next essayprevious article indice volumeStudi Storici 2, aprile-giugno 1995 anno 36


"L'ITALIA" E LA MISSIONE CIVILIZZATRICE DI ROMA

Valerio Marchi

La Chiesa e il fascismo. Dopo la prima guerra mondiale, pur di fronte alle permanenti diffidenze del governo italiano, la Santa Sede, nel '19, operò un primo tentativo di soluzione della questione romana prospettando un trattato risolutivo del contenzioso aperto1; la richiesta fu quella di una porzione della città di Roma, con piena sovranità e totale indipendenza dallo Stato italiano. Il fallimento dell'iniziativa fu dovuto, oltre che alla caduta del ministero Orlando (il quale, peraltro, aveva già manifestato il suo scetticismo), alla ferma opposizione di Vittorio Emanuele III e alla situazione politica complessiva; il dopoguerra era infatti mosso, difficile, caratterizzato da forti tensioni sociali, con lo spettro della rivoluzione russa in corso2, e « fu proprio l'incertezza estrema della situazione - come nota Giovanni Miccoli - che indusse la Santa Sede a dare via libera» 3 alla iniziativa politica di don Sturzo, iniziativa enunciata con chiarezza fin dal discorso programmatico di Caltagirone del 1905. Si trattava di realizzare un partito italiano cattolico, ispirato cioè a principi cattolici; un partito, come ebbe a dire Sturzo, di cattolici ma non di tutti i cattolici, aconfessionale, democratico, autonomo dalla gerarchia ecclesiastica, sostenitore di un programma politico di avanzata legislazione sociale che si ispirasse agli ideali cristiani senza fare della religione un elemento di differenziazione politica. Esso voleva troncare in modo definitivo con ogni tradizione clericale e superare le posizioni dell'intransigenza, combattendo assieme le tendenze clerico-moderate continuamente riemergenti, optando esplicitamente per la democrazia contro i conservatori. Nell'estrema incertezza della situazione del dopoguerra, la Santa Sede fu dunque indotta a dare via libera - pur fra notevoli diffidenze - all'iniziativa di Sturzo, quale contingente e possibile contraltare alla capillare e insistente propaganda socialista (e utile mezzo per ottenere, al bisogno, l'appoggio dello Stato, dato che della collaborazione del Ppi le forze liberali italiane non potevano fare a meno). L'equivoco di fondo fu però sempre costituito dal mettere assieme cattolici conservatori e democratici; l'ala destra (di cui tipico esponente era padre Gemelli) 4 suggeriva al partito la necessità di riferirsi direttamente al magistero delle encicliche sociali: non per una soggezione immediata alla gerarchia nei termini dell'Azione cattolica, ma proponendo comunque un totale appiattimento ideologico, una piena adesione ai principi della dottrina politico-sociale cattolica. La stessa enciclica Ubi arcanometteva 5 in guardia - con chiara allusione al Partito popolare6 - da chi, pur riconoscendo a parole il magistero della Chiesa, tendeva a discostarsene nella pratica7.

Aspetto significativo di questa tensione fu la circolare inviata ai vescovi dal segretario di Stato cardinal Gasparri, che proibiva al clero di partecipare alle attività politiche, giornalistiche e di parte. La data di questo documento (2 ottobre 1922) è significativa, perché precedente alla marcia su Roma e quindi utile, fra le altre cose, per avvalorare il fatto che le critiche e le perplessità (ovviamente accentuatesi in seguito) da parte del magistero ecclesiastico nei confronti del Ppi erano antecedenti alla presa del potere fascista; infatti, le riserve della Santa Sede verso il nuovo partito crebbero fra il 1920 e il '22, evidenziando una sempre piú accentuata presa di distanza che sfocerà in seguito nel definitivo abbandono. È chiaro che l'affermazione e il consolidamento del fascismo posero fine a quella situazione di incertezza (e al conseguente riserbo) che aveva in qualche modo spinto a dare via libera al Ppi (visto come un mezzo non eccessivamente compromissorio nell'oscuro panorama del dopoguerra) e determinò la Santa Sede a riprendere un controllo piú diretto ed immediato dell'organizzazione del laicato cattolico.

Diversa fu dunque la situazione dopo l'avvento di Mussolini che, pur mostrando di voler eliminare o fagocitare le organizzazioni politiche, sindacali, cooperative e giovanili dei cattolici italiani, palesò anche l'intenzione di fare della Chiesa una delle componenti importanti, di supporto del suo piano politico. Tale politica poteva essere sfruttata dalla Chiesa per alzare il tiro ed ottenere non solo una soluzione della questione romana, ma anche una sistemazione vantaggiosa dei rapporti con lo Stato; del resto, avendo il fascismo eliminato le organizzazioni operaie e iniziato ad operare una politica di favore verso la Chiesa, per la Santa Sede il movimento cattolico poteva essere ristretto alle sole organizzazioni dell'Azione cattolica. Dopo aver « eliminato, o lasciato eliminare - come osserva G. De Rosa8 - quelle parti del movimento cattolico stesso, che potevano in qualche modo disturbare la spinta del fascismo verso la completa dittatura, cioè dopo il 1925-26» , e visto fallito il tentativo aventiniano (episodio che segnava la salda instaurazione della dittatura), il Vaticano diede il via a vere e proprie trattative con Mussolini. Il '26, ricordiamolo, fu l'anno delle leggi soppressive di associazione e stampa, dell'emanazione della legge « per la difesa dello Stato» e dell'istituzione del Tribunale speciale9. Le dimissioni di Sturzo dalla segreteria del Partito popolare nel luglio del '23 (in seguito alle pressioni esercitate da parte fascista sulla Santa Sede con la minaccia contro le organizzazioni cattoliche) 10 e il suo abbandono dell'Italia nel '24 (anno dell'assassinio di Matteotti, che non serví però a scalfire la linea sulla quale la Chiesa si stava dirigendo) avevano segnato i momenti piú significativi del progressivo abbandono, da parte della Chiesa, di quel movimento che i fascisti individuavano ormai come un nemico; il Ppi, in pratica, fu adoperato come ostaggio da consegnare per la soluzione giuridica della questione romana. La Chiesa (come d'altronde la vecchia classe dirigente) si era decisa cosí - coerentemente col proprio orientamento basilare - per quella soluzione che, garantendo la stabilizzazione dell'ordine sociale e l'affermarsi di una forte autorità, faceva intravedere una possibile alleanza basata su comuni principi « totalizzanti» di fondo.

Consonanze di fondo. Siamo di fronte a due sistemi che - seppure a partire da motivi ideologici ben diversi - privilegiavano entrambi principi di ordine, autorità, gerarchia, obbedienza, sottomissione e assolutismo, il mito di Roma, gli apparati e i riti esteriori, l'uso massiccio della psicologia di massa; emersero dunque naturalmente alcuni elementi del fascismo che potevano essere considerati consonanti col punto di vista cattolico11. In particolare, possiamo sottolineare la netta antitesi ad alcuni nemici comuni quali l'irreligiosità, l'individualismo, l'eresia, l'anarchia, la massoneria internazionale, il protestantesimo e soprattutto il bolscevismo (riuscitissimo fu lo slogan « Roma o Mosca» ) e il liberalismo, negando recisamente ogni concezione agnostica dello Stato e quindi l'idea di una sfera pubblica distinta da quella privata, per riaffermare invece la necessità del riconoscimento di un ruolo civile essenziale della religione ai fini di una crescita collettiva in cui i diritti dell'individuo fossero mezzo per ottenere i fini della società (ricordiamo che, secondo una linea già tradizionale nella dottrina sociale cattolica, per Pio XI il corporativismo - in quanto negazione dell'individualismo - era estremamente positivo). 12Altri punti d'incontro furono la tutela del costume (specialmente del focolare domestico, per il quale si propose un ideale di famiglia numerosa), la critica all'idea che l'interesse economico fosse il fondamento primo delle vicissitudini sociali, e l'epurazione dei veleni stranieri (materialismo, libero pensiero, democrazia, modernismo, ecc.), 13tutti fattori inconciliabili col conformismo, col paternalismo, con la mentalità reazionaria e con quell'autarchia materiale e spirituale che - a dispetto degli enunciati e delle pretese universalistiche - era asse portante del mito della romanità. Ma soprattutto, ripetiamo, contò l'analisi che il pensiero cattolico fece delle radici e dell'evoluzione del fascismo; ossia, tolta una minoranza di opposizione radicale (ad esempio Sturzo, Donati) che inquadrava il fenomeno come un coerente e negativo sviluppo della genealogia degli errori14, il fascismo fu visto come un allontanamento dalla nefasta tradizione liberale e socialista, un'evoluzione dal laicismo ancora rischiosa, ma anche di fatto avvicinabile alle posizioni del magistero, una possibile fase di passaggio verso il nascere di una nuova e ben piú favorevole posizione della Chiesa.

Senza negare la necessità della Santa Sede di legarsi al regime per tutelare se stessa in quella situazione, risaltano dunque una serie di attese, giudizi positivi e apprezzamenti in vista di una auspicata spinta della società italiana verso uno Stato confessionale15. Per avviarsi su una strada diversa da quella della rivoluzione francese andavano però risolti, innanzitutto, i due problemi della questione romana e di un concordato col regime. Le trattative concordatarie, lunghe e frastagliate, giunsero in porto salutate con grande soddisfazione dal mondo cattolico, sulla scia dell'affermazione di Pio XI secondo cui col Concordato, « certo fra i migliori che si sono fin qua fatti» , si poteva « con profonda compiacenza» credere di aver « ridato Dio all'Italia e l'Italia a Dio» . 16Le relazioni fra Chiesa e fascismo furono caratterizzate da una lunga e sostanziale collaborazione, con alcuni momenti di contrasto; verso la metà degli anni Trenta, nonostante momenti di attrito e reciproche riserve, possono essere definite ottime, e, superata la crisi causata dagli scontri frontali sull'Azione cattolica nel '31, furono senz'altro « cordiali, improntate ad uno spirito di collaborazione, di concessioni reciproche» fino agli inizi del '4017; il segno piú evidente che sigillava l'inizio di un nuovo periodo di intesa, dopo gli accordi del 2 settembre 1931 (che posero fine ai contrasti sull'Ac e si tradussero poi, nel dicembre dello stesso anno, in una nuova riforma dello statuto della stessa), 18fu costituito dalla visita che l'11 febbraio 1932 (terzo anniversario della Conciliazione) Mussolini fece a Pio XI in Vaticano19. Gli attriti, come è stato osservato, « furono assai piú scontri di concorrenza fra due egemonie che volevano essere ugualmente assorbenti dell'intero corpo sociale che scontro di principi o di prassi avvertiti come inconciliabili» .20

La guerra d'Etiopia.L'avvicinamento piú sensibile si verificò a partire dalla fine del '35, in connessione con la guerra d'Etiopia e le conseguenti sanzioni applicate dalla Società delle nazioni nei confronti dell'Italia21. Il papato aveva sempre sperato di poter un giorno riconquistare l'Etiopia al cattolicesimo e, nonostante gli appelli ufficiali alla concordia, alla verità, alla giustizia e all'amore (non volendo schierarsi apertamente con nessuna delle parti in causa), non operò di fatto alcuna reale opposizione nei confronti dell'azione del regime. Non solo, ma l'episcopato - piú libero nell'esprimere i propri pronunciamenti compatibilmente con le condizioni locali - manifestava nel frattempo un consenso senza riserve22, plaudendo ad una missione alla quale contribuire in qualità di italiani e di cattolici, per appoggiare la patria nel momento del bisogno e dare vita ad un'opera di « civilizzazione» presentata come un vero e proprio, irrinunciabile dovere storico; nell'enorme ed efficacissimo apparato propagandistico del regime messo in moto in tale occasione, infatti, un ruolo importante fu giuocato dalla contrapposizione fra « civiltà italiana, romana e cristiana» da una parte e « barbarie e schiavismo etiopici» dall'altra, contrapposizione che richiedeva una fondamentale opera di civilizzazione dell'Italia nonostante l'opposizione dei « perfidi» ed « egoisti» inglesi (con la seconda metà del '35 la polemica antiinglese si poneva al centro della propaganda fascista). Le sanzioni, sentite come un'inaccettabile ingiustizia che mirava a danneggiare quell'opera di civiltà, non fecero che stringere ancor di piú la Chiesa attorno al regime, e le dichiarazioni patriottiche dell'episcopato furono sempre piú seguite da concreti atti ad esse corrispondenti. L'Italia era stata « restituita a Dio» e doveva dunque essere considerata totalmente cattolica, come ebbe occasione di dire il 28 ottobre '35 nel duomo di Milano il cardinale Schuster23.

[...] nell'Italia nuova il cittadino si identifica col cattolico, e [...] la dottrina insegnata nelle scuole per volontà del legislatore deve insieme identificarsi colla vita vissuta da tutti i cittadini per grazia di Dio e per volontà della Nazione [...] Cooperiamo pertanto con Dio in questa missione nazionale e cattolica di bene; soprattutto in questo momento in cui sui campi d'Etiopia il vessillo d'Italia reca in trionfo la Croce di Cristo, spezza le catene degli schiavi, spiana le strade dei missionari del Vangelo! [...] Pace a tutti nella verità, nella carità e nella giustizia, secondo la venerata parola del Pontefice Sommo.

Sono frasi che testimoniano della valenza attribuita in un contesto di questo tipo ai termini « verità, carità e giustizia» , non considerati contrastanti col principio, espresso dall'ambasciatore Raffaele Guariglia il 19 febbraio '32, proprio in riferimento all'ipotesi di una impresa etiopica: « Nulla di grande si fa nel mondo senza imbrattarsi le mani di sangue» . 24La conquista dell'Etiopia, dopo nove mesi di guerra, fu cosí considerata come la conclusione, guidata da Dio, di una vera e propria crociata, che come tale doveva essere festeggiata con messe e ringraziamenti solenni, mentre tutti i missionari stranieri in Etiopia venivano fatti sgombrare e alcuni di essi erano condannati a morte, lasciando il posto a quelli cattolici25.

Mussolini si ritenne ovviamente piú che soddisfatto del contegno della gerarchia cattolica, e lo stesso può dirsi in riferimento ad altri aspetti della sua politica quali la lotta per l'autarchia e la « crociata» spagnola. Piú che esplicito fu anche il favore alla politica mussoliniana da parte della stampa (« L'Italia» compresa) e delle organizzazioni del laicato cattolico, con una conseguente grande influenza sull'opinione pubblica. Saranno l'avvicinamento del regime alla Germania e la conseguente applicazione delle leggi antiebraiche in Italia - ma queste ultime unicamente in qualità di indice del profilarsi di una pericolosa simbiosi fra il regime fascista e il Terzo Reich, con tutto ciò che tale fatto poteva comportare ai danni della Chiesa - a determinare delle crepe nell'intesa fra il mondo cattolico italiano e il fascismo26.

« L'Italia» e il fascismo. Un articolo di Sante Maggi dell'inizio del '37 27 ci aiuta ad introdurre l'argomento. Il pericolo principale per la civiltà - scriveva - è l'avanzata moscovita, che l'Italia ha prontamente individuato ed energicamente eliminato, per cui: « La cronaca dell'ultimo decennio può riassumersi cosí: disinteresse europeo - eccezion fatta per l'Italia e da quattro anni per la Germania - per il problema bolscevico» ; e all'origine del gravissimo problema c'era il liberalismo col suo alleato piú efficace, la massoneria.

Il « lasciar fare» di marca liberista è stata la miglior formula per la preparazione comunista. Veniam a noi, all'Italia. Sino alla marcia su Roma in Italia, lo Stato fu liberale. Le dottrine sovversive, all'ombra dei suoi postulati, poterono liberamente propagarsi. La loro marcia venne arrestata definitivamente col 1922. Il bolscevismo registrò, coll'avvento del Fascismo, la sua fine [...] Il grande merito va al Fascismo, va alla coscienza religiosa e civile del nostro popolo che - di fronte ai fatti e problemi decisivi - reca il senso del suo alto discernimento, della sua giustezza latina [...] L'ordine nuovo non può venire dal mito di Mosca [...] Il problema sociale in Italia è stato affrontato con genialità e ampiezza di linee [...]. Giustamente possiamo concludere, oggi, guardando alla poderosa conquista, che « sul terreno delle conquiste sociali - sono parole del Capo del Governo - intese ad elevare materialmente e moralmente il popolo, noi non abbiamo da imparare da nessuno; possiamo insegnare qualche cosa a tutti» .

Era un tema ricorrente, continuo, quello della contrapposizione fra « il liberalismo dominante per quasi tutto l'Ottocento» , che affermava « esageratamente i diritti dell'individuo nel piú ampio e incontrollato esercizio della libertà» , e quel « ritorno al senso ed alla tradizione dell'autorità» che instaurava « piú logiche ed armoniche condizioni di vita» . In questi termini si esprimeva un editoriale del '34 scritto in occasione della festa della Regalità di Cristo28; un tema, quest'ultimo, enunciato solennemente nell'enciclica Quas primas dell'11 dicembre '25 e che aveva trovato riscontro, sempre a detta dell'« Italia» , nei Patti lateranensi. Il pezzo si concludeva sostenendo che si poteva dunque « vedere nella concomitanza della festa di Cristo Re con l'annuale della marcia su Roma qualche cosa di piú di una semplice coincidenza portata dal calendario: poiché se il Fascismo vorrà sempre dare, come oggi dà, il suo doveroso tributo a Cristo Re, bisognerà vedere nelle due date poste cosí vicine una indubbia confermazione ideale» .

