, che rendeva quanto mai difficile per il partito l'acquisizione di una compiuta linea riformistica. Scriveva in quel periodo Bebel a Victor Adler: « Nessuno sa che cosa man mano si svilupperà nel nostro paese. Tutto è qui imprevedibile. Solo una cosa mi sembra certa: andiamo verso una catastrofe [...] La domanda è una sola: fino a che punto i partiti borghesi si opporranno a questa corsa a destra della nostra politica interna ed estera» .32

La grande industria e i grandi possidenti terrieri continuavano, infatti, a svolgere un ruolo predominante, che ostacolava l'evoluzione liberale del panorama politico tedesco: di qui il rapporto critico tra ideologia e prassi vissuto dalla Spd, che costituí l'altra faccia della medaglia della difficoltà di uno sviluppo della democrazia in Germania33.

Sottolineando questa specularità Egor L&oumlnne ha definito il confronto del movimento operaio tedesco con lo Stato e la società: « ambiguo in quanto la classe operaia e il partito socialdemocratico come suo principale rappresentante furono attratti e nello stesso tempo respinti ed emarginati dallo Stato esistente e dalla sua società attraverso un intreccio di forze e tendenze attraenti e respingenti» . 34Questa dialettica spiega in primo luogo le resistenze alla ricezione della proposta bernsteiniana da parte della Spd e in secondo luogo offre un elemento fondamentale per inquadrare in un'ottica storico-politica i giudizi della « Critica sociale» sul revisionismo.

Eccoci, nuovamente, al punto di partenza: il nesso tra socialismo e democrazia, fattore di divisione tra ortodossia e revisionismo in relazione sí ai principi del marxismo, ma anche alle soluzioni concrete per la democratizzazione dello Stato e al ruolo della socialdemocrazia tedesca per conseguire questo obiettivo.

In Germania - scriveva Bernstein a Bebel nel 1898 - il partito attraverso i suoi rapporti particolari è giunto ad una posizione di forza che è in contraddizione con l'ulteriore sviluppo politico. È giunto perciò ad una situazione delicata, che non è certo facilitata se battiamo ancora il tasto sulla fraseologia rivoluzionaria. Può essere facilitata solo se ci renderemo conto delle cose che si possono fare e di quelle che non si possono fare35.

Parole, queste, che suonavano come un invito a seguire in modo coerente l'accettazione del parlamentarismo come orizzonte privilegiato dell'azione della Spd formulata al congresso di Erfurt e adottare di conseguenza una tattica riformistica senza ambiguità. La risposta del leader socialdemocratico era quanto mai sintomatica della difficoltà della Spd a recepire la novità del messaggio bernsteiniano: « La questione di fondo per me è che sempre piú frequentemente ho avuto la convinzione che non ti ponga piú sul terreno socialdemocratico» .36

La Spd vedeva cosí contrapporsi al suo interno due tendenze rispetto alla funzione della democrazia nella lotta per il socialismo che facevano della Bernstein Debatte non solo una discussione intorno ai massimi sistemi, ma un dibattito politico, unito a filo doppio alle dinamiche reali dello sviluppo storico-sociale in Germania.

L'accento posto sulla cittadinanza politica del proletariato come fenomeno strutturale del processo democratico e della transizione al socialismo doveva indurre per Bernstein ad una critica del modo in cui la Spd aveva impostato il suo rapporto con le istituzioni: « La democrazia - si legge sempre nei Voraussetzungen - è una premessa del socialismo ben piú di quanto si pensi comunemente; e lo è non solo strumentalmente ma anche sostanzialmente. Senza un determinato complesso di istituzioni o tradizioni democratiche non sarebbe possibile la dottrina socialista contemporanea: esisterebbe un movimento operaio, ma non la socialdemocrazia» . 37La lotta di classe, il principio che garantiva l'autonomia politica del movimento operaio, diventava, perciò, parte integrante di quella pluralità di interessi tipica di una società democratica. Le intese con le forze liberali assumevano, quindi, un valore che andava ben oltre l'opportunità contingente, ma costituivano l'asse portante della tattica socialdemocratica38.

Al contrario di Bernstein - indubbiamente influenzato dal suo soggiorno in Inghilterra e dallo studio delle esperienze del movimento operaio inglese39 - il partito rimaneva fedele a quella concezione della democrazia contenuta nel già citato Catechismo socialdemocratico di Kautsky. Una concezione, legata alla tradizione politica della Spd, ma nello stesso tempo prodotto di un esame della realtà tedesca. A questo riguardo, il giudizio sulla collaborazione con i liberali svolge un'importante funzione esplicativa.

Il liberalismo di sinistra dimostrava la sua debolezza a svolgere un incisivo ruolo riformatore nel panorama politico tedesco, nel quale si trovava sempre in posizione di secondo piano40. Viveva inoltre una contraddizione interna: se da una parte si differenziava per la sua attenzione al valore della democrazia dal liberalismo conservatore, subalterno al blocco agrario-militare, dall'altra non riusciva a liberarsi fino in fondo, anche a livello psicologico e culturale, della pregiudiziale antisocialdemocratica, dei timori nei confronti di un partito che in età guglielmina rimaneva per i gruppi dominanti un soggetto politico eversivo.

Gli attacchi alle tesi bernsteiniane all'interno della Spd presentavano, quindi, una certa affinità con quelle dimostrate da una parte della sinistra liberale nei confronti del dialogo con i socialdemocratici auspicato da ambienti vicini alla rivista « Die Nation» . 41Era il riformismo democratico in sé, sia nella versione liberale che socialista, come catalizzatore di un'omogeneità tra sviluppo socio-economico e trasformazione politica a risultare un'opzione minoritaria e una strada senza sbocco in una Germania dove lo sviluppo capitalistico aveva favorito il formarsi di un movimento operaio fortemente organizzato e reso palese l'incapacità del liberalismo progressista di assumere una posizione autonoma e di leadership delle forze democratiche.

Sarebbe perciò limitativo spiegare solo in chiave prettamente ideologica la critica della Spd dell'interpretazione bernsteiniana della democrazia. Il concetto di democrazia come fine del dominio di classe era quanto mai difficile da cogliere in un paese in cui proprio il dominio degli Junker e della grande industria era stato il principio regolatore del consolidarsi dell'impero. La prospettiva marxiana di uno scontro finale tra borghesia e proletariato come momento risolutore della lotta di classe sembrava perciò trovare conferma nello scenario politico tedesco dove solo il proletariato svolgeva una reale funzione antagonista.

Ecco allora ritornare nelle parole di Kautsky al congresso di Stoccarda il richiamo alla democrazia come strumento in mano al proletariato per condurre la sua lotta rivoluzionaria contro la borghesia. La democrazia, in quest'ottica, diventava un elemento di costante verifica degli esatti rapporti di forza tra le classi, il cui antagonismo non veniva considerato come il fulcro, attorno al quale si sviluppava per Bernstein quel processo di consolidamento della pluralità di interessi, primo stadio del cammino verso il socialismo:

Se Bernstein pensa - affermava Kautsky - che noi dobbiamo avere prima la democrazia e poi, poco per volta il proletariato alla vittoria [...] io dico che la vittoria della democrazia è conseguente a quella del proletariato. Non possiamo realizzare la democrazia senza il proletariato42.

Da queste conclusioni scaturiva un atteggiamento di contrapposizione frontale con quel liberalismo che, sempre secondo Bernstein, era un necessario interlocutore della Spd. Su questo argomento interveniva Bebel ad Hannover, ribadendo la presa di distanza da Bernstein:

Il liberalismo è in ogni tempo ed in ogni luogo il rappresentante della borghesia e il socialismo gli si pone di fronte come il rappresentante politico della classe operaia, questa è la chiara espressione degli interessi di classe di entrambi, ognuno dalla sua parte, rappresentiamo. Finché i partiti liberali proteggono la borghesia non vogliamo avere nessun legame per non compromettere la lotta di classe43.

Nell'editoriale dedicato al congresso di Hannover, Turati si schierava con la risoluzione Bebel, ma sul tema della collaborazione con i liberali le distanze tra Bernstein e la Spd diventavano nella « Critica sociale» molto piú vicine, o perlomeno non cosí antitetiche, di quanto non fossero in realtà:

egli fa a un beninteso opportunismo - osservava Turati in merito alle conclusioni di Bebel - quelle concessioni che la logica tollera e la cui utilità è sanzionata dalla pratica. Il carattere rivoluzionario del partito non esclude il favore a tutte le riforme graduali, utili all'elevazione proletaria. Ad un patto però: che lo sforzo per ottenere le riforme non obliteri, neanche in minima parte, il carattere rivoluzionario del partito44.