All'inizio dell'anno successivo, lo stesso Maggi curava l'articolo di fondo riguardante il decennio della Conciliazione Stato-Chiesa29. « L'Italia» riportava a grandi lettere le famose frasi pronunciate da Pio XI a riguardo: « Dio all'Italia e l'Italia a Dio» , e: « Forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare: un uomo che non aveva le preoccupazioni della scuola liberale, per gli uomini della quale tutte quelle leggi, tutti quegli ordinamenti, o piuttosto i disordinamenti, tutte quelle leggi, diciamo, e tutti quei regolamenti erano altrettanti feticci e, proprio come i feticci, tanto piú intangibili e venerandi quanto piú brutti e deformi [...]» . 30Grazie alla Conciliazione, proseguiva l'articolista, il cattolicesimo era « la religione ufficiale della Nazione, dello Stato» , e si trattava di « un avvenimento storico, ma non di quelli che si esauriscono nel loro compimento» , perché « la Conciliazione rappresenta una porta chiusa su un passato di dissidio, ma inaugura un'era nuovissima. È questo il suo fondamentale significato. La Conciliazione, provvidenzialmente, ha portato la storia religiosa dell'Italia su un piano dal quale gli orizzonti si dilatano in prospettive sconfinate» .

Non si trattava dunque di un mero appianamento umano di una controversia, ma di un intervento provvidenziale che spingeva a « ringraziare Dio dei benefici della Conciliazione e rendere un doveroso tributo di lode agli uomini che ne sono stati gli artefici» , assumendosi le ardue responsabilità generate dalla prospettiva di ampie possibilità d'intervento forse insperate fino a poco tempo prima: una vera e propria era nuova sotto il segno dell'« influenza religiosa e morale della Chiesa» . La grandezza dell'evento riportava cosí le menti ai fasti del IV secolo.

Nel 313 si pubblicava a Milano l'editto di Costantino, l'editto della libertà religiosa nell'Impero Romano. Nel 1929 a Roma si è pubblicato l'editto per la pacificazione religiosa della Nazione italiana. Le circostanze storiche che hanno accompagnato i due atti sono ben lontane dal poter essere comparate fra di loro: la loro finalità però è essenzialmente la stessa. Come l'editto di Costantino, i Patti Lateranensi sono destinati a irradiare sul popolo italiano, e conseguentemente sul mondo, un'influenza felicissima di libertà e di pace religiosa. Nel 313 si erano incontrati la Chiesa appena nascente e l'Impero, l'11 febbraio 1929 si sono incontrate la Chiesa, Madre e maestra delle genti, e l'Italia, pochi anni dopo divenuta imperiale, una di terre e di spiriti [...] Le generazioni che seguiranno la nostra potranno, a distanza, comprendere ancor meglio che cosa sia e che cosa avrebbe potuto essere o, auguriamocelo nel fervore delle opere, che cosa sarà stata, nei suoi frutti, la Conciliazione.

Il genio latino. Le benedizioni che, frutto della Conciliazione, si stavano riversando sull'Italia, non potevano non ripercuotersi sul mondo intero, perché solo dall'Italia (come da una fucina-modello elaboratrice di una civiltà, grazie all'unione del magistero cattolico con la latinità dei governanti e del popolo) poteva partire un rinnovamento per tutti. La supremazia morale e religiosa della nazione italiana era preservata e potenziata da chi aveva voluto imparare dalla storia la lezione dell'inamovibilità del primato romano - primato teologico e culturale -, perché Roma era « veramente la Città Santa riconosciuta dal Concordato» , 31la « bussola infallibile» , « caput mundi» ; 32Mussolini rappresentava il « genio latino» , l'uomo che incarnava « la saggezza politica romana» , e si aggiungeva: « Per il Fascismo la storia non è stata scritta invano. Il suo grande Capo ne ha perfettamente comprese le austere lezioni e ne ha tratto consigli di profonda saggezza. Il Fascismo vuol essere romano e quindi cattolico» . Prendendo spunto dalla Reformationsfest del 1936, I Cinque ripensavano ai danni provocati dal « pazzesco distacco da Roma nel secolo XVI e nel secolo XX» , ma questo non impediva loro « d'augurare che anche la Germania, come l'Italia» potesse vedere « presto la "conciliazione" della Chiesa con lo Stato» ; 33e la superiorità del fascismo consisteva anche in questo: « Quando il fascismo si richiama alla grandezza romana e afferma di voler a questa ispirarsi, si richiama alla grande civiltà italiana; Hitler salta invece duemila anni di storia e rinnega la vera culla germanica» . L'hitlerismo era « dunque negato ad una graduale evoluzione» ; 34il fascismo invece, « chiaro e latinamente misurato» , 35non era come l'hitlerismo « torbido, con una disciplina puramente esterna» -, bensí destinato a durare, a differenza di altre dottrine politiche del tempo (hitlerismo, appunto, e bolscevismo in primis). Imitando l'Italia, perfino quella Germania verso la quale si nutriva tanta preoccupazione poteva rimettersi sulla giusta via36.

La nazione italiana stava dunque fornendo un esempio che Mussolini, con la sua sagacia tattica, aveva esposto in un famoso articolo su « Le Figaro» di Parigi riportato dall'« Osservatore romano» e, il 20 dicembre '34, anche dall'« Italia» , che lo definí « magistrale» . 37In esso, il duce affermava che ogni qualvolta lo Stato entra in conflitto con la religione, è sempre il primo a rimetterci perché combatte contro l'inafferrabile, l'intangibile; Stato e Chiesa dovevano camminare assieme, e i Patti del '29 avevano inteso garantire la libertà religiosa e la sovranità della Chiesa cattolica nel campo specifico della sua attività. Il giornale sottolineava come, per Mussolini, « nessun governo è piú totalitario, piú autoritario dello Stato Fascista. Nessuno è piú geloso della sua onnipotenza e del suo prestigio, ma appunto per queste ragioni, il fascismo evita di immischiarsi in questioni che si trovano fuori della sua giurisdizione. Tutti gli Stati che non hanno saputo comprendere questa grande verità si sono visti costretti, presto o tardi, a riconoscere il loro errore [...] Chiunque rompe o turba l'unione religiosa di un Paese, commette anche delitto di lesa Nazione» . Dietro a queste ed altre « magistrali» idee del duce non è molto difficile leggere l'opportunismo, la tattica, la strumentalità del proprio avvicinamento alla Chiesa. Difficile dire sempre se, da chi e in che misura questo aspetto venisse compreso, ma sicuramente ogni riserva poteva essere coperta senza grandi difficoltà da quelle garanzie che il regime diceva di offrire (e in parte senz'altro offriva) alla Chiesa; e, d'altronde, come dar tanto peso ai dubbi, nel momento in cui la figura di Mussolini si ergeva agli occhi del mondo cattolico come quella di colui che - come dicevano I Cinque38 39- aveva evitato all'Italia di finire in un baratro simile a quello spagnolo? A quel punto Franco, in Spagna, per salvare quella civiltà minacciata dalla barbarie rossa, si doveva necessariamente appoggiare su quel che vi era di piú forte nel suo paese: « il sentimento cattolico» . Mussolini, invece, questo lo aveva fatto preventivamente con la Conciliazione, e la sua scelta, da qualunque ottica si volesse vedere, non poteva che venir considerata un « programma di sapienza politica che ormai fa testo [...] Perché, - ha aggiunto il Capo - "è lo spirito che doma e piega la materia"» , e « il Fascismo, nel suo slancio vitale e nel suo anelito verso l'eterno» , ha « proprio voluto appoggiarsi a quell'istituto che, solo, ha la promessa infallibile della perennità» . 39

Stiamo facendo riferimento ad anni e contesti diversi, che trovano però un comune denominatore di fondo proprio in questi concetti continuamente riproposti. È lo spirito che domina la materia, è la volontà di affermazione, di primato, di autorità assoluta che le due entità - ognuna a modo suo - condividevano per piegare il mondo ai propri intenti, ma anche, inevitabilmente, per cercare di piegarsi l'un l'altro. « Dal cuore di Pio XI e dal genio di Mussolini - disse il senatore Cavazzoni proponendo nell'ottobre del '38 all'Unione milanese, di fronte all'arcivescovo di Milano, di sottoscrivere l'erezione di un tempio da dedicare alla Vergine Regina Pacis - il mondo ha visto balzare la realtà invocata ed auspicata con tanta ansia e con tanto amore dai popoli tutti. Un nuovo ciclo storico nasce, nel tramonto dei precedenti, e prende vita e nome da Roma, dove si adunano le potestà alle quali si inchinano gli uomini forti e buoni: la carità del Papa e la potenza imperiale della Patria rinnovata» . 40Le tensioni causate dalla alleanza con la Germania e dalla legislazione antiebraica che ne derivava non impedivano di certo all'« Italia» di riportare con visibile compiacimento queste parole, e di sperarci ancora.

Il 10 febbraio del '39, pur tenendo presente che ci troviamo in un clima di stampa controllata, possiamo registrare due articoli esemplificativi che vanno apertamente al di là di un semplice consenso di facciata. A p. 2, in La Conciliazione e le forze armate, si esaltava il « ringagliardimento del sentimento religioso» nelle forze armate italiane, uno « fra i molteplici benefici apportati dai trattati dell'11 febbraio 1929» , avvenuto grazie al ritorno dei cappellani nei reggimenti. Si ricordavano inoltre « gli effetti tangibili della benefica assistenza spirituale» palesatisi durante la vittoriosa guerra d'Africa, frutto della « potenza del connubio fra Religione e Patria» e portatrice di un'espansione del « segno di Cristo fra genti vittime di una eresia sulla quale era necessario aprire loro gli occhi» .

A p. 3, in Una profezia di oltre 5 secoli fa sul Concordato e sul Papa, si riassumevano varie esperienze mistiche di S. Brigida di Svezia (1302-1373), soffermandosi poi su una visione nella quale Dio le avrebbe rivelato l'era di « rinnovato zelo e fervore» in cui « la Sacra Città Vaticana [...] avrebbe rappresentato nei consigli di Dio il premio che sarebbe stato finalmente concesso ad un futuro Pontefice, il quale avrebbe voluto seguire in tutto il Divino Consiglio, e nel quale il Signore si sarebbe compiaciuto» , e si annotava infine: « Alla distanza di dieci anni dall'11 febbraio 1929, quando ebbe compimento l'evento vaticinato già cinque secoli prima sino ai particolari della Città vaticana, era opportuno ricordare quest'importantissimo documento di Storia Ecclesiastica. Esso irradia d'una speciale luce la figura di Pio XI a cagione della lode che Dio stesso pronuncia in favore del Pontefice della Conciliazione» .

La nuova cristianità: « ideale storico e concreto» . Dipinto il presente come un'età di disgregazione frutto della rivolta contro l'ordine e l'armonia della Roma cattolica, e riaffermato il ruolo insostituibile di quest'ultima, non si poteva che passare dalla nostalgia di un passato ideale a una volontà di riproposizione, nei modi ritenuti attuabili, di esso. Il movimento era quindi innanzitutto all'indietro: meglio se tutto fosse rimasto sempre uguale, perché non vi era niente di piú grande di quanto era stato attuato nel Medioevo in virtú dell'opera di civiltà della Chiesa41; né si poteva sperare di compiere qualcosa di tanto grande esautorando la Chiesa stessa dai poteri che le spettavano su tutta la società. Questa convinzione veniva ottimamente espressa, ad esempio (nella particolare circostanza di un discorso di Pio XI a sacerdoti che si dedicavano all'assistenza spirituale e caritativa nel campo sociale), dal sottotitolo dell'articolo Cosa ha fatto e fa la Chiesa per gli operai 42:

La Chiesa ha scritto nei secoli un poema di carità che nessun altro può o potrà mai imitare - La Chiesa ha fatto tutto quanto era in suo potere e del suo lavoro è rimasto ciò che non si è distrutto - Non bisogna dimenticare che se il mondo va male è perché si combatte la Chiesa e che nulla si può edificare senza il rispetto della sua legge.

Sono frasi di sintesi, chiarezza e spessore notevoli. La visione del passato era totalmente giustificatoria di fronte a chi accusava la Chiesa di essere rimasta indietro rispetto ai tempi; nulla di ciò che essa poteva fare non aveva fatto, e ciò che aveva fatto era talmente fulgido da poter essere definito un « poema» , un'opera d'arte che nessuno, volendo agire indipendentemente da essa, avrebbe mai potuto eguagliare né imitare. Il mondo cadeva in pezzi perché aveva voluto contrastare l'unica forza vera ed efficace che agisce in esso - la Chiesa, appunto - e quel poco di buono che al presente si poteva ancora trovare altro non era che il residuo di ciò che il cattolicesimo aveva precedentemente prodotto. Il rimpianto di un passato in cui la Chiesa aveva potuto instaurare un ben altro tipo di rapporti con la società e con gli altri poteri era sempre evidentissimo; possiamo rilevarlo in alcuni spunti, tanto piú significativi quanto piú emergenti in discorsi che trattano principalmente d'altro e nei piú vari contesti, manifestando la presenza di un punto di riferimento pressoché scontato, un'idea di fondo fortemente caratterizzante della mentalità di chi scrive. Ad esempio I Cinque, dopo avere amaramente registrato che numerose personalità politiche della Germania avevano dovuto lasciare la patria per evitare le persecuzioni anticattoliche, e non avevano poi trovato all'estero tutto quell'appoggio, quell'aiuto, quella solidarietà che ci si poteva attendere, commentavano43:

E sí che si tratta bene spesso di animosi edificatori della civiltà cristiana in terra germanica! Finché il mondo era cristiano, a questi eccessi di incomprensione psicologica, economica e morale non si arrivava: o ci si arrivava solo eccezionalmente.

C'era dunque un tempo, secondo I Cinque, caratterizzato da un « mondo cristiano» in cui non si potevano verificare simili « carenze di carità» , non si poteva giungere a tali « eccessi» . In un'altra occasioneessi 44 si scagliavano contro il « famoso mito democratico del progresso» , rimarcando come i suoi fautori avessero fallito per aver voluto tacciare di « oscurantismo» ogni cosa del passato, per averne cioè in molti casi interpretate le vicende come « segni inconfutabili di barbarie tenebrosa» .

Cosa non si è detto per esempio delle fazioni medioevali, e quanto si è calunniato la Chiesa a proposito delle zuffe cittadinesche che, al lume degli avvenimenti odierni, sembrano burle da buontemponi! [...] Oggi si tratterebbe di... civiltà laica, democratica, libera e progressista. Progressista evidentemente è: nei congegni delle autoblinde russe, ossia nei mezzi che sterminano l'uomo, ne accrescono la ferocia e spianano la strada alla vecchia Morte.

Il concetto è sempre lo stesso: nel Medioevo, in un mondo cristiano, sotto l'influsso diretto della Chiesa, c'erano stati momenti di mancanza di carità, ma mai in modo eccessivo; c'erano stati conflitti, ma si era trattato - se confrontati con quelli contemporanei - di zuffe da burloni. Pur di segnalare e accentuare il piú possibile la differenza fra i due periodi storici si proponeva, in pratica, un criterio secondo il quale in epoca medievale, in una società egemonizzata dal cattolicesimo, le guerre, le ingiustizie e i conflitti in genere erano meno gravi, perché meno estesi e meno profondi, e trovavano sempre il loro equilibrio e la loro giusta soluzione nell'ambito della Chiesa. Troviamo infatti confrontate, in questo articolo, le vicende dei guelfi e dei ghibellini con la guerra spagnola, come se un minor numero di morti, o la mancanza di un coinvolgimento a livello internazionale, o una piú ristretta potenzialità di conseguenze negative per il mondo potessero far ritenere delle lotte, degli omicidi e degli stermini piú accettabili di altri (si obliteravano fra l'altro, evidentemente, conflitti e stragi del Medioevo che ben poco hanno da invidiare a quelli del nostro secolo). Ma ciò che a livello piú profondo si voleva sottolineare era, chiaramente, la diversità di impianto fra le due epoche; la prima, che ovviamente veniva per questo altamente apprezzata, era contraddistinta da una amplissima regolamentazione di ogni aspetto della vita, guerre comprese, da parte della Chiesa, mentre la seconda tendeva a sfuggire al suo controllo. Tutto mirava dunque ad esprimere e ad imprimere quell'ideale di ri-cattolicizzazione che, sempre con riguardo ai Cinque, trovava la sua esposizione forse piú piena nell'articolo Idea dell'uomo 45, in cui, dopo il rilievo che la civiltà capitalistica stava « tramontando» , si scriveva:

L'idea dell'uomo che sta morendo è quella dell'Umanesimo rinascimentale e antropocentrico, che durava da cinque secoli e finisce ora di decomporsi sotto l'analisi freudiana e l'atroce chirurgia marxista. Il Medioevo fu un'era di unità e di comunione, - nella stessa fede vivente, - della persona umana con le altre persone reali e concrete, con Dio che tutti amavano e servivano, con l'intera creazione. L'Umanesimo spezzò i legami e distrusse l'unità [...] Il concetto di causa primaria che la raggiante fede del Medioevo aveva posto in Dio, fu tolto di lassú e posto nell'uomo. L'uomo divenne il centro dell'universo, arbitro e signore del destino e degli eventi, della legge e della necessità. Aveva i secoli davanti a sé. Costrusse la sua « città» : la città profana staccata progressivamente dall'Incarnazione.