L'adesione alla linea di Bebel riproponeva nelle pagine della « Critica sociale» la funzionalità del modello socialdemocratico tedesco agli sviluppi della politica del Psi. Ancora una volta la rivista trovava nella « traduzione» politica delle scelte della Spd la corrispondenza con quelle del Psi. E proprio sul tema delle alleanze e sul loro legame con l'adesione al marxismo, Turati e la Kuliscioff si rivolgevano con preoccupazione a Bebel sottolineando come: « sfortunatamente l'opportunismo è una pianta che mette radici dappertutto ed è pericolosa per lo sviluppo dei socialisti, che lottano sul terreno della lotta di classe» . 45A sciogliere i dubbi arrivava puntuale la risposta di Bebel che offriva la legittimazione della nuova tattica ricercata da Turati:

Naturalmente l'opportunismo non si lascia estirpare e in un certo senso siamo noi tutti opportunisti, come ho detto ad Hannover, noi certo non vogliamo l'impossibile, ma l'opportunismo non può nascere dall'illusione sulla natura e l'essere degli avversari, altrimenti sarebbe deleterio e ci porterebbe fuori strada46.

Poco tempo dopo, infatti, si leggerà sulla « Critica sociale» :

Opportunisti, dunque? E sia pure. Ma conviene intenderci un tantino sul valore della parola. Al futuro Governo democratico, da noi vagheggiato, noi non domandiamo alcuna cosa, né per le persone del partito, né pel partito medesimo in cui militiamo: sappiamo che l'avremo nemico. Ad esso domandiamo questo solo: che si adoperi a creare le condizioni favorevoli dello sviluppo civile del nostro paese47.

La svolta riformistica del Psi sembrava porsi per la « Critica sociale» nel solco tracciato dalla Spd ad Hannover e, perciò, distante dalle ambiguità delle vedute politiche di Bernstein, che la rivista continuava a giudicare in base alle risposte fornite dalla socialdemocrazia tedesca nei loro confronti. A confessarlo è lo stesso Turati in una lettera a Kautsky: « Nella Critica Sociale noi siamo stati volontariamente molto prudenti nelle nostre impressioni [...] Tuttavia io terrò conto delle Vostre osservazioni quando mi dedicherò di nuovo alla Vostra polemica con Bernstein» .48

La Bernstein Debatte torna di attualità nella rivista, ma l'argomento non è affidato alla penna di Kautsky, bensí a quella di Jean Jaur&egraves. Il socialista francese era propenso a cogliere le novità della proposta bernsteiniana capaci di innescare un processo di maturazione nella politica socialista, e nello stesso tempo avvertiva l'esigenza di inquadrarle in uno schema conforme al principio della lotta di classe marxista. Un'esigenza che emergeva in modo netto in merito al problema delle alleanze politiche. Sulla questione Jaur&egraves avvertiva: « La tendenza di Bernstein non è soltanto di consigliare una cooperazione accidentale o magari frequente della classe proletaria colle altre classi; esso va fino a fondere, a poco a poco, con una degradazione insensibile e perciò tanto piú pericolosa, la classe proletaria nelle altre classi, il partito socialista negli altri partiti» . 49Questa critica non presupponeva tuttavia un'adesione incondizionata alla linea kautskiana:

Io stimo, contro Bernstein, che la classe proletaria e la classe borghese sono e rimangono - checché si faccia - radicalmente distinte ed antagoniste ma stimo, contro Kautsky, che non si deve temere la molteplicità degli incontri e dei contatti fra la classe proletaria, padrona della sua coscienza e della sua azione, e le altre classi. E il perché, eccolo: egli è che è impossibile a una classe agire senza ingrandire la superficie di contatto fra essa e il resto della società umana50.

Rispetto ai giudizi di Turati, quelli di Jaur&egraves sulla Bernstein Debatte denotano una maggiore problematicità nell'affrontare l'argomento. Jaur&egraves coglieva un aspetto, compreso dalla « Critica sociale» solo dopo le elezioni tedesche del 1903: l'assenza di unità politica nella Spd, l'esistenza, per contro, di due atteggiamenti distinti intorno al contributo della democrazia per la transizione al socialismo.

Questi giudizi rimanevano per ora un caso isolato nella rivista turatiana, per la quale il dissidio tedesco restava essenzialmente una disputa teorica. Ancora nel 1901 Turati scriveva a Bernstein: « Non ho certo la pretesa di giudicare tra Voi, Kautsky e il marxismo puro, ma credo che il nostro partito non abbia che da guadagnare a sentire ed esaminare i risultati del dibattito» . 51Neanche l'inizio della corrispondenza di Turati con Bernstein coincide con una precisa scelta ideologica e politica. Si avverte, al contrario, la tendenza del direttore della « Critica sociale» a tenere distaccato il piano teorico da quello politico insito nella Bernstein Debatte. Questo scambio di lettere presenta analogie con quello intercorso con Kautsky. In primo luogo vi è sempre la richiesta di libri o di pubblicazioni: se a Kautsky richiedeva la nuova edizione del Programma di Erfurt ammettendo quanto fosse « necessario pubblicare un compendio dei principali fondamentali del socialismo scientifico» , 52a Bernstein richiedeva un'introduzione alla edizione italiana della Ursprung der Familie di Engels:

L'opera - confidava Turati - è a mio avviso un po' superata, la scienza ha fatto molti progressi dalla sua ultima edizione, le idee del marxismo, di Marx, e di Engels sul matriarcato e sull'evoluzione del matrimonio sono state forse superate e bisognerebbe quindi, dato come rilevante il valore e l'interesse dell'opera, completare con alcuni insegnamenti le lacune esitenti tra le conclusioni e le nuove prospettive, tracciare un profilo critico del pensiero di Engels su questa materia. Io credo che nessuno meglio di Voi potrebbe farlo con maggiore competenza e può darsi, con maggiore impegno [...] Questo sarebbe uno scritto di grande interesse, uguale a quelli cosí belli che scrivete sulla « Neue Zeit» .53

Il riferimento agli articoli della « Neue Zeit» , ai Probleme des Sozialismus, denota una sintonia di natura intellettuale, ma non comporta un cambiamento della posizione della « Critica sociale» sugli effetti del dibattito tedesco54. Per Turati in ambito politico il revisionismo bernsteiniano era del tutto compatibile con l'indirizzo generale della Spd, nei confronti del quale rimaneva sempre una « eresia benefica» . Esisteva, tuttavia, il pericolo che le tesi di Bernstein dessero adito ad una diffusione di una sorta di bernsteinismo, che di queste rappresentava uno sviluppo in senso negativo, se non un dannoso fraintendimento: era questa la linea della corrispondenza dalla Germania di Amedeo Morandotti, che considerava l'alleanza tra socialdemocrazia e Impero prospettata nel Demokratie und Keisertum di Friedrich Naumann un « bernsteinismo esagerato» .55

Davanti ai rischi di subalternità al sistema borghese, la Spd dimostrava, però, di non chiudersi in un rigido dogmatismo, ma di sapere risolvere i nuovi problemi con senso della realtà: « Oggi invece la tattica delle alleanze è quella che trionfa - puntualizzava Ivanoe Bonomi -. La vecchia Germania, la rigida Germania, dove l'incontaminata purezza del partito socialista pareva fin qui impedirgli ogni contatto con altre frazioni politiche, ha suggellato nella deliberazione di Hannover la tattica delle alleanze» .56

Salvaguardia della propria identità, aperture tattiche: due punti che per la « Critica sociale» confermavano la similarità della politica del Psi e della Spd. Era questa l'opinione di Garzia Cassola, che, nel 1902, rispondeva agli attacchi di Ferri contro l'ala riformista ricollegandosi alla posizione tenuta dalla rivista intorno alla Benstein Debatte: « Né è felice il raffronto con gli altri paesi. La tendenza riformista - scrive il Ferri - è la tendenza di Bernstein. Nemmeno a farlo apposta, i rei piú neri di questa tendenza, il Turati e l'"Avanti!", furono i difensori del Kautsky» .57

La fiducia nella linea kautskiana si inseriva, tuttavia, all'interno di una riflessione politica che trovava molti punti di contatto con i contenuti politici insiti nel revisionismo di Bernstein e, proprio per questo, non assimilabile all'impostazione del centro ortodosso della Spd. Si tratta, infatti, di una riflessione che può essere definita di natura bernsteiniana senza il timore di cadere in una forzatura interpretativa, in quanto si fonda su una concezione del nesso tra socialismo e democrazia, nella quale emerge, non certo attraverso una compiuta sistemazione teorica, il tema della cittadinanza politica del proletariato come cardine dell'azione socialista.