La descrizione del passato toccava ancora l'idealizzazione poetica: unità e comunione in una stessa fede viva, rapporti ideali fra gli uomini e di questi con Dio, in un comune culto collettivo che armonizzava l'umanità con la stessa creazione... Era dunque tempo, di fronte al « futuro pauroso» che il comunismo e il neopaganesimo già sognavano « come tempo di conquista totalitaria» , di proporre « l'ideale di una nuova Cristianità, ideale storico e concreto» , 46anche se poteva sembrare un « miracolo» al momento ancora « impossibile» 47 e che veniva fatto rientrare in quel complesso di aspirazioni all'unità del mondo che in vari modi - ovviamente ritenuti sbagliati - molti proponevano; ma la speranza consisteva solo nel ricollegarsi all'« unità prodotto della cattolicità» . 48Non bastava infatti il « fattore negativo» - come lo definivano sempre I Cinque49 - di una comune difesa dalla « nuova barbarie divallante dall'Oriente» (il comunismo), ma occorreva « completarlo con un elemento ideale positivo» costituito da una teologia comune, unica.

Repetita iuvant... Tutta la nostra crisi, iniziata con la Riforma, è essenzialmente teologica: è cominciata con mutilazioni e deformazioni della verità cristiana ed è giunta al suo apice di asprezza come una negazione completa e un rigetto satanico delle verità cristiane. Le Nazioni civili ritroveranno la loro primordiale unità, condizione di vita pacifica, se ricostruiranno la cristianità. Si potrebbe dire che tutti i crolli e i lutti e il sangue degli ultimi quattro secoli siano stati permessi per farci riscoprire questa elementare verità.

Un pezzo estremamente indicativo del modo di porsi che stiamo qui cercando di delineare è quello che Cesco Vian scriveva nell'aprile del '3950. Egli si lamentava del fatto che, nonostante gli sforzi di generazioni di eruditi dal Muratori in poi, e nonostante che il XX secolo, dopo « le fantasie dei romantici e le pedanterie dei positivisti, idolatri del documento» , fosse « tutto un cantiere di ricostruzione storica» , tuttavia si poteva dire che buona parte della storia italiana restava ancora da scrivere; un esempio di ciò erano le Crociate, delle quali si erano occupati molti stranieri, specialmente francesi, che però - sempre secondo l'autore - facevano la storia come gli pareva, con « inestinguibili pregiudizi nazionalistici» . Bisognava dunque scrivere « la storia italiana delle Crociate, senza trascurare affatto quello che a queste mirabili imprese hanno dato gli stranieri [...] ma dando il rilievo che merita alla partecipazione dei combattenti e dei navigatori italiani (oltre a quella indiretta, ma non meno preziosa, dei banchieri)» . Ancora, il Vian affermava che i francesi avevano scritto molte « fanfaronate» (ad esempio sostenendo che le crociate furono i « Gesta Dei per Francos» ), e che nel reagire contro queste affermazioni non bisognava « cadere nello stesso peccato di sciovinismo rimproverato agli altri, ma difendere la verità che è, o dovrebbe essere, l'unico scopo di ogni indagine scientifica» ; la conclusione dell'articolo, però, palesava quale forza potesse avere l'idea, radicata nell'intimo, di un rimpianto passato reputato eroico e giusto, che faceva guardare con nostalgia alle « mirabili imprese» di combattenti, navigatori, banchieri sotto la guida dei papi e che, proponendosi di non cadere nell'angusto nazionalismo di altri, mascherava di « scientificità» il proprio: « Quando sarà compiuto questo lavoro [la storia italiana delle Crociate], di evidente utilità nazionale, si vedrà sicuramente che la vecchia formula potrà essere modificata, e parlare - non per sciocca vanteria, ma per reale e riconoscibile verità - di "Gesta Dei per Italicos"» . Con tutta chiarezza, però, l'« evidente utilità nazionale» non consisteva tanto nel progresso della ricerca storica in sé, quanto piuttosto in una indagine chiaramente funzionale, a supporto di un « ideale storico e concreto» che, nel momento in cui si scriveva, aveva già trovato modo di manifestarsi in tutta la sua forza in frangenti come la conquista dell'Impero e la « crociata» spagnola.

Un paio di mesi dopo (4 giugno 1939, p. 1) un pezzo non firmato, dal titolo Nel solco della tradizione, partiva da una recente allocuzione di Pio XII ai membri del Sacro Collegio e si soffermava su « un dato normale dell'attività nella Chiesa Cattolica: l'intenso lavoro che essa svolge a favore della pace» , cosa che rientrava « perfettamente nella tradizione e nella consuetudine della Chiesa» , forte quest'ultima del suo « spirito di carità, di giustizia, di sapienza cristiana intesa a tutelare il diritto quale esso sia, onde stabilire quelle solide basi di civiltà che sole consentono i liberi sviluppi del progresso civile» . Nella complessa ed esplosiva situazione europea, lo sguardo si rivolgeva dunque ancora una volta all'indietro, con una retrospettiva che era anche una proposta attuale, in quanto « le pagine piú belle della storia del mondo furono scritte quando, sotto la potente influenza della Chiesa di Roma, i popoli occidentali formavano una grande comunità morale e sociale, cosciente della sua unità» .

Ciò fu nel Medio Evo. L'unità delle credenze religiose e della cultura sia sacra che profana, la stretta e mutua compenetrazione della gerarchia religiosa con quella secolare, avevano fatto sí che - sotto l'azione diretta dei princ&iacutepi del Cristianesimo - il diritto delle genti entrasse in una fase che rimase memorabile... [...] Giustamente notava Pio XI nella sua Ubi arcano Dei, che nessuna istituzione umana, all'infuori della Chiesa Cattolica, ha la capacità d'imporre alle Nazioni un codice di legislazione comune: ciò che si verificò nel Medio Evo, mediante quella vera Società delle Nazioni che fu la comunità dei popoli cristiani. Sono note, del resto, tutte le istituzioni fiorite nello spirito della Chiesa Cattolica e tendenti a mantenere la pace fra i popoli, ad umanizzare la guerra o a limitarne le deprecabili conseguenze [...] I tempi moderni sentono la nostalgia di quella unità umana [...].

Cosí, se ci si voleva ricordare che « come ieri, come nel Medio Evo glorioso, la piú alta autorità morale rimane pur sempre quella del Sommo Pontefice» , poteva essere superata la difficile crisi che impediva al mondo di « elaborare una organizzazione giuridica internazionale» la quale potesse garantire, « col bene comune, la pace universale» . Le « pagine piú belle della storia del mondo» , dunque, potevano ancora essere eguagliate riconsegnando alla Chiesa di Roma quell'autorità e quel ruolo che avevano garantito per secoli - nella visuale idealizzata dello scrittore - pace o quanto meno conflitti « umanizzati» dalla regolazione sapiente dei papi. L'idea di poter prevenire e/o risolvere i conflitti con istituti umani quali la Società delle Nazioni era vista come illusoria perché posta al di fuori di quella riproposta tradizione memorabile e infallibile della quale i tempi moderni « sentivano la nostalgia» .

Il mito di Roma 51. Igino Giordani, recensendo il libro di Romolo Murri L'idea universale di Roma 52(presentato come una « storia della romanità universalistica dalla Repubblica dell'Urbe al Fascismo italiano» ) e stigmatizzandone alcune posizioni (evidentemente troppo simili - possiamo notare - a quelle di Orano e a quelle che Mussolini espose nel famoso discorso alla Camera del 13 maggio '29), 53ci introduce sempre meglio nella concezione ideale della Roma cattolica, centro di irradiazione di una nuova/antica civiltà. Riguardo al Murri - dopo avergli rimproverato di voler troppo arditamente conciliare l'ammirazione per il cattolicesimo con pregiudizi anticlericali, il soggettivismo con l'oggettivismo e il Medioevo con il modernismo -, scriveva: « Dio volesse che egli partendo dai riconoscimenti dell'azione benefica della Chiesa, arrivi presto a leggere (o rileggere) la cattolicità con occhi puramente romani e la romanità con occhi puramente cattolici, sino a vedere che le due stanno come il centro (Roma) alla sfera (Chiesa)» . Se il Giordani (il quale, ricordiamolo, era un antifascista ed aveva anche collaborato con Gobetti) poneva in qualche modo dei limiti, dei distinguo a un modo di intendere la « romanità» , ben piú frequenti erano nell'« Italia» gli appiattimenti, gli abbinamenti totali fra la Roma civile e quella religiosa. Ad esempio, al termine di un excursus sulla « formazione storica del laicismo» , dopo aver passato in rapida rassegna Umanesimo, protestantesimo, Controriforma, pensiero moderno e Illuminismo, il prof. Umberto A. Padovano, dell'Università cattolica del Sacro Cuore, concludeva l'articolo col paragrafo « La missione di Roma» , scrivendo54:

Questo laicismo, questa separazione ufficiale da Dio e da Cristo, che nonostante i suoi amari frutti dura tuttora, e sembra anzi in alcuni luoghi accentuarsi, per l'Italia è finita. In virtú sopratutto di quei Patti lateranensi, che la Santità di Pio XI, Romano Pontefice, e il genio politico di Benito Mussolini, Duce d'Italia, hanno voluto, per l'Italia e per la Chiesa. Fatto dunque di un'importanza nazionale immensa, ma destinato pure ad avere una fecondità universale [...] Poiché Roma è stato il centro dell'Impero antico e quindi dell'Impero cristiano; perché è il focolare di valori universali, civili e religiosi: potrà essere nuovamente l'anima di una civiltà cristiana, forte e pacifica [...] L'ideale che ci si presenta dinnanzi è immenso, nazionale e universale, civile e religioso; spetta a noi Italiani, a noi Cattolici di agire fortemente per esso fino al sacrificio, perché senza sacrificio nulla di grande si compie quaggiú, né per la Chiesa, né per la Patria, né per la religione, né per la civiltà.

Non è difficile trovare degli editoriali dei Cinque con titoli del tipo Romanità(7 settembre '35) o Romanamente(4 ottobre '35); ma il loro pezzo in cui viene forse piú sinteticamente espressa l'idea è La giusta via(2 novembre '35). Sottolineato il contrasto fra un popolo italiano che camminava unanime, totalmente compatto dietro al re e al duce, e la « malapace di Versailles» che stava portando alle sanzioni economiche contro l'Italia e della quale avrebbe fatto « giustizia la storia» , si affermava che « in un'Europa disorientata, in un mondo oscillante sull'asse dell'equilibrio» , l'Italia aveva « la sua parola da dire» e un suo « dovere di civiltà da compiere» .

Roma ha tracciato le sue strade proconsolari, veicoli ideali di un nuovo progresso tra i popoli ancora immersi nell'oscurità della barbarie; da Roma - sede del diritto e della civiltà cristiana - è sempre partita nel mondo, nelle ore piú decisive, la consegna della ripresa, del rinnovamento e dell'ascesa. A questa missione storica, Roma intende rivendicarsi oggi [...] La difesa della civiltà e del diritto, in conseguenza, merita una valutazione superiore e una obbiettività elevata; in questa prospettiva si comprenderanno con facilità le legittime rivendicazioni dell'Italia, le quali coincidono con quelle stesse della ragione umana e storica. Questa la via della pace. Le altre la disservono e ne ritardano il consolidamento.

Queste citazioni appartengono al periodo di maggiore intesa fra la Chiesa e il fascismo, periodo in cui « Roma» era dunque il punto d'incontro - ideale e concreto allo stesso tempo - fra il temporale e lo spirituale, per una missione che doveva perpetuarsi nel tempo al fine di evitare la distruzione di un'intera civiltà. In netto contrasto con quanti sostenevano una separazione fra Chiesa e Stato, la Conciliazione aveva ancora una volta mostrato come l'armonia fra le due istituzioni fosse « arra sicura di effettivo progresso per la Nazione e di civilizzazione spirituale nel mondo» .55

Lo Stato cristiano. Lo Stato ideale doveva avere requisiti di saldezza, ordine, autoritarismo, massima centralizzazione. La critica aspra al parlamentarismo e alle democrazie - viste come fattore disgregante, laicizzante ed eccessivamente liberalizzatore - ci introduce in questo aspetto della complessiva visuale cattolica e dell'« Italia» , aspetto che è perfettamente in linea con quanto affermava Mussolini (le frasi del duce vengono riportate sull'edizione del 19 gennaio '37 a p. 1): « Le democrazie hanno fatto fallimento. Esse non sono - se ne rendano conto o no - che focolai di infezione, cellule di bacilli e foriere del bolscevismo» ; agli occhi dei Cinque, ad esempio, le libertà democratiche moderne erano indelebilmente marchiate col sangue della rivoluzione francese56.

La democrazia, per sua fatale legge, porta all'abbassamento della persona umana; un regime egualitario vi porta per proposito e tendenza di programma. Esso favorisce la mediocrità e l'inferiorità, e non si contenta di capovolgere la gerarchia dei meriti, ma la sostituisce con un'altra col vertice verso il basso. All'origine di un regime d'eguaglianza, vi sono dei diritti stabiliti; all'origine di un regime egualitario, vi sono delle teste mozze.

La democrazia di tipo anglo-francese non era dunque in grado di portare ad alcuna reale uguaglianza, ma solo ad un ingannevole egualitarismo che sovvertiva le gerarchie naturali, metteva sullo stesso piano realtà diverse, abbassava e poi appiattiva la persona, si traduceva in violenza57. Prendendo spunto da un colpo di Stato totalitario compiuto in Brasile (indicato come « necessario per mettere un po' di ordine nel disordine dei partiti, da cui era irretita la vita nazionale» ) e facendo riferimento alle politiche inglese, francese e statunitense (che sembravano preannunciare « una sorta di totalitarismo» , ossia interventi e controlli sempre piú « vasti e gravi» sulla vita economica dei rispettivi paesi), I Cinque rilevavano che « il capitalismo sfrenato porta inevitabilmente a una crisi sociale, da cui non si esce che in due modi: o col controllo dello Stato sul capitale o col dominio del capitale sullo Stato» , e ne deducevano che « i due fronti antagonisti - di Stati democratici e Stati totalitari - sono costituiti da due nomenclature apparentemente opposte, ma in realtà convergenti» :58

Vuol dire che, sotto due nomi, si stanno compiendo identici processi storici. E allora, se si avesse il coraggio, anche tra le sedicenti democrazie, di chiamare le cose col loro nome, un'altra ragione di contrasto cesserebbe: e il contrasto, se c'è, si ridurrebbe ai suoi giusti limiti, e apparirebbe nella sua vera realtà. Ciò che semplificherebbe la soluzione.

Mentre quelle democrazie si mascheravano, dunque, i regimi totalitari avevano il coraggio di chiamare le cose col loro vero nome, senza infingimenti demagogici e mirando a uguaglianze sostanziali, che tenevano conto delle diverse facce della realtà e della società. Qual era dunque lo Stato che poteva a buon diritto vantare l'attributo di « democratico» ? In pieno funzionamento dell'asse Roma-Berlino, facciamoci ancora illuminare dai Cinque59.

Mussolini, Hitler, Salazar, Vargas hanno l'ambizione di fare dei loro Paesi altrettante autentiche democrazie. Di rincontro certa retorica da comizio seguita a proclamare che le vere e sole democrazie sono i Paesi... dirimpetto, ai quali soli competerebbe l'onore di rappresentare gli interessi dei popoli [...] Ora, vera democrazia è quella della Spagna nazionale [...] In Spagna si difende, contro i rossi, la causa della vera democrazia.

Lo « Stato cristiano» (che in quanto accentrato, totalitario e cattolico propugnava il vero interesse collettivo, il bene popolare, e doveva essere quindi considerato genuinamente democratico) era in grado di fornire quelle garanzie che i sistemi democratici parlamentari non potevano dare. In un articolo del 2 maggio '34, sottotitolato appunto Lo Stato cristiano, si riportavano le principali affermazioni del cancelliere Dollfuss in occasione della festa della Costituzione in Austria. Riferito il suo compiacimento per il concordato con la Chiesa appena entrato in vigore, altre dichiarazioni venivano sunteggiate dall'anonimo articolista.

La nuova costituzione è ispirata alla concezione cristiana [...] La nuova costituzione offre alla corporazione la piú ampia autonomia. La nuova Austria avrà una direzione autoritaria; uomini esperti della vita pubblica ed economica dirigeranno coscienziosi e risoluti le sorti del paese. Soltanto il Governo avrà l'iniziativa di emanare leggi ed in tempi eccezionali verranno affidati al Presidente federale poteri eccezionali.

Accordi con la Chiesa cattolica, corporativismo, autorità risoluta, accentramento di poteri: queste le caratteristiche adatte per portare a « tempi migliori nella vita sociale dell'Austria» . Idee simili erano già state espresse in un articolo dell'anno precedente60, commentando l'avvenuto concordato col Terzo Reich (concordato in cui si riponeva allora una grande speranza).

Quel che di buono vi è nell'idea democratica, quel che di benefico si può trovare nello stesso programma socialista, le riforme sociali, la proprietà, il progresso della vita collettiva, non possono essere salvati che dalla formazione di salde unità nazionali su cui domini una autorità capace di avvincere alla collaborazione, pel bene comune, tutte le classi sociali, tutte le forze produttive, tutte le energie del lavoro e del pensiero. Lo Stato democratico parlamentare sta cedendo il posto a quello unitario corporativo. Noi cattolici che al bonum commune abbiamo cercato, in tempi e tra esigenze diverse dalle attuali, e reagendo anche allora su un passato denso di errori, di piegare le istituzioni democratiche, non possiamo essere sordi alle voci che ogni dove si levano oggi per invocare un'autorità che ponga fine alle troppo lunghe incertezze e assicurare alla civiltà le sue conquiste. La Chiesa ci è ancora una volta maestra [...] Attraverso i vari concordati, che costituiscono la caratteristica e il successo dell'attuale politica vaticana, tra i quali quello testè concluso col Reich germanico è di importanza somma, è facile riconoscere la nuova direttiva su cui si orientano i popoli civili specialmente in Europa.

È vero che tale politica, come annotava ancora l'articolista alludendo con ogni probabilità allo scioglimento del Centro61, implicava « la decadenza e il ripudio di metodi cari a precedenti generazioni e il superamento di posizioni politiche talvolta faticosamente conquistate» , ma « la Chiesa non esita a chiedere [...] anche i piú generosi sacrifici in omaggio a finalità superiori. E tra queste finalità non è solo la libertà religiosa ma anche la pace e la prosperità dei popoli. A tali sacrifici, e a battere vie nuove i cattolici non oppongono resistenza» . Fu dunque considerato inevitabile, dopo i vani tentativi di « piegare» le democrazie all'indirizzo della Chiesa - cioè dopo non essere riusciti a realizzare all'interno di quei sistemi politici una propria egemonia - allearsi con quelle realtà statali unitarie, corporative e totalitarie che sole potevano garantire alla religione cattolica la riconquista di una posizione di primazia, sebbene al momento ancora imperfetta. Solo il principio di autorità poteva, in questa visuale, riportare la « normalità» , concependo quest'ultima come un tipo di civiltà ove la Chiesa cattolica avesse una sorta di monopolio - garantito dall'autorità stessa - sulla formazione dello spirito della nazione; a queste condizioni, l'appoggio alla patria sarebbe stato totale, senza riserve, per collaborare ad una nuova opera di civilizzazione.

Certo è che la parola autorità è quella che oggi riassume tutti i programmi di rigenerazione sociale [...] Ricordiamo però: il successo definitivo, cioè le sorti della civiltà e la salvezza dell'ordine sociale sono legate alla restaurazione generale e profonda dello spirito cristiano. Ed è questo l'apporto che al faticoso ed auspicato ritorno della normalità in questo sconvolto consorzio umano sono chiamati a dare i cattolici di tutti i paesi, sia colla loro azione individuale, sia con quella collettiva che va sotto il nome di Azione Cattolica, sia ancora colla loro collaborazione nel campo civile alla grandezza e alla prosperità della Patria.

Dio e patria. Era infatti grazie ad una « concezione cristiana della Patria» , secondo padre Brucculeri62, che il pensiero cattolico si teneva « ben lontano» dalle « paradossali bizzarie [le « famigerate» idee di Mazzini] di un cosmopolitismo miope» ; da S. Tommaso a Leone XIII, Pio X, Benedetto XV, Pio XI, tutta la concezione cattolica era basata su un'idea di amor patrio fonte di tanti eroismi se regolato dalla legge della Chiesa. In tal modo, nel clima infuocato delle sanzioni, di fronte all'ardore per la conquista dell'Impero, il Brucculeri non solo ricordava la dottrina del magistero, ma adoperava anche diverse citazioni dal Vecchio e dal Nuovo Testamento ed episodi della Chiesa primitiva (con forzature evidenti, fra l'altro) per dimostrare la legittimità del versare il sangue proprio o altrui in nome del particolarismo della patria, particolarismo che mai doveva essere considerato contrastante con l'universalismo della Chiesa63. In quest'ottica - sempre secondo il Brucculeri - l'individuo offriva se stesso alla patria per il bene collettivo, con una etica religiosa che « per l'autorità e l'amore di Dio prescrive di amare il prossimo come se stessi» .

Il lungo articolo si sforzava dunque di dimostrare in tutti i modi non solo la legittimità ma la necessità, da un punto di vista cattolico, di un appoggio incondizionato alla nazione nell'ora della guerra e della conquista; e la dimostrazione doveva andare a beneficio di chi scorgeva « delle antinomie irriducibili fra l'universalismo della Chiesa e il particolarismo della Patria» ; l'autore si augurava un ritorno pieno a quella azione forgiatrice della coscienza pubblica da parte del cattolicesimo, « in guisa da raggiungersi quella vera società delle Nazioni o famiglia dei popoli, che è stata auspicata e promossa dai Romani Pontefici» . Possiamo notare che, evidentemente, qualcuno aveva prospettato la suddetta antinomia, e ciò probabilmente anche all'interno del giornale, visto che si sentí la necessità di pubblicare sullo stesso l'intero articolo di Brucculeri che già doveva comparire il giorno seguente sulla « Civiltà cattolica» . Ma questo non fa che confermare che, al di là delle problematiche e delle discussioni sotterranee, una grande compattezza esteriore reggeva sempre, in questo come su ogni altro tema di fondo; ovviamente, è a questa solida impalcatura ufficiale e pubblica che dobbiamo far riferimento in una ricerca come la presente (lo stesso tipo di considerazione possiamo fare per altri articoli).

Dunque, seppur in un periodo di tensione nei rapporti fra la Chiesa e il regime64, l'appoggio alle iniziative imperiali, espansionistiche, o d'altro genere era totale, perché l'Italia era una « nazione cattolica» , « restituita a Dio» , come Sante Maggi ricordava ancora nel '38 65 in occasione del discorso del duce a 60 arcivescovi e vescovi e 2.000 sacerdoti tenutosi a Palazzo Venezia. Dopo la questione romana, che « era stata per il liberalismo e la loggia il comodo pretesto per il conseguimento delle loro mire anticattoliche» , al « settarismo demo-liberale» era « subentrata una atmosfera di cordiale, feconda collaborazione fra le due podestà religiosa e civile» .

In simile convergenza di mete [...] Mussolini ha accennato nel suo discorso ai frutti della Conciliazione. Ha ricordato l'efficace collaborazione offerta da tutto il clero durante il conflitto italo-abissino e durante la resistenza del Paese al sanzionismo ginevrino e ha ricordato « con particolare simpatia l'esempio di patriottismo e di italianità offerto dai vescovi» [...] Pio XI è il Papa della Conciliazione e questo nome sarà consegnato ai posteri come uno dei piú fausti nella storia della Chiesa e dell'Italia [...] Nel mondo, nell'Europa le incertezze sono molte, le incognite ancor forse piú numerose. La civiltà nelle sue basi è minacciata: questa civiltà nata dall'Evangelo, illuminata dalla luce della Chiesa e nutrita costantemente dai primi secoli dell'era volgare col pane del suo insegnamento [...] L'unità forgiata dalla Conciliazione è il piedistallo delle nostre glorie presenti e venture; è davvero un baluardo di difesa e un faro di irradiazione dei principi di una civiltà che ben lungi dal suo tramonto, è all'alba di fasti piú fortunati.

Accostato all'articolo del Maggi compariva il dettagliato, lungo e trionfalistico resoconto dell'adunata di Palazzo Venezia dal quale mi sembra opportuno stralciare qualche brano.

L'Italia, nazione totalitariamente cattolica, dà oggi al mondo il magnifico esempio di una unità integra, assoluta, ricca di conseguenze quale non si poteva certo supporre in nessun momento dei decenni che precedettero il Fascismo e che oggi ha riscontro soltanto, sebbene in modo imperfetto, in pochissimi piccoli Stati che hanno posto a fondamento del loro regime l'insegnamento del cristianesimo, la dottrina della Chiesa. In Italia oggi, la tradizione cattolica, la quale ha superato secoli di storia in un collaudo glorioso e ricco di civiltà, informa l'anima stessa del popolo, le sue tendenze, le sue piú nobili aspirazioni. Il lungo dissidio che solo il cuore del grande Pontefice Pio XI assecondato dalla ferrea volontà di Mussolini, ha potuto risolvere, aveva affinato sempre piú, nel crogiuolo d'una sofferenza profonda, lo spirito di milioni e milioni di cattolici anelanti ad una pace atta a dimostrare quella pienezza d'intenti e di opere, principio di una duratura grandezza, basata e costruita sull'insegnamento del Redentore, luce a tutti i popoli, conforto a tutte le esistenze.

Si descrivevano poi il corteo dei sacerdoti recanti la bandiera della patria e i vescovi con una grande corona d'alloro.

... [vescovi e arcivescovi sono] imponenti nell'abito talare, ravvolti nel ferraiolo violaceo, con la grande croce pastorale sul petto che taluni, e sono i piú, hanno fregiato con le decorazioni di guerra [...] La teoria dei prelati della chiesa incede - maestosa macchia di colore che si inquadra perfettamente nella austerità romana dell'ambiente - e fa ingresso nella sala regia, immensa, dai cui enormi lampadari si diffonde una calda luce dorata che si intona con quella del giorno che filtra attraverso il celeste pallido delle invetriate [...] La sala regia si presenta, a chi guarda, un complesso quadro in cui il passato si salda armonicamente col presente [...] La massa, che massa compattissima è questa di sacerdoti convenuti da ogni parte d'Italia per vedere il Duce ed a lui esprimere la piú schietta gratitudine e il piú fervido entusiasmo, appare animata, nell'attesa, da una sola fede, da un solo amore: Dio e Patria. E, a Dio, allo scoccare di mezzogiorno s'innalza il pensiero dei convenuti, che sorti in piedi recitano l' Angelus Domini; e alla Patria ancora il pensiero s'innalza quando dopo pochi minuti essi prorompono in una entusiastica, prolungata dimostrazione all'arrivo del Duce [...] L'ovazione dei convenuti si innalza potente e anche dal petto degli ecclesiastici, le cui braccia si levano romanamente e prorompe calorosissimo, schietto, vibrante il grido: « Duce! Duce! Duce!» .

Venivano riportati infine il discorso di Mussolini e, prima di questo, l'indirizzo d'omaggio al duce da parte di mons. Nogara, arcivescovo di Udine, che concludeva:

Ebbene, io vi posso assicurare che, quando si tratta della gloria di Dio, del bene del popolo, della grandezza della Patria, in una parola di ciò che è veramente buono ed utile, il Clero dà e darà, la sua volonterosa collaborazione al Vostro Governo, perché Voi volete che l'Italia continui ad essere al mondo intero esempio e maestra di civiltà cristiana; volete che Roma sia sede rispettata del Vicario di Cristo. Duce! Avete vinto tante battaglie, avete vinto anche la battaglia del grano. Vi assista il Signore, noi lo preghiamo, e Vi conceda di vincere tutte le battaglie, che Voi sapientemente ed energicamente dirigete per la prosperità, la grandezza e la gloria dell'Italia cristiana, di questa Roma, dove è il centro del Cristianesimo, di questa Roma che è la capitale d'Italia Imperiale66.

Queste citazioni riassumono molto efficacemente quanto visto finora, in un impianto che si fonda su di una battaglia ideologica e per una egemonia. L'Italia doveva essere considerata un faro, una luce per tutti i popoli perché, grazie all'unione di due sistemi totalitari, era divenuta « totalitariamente cattolica» e quindi di nuovo « cristiana» in una convergenza di mete fra potere politico e religioso, convergenza che preannunciava con tutta sicurezza la rinascita di una civiltà: quella nuova e duratura sperata da Mussolini67, accompagnata dalla prospettiva di una nuova civiltà cattolica che rimediasse all'estrema minaccia del tempo presente e ponesse fine alle sofferenze lenite dalla Conciliazione. Ancora una volta, poi, la retorica si vestiva di poesia per descrivere un evento - e una situazione che quell'evento simboleggiava - le cui caratteristiche apparivano, agli occhi di gran parte del mondo cattolico, frutto di meccaniche divine. Tutto ciò non poteva che far vincere ogni battaglia, di qualunque genere essa fosse: religiosa, politica, espansionistica, economica, sociale. Non deve cosí sorprendere se, nei momenti piú aspri di un sanguinosissimo conflitto come quello che era in corso in Spagna, si difendeva, esaltandola, l'opera di Franco dalle accuse - mossegli dalla stampa massonica mondiale - di essere un tiranno, un oppressore, un cattivo cattolico e « perfino un massone» ; 68l'articolista (A.P.), dopo aver ripercorso brevemente la vita « esemplare» del generale, affermava: « Se fosse massone non lo si vedrebbe, adesso come prima e come sempre, adempiere i doveri di cristiano e di cattolico fervente, né lo si sentirebbe parlare da cattolico, agire da cattolico, sacrificarsi da cattolico per la causa di Dio e della Patria» . Si ricordavano poi le dichiarazioni fatte tempo prima dal « Generale cattolico» a Salamanca.

Ecco il nostro vanto: l'onore alla Patria, la onoratezza, l'amore al popolo, un sentire cattolico profondo, ed una fede cieca nel destino della Spagna. Nel campo religioso alla persecuzione marxista e comunista noi opporremo i sentimenti di una Spagna cattolica, coi suoi Santi, i suoi Martiri, colla sua giustizia sociale e colla sua carità cristiana dei passati tempi.

È facile constatare come Franco sapesse toccare le corde piú sensibili del sentire cattolico, prospettando anche per la Spagna la possibilità di una società totalitariamente cattolica che, pur attraverso le necessarie stragi del presente, recuperasse la « carità cristiana dei tempi passati» e, grazie alla Chiesa, potesse di nuovo vivere nella « giustizia sociale» . Ecco perché l'articolo terminava dicendo che « a Dio piacendo, a suo tempo la verità brillerà della luce piú viva [...] Intanto per noi, e per qualsiasi animo leale, di fronte a questo accanimento dei tristi, la figura e l'opera di Franco si nobilita e si ingrandisce ogni giorno di piú» .

L'opera civilizzatrice di Roma. Abbiamo già accennato all'omelia - esemplificativa di tutta una serie di discorsi e di atti concreti, e quindi di un clima complessivo del mondo cattolico - tenuta il 28 ottobre del '35 dall'arcivescovo Schuster, il quale incitava a cooperare col massimo sforzo alla « cattolica missione di bene» , al « trionfo della croce di Cristo» che era in corso in Etiopia. A conquista avvenuta e consolidata, « L'Italia» riportava un altro discorso pronunciato da Schuster nel duomo di Milano69, questa volta in occasione del XIV annuale della marcia su Roma; evento in cui, secondo il cardinale, si doveva individuare « la mano della Provvidenza di Dio, che, mentre risparmiava alla sede del "successor del maggior Piero" e all'Italia [...] gli orrori delle settimane rosse, preparava da lungi il concordato lateranense e disponeva gli animi alla redenzione dell'Etiopia dalla schiavitú e dall'eresia, nel rinnovamento cristiano dell'antico Impero romano» . Allontanato il pericolo rosso, risolta la questione romana e data dunque la giusta base alla nazione, la Provvidenza aveva guidato l'Italia verso una missione di « redenzione» in Africa orientale, riconquistando alla fede cattolica romana un popolo traviato da quell'eresia monofisita che era considerata il battistrada di tutte le « barbarie» - capeggiate dall'istituto della schiavitú - che affliggevano le popolazioni indigene. L'origine di tutti i mali veniva come al solito individuata nel distacco dalla autorità romana, come lo stesso Schuster aveva affermato alcuni mesi prima indicendo il « Te Deum» di ringraziamento (su cui riferisce « L'Italia» del 7 maggio 1936) per la vittoria sugli etiopi, inquadrati, con un audace e anacronistico salto nell'Antico Testamento, come ancora soggetti alla maledizione di Cam ( Genesi 9,24-27) 70 fino al giorno della liberazione cattolica.

La Chiesa Cattolica già da tanto tempo pregava, perché la paterna maledizione anticamente pronunciata contro Cam, si cangiasse finalmente in benedizione per i meriti infiniti del Sangue di Gesú Cristo. Parecchi gruppi di Santi Martiri e schiere di zelanti Missionari hanno tanto sofferto per redimere l'Etiopia dalla schiavitú dell'Eresia monofisita - che è stata la prima e vera origine di tutte le altre miserie morali che per oltre un millennio hanno oppresso quel povero popolo [...] L'Italia, entrando in Addis Abeba, sa di essere [...] all'inizio di una vera missione di pace e di civiltà Romana.