Nella già citata intervista all'« Avanti!» , Turati aveva osservato: « No, non è un fatto transitorio questo: è il principio di una nuova fase dell'esistenza del partito socialista, il quale, ormai, all'intransigenza assoluta, sostituisce il sistema di regolarsi rispetto ai partiti affini, secondo le varie esigenze di tempo e di luogo» .58

Successivamente sulla « Critica sociale» si cercò di definire i caratteri e le motivazioni della « non transitorietà» di questa nuova fase. Ed è proprio sulle aperture alla sinistra liberale giolittiana e alle forze democratiche che poggiava l'asse di questa nuova politica. La battaglia contro la reazione diventava sí lotta per la difesa della libertà, ma nello stesso tempo lotta contro l'egemonia delle classi parassitarie che formavano un'« Italia assente» , estranea al processo di trasformazione del tessuto socio-economico del nostro paese59.

Alla base della svolta riformistica, condivisa e fiancheggiata dalla rivista, vi era la certezza delle complementarietà tra sviluppo economico e salvaguardia della democrazia: l'alleanza con i radicali e i repubblicani e il dialogo con la sinistra giolittiana si inserivano proprio in questa prospettiva, all'interno della quale la transizione al socialismo si legava necessariamente ad una evoluzione matura del capitalismo60. Questo processo di modernizzazione sociale, quindi, doveva avere un preciso riscontro politico e secondo Turati i socialisti non potevano sottovalutarlo « senza venire meno ai fondamenti stessi della nostra dottrina» .61

La certezza della piena fedeltà ai principi marxisti rendeva perciò superfluo il problema di un'eventuale influenza del revisionismo sul riformismo italiano. Significativa, a questo proposito, era la spiegazione che della tattica riformistica dava Bonomi proprio sulla « Neue Zeit» :

lo speciale atteggiamento politico presentemente seguito dal Partito socialdemocratico italiano non è determinato da differenze teoriche coi compagni di fede del resto d'Europa, ma semplicemente dal diverso livello dello sviluppo economico, della diversa base delle classi e dei partiti. La teoria materialistica della storia insegna che l'atteggiamento dei partiti dipende dalle condizioni sociali. Il carattere speciale che noi vediamo assumere ai partiti socialdemocratici dei diversi paesi è soltanto la riprova palmare che dimostra la verità della dottrina marxista62.

Ma proprio in nome della comunanza ideologica della Spd e del Psi, preoccupato per una probabile involuzione di quest'ultimo in senso democratico borghese, Kautsky cercava spiegazioni da Turati: « Vi mando in lingua un articolo tratto dalla Frankfurter Zeitung - scriveva l'esponente socialdemocratico -. Io ritengo che voi o qualche Vostro collega facciate per la Neue Zeit un resoconto su come stanno le cose. La Frankfurter Zeitung è un importante giornale democratico, molto ben disposto nei confronti di Bernstein e sospettoso nei confronti dei socialisti come tutti i giornali» . 63Veniva dunque dalla socialdemocrazia tedesca il sospetto di possibili influenze bernsteiniane sulla tattica del Psi. Il sostegno del Psi a Giolitti portarono ad un esame ancora piú critico della Spd della politica italiana: non mancarono parallelismi tra il ministerialismo dei socialisti italiani e il millerandismo francese, ambedue erano visti come un prodotto di un riformismo che metteva in crisi l'identità marxista del socialismo.

Vi furono altri segnali concreti della contradditorietà che caratterizzò i rapporti della Spd con i socialisti italiani. La firma di Kautsky scompare dalla « Critica sociale» e la troviamo invece ne « Il Socialismo» , la nuova rivista di Enrico Ferri. Termina anche la sua corrispondenza con Turati, il quale troverà oltre Bernstein un interlocutore tedesco in Georg von Vollmar64. La « Neue Zeit» , inoltre, non annovera piú in questo periodo collaboratori come Bonomi e Treves, i cui articoli compaiono nei « Sozialistische Monatshefte» , l'organo dell'ala revisionista della Spd.

Manca tuttavia nelle pagine della « Critica sociale» la consapevolezza dei termini del dissidio in atto nella Spd intorno al rapporto socialismo-democrazia. Una lacuna della rivista, che riflette uno dei nodi piú spinosi della storia della II Internazionale: la necessità di adattare i principi del marxismo alle conseguenze politiche che derivavano dall'accettazione della democrazia liberale come cardine della tattica socialista65. Un nodo, questo, scaturito dal fatto che l'adesione al marxismo da parte dei maggiori partiti dell'Internazionale nacque grazie all'influenza dell'azione della Spd, maturata in un preciso contesto nazionale e assurta a modello di partiti che agivano in contesti diversi.

All'inizio del Novecento, quindi, il problema irrisolto per questi partiti, e tra questi e il Psi, rimaneva quello della rielaborazione della tattica del partito guida come momento essenziale di acquisizione del marxismo in quanto fondamento ideologico dei loro programmi. In Italia, a comprenderlo - non certo in chiave riformistica - fu Antonio Labriola che, scrivendo a Kautsky sulla natura politica della sua risoluzione sul caso Millerand, osservava acutamente: « Ti sei messo troppo dal punto di vista esclusivamente tedesco, dove il caso Millerand è proprio il puro possibile che si confonde con l'impossibile» .66

La « Critica sociale» non percepí l'ambiguità della risoluzione kautskiana votata al congresso internazionale di Parigi e come questa ambiguità andasse ricercata nella crisi del modello socialdemocratico in una dimensione internazionale. Ancora una volta, al contrario, è la ricerca delle affinità anziché il riconoscimento delle differenze - e dei motivi di queste differenze - a caratterizzare la linea editoriale della rivista: « Roma in questa via, presentiva e precorreva Magonza e Parigi» , 67con questa affermazione si tracciava un parallelismo tra l'esito del congresso dell'Internazionale, del congresso della Spd, che aveva ribadito l'appoggio ad alleanze elettorali in alcuni L&aumlnder e di quello del Psi, nel quale era stata ufficializzata la svolta riformistica.

Il socialismo italiano, al pari del socialismo internazionale, viveva quindi una nuova stagione politica, nella quale la lotta di classe acquistava forme piú complesse che, marxianamente, si adattavano a una determinata fase dello sviluppo capitalistico: è il leitmotiv, su cui batte Turati nel difendere la legittimità della nuova tattica. Non mancarono momenti di polemica nella rivista intorno a questo punto. In questa sede ci sembrano interessanti gli interventi di Turati nei confronti delle conclusioni di un vecchio collaboratore della « Critica sociale» , Errico De Marinis, secondo il quale l'adozione della tattica riformistica voleva dire l'abbandono del marxismo.

Completamente diversa la posizione di Turati: « Il riformismo sta alla riforma socialista e la pace alla lotta legalitaria socialista - rispondeva sulla « Critica sociale» - esattamente come i programmi borghesi - radicali quanto si voglia - stanno al programma nostro» . 68Prendeva poi in esame il concetto di lotta di classe in relazione allo sviluppo dei rapporti sociali e affermava: « la lotta di classe non è affatto nel pensiero marxista, come immagina il De Marinis, l'esclusivo fattore di movimento sociale [...] ma coesiste ed impera con esso un'immanente solidarietà delle classi, senza cui la società non reggerebbe un istante e il suo nome suonerebbe sarcasmo. Ha due campi delimitati; nella produzione la solidarietà prevale; nella distribuzione si scatena la lotta» . 69Ne scaturiva una scelta tattica perfettamente compatibile con la teoria marxista:

Quando si dice che quello del socialismo è il metodo della lotta di classe, non si esclude la solidarietà o cooperazione di classe, che è il presupposto implicito di ogni società che si regga; si intende bensí che, se è per la solidarietà che la società si mantiene, è per il contrasto e la lotta che essa si trasforma e progredisce [...] Lo spirito del marxismo non è nella sterile idolatria di questa o quella formula uscita dalla penna del maestro [...] Un marxismo cristallizzato è la negazione dello spirito suo70.