Oltre ai numerosi articoli celebrativi71, inneggianti ai fasti dell'Impero e ai palpitanti comunicati di guerra, quotidianamente riportati con grande enfasi e costante fervore, vi erano scritti che si soffermavano piú a lungo sulle premesse, sugli esiti e sui significati politici e religiosi dell'impresa. Luigi Mietta, in un lungo articolo alla fine del '3572, analizzava alcune delle « molte ragioni di vario genere» che giustificavano « l'impresa italiana in Africa Orientale» e che facevano risaltare « piú iniquo il trattamento verso il nostro Paese da parte della cosiddetta "Società delle Nazioni" e dei Paesi sanzionisti» . La piú notevole motivazione era quella dell'eccedenza demografica, la quale, unita alla incapacità della nazione di assorbire tutti i propri cittadini, aveva causato emigrazioni in massa di cui avevano beneficiato moltissimi paesi in tutto il mondo; infatti gli italiani - notava sempre il Mietta -, adattabili ad ogni clima e situazione, avevano portato le proprie braccia e il proprio ingegno dovunque, facendo anche gli interessi di chi li aveva accolti. Altri popoli non sentivano invece la stessa necessità di espansione, sia per la scarsa natalità interna che per la vastità e ricchezza del territorio e per lo sviluppo dell'industria; l'italiano, piú povero, aveva bisogno di « sbocchi coloniali adatti» ed era per natura « specialmente idoneo alla colonizzazione» . Ora - continuava l'autore - non era giusto mettere a servizio di altri le proprie energie, mentre era giusto farlo a pro dell'ingrandimento dell'Italia, una nazione per la quale l'espansionismo era « connaturato» alla propria « costituzione fisica e morale» . La reazione ginevrina veniva vista dunque come una forma di puro « legalismo» che tendeva a stroncare la « missione storica dell'Occidente» (rappresentato appunto dall'Italia), e ciò a causa degli « interessi delle Nazioni soddisfatte, congiurate ai danni del progresso e della civiltà umana» .

Cosí l'Italia, per motivi economici, demografici, geografici e morali, aveva il diritto di colonizzare, di civilizzare; nessuno meglio degli italiani poteva farlo, perché italiano significava cattolico romano, e Roma era sinonimo di civiltà la guerra d'Etiopia assumeva dunque un ruolo non solo contingente ma anche simbolico, rappresentativo, come dichiaravano senza indugi - alla fine del conflitto - I Cinque.

Lo si è detto a chiara voce: la marcia dell'Italia in Etiopia è la marcia della civiltà [...] rinnovamento e rincivilimento nel nome e alla luce di Roma italiana e cattolica [...] Quella dettata da Ginevra è stata una sentenza che ha colpito piú che l'Italia - trionfatrice in Abissinia e vittoriosa contro l'assedio sanzionista - la missione civilizzatrice della stessa Europa [...] L'Italia non si smentisce né nella sua storia, né nella sua saggezza, né nel suo senso di equità. L'Europa il mondo lo riconoscano: in Etiopia l'Italia, sta scrivendo una nuova incancellabile pagina di conquista sociale. La sua è una genuina lezione - stupenda ed eloquente - di civiltà cristiana e umana73.

Addis Abeba è italiana. L'Etiopia è italiana [...] Il mondo - attonito e ammirato - registra e plaude: gli ostili di ieri, tacciano [...] Il cappellano, il missionario - in prima linea e nelle terre conquistate - crocesignato per le sue opere di pietà e di amore, ha prodigato ovunque il suo ministero consolatore, e animatore infaticabile al sacrificio, ha riconsacrato, anche col sangue, le terre d'Abissinia, ora aperte al pacifico passaggio dei nuovi evangelizzatori, che richiameranno quelle popolazioni alla pace cattolica nell'ortodossia romana. La guerra è finita: combattuta per ragioni di difesa e di civiltà - missione e vanto a diritto di Roma - termina in un'apoteosi che è quella stessa di una giustizia compiuta e di una civiltà tutelata nei suoi elementi di vita e di luce [...] Pace nella giustizia: pace romana [...] La missione dell'Italia non poteva, non doveva essere arrestata74.

Il sangue dei soldati morti doveva essere considerato sacro, e la terra su cui era stato versato consacrata nell'ortodossia di Roma, quella Roma che dava la pace per mezzo della guerra, perché Dio stesso aveva « benedetto la nostra bandiera» : la situazione creatasi non poteva che essere definita « giustizia» . I Cinque potevano ritenere realizzati gli auspici che avevano espresso un mese e mezzo dopo la dichiarazione di guerra, parlando di un'ora « storica per la Patria e la Religione» ; 75un'ora decisiva perché impiegata per porre argine agli sviluppi del « comunismo sempre in agguato» e della « massoneria sempre in allarme» , i « due pericoli incombenti sull'occidente latino e cattolico» . Possiamo dire, allora, che un'altra ragione dell'espansionismo italiano-cattolico era proprio la necessità di un contrattacco, di « rispondere» , come dicevano ancora I Cinque, ai tentativi di espansione rosso-massonica. L'Italia - affermavano - poteva compiere questa impresa con tranquillità e fiducia piene, perché la sua causa era « quella stessa della civiltà» , e col tricolore avanzava « la Croce; colla Croce, la luce della civiltà che al Vangelo rivendica le sue sorgenti, la prassi del suo costume» . Si trattava di una conquista di spazi vitali, di occupare una posizione prima che fosse conquistata dal nemico di Dio o quanto meno di controbilanciarne il potere con una forza d'urto ad esso contraria. La guerra era dunque guerra per Dio, di Dio.

E gli africani? Come già accennato, si trattava di un popolo « maledetto» fin dai tempi di Noè, « traviato» dall'eresia, imbarbarito e incapace di provvedere a se stesso, che doveva sopportare l'inevitabile impatto con le « ragioni di difesa e di civiltà» di cui s'è detto. Altri motivi dell'espansione erano dunque questi: l'Italia doveva « difendersi» dalle popolazioni abissine che d'altronde, come le altre genti nere, avevano bisogno urgente di essere civilizzate; non si doveva parlare dunque di guerra in senso spregiativo, ma di una missione che sarebbe stato addirittura una colpa non intraprendere al piú presto. Ecco dunque che « L'Italia» dipingeva, ogni tanto, le caratteristiche degli africani; cito come esempio un trafiletto tratto dalla rubrica « Matita blu» (29 gennaio '36, p. 2) e dedicato polemicamente a tutti i « filo-abissini» . Si faceva riferimento alla esperienza diretta di un francese resa pubblica dal « Courier du Maroc» e nella quale ci si domandava se l'Etiopia potesse essere considerata veramente un paese; descritti un paio di episodi di inciviltà dei luoghi, si riportavano con scontata condivisione le conclusioni del testimone.

Non ho mai visto - conclude lo scrittore - un popolo cosí selvaggio e spoglio di ogni senso di umanità. Ci si domanda come si è potuto ammettere gente come questa fra i popoli civili e cristiani. Ripensandovi bisogna ripetere ancora una volta « che non un uomo, non un soldo siamo disposti a dare per il Negus e che non parteciperemo a nessun conflitto con l'Italia, nostra sorella latina» .

Scontato il commento finale del quotidiano milanese: « Non sappiamo se la conclusione soprariportata sia condivisa da Sarraut, Flandin, Herriot e compagni di Loggia: è certo, ad ogni modo, che l'Abissinia ha urgente bisogno di essere civilizzata: ed è ciò che sta ora facendo l'Italia» . La continua sottolineatura dell'urgenza sembra voler controbilanciare e giustificare la violenza dell'impatto per presentarlo come concretamente inevitabile, necessario e benefico. Non bisognava avere il minimo dubbio sul fatto che gli africani non avessero alcun diritto di autodeterminazione e che un avvicinamento non potesse assolutamente compiersi nel rispetto della loro condizione. Non a caso - per questo come per altri argomenti - venivano fatti comparire qua e là delle specie di piccoli « credo» posti in contesti affatto diversi e forse ancor piú efficaci, nella loro immediatezza, per scolpire bene nella mente dei lettori alcuni concetti-chiave. Eccone uno, incorniciato in un riquadrino verso il fondo della pagina: « Lo Stato aggressore, costituzionalmente dedito alle aggressioni, è l'Abissinia, soltanto l'Abissinia, e nessun altro all'infuori dell'Abissinia» . L'Italia si difendeva e difendeva il ruolo dell'intera civiltà occidentale: l'aggressione veniva dagli incivili. E la croce, come la bandiera, non poteva aspettare.

Il virus della Lega. Abbiamo detto di come Mussolini si ritenne piú che soddisfatto dell'appoggio dato dal mondo cattolico alle sue iniziative. Questo appoggio era in parte spontaneo e in parte, senz'altro, sollecitato. Cosí avvenne da parte del « Regime fascista» , che il 18 settembre del '35 dedicò un corsivo all'« Italia» accusando il giornale di non aver fino a quel momento saputo seguire « a passo bersaglieresco l'azione di Mussolini» , cioè di aver dimostrato « senza equivoco che i cattolici del quotidiano milanese non erano dalla parte di Allè Selassiè» solo con un certo ritardo; in questo modo, secondo il giornale di Farinacci, « L'Italia» rappresentava una delle poche « note stonate» nel mezzo di una stampa italiana che era stata quasi tutta « all'altezza dell'ora storica» che si stava attraversando. I Cinque, chiarito che non avevano alcuna intenzione di intraprendere repliche pubbliche che troppo avrebbero saputo di giustificazione, e dopo aver sottolineato che evidentemente la buona fede dei colleghi del « Regime fascista» doveva essere stata « forse sorpresa da qualche sollecitatore interessato» , affermavano76:

Unicamente quindi per spirito di colleganza, in segno di stima e di riguardo ci limitiamo a rilevare che Regime Fascista ci mette nella condizione di... non lodarlo. La linea di condotta del nostro giornale non è stata, e non è, né di sbalordimento né di incertezza: la nostra collezione parla. Chiunque la scorra se ne convincerà e si convincerà altresí che con la nostra modesta attività abbiamo adempiuto a una precisa missione e abbiamo dato il nostro fervido contributo all'immane e mirabile compito del Duce. In questo la perfetta nostra tranquillità.

A sostegno della propria posizione critica, il « Regime fascista» aveva chiamato in causa l'onorevole Zeno Verga77, che, rivolgendosi a Farinacci, aveva replicato: « La Direzione de L'Italia ha infatti impiegato assai tempo prima di decidersi ad una esplicita presa di posizione contro Allè Selassiè. Ma per la verità tale lentezza non era gradita da nessuno, nel giornale e fuori. Se non ci fossero stati vigorosi, autorevoli, nonché ecclesiastici colpi di sperone, anche i recenti articoli non avrebbero visto la luce [...] Per quel che mi riguarda, avrai notato che da parecchio tempo ho preferito dare la mia collaborazione ad altri fogli, pure cattolici, con quella impronta spiccatamente fascista a cui tu accenni, in attesa di riprenderla su L'Italia, quando non vedessi piú il pericolo del... cestino direttoriale» . Queste affermazioni del Verga venivano riportate in un editoriale sull'« Italia» del giorno seguente78, col quale si chiudeva in pratica la polemica. S.M. (il direttore Sante Maggi, chiamato in causa), dopo aver affermato di poter vantare delle « mani troppo pulite» per « prendere sul serio le allusioni aperte o velate sul suo conto» , negava che vi fosse stata la necessità di ricevere vigorose sollecitazioni e ricordava i quarantuno scritti già pubblicati dall'« Italia» in tema di conflitto italo-etiopico (fra i quali uno, recente, era del Verga); non nascondeva poi « un senso di tristezza» nel constatare come proprio in quell'« ora solenne e storica» , in cui cattolici e fascisti formavano « una sola compatta unità attorno al Capo» , si volessero « suscitare polemiche insostenibili» , che avevano alla base « solo microscopiche questioni personali» . Dopo aver precisato che il cestino del direttore serviva solo per articoli mancanti di « grammatica e buon stile» , e non per quelli « con impronta spiccatamente fascista» , il Maggi concludeva: « E noi a " L'Italia" vogliamo fare un quotidiano cattolico, che vive e lavora nel clima nuovo dell'Italia di Mussolini, con fede e sacrificio: di qui il senso di responsabilità pensosa che ci guida nella nostra missione alla quale abbiamo votato il meglio di noi stessi» .

Sta di fatto che, a partire da quel momento di tensione, la propaganda filoimperialista, indubbiamente già presente, si accentuò in modo notevole, con la costante preoccupazione di dare un appoggio incondizionato e martellante ad ogni singolo aspetto della vicenda (cosa che nel '39 si ripeté in occasione della conquista d'Albania). L'obiettivo principale contro cui scagliarsi era ovviamente quella Lega delle nazioni che rappresentava agli occhi degli scrittori cattolici l'illusorio, nefasto tentativo di costruire una civiltà a prescindere dalla Chiesa di Roma. Igino Giordani definiva la Lega « un organo di solidificazione dei privilegi e di difesa degli Imperi costituiti» 79 che finiva per « combattere la piú grande nazione cattolica, il baluardo del Cattolicesimo nel mondo» . I suoi sforzi, in un corsivo dei Cinque del 17 settembre '3580, venivano definiti una « fatica di Sisifo» nata dal sogno di un « professore visionario diventato presidente degli Stati Uniti» e i cui « numi tutelari» erano Calvino e Rousseau; da queste filosofie e da questo spirito avevano preso avvio la pirateria, le lotte e le conquiste coloniali, la grande finanza, l'industrialismo di Manchester, in pratica « il grande capitalismo moderno, spietato e inesorabile» . La religione, sempre a detta dei Cinque, altro non era per gli inglesi che un « sermone domenicale» , e, affermavano ancora il 5 ottobre del '3581, « quando l'Inghilterra fa una campagna morale, vuol dire che prepara un'annessione» . La verità, per I Cinque, era dunque questa: gli inglesi « odiano i cattolici [...] È il vecchio tossico anticattolico che ribolle [...] Il Protestantesimo può esser morto e putrefatto nei cuori governamentali, come religione: ma vive e largamente fermenta come virus psicologico e politico contro le Nazioni latine cattoliche, e principalmente contro Roma» . Dietro le sanzioni - « aggressione contro la civiltà latina, cattolica ed europea, a difesa del lustro e dell'imperialismo britannico» - 82 non vi era solo l'interesse politico, ma anche un vero e proprio conflitto di civiltà: quella latina cattolica contro quella anglosassone protestante. Le colonizzazioni operate dalla prima erano missioni di civilizzazione83, quelle nate dalla seconda imperialismo guerrafondaio, annessioni fatte innanzitutto per odio verso Roma.

Che festa per codesti dissennati guerrafondai [i « pacifisti nonché capitalisti britannici» ], al servizio della rivoluzione e contemporaneamente degli schiavisti abissini, se una bomba scoppiasse su Roma, simbolo di quanto vi è di piú grande ed augusto nel mondo! Che importano le vittime umane, le rovine, le miserie, del popolo, purché sia soddisfatto il livore di partito, l'astio insanabile dei demagoghi prezzolati per coloro che hanno fortunatamente aperto gli occhi sul loro perfido giuoco, nella loro propaganda d'immoralità e d'anarchia? Ma [...] c'è buon sangue in Italia e petti e volontà d'acciaio, per affrontare ogni evenienza: e per vincere84.

Se la Società delle nazioni non voleva comprendere le rivendicazioni italiane riguardo all'Etiopia, ciò poteva dipendere solo « da un interesse piú o meno confessato o da un umanitarismo massonico o marxista» , 85e queste realtà altro non erano che i « necrofori» della civiltà cristiana, mentre l'Italia lavorava « per la civiltà, per la bonifica morale e sociale di popolazioni sommerse nell'oscurità di una barbarie senza nome» ; essa domandava solo « di non essere ostacolata nella sua attività civilizzatrice» .

L'Italia in questo momento fa la guerra a un agglomerato di tribú barbare, l'Etiopia, di cui dal 1919 al 1922 l'Inghilterra non cessò di denunciare al mondo la barbarie; il mondo civile, civilizzato da Roma, non vuole che Roma civilizzi, ma essa lo farà, nonostante tutti gli idealismi e tutte le violenze86.

Autarchia.La nuova civiltà doveva dunque essere latina e cattolica, partendo dalla patria di Roma e del cattolicesimo. Era bene allora che l'Italia si sforzasse di essere il piú possibile indipendente, autosufficiente sotto ogni punto di vista: la cattolicità partiva da una base chiusa, esclusiva, che andava poi - se possibile - esportata cosí com'era, facendo bene attenzione che non venisse inquinata da fattori alieni rispetto al proprio centro di irradiazione. Dopo le sanzioni e la proclamazione dell'asse Roma-Berlino del '35, e dopo le spettacolari manifestazioni olimpioniche di Berlino del '36, I Cinque esaltavano la capacità della Germania nell'essersi assicurata una autonomia economica, in parte per necessità (a causa del blocco degli Alleati durante e dopo la prima guerra mondiale) e in parte come strategia a 87. L'esperienza tedesca, per I Cinque, era paragonabile a quella dell'Italia, che tendeva anch'essa sempre piú a non dover dipendere dall'estero.