Non mancava, a sostegno di questa tesi, il riferimento alla Bernstein Debatte: « Le finalità del socialismo sono note e non si lasciano leggermente scambiare; la correzione bernsteiniana od altra - che vi si apportino, toccano la scadenza piú o meno vicina, la gradualità piú o meno lenta, le modalità superficiali dell'avvenimento, ma l'essenza del fine socialista rimane intatta» . 71Questo richiamo non può essere interpretato in questo caso solo come una precisazione. Se Turati, da un lato, non coglieva ancora la particolarità della proposta bernsteiniana rispetto alla linea politica della Spd e considerava quest'ultima sempre « un'eresia transitoria e benefica, che determina intanto qualche screpulatura superficiale nel partito» , 72l'accento posto su di essa in questa polemica confermava in pieno la tendenza del leader socialista a ritenerla un elemento basilare del dibattito politico della Spd intorno al valore della democrazia.

Come si è detto in precedenza, quindi, non è una forzatura interpretativa mettere in relazione alcuni spunti del pensiero di Bernstein con quelli del riformismo italiano. La tattica riformistica del Psi trova un punto di contatto con il revisionismo nel tentativo di unire le ragioni della lotta di classe all'esigenza di una concreta presenza socialista nelle istituzioni. Un'affinità di vedute che non può essere, tuttavia, spiegata ricorrendo a un semplice parallelismo. Il motivo per cui Turati non voleva, e in un certo senso non poteva, dirsi bernsteiniano va ricercata, ancora una volta, nella differenza di contesti entro cui avvennero simili riflessioni politiche.

Il Psi non aveva la forza organizzativa e numerica della Spd, l'Italia non conosceva un grado di sviluppo capitalistico simile a quello tedesco, il sistema politico italiano e la sua maggiore consistenza democratica poneva in termini diversi il dialogo dei socialisti con la sinistra liberale. Questi motivi influirono su alcune resistenze da parte del riformismo turatiano ad accogliere le ultime conseguenze delle tesi bernsteiniane. In merito alla relazione tra riformismo e revisionismo condividiamo, quindi, il giudizio di Gaetano Arfè, secondo il quale:

L'ipotesi di fondo, alla quale egli [Turati] si ispira, è per certi aspetti non dissimile da quella sulla quale Bernstein aveva fondato il suo revisionismo: la possibilità di una grande avanzata del movimento operaio, con metodi pacifici di lotta, nel quadro di un generale progresso economico. Tra le due posizioni però un elemento di differenziazione c'è, ed è profondo, anche se non nutrito da parte di Turati di indagini scientifiche e di originali elaborazioni teoriche: la fede viva e operante nel socialismo quale autonoma creazione del movimento operaio, secondo il classico schema marxista73.

Un atteggiamento che spiega il persistere di giudizi positivi nella « Critica sociale» sulla socialdemocrazia tedesca in una fase in cui il Psi stava seguendo una tattica non riconducibile alla politica del partito modello.

Occorreva capire questa diversità per inquadrare in un'ottica nuova la Bernstein Debatte e vedere in essa il tentativo di sciogliere i nodi lasciati irrisolti dalla Spd nell'affrontare la questione della democrazia e valutare, di conseguenza, l'attualità del ruolo paradigmatico di questo partito.

L'occasione giunse all'indomani delle elezioni in Germania nel 1903, che segnarono un grande successo per la socialdemocrazia tedesca. Prima di questa data si assiste ad un ulteriore avvicinamento di Turati a Bernstein senza che ci sia una ridefinizione critica della politica della Spd all'interno della rivista. È al socialdemocratico tedesco che il leader italiano, nel settembre del 1901, espone le lacerazioni in atto nel Psi, e in particolare nella sezione di Milano, provocate dalla svolta riformistica74. E sarà alla famosa frase « il fine è nulla, il movimento è tutto» che si richiamerà Turati per spiegare il principio informatore della nuova tattica nei seguenti termini: « i fatti, l'insegnamento dei fatti, hanno piú valore di qualsiasi teoria architettata a priori. È in questo senso unicamente che si deve intendere il motto bernsteiniano, ed è in omaggio a questo principio che il Congresso di Roma del '900, votò l'autonomia, fonte di esperienze e di confronti del piú alto interesse» .75

Neanche la pubblicazione di un articolo di Kurt Eisner, tratto dalla « Neue Zeit» e molto critico sull'azione del partito, vede Turati prendere a riguardo una netta posizione sulle contraddizioni dell'azione dei socialisti tedeschi.

L'esponente della corrente riformista della Spd metteva sotto accusa l'ambiguità, con la quale il partito affrontava temi importanti come il parlamentarismo e il ministerialismo. Secondo Eisner l'accettazione del parlamentarismo non aveva condotto la Spd a valutare correttamente tutte le conseguenze politiche di questa scelta76. Di qui la continua opposizione verso una concezione del parlamentarismo che presupponesse l'assunzione da parte del rappresentante del movimento operaio di precise responsabilità con le quali il socialismo della II Internazionale doveva fare i conti. Sulla scia dell'esempio Millerand, che aveva tracciato un solco piú profondo tra rivoluzionari e riformisti nella Spd77, prendeva poi in esame il problema dell'ingresso di un socialista in un governo borghese:

D'altro canto, anche in Germania - osservava -, come tutti gli Stati retti a monarchia assoluta, la questione della ministeriabilità socialista è una questione, che non può esistere; e se ora intendiamo dimostrare che negli Stati di democrazia parlamentare il ministerialismo non è se non una conseguenza del parlamentarismo, ond'è che non si possono recare e su questo e su quello due giudizi diversi; siffatto ragionamento non calza punto per gli Stati piú o meno assolutisti, fra i quali la Germania sta in prima linea78.

Per Eisner esisteva una soluzione di continuità per i socialisti tra sostenere con i propri voti un governo borghese e partecipare al suo interno con l'assunzione di un ministero: « I socialisti, i quali rendono possibile col loro voto il perdurare di un Ministero borghese, scambio di cogliere ogni occasione per rovesciare l'odiata rappresentanza della società capitalistica, assumono con ciò, non solo formalmente, ma in fatto, la responsabilità della politica generale del Governo da essi sostenuto, poiché con ciò gli danno possibilità di vivere e di agire» . 79Un atto di responsabilità che poteva portare anche a una partecipazione diretta a un governo: « Il parlamentarismo e il ministerialismo nelle forme dell'oggi - concludeva - non sono se non modeste tappe sul cammino di quella conquista definitiva» .80

Questo articolo della « Neue Zeit» , ripreso dalla « Critica sociale» nella sua interezza, prendeva in esame non solo il nuovo scenario politico entro il quale gran parte del socialismo della II Internazionale si trovava ad agire, ma tornava su punti già colti da Bernstein nella sua polemica con Bebel e Kautsky: era giunto il momento di delineare concretamente il ruolo della Spd nel panorama tedesco. Questo processo interessava direttamente la questione della presenza politica del partito nelle istituzioni come parte integrante e elemento dinamico del passaggio al socialismo, nonché come obiettivo fondamentale di una tattica coerentemente riformistica possibile solo attraverso un impegno attivo della Spd per la democratizzazione dello Stato.

Una dura critica ai pregiudizi della socialdemocrazia tedesca osservati e spiegati in una dimensione europea che faceva risultare in modo ancora piú netto le lacune della sua linea politica in relazione al ministerialismo. Eppure, nell'introdurre questo articolo la « Critica sociale» non dimostrava di comprendere fino in fondo la profondità dell'analisi di Eisner e si limitava ad affermare superficialmente: « Poiché se ne parla tanto in questi giorni in Italia, non parrà soverchio di invocare in proposito l'opinione - e piú che l'opinione, l'esempio [...] del nostro fratello maggiore, il partito socialista tedesco» .81

Le elezioni politiche tedesche del 1903 segnarono un punto di svolta. La rivista seguí l'avvenimento con attenzione, ritenendo una vittoria della Spd un fatto determinante per lo sblocco in senso democratico dell'impero guglielmino. Il successo dei socialdemocratici avrebbe infatti garantito anche in Germania l'avvio di un corso riformatore grazie all'alleanza tra Spd e sinistra liberale. Di questo avviso era Angelo Crespi che alla vigilia delle elezioni scriveva sulla « Critica sociale» :

L'influenza mediata, di cui stiamo discutendo, si vedrà appunto qui: se cioè di fronte all'enorme sviluppo della democrazia socialista, si avrà la concentrazione borghese e la reazione imperiale, con probabile restrizione del suffragio universale, insistentemente reclamata dagli organi bismarckiani, o se invece si avrà la formazione in seno alla borghesia, di un forte partito democratico, riformatore e risolutamente deciso ad inaugurare, nella fin qui semplicemente costituzionale Germania, il regime parlamentare, con parallela attenuazione della politica personale dell'Imperatore82.

Poneva poi l'accento sulla possibilità di una partecipazione della Spd al governo:

Allora si imporrà anche in Germania la necessità, prima di un ministerialismo relativo in appoggio a qualche Governo liberal-democratico, ed in seguito [...] la diretta partecipazione dei socialisti al potere. Una volta che un partito ha raggiunte certe dimensioni, è sofistica ogni distinzione tra funzioni di controllo e funzioni di Governo83.

Una questione che la Spd si trovò effettivamente a dover risolvere in seguito al grande successo ottenuto in quelle elezioni. « È chiaro - scrisse Victor Adler a Bebel - che un partito di tre milioni di voti ha obblighi diversi, perché ha anche possibilità diverse, di un partito di trecentomila: anche in questo caso la quantità si deve trasformare in qualità» . 84Un invito che il centro ortodosso della Spd, gruppo dirigente del partito, non seppe cogliere. Le analisi del risultato elettorale dimostrarono nuovamente l'esistenza di divisioni sulla tattica da seguire.

Secondo Bebel gli elettori avevano espresso chiaramente un voto di fiducia alla tattica della socialdemocrazia tedesca; era utile continuare su quella linea senza cedimenti opportunistici nei confronti delle forze borghesi85. Kautsky puntava l'attenzione sui rapporti di forza determinatisi nel Reichstag. Non era proponibile in Germania l'esempio francese o italiano in quanto la situazione tedesca, a causa della debolezza fisiologica della borghesia liberale, avrebbe condotto la Spd a una subalternità nei confronti dei partiti dominanti86. Soffermandosi inoltre sulla crisi endemica del liberalismo, sottolineava la funzione della Spd come unico interlocutore del blocco reazionario che dominava ancora la politica tedesca: « Il liberalismo è morto e solo una forte socialdemocrazia tedesca offre ancora la possibilità che la nazione tedesca sia salvaguardata dai piú inauditi esperimenti e che vengano almeno garantite le piú importanti necessità di uno sviluppo economico e culturale» .87

Sui rapporti con i liberali e sulle conseguenti prospettive di democratizzazione dello Stato diversi erano i giudizi di Bernstein, con il quale si trovava d'accordo Vollmar. L'insuccesso del liberalismo secondo il leader revisionista scaturiva dalla miopia di quella parte della borghesia liberale restia ad una collaborazione organica con la socialdemocrazia tedesca e poneva la Spd a diventare il vero motore di quel processo democratico che ricongiungesse la Germania all'Europa occidentale. L'assunzione della carica di vicepresidente del Reichstag da parte di un socialdemocratico - carica spettante secondo la Costituzione alla Spd perché era giunta seconda alle elezioni alle spalle del Centro - costituiva un atto formale e nello stesso tempo un segnale politico ben preciso che la Spd doveva inviare alla nazione88.

Lo scontro interno alla Spd sulla questione della vicepresidenza del Reichstag forní a Jaur&egraves lo spunto per severe considerazioni sulla staticità della politica della socialdemocrazia tedesca e sul suo ruolo di modello per la II Internazionale. All'analisi del socialista francese si affidò la « Critica sociale» , che giunse a una presa di coscienza dell'incongruenze esistenti tra la realtà politica del partito tedesco e l'immagine che fino ad allora aveva avuto sulla rivista.

Non era un caso che fosse lasciato a Jaur&egraves il compito di una riconsiderazione delle scelte della Spd. L'inizio dell'età giolittiana vide infatti Turati rivolgersi con attenzione al pensiero del socialista francese, operante in un contesto simile a quello italiano ed attento a inquadrare in modo coerente il problema delle riforme e della garanzia dello sviluppo democratico nei suoi rapporti con la natura rivoluzionaria del progetto socialista89.

Oggetto della critica di Jaur&egraves nell'articolo della « Petite Republique» , pubblicato nella rivista turatiana, erano le incongruenze di fondo, attraverso le quali la Spd continuava a interpretare il rapporto socialismo-democrazia alla luce delle profonde trasformazioni sociali e politiche di inizio secolo. Jaur&egraves prendeva spunto dall'affermazione di Kautsky nell'articolo Was nun?, apparso sulla « Neue Zeit» , secondo la quale: « la democrazia socialista tedesca, partito rivoluzionario, è diventata una necessità di stato. Essa è il solo su cui può appoggiarsi un Governo che abbia viste moderne» . Un'affermazione, tuttavia, che non comportava la scelta di una tattica consapevolmente riformistica:

Il partito che pretende di essere per la Germania moderna « una necessità di stato» - osservava Jaur&egraves - che si rifiuta a priori di aiutare l'evoluzione moderna dello Stato; il partito che dice esso solo può salvare in Germania la forza della produzione e la forza del pensiero, e che rende impossibile, fino al giorno in cui sarà egli stesso sovrano, il funzionamento durevole di ogni maggioranza di progresso [...] ricusa ad ogni Governo moderno ogni possibilità di vivere o anche di nascere90.

Ne conseguiva una critica sull'analisi kautskiana del voto e sulla futura evoluzione della socialdemocrazia tedesca:

Da oggi, il periodo dell'azione facile e semplice è chiuso per esso; l'era delle complicazioni e delle difficoltà comincia. L'ora si avvicina in cui esso sarà forzato a conciliare il pensiero rivoluzionario profondo e l'azione riformatrice immediata: l'ora in cui dovrà assumere la responsabilità nella gestione di una società della quale vuole abolire il principio stesso.

Un obiettivo, rispetto al quale le tesi di Kautsky si sarebbero svelate per Jaur&egraves in tutto il loro anacronismo: « quando il socialismo tedesco, malgrado la ristrettezza pedantesca di taluni suoi dottrinari, avrà assunto, nello stesso interesse del proletariato e della rivoluzione sociale, il compito di un grande partito di democrazia, Kautsky ostinato a rimanere il teorico ufficiale di un'evoluzione che non avrà potuto impedire, saprà ben trovare qualche combinazione arbitraria di concetti astratti per accomodare alla vita nuova le massime di Marx» .91

La rinnovata condanna del revisionismo e dei pericoli di degenerazione della tattica espressa al congresso della Spd di Dresda del 1903 e di quello dell'Internazionale di Amsterdam del 1904 sembrò confermare le previsioni di Jaur&egraves. A prenderne atto questa volta era lo stesso Turati, mai prima d'ora cosí critico nei confronti del modello socialdemocratico. Puntava infatti l'attenzione sull'immobilismo della Spd e sulle sue resistenze nei confronti del riformismo: « anche al socialismo tedesco - notava - toccherà pure di uscire dall'inazione politica troppo a lungo durata e rivolgersi (ma non saranno troppo a lungo arruginiti gli strumenti e gli spiriti) a un'azione positiva di riforme concrete» .92

Cambiava di conseguenza il significato della revisione bernsteiniana. Quest'ultima non si configurava piú come « un'eresia transitoria e benefica» , una leggera deviazione rispetto al cammino unitario della socialdemocrazia, ma rappresentava una precisa identità in seno al socialismo tedesco e internazionale che non aveva trovato un riconoscimento ufficiale al congresso di Amsterdam: « Notiamo - aggiungeva Turati - che il riformismo pratico germanico, per l'assenza di Vollmar, e la sua giustificazione dottrinale che nessuno avrebbe dato con piú competenza di Bernstein - al quale la "chiusura" tolse il diritto alla parola - non ebbero voce al Congresso» .93

Una posizione condivisa da Claudio Treves, il quale, sul « Tempo» si esprimeva in merito all'intransigenza uscita vittoriosa ad Amsterdam, evidenziando il senso della realtà della corrente riformista contro l'astratto dogmatismo dell'ala ortodossa della Spd.

La mozione di Dresda scomunica quello che si è fatto o tentato di fare sia sul terreno dottrinale (Bernstein), sia sul terreno storico (Jaur&egraves, Turati) [...] E siccome qualche cosa bisogna fare, siccome l'inerzia politica tedesca che fa della propaganda e dell'attesa della finalità l'unico ufficio degno del socialismo, mostra nella stessa Germania - e nonostante i grandi successi elettorali - i segni forieri dello sfasciamento, suscitando dubbi ed apprensioni diverse, cosí nella mancata indicazione di una strada migliore per l'azione c'è da scommettere mille contro uno, che tutti continueranno a fare quello che han fatto fin qui salvo le correzioni della propria esperienza94.