Alla politica autarchica intrapresa dal regime « L'Italia» dedicava ampi e frequenti spazi, sottolineandone con piena adesione le feconde prospettive. Oltre alle piccole e numerose rubriche che mettevano costantemente al corrente i lettori sui progressi realizzati in questo settore dalla nazione, troviamo articoli di maggiore consistenza, con lo scopo di spiegare le ragioni storiche e di principio dell'autarchia. Bastino il titolo e il sottotitolo di un lungo scritto di Anna Maria Racca88: I precedenti storici dell'autarchia:Io voglio esser schiavo di nessuno - Il Piemonte autarchico - Autarchia economica insostituibile base dell'indipendenza politica - La storia lo dimostra - Dio pose l'Italia in grado di far da sé - Fede nella santità e nell'eroismo. In linea con le idee comuni a tutti gli scrittori del giornale, un trafiletto dei soliti Cinqueprendeva 89 spunto dal comunicato di convocazione del Comitato corporativo centrale per « l'esame dello sviluppo dei piani dell'autarchia economica della Nazione» , il quale, a dir loro, doveva suonare alle altre nazioni « come un esempio e come un monito» .

Esempio di quello che, con senso di realistica preveggenza, l'Italia sa fare; monito - per chi si illude - che dalla linea della perseguita autarchia l'Italia non defletterà. L'autarchia [...] è la carta, l'asso, che noi giochiamo e su cui puntiamo con serena e tranquilla sicurezza. L'autarchia sarà a qualunque costo raggiunta: e quanto prima possibile. Essa risponde - nel mondo attuale - ad un'assoluta necessità d'ordine militare, finanziario ed economico [...] Nel supremo interesse della Patria, nel loro singolo interesse, nell'interesse dei loro figlioli, gli italiani sono oggi mobilitati tutti - cuore, mente e braccio - agli ordini del Duce per il sollecito raggiungimento della meta segnata: l'autarchia. Dirà quel solito galantuomo del Tempo se avremo visto giusto noi o se avranno avuto ragione coloro che al di là delle nostre frontiere si baloccano incoscientemente con le illusioni e le parole vuote di senso.

Le necessità militari, finanziarie ed economiche, erano viste strettamente unite a forme di autarchia spirituale. I progetti del regime fascista si accordavano appieno con quelli della Chiesa, impegnata a difendersi da tutto ciò che sapesse di inglese, francese, sovietico o fosse comunque esterno alla propria tradizione: democrazia, comunismo, modernismo, laicismo, liberismo, protestantesimo, razzismo neopagano o altro. Un esempio a questo proposito ci viene offerto dai Cinque nel loro commento sul rapporto annuale relativo al '36 della Società biblica di Londra (accusata, fra l'altro, di essere una longa manus della politica inglese). 90Si esprimeva una grande preoccupazione per l'enorme numero di Bibbie divulgate in tutto il mondo e, in particolare, per l'intensa opera svolta anche in Italia (109.000 copie introdotte nel corso dell'anno, dopo un primo semestre di inattività a causa delle sanzioni). Tali Bibbie erano denunciate quali « centonove mila falsificazioni della Parola di Dio [...] una specie di offensiva spirituale che l'Inghilterra muove alla nostra Nazione, un attacco in grande stile contro la fede e la religione, il carattere e il sentimento del popolo italiano» . La domanda-richiesta conclusiva suonava poi cosí: « Non sarebbe il caso che questi veicoli dell'intossicazione protestante venissero fermati alla frontiera, come stampe sovversive?» .

La Chiesa e il porcile. Anche la tendenza alla denatalità, riscontrabile in altri paesi, dava agli scrittori cattolici l'occasione di porsi in piena sintonia col fascismo restando ancorati al magistero e alla tradizione ecclesiastica. Se la crescita demografica veniva individuata come la principale motivazione dell'espansionismo italiano, la soluzione non poteva ovviamente essere quella di limitare le nascite, anche perché, come visto, solo l'italiano-cattolico-romano-fascista poteva degnamente colonizzare-civilizzare. Di fronte all'eccedenza di 20.000 morti sui nati del 1935 in Francia, I Cinque (che di lí a poco definiranno il fenomeno « neomalthusianesimo» , affermando - sulla solita linea - che i suoi « compari» sono il liberismo e la massoneria) 91 commentavano92:

Il problema demografico è anche un problema di incoraggiamento e solidarietà sociale; però non è soltanto né specialmente questo. Come si spiega che le famiglie numerose, anzi le piú numerose, quelle che hanno il nobile e cristiano orgoglio di contare a dozzine i figlioli, quasi sempre s'incontrano nelle classi umili, fra i contadini cioè, e i popolani? La risposta è una sola: nelle famiglie del popolo la sanità morale coincide con una fede cristiana semplice, ma forte e limpida [...] Lo stimolo alla denatalità ha un nome: l'egoismo. Lo stimolo alla natalità ha un nome diametralmente opposto: amore del sacrificio.

Il numero di figli prodotti veniva in pratica considerato direttamente proporzionale al livello di moralità, di umanità, di forza interiore. Era « cristiano orgoglio» il « contare a dozzine i figlioli» , sfornare nuovi cristiani e nuovi italiani pronti a dare una base sempre piú larga a Stato e Chiesa e ad irradiare con la propria superiorità spirituale ed etnica il mondo: individui che avevano come scopo primario quello di essere tanti, uniti sotto la stessa autorità, pronti a qualunque sacrificio per la loro patria (politica e religiosa). Certo, non era poco chiedere questo, ma si trattava proprio di ciò che faceva essere - sempre a detta dei Cinque - veri cattolici; l'alternativa, d'altronde, non era tanto quella di avere un altro senso della religiosità, quanto di essere senza vera religione, perché o si era religiosi in questo modo o ci si illudeva semplicemente di esserlo.

È piú facile - egoisticamente, mondanamente parlando - esser acattolico, o meglio ancora non avere alcuna fede religiosa [...] La morale cristiana integrale non tollera pratiche per la limitazione delle nascite, il che vuol dire che obbliga onestamente, castamente, alla prole: ma i figli costano [...] Chi vuol porcificare la sua vita, la sua famiglia, non può rimanere nella Chiesa. O la Chiesa o il porcile93.

Fra i maggiori punti di concordanza tra fascismo e Chiesa il Rhodesinserisce94, oltre ad autocrazia, assolutismo, subordinazione dell'individuo al sistema, importanza dei riti esteriori e psicologia di massa, anche l'incoraggiamento alla procreazione di famiglie numerose; in effetti, tutti questi aspetti sono concatenati. Si trattava di essere sempre piú numerosi per il regime e sempre piú per la Chiesa, in una società severamente inquadrata secondo principi di ordine, subordinazione e gerarchia, al punto da condannare senza remore - ancora una volta in perfetto accordo di mentalità col fascismo95 - il suffragio universale, che, secondo I Cinque96, « ignora la famiglia e i figli» .

[...] ignora persino il padre e la madre perché il loro voto vale come e quanto quello del celibe o scapolo [...] Il suffragio universale perciò è antifamiliare per eccellenza; poiché nega qualsiasi rappresentanza della famiglia, è, perciò stesso, contro di lei: e quindi agisce contro la natalità, facendosi veicolo in tutte le manifestazioni sociali del microbo individualista, egoista [...] La decrescenza nella natalità comincia in Francia dove cominciò l'esercizio del suffragio universale [...] in Italia e in Germania la limitazione di esso, con Mussolini e Hitler, ha provocato un arresto nella fase decrescente, con un moto di ripresa [...] A parità di grado, nel suffragio universale e nella legislazione da esso provocata vale piú lo scapolo che il padre: ecco perché la paternità è sfuggita. « Su tale menzogna la politica vive» , dice Touleman. Piú logico sarebbe dire che « muore» : e muore con essa lo Stato e la Patria.

A partire dalla famiglia, dunque (e in ciò Italia e Germania venivano ancora una volta abbinate e dipinte come l'esempio da seguire), il singolo doveva rinunciare alla propria individualità e sottostare ad un concetto di autocrazia di cui Stato e Chiesa erano, su larga scala, i principali portatori. Dare figli alla patria, dare figli alla Chiesa: anche in questo campo « Dio pose l'Italia in grado di far da sé» , secondo la celebre frase di Carlo Alberto97.

Con chi è Dio? La « mistica» complessiva dell'idea di civilizzazione era dunque il prodotto di un insieme di fattori che avevano un'unica matrice: la certezza, enunciata senza mezzi termini, che era Dio, coi suoi interventi, con la sua provvidenza, per mezzo della sua Chiesa e degli uomini che egli si sceglieva, a guidare le sorti del paese verso le mete additate dalla Roma politica e religiosa. La pretesa di « monopolio» della provvidenza divina si manifestava anche nelle crude confutazioni delle analoghe pretese altrui. Ad esempio, quella stessa Germania cosí spesso appaiata all'Italia per alcuni aspetti comuni della politica praticata, aveva al suo vertice un Hitler che, come riportavano I Cinque nell'anno precedente all'asse Roma-Berlino98, dichiarava a proposito del suo successo: « Sarebbe ciò stato possibile senza la benedizione dell'Onnipotente? Quello che noi siamo non potremmo esserlo se non con la volontà e mai contro la volontà della Provvidenza; se siamo forti e fedeli questa protezione continueremo a goderla» . I Cinque non potevano che manifestare ogni possibile disprezzo per affermazioni di questo genere, perché non era accettabile sostenere che un regime di quel tipo potesse avere l'aiuto divino, e stigmatizzavano alla fine del proprio corsivo: « Roba, come si vede, che non sta né in cielo né in terra. Ma appunto per questo roba che sta, e va bene, in Germania» .

Cinque anni dopo Il Veliero(nello stesso spazio un tempo riservato ai Cinque) riportava l'affermazione fatta durante la guerra di Spagna da « un inglese di cattivo gusto» , secondo il quale Dio non era « a destra» ma « a sinistra, in omaggio ai principi del partito laburista» , commentando99:

Appena i momenti si fanno scuri e solenni, l'aria si intorbida e le Nazioni si trovano di fronte ai propri destini, allora incomincia la corsa all'accaparramento di Dio. Dio lo vuole! Dio è con noi! Da quanti secoli questo grido è lanciato a giustificazione delle supreme decisioni? [...] È un nome troppo augusto e la tentazione è troppo acuta di associarlo alle proprie idee, di legarlo alle proprie deliberazioni, di accomunarlo nelle proprie responsabilità [...] Dio non va a destra né a sinistra [...] non può diventare l'alleato spirituale di una parte in lotta contro l'altra [...] e nemmeno il successo può servire come criterio per stabilire con chi è Dio.

Queste affermazioni, lucide e precise, possono lasciare interdetti dopo quanto abbiamo finora detto. Ma forse la chiave per entrare nell'orizzonte mentale di molti scrittori cattolici del periodo consiste proprio nel riuscire a comprendere che frasi come quelle testè riportate non suonavano per nulla contraddittorie rispetto ad altre che abbiamo già visto e a quelle che stiamo per vedere. Non veniva percepita alcuna decisiva discrepanza fra l'affermare, da una parte, l'« imparzialità» di Dio e la conseguente, assurda pretesa di usare il suo nome per delle imprese umane, da cui l'insufficienza di un criterio di successo per stabilire dove individuare il favore divino; dall'altra, la indiscussa certezza che Dio stava guidando la Chiesa e l'Italia. La Chiesa romana era la Chiesa di Dio, la Chiesa riconquistava grazie all'Italia fascista il suo spazio, la Chiesa e l'Italia non potevano sbagliare, perché Dio non può sbagliare.

Il « segno di Dio» nella storia. Nel maggio del '36 100 il quotidiano milanese riportava con roboante fierezza, in una pagina completamente dedicata alle celebrazioni per la vittoria, il discorso tenuto dal cardinal Fossati a Torino; egli dichiarava che la guerra d'Africa (« iniziata per necessità di cose» ) e la morsa delle sanzioni non avevano spaventato la nazione che, sull'esempio di Giuda Maccabeo (il riferimento agli episodi veterotestamentari, in assenza di plausibili rimandi al Nuovo Testamento, era frequente in questo tipo di discorsi) si era rivolta al proprio Dio e si era affidata al patrocinio di Maria « perché non negasse ai nostri soldati la vittoria» .

L'Italia, concorde col suo Capo, porta la sua bandiera, i suoi fasci, la sua civiltà al di là dei mari e offre ai popoli la pace. Ciò è monito per l'avvenire: Dio, Patria e Famiglia sia il motto sacro di ogni italiano [...] Ci conceda il Signore, ci ottenga la Vergine Santa che l'Italia abbia di essere degna di questa missione che la Provvidenza le affida.

La cronaca riportava infine la descrizione del « Te Deum» di ringraziamento « per dire a Dio la riconoscenza dell'Italia vittoriosa dopo la breve ma faticosa e gloriosa lotta» , perché Dio aveva « ascoltato le preghiere e le supplicazioni» e « coronato di vittorie l'Esercito e la Patria» . Analogo « Te Deum» veniva celebrato a Milano e presentato dall'« Italia» , che affermava in proposito101:

La vittoria che i nostri soldati hanno conseguito in Etiopia è di una tale importanza che apre con oggi, come ha affermato il Duce ieri sera dal balcone di Palazzo Venezia, un'epoca nuova per la storia del nostro Paese, di questa terra benedetta da Dio [...] L'odierna cerimonia religiosa, patriottica, rimarrà quindi scolpita a caratteri d'oro nella storia milanese.

Il cardinale Schuster, arcivescovo di Milano, ribadí in seguito questi concetti in occasione della sfilata di ventimila balilla e avanguardisti « incitandoli - come si sottotitolava - alla cristiana fortezza nel nome della Chiesa e della Patria» ; la sua benedizione, data in qualità di « Padre delle anime» dei presenti, era di questo tono:

[...] il carme di Orazio che voi testè avete cantato ha avuto da parte della Provvidenza Divina un compimento ancor piú vasto, in quanto che Roma non è divenuta semplicemente la capitale dell'Impero ma per grazia di Gesú Cristo è e rimane per tutti i secoli la capitale del mondo e la sede del Maggior Piero[...] il Vangelo infatti predicato da Roma è una legge che non può mutare per vicissitudini di tempi, perché è una norma divina che rimane eterna102.

Alla fine dello stesso mese e all'inizio di giugno, don Carlo Gnocchi, che diverrà in seguito cappellano militare in Albania e in Russia, scriveva due articoli dedicati alla consacrazione dell'esercito italiano al cuore di Gesú indetta per il 19 giugno103; la sensibilità umana dello Gnocchi, la sua non sospetta e operosa carità, la sua sincera e instancabile attività assistenziale ed educativa, camminano di pari passo con le affermazioni che seguono, a supporto di quanto detto alla fine del precedente paragrafo.

A noi, fortunati protagonisti e spettatori trasognati della piú grande ora della Patria, oggi forse è possibile e certamente opportuno tentare un bilancio [...] l'uomo di fede vede balzare, con forte rilievo, da tutta l'epica vicenda, un disegno luminoso e preciso della Provvidenza Divina [...] l'incontestabile « segno di Dio nella storia» .104

L'autore, dopo aver lodato il popolo italiano che si era riversato nelle chiese d'Italia per ringraziare Dio, intitolava un nuovo paragrafo del suo articolo « Al Dio degli eserciti» (solito rimando all'Antico Testamento), ricordando tutti quei soldati italiani che avevano combattuto « con una fede e un entusiasmo degni di una crociata» e che dopo di ciò inneggiavano al « Dio delle vittorie» prima di deporre le armi ai piedi degli altari per consacrarsi al cuore di Gesú. All'animo sensibile del sacerdote, come « trasognato» di fronte a tanta grazia divina, tutto ciò non poteva che sembrare « un'altissima poesia umana e divina che forse è inutile commentare. Noi oggi viviamo in stato di poesia» . Riemerge dunque l'aspetto poetico che sembra volersi riagganciare ad un perduto ma rimpianto ed agognato mondo cavalleresco medievale. La parte finale dell'articolo rappresenta un'ottima sintesi di vari concetti finora esposti.

Il nostro è un « Impero di pace» . Se abbiamo la coscienza di rappresentare nel mondo un'idea, questa è soltanto l'idea dell'ordine e dell'autorità, della moralità individuale e sociale, della conciliazione fra la Chiesa e lo Stato, coraggiosamente affermata contro le teorie suicide del liberalismo politico, del laicismo anticristiano dell'anarchia e dell'ateismo [...] L'Italia vuol essere un baluardo della romanità contro la nuova e piú perniciosa barbarie [il comunismo ateo], la forza dell'ordine contro il disordine [...] Questo è il nostro imperialismo. Una missione di latinità e di cattolicità. Religione e Patria sono i due pilastri incrollabili sui quali poggia « l'immenso varco aperto su tutte le nostre possibilità del futuro» . La consacrazione dei nostri soldati al Sacro Cuore, di questa missione e di questo programma, vuol essere la solenne e religiosa investitura, il giuramento di fedeltà al suo servizio pronunciato davanti a Dio, e la divina propiziazione sulle sue fortune [...] sul tricolore che si piegherà domani all'Altare di Dio, vogliamo incidere il nome del Sacro Cuore, difesa e grandezza d'Italia. E in quel segno vinceremo.

Don Gnocchi aveva ben presente l'obiezione secondo cui il cristianesimo sarebbe incompatibile con quel clima di esaltazione della guerra (diceva infatti nello stesso pezzo: « attraverso i tempi, qualche corrente rigorista, a fondo antiumano, ha voluto creare un'antitesi artificiosa...» ); ma a tale obiezione egli rispondeva piú ampiamente pochi giorni dopo ribadendo che l'antitesi in tal modo creata era « artificiosa» e aggiungendo che denotava « assurdità, estremismo e unilateralità di visione» . 105Forzando palesemente un passo dell'apostolo Paolo, il sacerdote milanese aggiungeva che, se « la pietà è utile a tutto» ( I Timoteo 4,8), allora « il maschio e violento esercizio delle armi trova nella pietà il temperamento e la sublimazione» , e « il soldato che prega è poi anche il soldato che vince106, perché Dio è con lui, il Dio che "atterra e suscita" i popoli e le Nazioni. E se Dio è con lui, chi sarà contro di lui?» . Chiaramente, non ci si poneva minimamente il problema di eventuali preghiere fatte anche da parte dell'esercito contrario, ma anche ciò è significativo, perché denota la sicurezza di essere gli unici ad avere diritto di venire ascoltati dal cielo in caso di conflitto: il rapporto fra Dio e l'Italia che si presentava in tal modo, era praticamente lo stesso esistente fra Jahvé e Israele nell'Antico Testamento. In quel momento, piú che mai, non era sufficiente qualificarsi - come il cristianesimo fece fin dai suoi inizi - come il vero Israele spirituale ( Romani 2,28; 9,6-9), « l'Israele di Dio» ( Galati 6,16), le « dodici tribú» simboliche « disperse nel mondo» ( Giacomo 1,1), la gente « forestiera e pellegrina nella dispersione» ( I Pietro 1,1; 2,11), sganciata dall'« Israele secondo la carne» ( I Corinzi 10,18) e dalla materialità di un territorio e di una nazione: emergeva cosí, con una forza forse ancor maggiore che in passato, l'idea di una nazione dipinta come una specie di terra promessa, « terra benedetta da Dio» (come si esprimeva ancora lo Gnocchi), con una trasposizione arbitraria che gli appelli ripetuti alla cattolicità non potevano mascherare fino in fondo.

Ancora una volta (e non è per puntigliosità o spirito di polemica) non si può non notare la citazione - questa volta indiretta - di un passo neotestamentario (« Se Dio è per noi, chi potrebbe essere contro di noi?» - Romani 8,31) che veniva fatto slittare su un piano esattamente opposto a quello del suo contesto; è estremamente indicativo constatare come uno scritto di Paolo che si rivolgeva a dei cristiani perseguitati, i quali sopportavano inermi e senza reagire (« come pecore da macello» , diceva l'apostolo), sulle orme di Gesú, le difficoltà e i tormenti a causa della propria professione di fede, venisse applicato a dei soldati che conquistavano un territorio straniero. Osservazioni simili possono farsi per il passo citato da I Timoteo 4,8107.

La capacità di trovare appigli biblici nel « Dio degli eserciti» veterotestamentario, o di forzare palesemente passi neotestamentari, unitamente allo sforzo di convincere della necessità di « difendersi» dall'Abissinia, potrebbero suggerire l'idea che vi fosse qualche crepa nella convinzione di essere nel giusto da un punto di vista evangelico, ma non ci è dato né è possibile scandagliare i cuori in questa sede. Certo, si resta interdetti nel vedere che un prelato di notevole livello come il cardinale Schuster, per approvare entusiasticamente « la geniale iniziativa presa» (si parla sempre della consacrazione dell'esercito al Sacro Cuore, nel contesto del diffuso tema della regalità di Cristo), 108non trovava di meglio dell'episodio del soldato che infisse la lancia nel costato di Cristo in croce, scrivendone in questi termini109: « La consacrazione dei soldati d'Italia al S. Cuore indetta per il prossimo 19 giugno, acquista [...] un significato particolare, in quanto vuole riavvicinare il cuore del soldato italiano al Cuore Divino del Redentore, che tanti speciali palpiti di predilezione mostrò sempre per i giovani e generosi militari di Cesare. Non fu forse il soldato Longino quello che traforò colla lancia il costato del Crocifisso, e dischiuse al mondo i tesori di misericordia riposti nel suo Sacro Cuore?» . Sembra di capire che l'atto violento e dovuto da parte dell'ignaro milite romano, solo per il fatto di aver sancito involontariamente una benedizione spirituale per il mondo, potesse essere considerato di per sé moralmente positivo e legittimante per imprese militari compiute « nel nome» di Cristo.

Identica, ovviamente, fu la posizione dell'« Italia» , cui abbiamo in parte già fatto cenno, nei confronti della guerra civile in Spagna110: « Non guerra civile ma guerra di civiltà, ovvero la « guerra delle guerre» , come intitola M.L. (Mario Luzzi) il 22 luglio 1937, ricordando, a un anno di distanza, lo scoppio della stessa. Dio sta facendo giustizia, « distribuendo ai nazionali le vittorie e le sconfitte ai rossi» , dando cosí la possibilità « di affermare e consolidare nell'avvenire la nostra civiltà» . Enorme fu nel '39 la soddisfazione per il successo di Franco, che il cardinale arcivescovo Schuster, in una lettera indirizzata al clero e ai fedeli dell'archidiocesi ambrosiana e pubblicata dall'« Italia» , 111definí una « nobile vittoria» che inaugurava « nella Cattolica Spagna un Governo Nazionale fondato sugli inconcussi principi della Fede e della Morale Cristiana» . Tale vittoria era stata « impetrata e benedetta dalla SS. Vergine e dai Celesti Patroni della Cattolica Spagna» , che in quella settimana tutti avevano « particolarmente invocato» . « Ora - concludeva il cardinale - non ci resta che di terminare domenica prossima 29 gennaio il solenne triduo alla bruna Vergine di Montserrat, dandoci tutti a convegno a santa Francesca Romana pel canto del Te Deum, dopo la Processione col ven. Simulacro della Vergine e i Vesperi solenni che avranno inizio alle ore 16. Dio ci benedica tutti» .112

* Questa ricerca ha potuto disporre di fonti acquisite grazie ad un finanziamento Cnr assegnato al Dipartimento di storia dell'Università di Trieste. Essa fa seguito a quella pubblicata su « Studi Storici» (« L'Italia» e la « questione ebraica» negli anni Trenta, XXXV, 1994, n. 3, pp. 811-849), in cui ho esaminato il modo di porsi del quotidiano milanese « L'Italia» nei confronti di quella scottante problematica nel decennio antecedente allo scoppio della guerra; rimando dunque a tale saggio per le informazioni sul giornale, che rappresentava una autorevole voce del mondo cattolico. Nel corso dello spoglio effettuato, ho raccolto un ricco materiale relativo a diverse altre tematiche: la Conciliazione, il mito di Roma e della « nuova Cristianità» , la concezione cattolica dello Stato, il legame Dio-patria, l'autarchia e la politica demografica; tutti aspetti che confluiscono nella pretesa della Chiesa di Roma di compiere un'opera di civilizzazione ad ampio raggio per la quale essa riteneva di essere la sola istituzione veramente idonea. Ho ritenuto utile selezionare, organizzare e presentare questo materiale - che inizialmente era solo di « contorno» al tema che mi ero prefisso - per dare un quadro piú completo del clima, della mentalità, delle coordinate di fondo che emergono dal quotidiano, inserendo i vari aspetti nel contesto piú generale del mondo cattolico di quegli anni; un mondo che, immerso negli alti obiettivi di conquista e riconquista, espansione e civilizzazione, non poteva che considerare la pur bruciante « questione ebraica» come immeritevole di impegno, di prese di posizione coraggiose e di principio (sulla scia, d'altronde, di memorie e tradizioni antisemite ben precise). Non si ritenne necessario, insomma, rischiare di compromettere per quella questione l'ardito castello che da anni la Chiesa stava cercando di costruire camminando sostanzialmente a fianco del fascismo.

1 Partendo l'iniziativa dal Vaticano, le proposte non erano molto impegnative per lo Stato italiano. Il progetto prevedeva un trattato per risolvere la questione romana (con la creazione di un sia pur minuscolo Stato papale, in grado di dare maggiori possibilità di movimento sul piano diplomatico in anni nei quali la politica dei concordati veniva perseguita sistematicamente); per quanto riguarda il concordato, si prevedeva solo l'impegno generico (senza condizioni sul contenuto) di concluderne uno in seguito. La gerarchia romana sapeva bene che non era plausibile sperare di far accettare a dei politici liberali un accordo che mettesse in discussione il carattere laico dello Stato e sottraesse in larga parte la Chiesa al diritto comune.

2 Per una panoramica sintetica del rapporto fra Chiesa e Stato nel dopoguerra e nel periodo fascista, si veda A.C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Torino, 19905, pp. 425-523. Piú ampia la trattazione di P. Scoppola, Chiesa e Stato nella storia d'Italia, Bari, 1967, pp. 501-740. Altri riferimenti vengono dati nel seguito delle note.

3 G. Miccoli, Fra mito della cristianità e secolarizzazione, Casale Monferrato, 1985, p. 83.

4 P. Agostino Gemelli (1878-1959) fu un personaggio di grande rilievo nella diocesi ambrosiana; francescano, medico e psicologo, esuberante operatore culturale, fondatore e direttore di periodici come « Rivista di filosofia neoscolastica» (1909) e « Vita e pensiero» (1914), promotore e fondatore dell'Università cattolica del Sacro Cuore (1921) e fra i principali esponenti del movimento intransigentista italiano. Per un suo profilo biografico si veda G. Cosmacini, Gemelli, Milano, 1985. Ho fatto riferimento alla sua collaborazione all'« Italia» nel mio saggio« L'Italia» e la « questione ebraica» negli anni Trenta, cit., p. 814.

5 Del 23 dicembre 1922, in Le encicliche sociali dei papi, a cura di I. Giordani, Roma, 1956, p. 327.

6 In ambienti popolari si tentarono alcune forzature interpretative, intendendo la condanna del modernismo sociale come una implicita condanna del fascismo (cfr. F.L. Ferrari, L'Azione cattolica e il « regime», Firenze, 1958, p. 25); ma ciò con tutta evidenza non corrisponde né alla lettera né allo spirito di quanto enunciato da Pio XI, che si rivolgeva ad ambiti e tendenze del mondo cattolico.

7 Cfr. Giordani, Le encicliche sociali, cit., p. 327.

8 G. De Rosa, Il movimento cattolico in Italia, Bari, 1970, p. 507. Un'analisi molto dettagliata dei movimenti cattolici nella crisi dello Stato liberale, fino alla Conciliazione, è contenuta in A. Erba, « Proletariato di Chiesa» per la Cristianità. La Faci tra curia romana e fascismo dalle origini alla Conciliazione, Roma, 1990, 2 voll. Ottima la panoramica contenuta in P. Scoppola, Dal neoguelfismo alla Democrazia cristiana, Roma, 1957, che traccia un quadro delle origini del « movimento cattolico» , delle varie correnti che in esso si delinearono fino alla crisi dello stesso, del significato storico della Dc, degli sviluppi del clerico-moderatismo, dell'affermazione e della crisi del Ppi, dei rapporti dei cattolici col fascismo (in particolare la Conciliazione e i motivi di opposizione cattolica al fascismo).

9 Da notare che per tutto il '25 il governo fascista tentò di riformare a favore della Chiesa, per mezzo di una commissione presso il ministero della Giustizia, la legislazione ecclesiastica; ma, reso noto il progetto all'inizio del '26, il papa fece comprendere chiaramente (lettera a Gasparri del 18 febbraio) che la Chiesa non accettava alcuna riforma che non nascesse da trattative (trattative da estendersi fino al problema generale dei rapporti con lo Stato); tale pregiudiziale fu in pratica accolta un paio di mesi dopo da Mussolini (lettera al ministro Rocco del 4 maggio). I negoziati iniziarono il 6 agosto del '26, e il 29 febbraio '29 furono firmati i tre documenti: il trattato (che poneva fine alla questione romana), il concordato (che intaccava il carattere laico dello Stato e ne limitava la giurisdizione in alcuni campi, e fu in pratica il corrispettivo dell'appoggio morale e politico della Chiesa al fascismo) e la convenzione finanziaria (l'Italia pagava al Vaticano 750 milioni di lire in contanti e un miliardo in consolidato al 55% al portatore). Cfr. per questi aspetti e per le trattative concordatarie in genere, De Felice, Mussolini il fascista, II, L'organizzazione dello Stato fascista (1925-1929), Torino, 1968, pp. 382-436; De Rosa, Il movimento cattolico in Italia, cit., pp. 495-508; Erba, « Proletariato di Chiesa», II, cit., pp. 633-755; Jemolo, Chiesa e Stato in Italia, cit., pp. 479 sgg.; F. Margiotta Broglio, Italia e Santa Sede. Dalla Grande Guerra alla Conciliazione. Aspetti politici e giuridici, Bari, 1966, pp. 181-257.

10 Per le vicende collegate alla figura del sacerdote di Caltagirone, si vedano G. De Rosa, Luigi Sturzo, Torino, 1977, e Candeloro, Il movimento cattolico in Italia, Roma, 19824, pp. 370-494. Per lo sviluppo della « manovra di amputazione dei "sinistri"» , come la chiama Jemolo (in Chiesa e Stato in Italia, cit., p. 459), cfr. G. De Rosa, Storia del movimento cattolico, II, Il Partito popolare, Bari, 1966, pp. 402-405.

11 Una buona sintesi dei principali punti d'incontro è offerta da G. Baget Bozzo, Il fascismo e l'evoluzione del pensiero politico cattolico, in « Storia contemporanea» , IV, 1974, pp. 671-677. Cfr. inoltre Miccoli, Fra mito della cristianità, cit., p. 126; D. Menozzi, Percorsi della « societas christiana» . Da Leone XIII al concilio Vaticano II, in La chiesa cattolica e la secolarizzazione, Torino, 1993, p. 160; Jemolo, Chiesa e Stato in Italia, cit., pp. 452, 464-465, 467-468, 473, 519.

12 Per alcuni esempi in questo senso tratti dall'« Osservatore romano» e da « Civiltà cattolica» , cfr. E. Rossi, Il manganello e l'aspersorio, Bari, 1968, pp. 139-166.

13 Per la « liberazione dal veleno straniero» , preso a prestito « da una cultura democratica non nostra» , cfr. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia, cit., pp. 492, 506, 515-516.

14 L'enunciazione della genealogia degli errori moderni fu formulata già alla fine del Settecento, e consisteva nell'individuazione di una catena ininterrotta di aberrazioni che avrebbero condotto uno dopo l'altro, con continuità e logicità, al ribaltamento del precedente rapporto fra Chiesa e società. La radice veniva individuata nella ribellione luterana al magistero della Chiesa; da tale ribellione, attraverso protestantesimo, Illuminismo e massoneria, si era giunti alla rivoluzione francese, vista come l'azione piú consapevole e programmatica condotta contro la presenza cattolica nella società e giudicata dai restauratori - da De Maistre in poi - un'opera satanica. Rotti i passati equilibri, il tutto si riassumeva poi nella storia di quel laicismo che nel '25 Pio XI, nella Quas primas, aveva definito una « peste che pervade l'umana società» , per il progressivo rifiuto e poi la rivolta alla sottomissione a Cristo e alla sua Chiesa. L'ultimo anello fu individuato nel socialismo e nel comunismo, estreme aberrazioni e figli legittimi del liberalismo. Cfr. Miccoli, Fra mito della cristianità, cit., pp. 26, 59, 87.

15 Un memoriale di p. Tacchi Venturi, presentato a Mussolini il 18 febbraio 1929 su incarico del cardinale Gasparri, scritto col proposito di sollecitare un piú ampio inserimento di esponenti cattolici nella lista di candidati che doveva essere presentata agli italiani in occasione del « plebiscito» del '29, parlava di « una nazione cattolica, la quale, a cagione del nuovo Concordato, assume (piú non facesse addietro col solo statuto) il carattere di Stato confessionale» (cfr. il testo in De Felice, Mussolini il fascista, cit., II, p. 474).

16 In Jemolo, Chiesa e Stato in Italia, cit., p. 485.

17 Jemolo, Chiesa e Stato in Italia, cit., p. 512. Si vedano anche De Felice, Mussolini il duce, I, Gli anni del consenso (1929-1936), Torino, 1974, pp. 245-276; De Rosa, Il movimento cattolico in Italia, cit., p. 508; Margiotta Broglio, Italia e Santa Sede, cit., p. 253. Interessanti osservazioni sull'incontro fra fascismo e Chiesa, che vide quest'ultima diventare un pilastro dell'ordine costituito, in P. Scoppola, La Chiesa e il fascismo durante il pontificato di Pio XI, in Coscienza religiosa e democrazia nell'Italia contemporanea, Bologna, 1966, pp. 378 e 407 sgg. (si tratta di un contributo molto utile per l'intera storia delle relazioni tra Chiesa e fascismo, unitamente all'altro, dello stesso autore, La Chiesa e il fascismo. Documenti e interpretazioni, Bari, 1971).