Per la riformista « Critica sociale» la presa di distanza dal modello tedesco era parallela alla raggiunta consapevolezza della mancanza di unitarietà all'interno della socialdemocrazia e dei diversi significati di soluzioni tattiche simili solo dal punto di vista formale.

La rivalutazione del revisionismo bernsteiniano - che nel giro di pochi anni nelle pagine della « Critica sociale» da « esagerazione teoretica di una tendenza» era diventata « giustificazione dottrinale» del riformismo - fu quindi una conseguenza del mutamento di giudizio nei confronti della socialdemocrazia tedesca e della sua politica. Si può concludere, pertanto, che la Bernstein Debatte « scoppiò» nella « Critica sociale» con qualche anno di ritardo. Non fu questa a influire sul riformismo italiano, ma al contrario, fu il costante riferimento all'attività concreta della Spd, sulle linee guida tracciate dalla rivista negli anni Novanta, a favorire la presa di coscienza delle implicazioni politiche insite nelle tesi bernsteiniane: in sostanza il socialismo riformista italiano non giunse attraverso Bernstein alla critica del modello socialdemocratico, ma attraverso questa critica giunse a Bernstein.

La scelta riformistica pose perciò la « Critica sociale» a prendere le distanze dall'intransigenza della socialdemocrazia tedesca. Una revisione di giudizio, attraverso la quale, tuttavia, la rivista turatiana voleva ribadire la sua adesione al marxismo fuori da quelli che ormai sembravano essere rigidi schemi dogmatici. Non è un caso, allora, che alla critica della socialdemocrazia tedesca si affianchi quella alla II Internazionale:

La conclusione? Una sola - scriveva Turati -. Ed è che i socialisti che intesero quale sia la missione odierna del socialismo nei paesi piú evoluti, quanto la vecchia astrologia sia in parte capovolta, in quanto superata dai fatti, e come non ve ne sia bisogno affatto per camminare e per fare; i socialisti che riescirono a stabilire un accordo fra l'ideale direttivo e le esigenze mutate dell'azione quotidiana; hanno il debito di perseverare, di intensificare l'opera loro, e di renderla sempre piú cosciente a se stessi e alle moltitudini. Questa opera si presenta oggi essenzialmente nazionale; da un Sinai internazionale si proclamano generalità, vacue e sonore, è sul terreno delle singole nazioni, è nelle organizzazioni locali, nelle assemblee politiche e amministrative, è in mezzo alla realtà vivente e multiforme, limitata nello spazio e nel tempo, che l'opera positiva può svolgersi e fruttificare [...] Dopo le prime affermazioni generiche ed universali, i Congressi socialisti internazionali perdettero grandissima parte del loro valore; essi ormai ripetono sempre a un dipresso gli stessi luoghi comuni, e del resto rivelano degli stati d'animo di individui e di partiti, ma non fanno altro95.

Il giudizio severo nei confronti del ruolo di questa organizzazione e del suo partito guida chiudeva una fase del confronto della rivista con la socialdemocrazia tedesca. Se ne apriva un'altra caratterizzata dalla « crisi del modello socialdemocratico» ; nella quale si continuò a dare risposte in chiave riformistica alle questioni affrontate in precedenza facendo riferimento alla politica della Spd. Due momenti, però, che solo attraverso un'analisi superficiale si possono considerare antitetici. Il filo rosso che li legava era infatti la ricerca di un consolidamento del socialismo e della sua azione che, senza rinunciare alla sua matrice classista, conducesse a un rapporto sistematico e organico con la democrazia. Un incontro reso piú problematico nel corso del primo decennio del secolo, quando l'affermarsi della politica imperialista, oltre a mettere in crisi l'equilibrio europeo, cominciava a minare i presupposti del B&uumlrgersein del movimento operaio nello Stato e nella società secondo l'interpretazione bernsteiniana, in funzione della quale il riformismo socialista, in Italia come nel resto d'Europa, aveva tentato di trovare la sua ragione d'essere96.


1 Si veda soprattutto E. Ragionieri, Socialdemocrazia tedesca e socialisti italiani. L'influenza della socialdemocrazia tedesca sulla formazione del Partito Socialista Italiano. 1875-1895, Milano, 1976.

2 La Critica sociale, Sul nuovo programma socialista tedesco. Osservazioni e raffronti, in « Critica sociale» (d'ora in poi « CS» ), 1891, n. 11, p. 162.

3 (Nota della Critica) in L. Negro, Antonio Graziadei e la crisi marxista, in « CS» , 1898-1899, n. 19, p. 301.

4 Il tema dei legami del riformismo socialista italiano con il revisionismo bernsteiniano è stato a lungo trattato dalla storiografia. Sono due le prospettive di fondo all'interno delle quali il problema è stato affrontato: la prima, tesa a tracciare un parallelismo tra riformismo e revisionismo, che vuole Turati sostanzialmente bernsteiniano in ragione del suo approccio positivistico al marxismo e della sua adesione alla cosiddetta tattica « opportunistica» , e la seconda, piú propensa a distinguere la riflessione politica della corrente riformistica del Psi da quella di Bernstein, che, nonostante alcune analogie, presenta un'originalità e una problematicità senza riscontro in Italia. Si vedano in proposito G. Arfè, Storia del socialismo italiano, 1892-1926, Torino, 1965, pp. 99, 100; G. Mammarella, Riformisti e rivoluzionari nel partito socialista italiano, 1900-1912, Padova, 1968, p. 87; L. Valiani, Questioni di storia del socialismo, Torino, 1975, pp. 95, 96; E. Santarelli, La revisione del marxismo in Italia, Milano, 1964, pp. 56 sgg.; M. Degl'Innocenti, L'età del riformismo (1900-1911), in G. Sabbatucci, Storia del socialismo italiano, vol. II, Roma, 1980, pp. 78, 79; F. Livorsi, Turati, Milano, 1984, pp. 114, 129; N. Bobbio, Profilo ideologico del Novecento italiano, Torino, 1986, p. 70; G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, vol. VII, Milano, 1986, p. 86; R. Monteleone, Turati, Torino, 1987, p. 184; G. Sabbatucci, Il riformismo impossibile, Bari, 1991, p. 17.

5 E. Bernstein, I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia tedesca, Bari, 1974, p. 187.

6 Ivi, p. 190.

7 Anna Kuliscioff continuò a svolgere la sua funzione di filtro per la conoscenza del marxismo da parte di Turati durante il periodo trascorso in carcere. Si vedano in proposito Filippo Turati alla madre, 11 maggio 1898, in R. Monteleone, Un socialista in galera. Lettere inedite di Turati alla madre dal carcere (1898), in « Ventesimo secolo» , 1993, n. 9, p. 305; Filippo Turati alla madre, 7 gennaio 1899, in F. Turati-A. Kuliscioff, Carteggio, I, a cura di F. Pedone, Torino, 1977, p. 262.

8 Il carteggio Turati-Kautsky rivela piú il desiderio da parte del leader del Psi di contribuire a migliorare l'acquisizione in Italia dei cardini della dottrina marxista che la volontà di una riflessione critica su di essi, all'interno della quale inserire correttamente la Bernstein Debatte. Si vedano in proposito Karl Kautsky a Filippo Turati, 17 giugno 1899, in A. Schiavi, Filippo Turati attraverso le lettere dei suoi corrispondenti, 1880-1925, Bari, 1947, pp. 160, 161; Filippo Turati a Karl Kautsky, 26 agosto 1899, in Kautsky Nachlass, conservato presso l'Internationaal Instituut voor Sociale Geschiedenis (IISG) di Amsterdam. Ho consultato la copia di questa lettera presso la Fondazione di studi storici Filippo Turati di Firenze. Sulla corrispondenza turatiana con i socialisti tedeschi si veda anche A. Heering, Filippo Turati e la II Internazionale, in Filippo Turati e il socialismo europeo, a cura di M. Degl'Innocenti, Napoli, 1985, pp. 114, sgg.; M. Degl'Innocenti, Filippo Turati e la nobiltà della politica. Introduzione alle carte di Filippo Turati. I corrispondenti stranieri, Manduria, 1995.

9 La Critica sociale, Il congresso socialista tedesco, in « CS» , 1898-1899, n. 17, pp. 257-259.

10 Ivi, p. 258.

11 Ibidem.

12 Antonio Labriola a Karl Kautsky, 13 giugno 1897, in G. Procacci, Antonio Labriola e la revisione del marxismo attraverso l'epistolario con Bernstein e con Kautsky 1895-1904, in « Annali dell'Istituto Giangiacomo Feltrinelli» , III, 1960, p. 306.

13 A. Labriola, Polemiche sul socialismo, in « Avanti!» , 1° maggio 1899.

14 Si vedano in proposito, Arturo Labriola, Pro e contro il socialismo, in « CS» , 1897, n. 14, pp. 213-215; I. Bonomi, Due libri di Saverio Merlino, I, in « CS» , 1898-1899, n. 6, pp. 91-92; Id., Due libri di Saverio Merlino, II, in « CS» , 1898-1899, n. 7, pp. 103-105; G. Sorel-F. Turati, La crisi del socialismo scientifico, in « CS» , 1898, n. 9, pp. 134-141.

15 Sullo scontro tra Merlino e Turati che acquisí una connotazione politica nel 1901, si vedano le interessanti osservazioni contenute in G. Berti, Francesco Saverio Merlino. Dall'anarchismo socialista al socialismo liberale (1856-1930), Milano, 1993, pp. 367 sgg.

16 La Critica sociale, Il congresso socialista tedesco, cit., p. 259.

17 G. Sorel-F. Turati, La crisi del socialismo scientifico, cit., p. 141. Sull'argomento si veda anche C. Rosselli, Filippo Turati e il movimento socialista italiano, s. d., p. 36.

18 G. Sorel-F. Turati, La crisi del socialismo scientifico, cit., p. 139.

19 W. Mocchi, Filippo Turati, in « Avanti!» , 11 giugno 1899.

20 I Socialisti Italiani ai socialisti Tedeschi. Alla democrazia sociale di Germania nel Congresso di Halle, in « Cuore e critica» , 1890, n. 18, p. 209. Sui preparativi che precedettero la redazione di questo indirizzo di auguri alla Spd, si vedano E. Ragionieri, Socialdemocrazia tedesca e socialisti italiani, cit., pp. 237 sgg., e A. Schiavi, op. cit., pp. 71, 72.

21 L. Valiani, Il partito socialista italiano dal 1900 al 1918, in « Rivista storica italiana» , 1963, II, p. 303.

22 K. Kautsky, Rivoluzione e anarchismo, in « CS» , 1894, n. 4, p. 58. Si veda anche Id., Ein sozialdemokratischer Kateschismus, in « Neue Zeit» (d'ora in poi « NZ» ), 1893-1894, Bd. 1, n. 13, pp. 402-410.

23 K. Kautsky, Rivoluzione e anarchismo, cit., p. 58.

24 Sull'argomento si veda soprattutto L. Strik Livers, Turati, la politica delle alleanze e una celebre lettera di Engels, in « Nuova rivista storica» , gennaio-aprile 1973, pp. 129-160. Si veda anche G. Galli, Una lettera di Engels e la realtà italiana, in Aa.Vv., Esperienze e studi socialisti in onore di Ugo G. Mondolfo, Firenze, 1957, pp. 258-269.

25 F. Engels, La futura rivoluzione italiana, in « CS» , 1894, n. 3, p. 36.

26 L. Strik Livers, Turati, la politica delle alleanze, cit., p. 150.

27 Anna Kuliscioff a Friedrich Engels, 19 gennaio 1894, in K. Marx-F. Engels, Scritti italiani, a cura di G. Bosio, Milano, 1955, p. 164.

28 La Critica sociale, Per la conquista della libertà, in « CS» , 1894, n. 21, p. 324.

29 A. Bebel, Unsere Betheilung an den preusslichen Landtagswahlen, in « NZ» , 1896-1897, Bd. 2, n. 46, p. 611.

30 F. Turati, Superstizioni socialiste, in « CS» , 1897, n. 18, p. 282.

31 C. Treves, La nuova rotta del partito socialista tedesco, in « CS» , 1897, n. 20, p. 311. Sui rapporti di Treves con la Spd si vedano A. Casali, Socialismo e internazionalismo nella storia d'Italia. Claudio Treves 1869-1933, Napoli, 1985, pp. 22, 23; Id., Claudio Treves, Dalla giovinezza torinese alla guerra di Libia, Milano, 1989, pp. 77 sgg.

32 August Bebel a Victor Adler, 5 giugno 1897, in Victor Adler Briefwechsel mit August Bebel und Karl Kautsky, gesammelt und erl&aumlutert von F. Adler, Wien, 1954, p. 231.

33 Si veda in proposito D. Groh, Negative Integration und revolution&aumlrer Attentismu.s Die deutsche Sozialdemokratie am Vorabend des Ersten Weltkriegs, Frankfurt a. M.-Berlin, 1973, pp. 26, 58.

34 K. E. L&oumlnne, Il dibattito sul revisionismo nella socialdemocrazia tedesca, in Il movimento operaio e socialista in Italia e in Germania dal 1870 al 1920, a cura di L. Valiani e A. Wandruszka, Bologna, 1978, pp. 89, 90.

35 Eduard Bernstein ad August Bebel, 20 ottobre 1898, in Victor Adler Briefwechsel, cit., p. 263. Sul rapporto tra teoria e prassi all'interno della Spd si veda H. J. Steinberg, Il socialismo tedesco da Bebel a Kautsky, Roma, 1979, p. 124.

36 August Bebel a Eduard Bernstein, 22 ottobre 1898, in Victor Adler Briefwechsel, cit., p. 264.

37 E. Bernstein, I presupposti, cit., pp. 205, 206.

38 P. Gilg, Die Erneuerung des demokratischen Denkens im Wilheilminischen Deutschland, Wiesbaden, 1965, p. 160.

39 Sull'argomento si veda B. Gustafsson, Marxismus und Revisionismus. Eduard Bernsteins Kritik der Marxismus und ihre ideengeshcichtlischen Voraussetzungen, vol. I, Frankfurt a.M., 1972, pp. 127-180. Anche un fautore della svolta riformista come Georg von Vollmar, in sintonia in molti punti con le vedute di Bernstein, ammetteva: « Si dice che Bernstein veda i nostri rapporti con una lente inglese. Io non voglio spingermi fino a tanto, ma è certo che in molte cose le sue vedute sono influenzate dalla sua lunga permanenza in Inghilterra e dalla perdita di contatti con la Germania» (G. von Vollmar, Die Begr&uumlndung des Revisionismus durch Eduard Bernstein, in Id., Reden und Schriften zur Reformenpolitik, Ausgew&aumlhlt und eingeleitet von W. Albrecht, Bonn-Bad Godesberg, 1977, p. 184).

40 M. Rauch, Il liberalismo e il sistema politico tedesco nell'epoca guglielmina, in Il liberalismo in Italia e in Germania dalla rivoluzione del '48 alla prima guerra mondiale, a cura di R. Lill e N. Matteucci, Bologna, 1980, pp. 317 sgg. Si veda anche H. U. Wehler, L'Impero guglielmino 1871-1918, Bologna, 1981, p. 90.

41 P. Gilg, op. cit., p. 220.

42 Protokoll &uumlber die Verhandlungen des Parteitages der Spd. Abgehalten zu Stuttgart vom 3. bis 8. Oktober 1898, Berlin, 1898, p. 129. Sul tema si veda M. L. Salvadori, Kautsky e la rivoluzione socialista 1880-1938, Milano, 1976, p. 62.

43 Protokoll &uumlber die Verhandllungen des Parteitages der Sozialdemokratie Partei Deutschlands, abgehalten zu Hannover von 9. bis 14. Oktober 1899, Berlin, 1899, p. 124.

44 La Crititica sociale, Il congresso socialdemocratico tedesco, cit., p. 258.

45 Anna Kuliscioff e Filippo Turati ad August Bebel, 20 ottobre 1899, Bebel Nachlass, IISG, Amsterdam. Ho consultato la copia del documento conservata presso la Fondazione di studi storici Filippo Turati di Firenze.

46 August Bebel a Filippo Turati, 23 ottobre 1899, ivi. Si veda anche A. Schiavi, op. cit., p. 161.

47 (t-k), Dichiarazioni necessarie: rivoluzionari o opportunisti?, in « CS» , 1900, n. 1, p. 3.

48 Filippo Turati a Karl Kautsky, 19 gennaio 1900, Nachlass Kautsky, IISG, Amsterdam. Ho consultato la copia del documento conservata presso la Fondazione di studi storici Filippo Turati di Firenze.

49 J. Jaur&egraves, Bernstein e l'evoluzione socialista, IV, in « CS» , 1900, n. 15, p. 239.

50 Ibidem.

51 Filippo Turati a Eduard Bernstein, 18 agosto 1901, in Bernstein Nachlass D 717, IISG, Amsterdam. Ho consultato la copia del documento conservata presso la Friedrich Ebert Stiftung di Bonn.

52 Filippo Turati a Karl Kautsky, 26 agosto 1899, cit.

53 Filippo Turati a Eduard Bernstein, 9 giugno 1900, Bernstein Nachlass D717, IISG, Amsterdam. Sullo stesso argomento anche la lettera di Turati a Bernstein del 25 giugno 1900, ivi. In questa lettera il socialista italiano ringrazia l'esponente socialdemocratico per avere soddisfatto la sua richiesta e gli espone alcuni interrogativi circa le tesi contenute nell'opera engelsiana. Ho consultato la copia delle lettere conservate presso la Friedrich Ebert Stiftung di Bonn.

54 Sullo scambio epistolare tra Turati e Bernstein interessanti, anche se giungono a conclusioni diverse a quelle di questo saggio, sono i giudizi contenuti in R. Monteleone, Turati, cit., p. 183.

55 A. Morandotti, Il parroco Naumann e la democrazia militarista, in « CS» , 1900, n. 11, p. 167.

56 I. Bonomi, La nuova tattica, in « CS» , 1898-1899, n. 21, p. 326.

57 G. Cassola, Per la sincerità e l'unità (Ai rivoluzionari copernicani), in « CS» , 1902, n. 2, p. 17.

58 W. Mocchi, art. cit.

59 Noi, L'Italia assente, in « CS» , 1899, n. 11, p. 166. Su questo tema si veda A. Pepe, Il socialismo italiano e il rinnovamento del capitalismo (1900-1922), in « Studi Storici» , 1992, n. 2-3, pp. 353 sgg.

60 G. Manacorda, I socialisti italiani nella crisi politica di fine secolo XIX, in Il movimento operaio in Italia e in Germania, cit., pp. 151 sgg.

61 I. Bonomi-Noi, La sinistra alla prova, in « CS» , 1898-1899, n. 12, p. 180. L'economia di questo lavoro impedisce di approfondire adeguatamente l'analisi del dibattito sulla tattica delle alleanze che vide confrontarsi, e su alcuni scontrarsi, autorevoli firme della « Critica sociale» come Ivanoe Bonomi, Claudio Treves e Gaetano Salvemini. Sulla questione si vedano i seguenti articoli della rivista: I. Bonomi, La sinistra, 1898-1899, n. 11, pp. 164-166; I. Bonomi-Noi, La sinistra alla prova, cit.; C. Treves, Giolitti, 1898-1899, n. 12, p. 184; Il Pessimista, Ahimè, sempre la sinistra, 1898-1899, n. 13, pp. 193-195.

62 Citazione tratta da E. Ragionieri, Il marxismo e l'Internazionale, Roma, 1968, p. 184.

63 Karl Kautsky a Filippo Turati, 10 gennaio 1900, Fondo Turati, IISG, Amsterdam. Ho consultato la copia microfilmata della lettera conservata presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano. L'articolo della « Frankfurter Zeitung» si intitolava Der Krisis der Sozialismus in Italien e fu pubblicato il 10 gennaio 1900. Si veda in proposito Archivio Turati, a cura di A. Dentoni-Litta, Roma, 1992, p. 21.

64 Si veda Vollmar Nachlass, 2122, IISG, Amsterdam.

65 Si veda l'intervento di Leo Valiani in Aa.Vv., Anna Kuliscioff e l'età del riformismo. Atti del Convegno di Milano - dicembre 1976, Milano, 1978, p. 78; B. Vigezzi, Il Psi, le riforme e la rivoluzione (1898-1915) , Firenze, 1981, p. 27.

66 Antonio Labriola a Karl Kautsky, 5 ottobre 1900, in G. Procacci, Antonio Labriola e la revisione del marxismo, cit., p. 334.

67 F. Turati, La sintesi del congresso di Roma, II, in « CS» , 1900, n. 19, p. 290.

68 F. Turati, Alla scoperta del socialismo! Riformismo radicale e rivoluzione proletaria (A proposito di un discorso di Errico De Marinis), in « CS» , 1901, n. 21, p. 324.

69 Ibidem.

70 E. De Marinis-F. Turati, Socialismo e radicalismo-Replichiamo, in « CS» , 1901, n. 22, p. 341.

71 F. Turati, Alla scoperta, cit., p. 323.

72 La Critica sociale, La nostra ignoranza, in « CS» , 1902, n. 11, p. 163.

73 G. Arfè, op. cit., pp. 99, 100.

74 « Ci siamo staccati dalla sezione di Milano e abbiamo fondato un'altra sezione (Unione Socialista Milanese) a causa di grosse divergenze personali [....] Ci sono presso di noi tendenze divergenti, ma non so se sono cosí gravi da dividerci seriamente» (Filippo Turati a Eduard Bernstein, 6 settembre 1901); « C'è molta improvvisazione, il che è un terreno favorevole al morbo anarchico» (Filippo Turati a Eduard Bernstein, 10 settembre 1901, in Bernstein Nachlass D 717, IISG, Amsterdam). Ho consultato le copie delle lettere conservate presso la Friedrich Ebert Stiftung di Bonn. Sulla nascita della nuova sezione milanese e sull'apporto di Turati alla sua fondazione si veda M. Degl'Innocenti, L'età del riformismo, cit., p. 82; R. Monteleone, Turati, cit., p. 329.

75 F. Turati, Il partito socialista e le sue pretese tendenze. Intervista con un redattore di un giornale borghese, Milano, 1902, p. 10.

76 K. Eisner, Parlamentarismo e ministerialismo, I, in « CS» , 1901, n. 15, p. 228.

77 C. Pinzani, Il caso Millerand il socialismo internazionale (1899-1901), I, in « Studi Storici» , 1965, n. 4, p. 676.

78 K. Eisner, Parlamentarismo e ministerialismo, I, cit., p. 229.

79 Ivi, p. 230.

80 K. Eisner, Parlamentarismo e ministerialismo, II, in « CS» , 1901, n. 16, p. 247.

81 K. Eisner, Parlamentarismo e ministerialismo, I, cit., p. 229.

82 A. Crespi, I progressi socialisti italiani in Germania, in « CS» , 1903, n. 13, p. 197.

83 Ibidem.

84 Victor Adler ad August Bebel, 8 settembre 1903, in Victor Adler Briefwechsel, cit., p. 422.

85 A. Bebel, Das fazit des Wahlkampfes, in « NZ» , 1902-1903, Bd. II, n. 31, p. 425.

86 K. Kautsky, Was nun?, ivi, pp. 389 sgg.

87 Ivi, p. 396.

88 E. Bernstein, Was folgt aus dem Ergebnis der Reichstaswahalen, in « Sozialistische Monatshefte» , 1903, n. 7, pp. 478 sgg. Si veda anche G. Vollmar, Lehren und Folgen der letzten Reichstagswahlen, in Id., Reden und Schriften, cit., pp. 192 sgg. Sulla questione dell'assunzione della carica di vicepresidente del Reichstag si vedano F. L. Carsten, Eduard Bernstein, 1850-1932, M&uumlnchen, 1993, pp. 132 sgg.; M. Waldenberg, Kautsky, il papa rosso, vol. I, Roma, 1980, p. 271.

89 Si veda in proposito la lettera di Anna Kuliscioff a Filippo Turati del 15 marzo 1903, in F. Turati-A. Kuliscioff, Carteggio, II, a cura di F. Pedone, Torino, 1977, p. 91.

90 J. Jaur&egraves, I socialisti di fronte al potere, in « CS» , 1903, n. 11, p. 332.

91 Ivi, p. 335.

92 La Critica sociale, Ad Amsterdam. La vittoria apparente dei conservatori, in « CS» , 1904, n. 16-17, p. 242.

93 Ivi, p. 245.

94 C. Treves, Dopo la chiusura del Congresso d'Amsterdam, in « Il Tempo» , 22 agosto 1904.

95 La Critica sociale, Ad Amsterdam, cit., p. 242. Si veda in proposito F. Andreucci, Il partito socialista italiano e la II Internazionale, in « Studi Storici» , 1977, n. 2, p. 47.

96 A. Rosenberg, Democrazia e socialismo, Bari, 1971, p. 288.