18 Cfr. De Rosa, Il movimento cattolico in Italia, cit., pp. 511-515, e S. Rogari, Azione cattolica e fascismo, I, Come la Chiesa si difese da Mussolini, in « Nuova antologia» , 1978, fasc. 2125-2126, pp. 392-444. Per un profilo complessivo sull'Azione cattolica si veda L. Ferrari, L'azione cattolica in Italia dalle origini al pontificato di Paolo VI, « Dipartimento di scienze religiose» , 18, Brescia, 1982; utile anche Candeloro, Il movimento cattolico in Italia, cit., pp. 305 sgg. (in particolare pp. 317-327 e 474-494). Per un inquadramento nel contesto di un piú ampio studio dedicato alla intera vicenda di Mussolini e del fascismo, si veda De Felice, Mussolini il duce, cit., I, pp. 246 sgg.; assieme al II volume, Lo Stato totalitario, Torino, 1981, e ai due voll. Mussolini il fascista, I, La conquista del potere 1921-1925, Torino, 1966, e II, cit.; l'opera di De Felice è fondamentale per mettere a fuoco l'intero periodo. Un agile sguardo complessivo sulla presenza dei cattolici nella società italiana dalla fine del pontificato di Leone XIII alla fine degli anni Settanta è presentato da C. Brezzi, Il cattolicesimo politico in Italia nel '900, Milano, 1979.

19 Per un resoconto della visita, cfr. A. Corsetti, Dalla preconciliazione ai Patti del Laterano. Note e documenti, in « Annuario 1968 della Biblioteca civica di Massa» , Lucca, 1969, pp. 222 sgg., cit. in De Felice, Mussolini il duce, cit., I, pp. 272-274.

20 Miccoli, Fra mito della cristianità, cit., p. 125.

21 Pur in un contesto smaccatamente apologetico e clerico-fascista, il libro di G. Rossi Dell'Arno, Pio XI e Mussolini, Roma, 1954, è utile per la ricca raccolta di discorsi e lettere pastorali pubblicati in quegli anni, in particolare in occasione delle « sanzioni» ginevrine.

22 Cfr. Candeloro, Il movimento cattolico in Italia, cit., pp. 516-517; De Felice, Mussolini il duce, cit., I, p. 762.

23 In P. Beltrame-Quattrocchi, Al di sopra dei gagliardetti. L'arcivescovo Schuster: un asceta benedettino nella Milano dell'« era fascista», Casale Monferrato, 1985, p. 191; il libro pubblica cronologicamente, nella sua II parte, i vari pronunciamenti di Schuster relativi ai suoi rapporti col fascismo. Per la rilevanza dell'omelia appena considerata, con riferimento al sostanziale - e largamente noto - allineamento del mondo cattolico (episcopato, clero, stampa, organizzazioni del laicato) alla campagna propagandista del regime per l'impero d'Africa, cfr. De Felice, Mussolini il duce, cit., I, pp. 622 sgg. (le pp. 597-808 forniscono un utile inquadramento generale della guerra e della fondazione dell'impero).

24 In De Felice, Mussolini il duce, cit., I, p. 598 .

25 Foreign Office, 371/20938, in A. Rhodes, Il Vaticano e le dittature 1922-1945, trad. it. Milano, 1975 (l'edizione inglese è del 1973), p. 84. Sull'ostilità nei confronti dei cappellani acattolici (evangelici ed israeliti) nella campagna d'Abissinia, cfr. F. Franzinelli, Il clero e le colonie: i cappellani militari in Africa Orientale, in « Rivista di storia contemporanea» , 1992, n. 4, pp. 583-588; « I motivi di tanta opposizione stavano nel carattere totalitario dell'azione di conquista spirituale condotta dai cappellani nelle colonie: essi si erano proposti di cancellare ogni traccia dell'aborrito protestantesimo in Africa Orientale» (ivi, p. 587).

26 Cfr. per questi aspetti il mio saggio« L'Italia» e la « questione ebraica» negli anni Trenta, cit., pp. 843-844.

27 L'ultimo mito, in « L'Italia» , 22 gennaio 1937, p. 1.

28 Regalità divina, ivi, 28 ottobre 1934, p. 1.

29 Nel decennio della Conciliazione. Dio all'Italia e l'Italia a Dio, ivi, 14 febbraio 1938, p. 1.

30 Sono frasi pronunciate il 13 febbraio '29, subito dopo la Conciliazione, in occasione di un discorso a professori e studenti dell'Università cattolica di Milano.

31 G. De Mori, Spirito nuovo nel primo Giubileo dopo la Conciliazione, in « L'Italia» , 1° aprile 1933, p. 3.

32 La missione di Roma, ivi, 21 aprile 1933, p. 1 (si tratta di un editoriale, da attribuire al Maggi).

33 I Cinque, Martin Lutero, ivi, 5 novembre 1936, p. 1. Per quanto riguarda lo pseudonimo I Cinque, si veda la nota 11 del mio saggio« L'Italia» e la « questione ebraica» negli anni Trenta, cit., p. 816.

34 L. Berra, La Germania di Hitler vista da un tedesco, in « L'Italia» , 15 marzo 1934, p. 3.

35 Nordicus, Hitler « Reichsfuehrer», ivi, 7 agosto 1934, p. 1.

36 In La situazione della Gioventú cattolica tedesca nella ferma parola del Papa, ivi, 7 aprile 1934, commentando un discorso del papa rivolto ad un folto gruppo di giovani cattolici tedeschi, l'anonimo redattore concludeva dicendo: « Giova sperare che l'esempio dell'Italia, studiato senza preconcetti e con una sincera volontà di pacificazione, possa beneficamente influire sugli uomini responsabili del Governo del Reich perché vogliano comporre con spirito di serena equità il doloroso dissidio che ferisce profondamente il cuore di venti milioni di cattolici tedeschi» . Messa duramente alla prova, tale speranza, pur sostanziandosi come in questo caso in un auspicio piú che altro formale, di maniera, perdurerà negli anni successivi, anche nei momenti piú difficili.

37 Chiesa e Stato: l'esempio dell'Italia. Un articolo del Duce sul « Figaro», ivi, p. 1.

38 I Cinque, Vittoria dello Spirito, ivi, 1° novembre 1936, p. 3.

39 Religione e Fascismo, ivi, 6 dicembre 1934, p. 1 (è un editoriale).

40 « Il cuore di Pio XI e il genio di Mussolini», ivi, 6 ottobre 1938, p. 1.

41 Si veda per questo aspetto (ritorno al Medioevo, controllo ecclesiastico sui rapporti sociali, ricostruzione della civiltà, tutti aspetti legati in un inestricabile nodo) Miccoli, Fra mito della cristianità, cit., pp. 22, 39, 46, 49, e, per ciò che concerne il periodo che va dalla fine del Settecento ai primi decenni dell'Ottocento, l'intero saggio di Menozzi La risposta cattolica alla secolarizzazione rivoluzionaria: l'ideologia di cristianità, in La chiesa cattolica e la secolarizzazione, cit., pp. 15-71. Una visuale sul periodo fra Otto e Novecento, con utili indicazioni bibliografiche e numerosi spunti di ricerca, è offerta da F. Mazzonis, Storia della Chiesa e origini del partito cattolico, in « Studi Storici» , XXI, 1980, pp. 363-400.

42 « L'Italia» , 14 ottobre 1938, p. 1

43 Esuli, ivi, 8 aprile 1936, p. 1.

44 Prova del mito, ivi, 10 novembre 1936, p. 1.

45 Ivi, 24 gennaio 1937, p. 1.

46 Missione temporale, ivi, 18 febbraio 1937, p. 1. Fu J. Maritain, nel '34, in una serie di conferenze tenute presso l'Università di Santander (poi confluite nel volume Humanisme int&eacutegral. Probl&egravemes temporels et spirituels d'une nouvelle chr&eacutetienté, Paris, 1936; l'edizione italiana, Umanesimo integrale, è datata Roma, 1946), a delineare l'« ideale storico concreto» di una « nuova cristianità» , intesa come « un regime temporale o un'età di civiltà la cui forma ispiratrice sarebbe cristiana e risponderebbe al clima storico dei tempi nei quali entriamo» (ivi, p. 109). Cfr. G. Campanini, L'utopia della nuova cristianità. Introduzione al pensiero politico di J. Maritain, Brescia, 1975; P. Scoppola, La « nuova cristianità» perduta, Roma, 19862, pp. 11-29; Menozzi, La chiesa cattolica e la secolarizzazione, cit., pp. 144-167. I Cinque polemizzavano spesso - di solito indirettamente - con Maritain, il quale, pur propugnando l'ideale di una nuova cristianità, veniva considerato « reo» di una visione non medievalistica e non ierocratica della società ciò che prospettava era infatti un nuovo umanesimo, per conciliare questo col cristianesimo e la democrazia col Vangelo, superando ogni forma di clericalismo e di laicismo.

47 Società delle Nazioni o impero universale?, in « L'Italia» , 21 febbraio 1937, p. 1.

48 Il sogno dell'unità, ivi, 7 settembre 1937, p. 1.

49 Elementi dell'unità, ivi, 2 aprile 1938, p. 1.

50 Per una « Storia delle Crociate», ivi, 20 aprile 1939, p. 3.

51 Su questo tema, si vedano le osservazioni e i riferimenti di De Felice, Mussolini il duce, cit., II, pp. 222-223.

52 L'idea universale di Roma, in « L'Italia» , 7 novembre 1937, p. 1.

53 In pratica - come si esprimeva il Giordani ( ibidem) - quelle secondo cui il cristianesimo « deve a Roma se da religione misteriosofica come tante altre d'Oriente s'impregnò di romanità e divenne cattolicesimo» ; il commento era: « Ahimè, ahimè, questi son cascami di letture ormai logore!» .

54 Formazione storica del laicismo, ivi, 15 aprile 1936, p. 3. Dieci anni prima, il 20-22 maggio '26, pochi mesi dopo la Quas primas, si era svolto presso la Cattolica di Milano il primo congresso nazionale sulla regalità di Cristo, congresso che toccava le tematiche del « restauro» , del ritorno a Dio e alla Chiesa, della necessità di ristabilire quei diritti che la ribellione laicista aveva calpestato. Cfr. Miccoli, Fra mito della cristianità, cit., pp. 87-88; Scoppola, La « nuova cristianità» perduta, cit., p. 14, e, nel presente saggio, le note 14 e 108.

55 I Cinque, Incompatibilità..., in « L'Italia» , 19 maggio 1937, p. 1.

56 Giacobinismo, ivi, 7 maggio 1936, p. 1.

57 Cfr. per questi aspetti P.G. Zunino, L'ideologia del fascismo. Miti, credenze e valori nella stabilizzazione del regime, Bologna, 1985, in particolare pp. 272-276 e 384-385; cfr. inoltre Jemolo, Chiesa e Stato in Italia, cit., p. 453, e L. Ganapini, Il nazionalismo cattolico. I cattolici e la politica estera in Italia dal 1871 al 1914, Bari, 1970, in particolare pp. 191 sgg.

58 Stati totalitari, in « L'Italia» , 14 novembre 1937, p. 1.

59 La difesa della democrazia, ivi, 7 dicembre 1937, p. 1.

60 ***, La spinta degli avvenimenti, ivi, 28 luglio 1933, p. 1.

61 Si trattava del partito cattolico tedesco i cui deputati sedevano nei settori centrali del Reichstag. Fu fondato nel 1871 con finalità essenzialmente confessionali, per difendere i diritti dei cattolici in seno al nuovo impero protestante. Il 20 luglio 1933 il Terzo Reich stipulava il concordato con la Chiesa cattolica, con la mira di ottenere un significativo riconoscimento internazionale, un rafforzamento del proprio potere (da parte sua il Vaticano, la piú eminente autorità spirituale del mondo, fu il primo Stato che, trattando con Hitler, lo legittimò ufficialmente), ma ancor piú l'eliminazione politica dei suoi avversari. L'art. 32 prescriveva il divieto per ecclesiastici e religiosi di appartenere a partiti politici e di svolgere attività a favore dei medesimi, colpendo cosí nelle sue strutture vitali il Zentrum. Hitler seguí l'esempio di Mussolini, offrendo concessioni nel campo dell'educazione religiosa a condizione che Pio XI ritirasse l'appoggio fino allora concesso al partito.

62 Religione e Patria, in « L'Italia» , 20 dicembre 1935, p. 1. Si trattava di uno scritto che, come si annotava sotto il titolo, doveva comparire il giorno seguente sulla « Civiltà cattolica» .

63 Per questo aspetto, cfr. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia, cit., p. 475.

64 La tensione era dovuta soprattutto alle nuove, pesanti dispute sull'Ac; cfr. De Felice, Mussolini il duce, cit., II, pp. 124 sgg. (in particolare pp. 131, 141-142, 147), e S. Rogari, Azione cattolica e fascismo, II, La crisi del '38 e il distacco dal regime, in « Nuova antologia» , 1978, fasc. 2127, pp. 340-401.

65 Nazione Cattolica, in « L'Italia» , 11 gennaio 1938, p. 1.

66 Cfr. Rossi Dell'Arno, Pio XI e Mussolini, cit., pp. 141 sg.; su retroscena e circostanze della cerimonia di Palazzo Venezia cfr. Rossi, Il manganello e l'aspersorio, cit., pp. 318-322 (questo libro, sebbene di carattere polemico ed apologetico, è utile per la vasta documentazione che presenta, mettendo in luce l'importante ruolo della Chiesa di Roma nel determinare gli esiti autoritari della crisi degli Stati liberali, in particolare in Italia); I. Cabai, Chiesa e regime nell'arcidiocesi di Udine durante l'episcopato di mons. Nogara (1928-1943), Università degli Studi di Trieste, Facoltà di lettere e filosofia, tesi di laurea in Storia della Chiesa, a.a. 1975/1976, pp. 346-351, e T. Venuti, Corrispondenza clandestina col Vaticano. Carteggio Nogara-Montini, 1943-1945, Udine, 1980, pp. 141-160 (si tratta però di uno scritto apertamente apologetico e con un'insufficiente avvertenza delle situazioni).

67 Cfr. De Felice, Mussolini il duce, cit., I, pp. 306 sgg., e Id., Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, 1988, pp. 235 sgg.

68 Chi è il Generale Franco?, in « L'Italia» , 12 maggio 1937, p. 1.

69 La parola dell'Arcivescovo, ivi, 29 ottobre 1936, p. 1.

70 Un interessante saggio sul tema della maledizione di Cam è quello di P. Charles, Les noirs, fils de Cham le maudit, in « Nouvelle Revue Th&eacuteologique» , Paris, 1928, tome 55, pp. 721-739.

71 I titoli erano di questo tenore: Compatto nell'entusiasmo e nella volontà il popolo di Milano riafferma la sua decisione e la sua certezza di vittoria mentre ascolta la parola del Duce che da Roma addita all'Italia le nuove mete(3 ottobre 1935); I segni della civiltà di Roma si alzano in Axum mentre continua lo sgretolamento del mosaico etiopico(17 ottobre 1935); Palpiti di vita nuova a Addis Abeba che s'avvia a diventare il centro della civilizzazione dell'Abissinia(7 maggio 1936); Il popolo di Milano nell'ora in cui si riaccende la luce di Roma imperiale vibra di un entusiasmo che testimonia la sua grande anima che nelle memorie di un passato glorioso, nella letizia delle nuove vittorie si tende verso le grandi mete del fulgido destino della Patria(10 maggio 1936).

72 Le ragioni dell'espansionismo italiano, in « L'Italia» , 8 dicembre 1935, p. 1.

73 Lezione di civiltà, ivi, 14 aprile 1936, p. 1.

74 Pace romana, ivi, 6 maggio 1936, p. 1.

75 La parola ai cattolici, ivi, 17 novembre 1935, p. 1.

76 ... E non ringraziato, ivi, 19 settembre 1935, p. 1.

77 Collaboratore dell'« Italia» , il Verga fu uno dei cinque candidati cattolici (su ventisei proposti dalla Santa Sede) che comparirono nella lista del Gran consiglio in occasione del plebiscito del '29 (cfr. nota 16 e De Felice, Mussolini il fascista, cit., II, p. 474). Il « Regime fascista» aveva scritto, nello stesso articolo al quale si fa riferimento nel testo: « Naturalmente vogliamo essere benevoli nel giudizio, perché sarebbe grave ritenere che solo l'annunzio che anche le campane delle Chiese avrebbero convocato il popolo nelle Sedi fasciste, abbia indotto L'Italia a non rimanere a lungo alla finestra. In questo caso non riusciremmo a spiegarci l'atteggiamento dell'on. Zeno Verga, che non ha mai mancato, nelle questioni piú importanti, di dare una nota spiccatamente fascista al giornale milanese» (queste affermazioni sono riportate nell'articolo dell'« Italia» cit. nella nota precedente).

78 Situazione e... situazioni, in « L'Italia» , 20 settembre 1935, p. 1.

79 L'ipocrisia delle sanzioni e i cattolici inglesi, ivi, 3 novembre 1935, p. 1.

80 I numi tutelari, ivi, p. 1.

81 L'Inghilterra puritana, ivi, p. 1.

82 I Cinque, L'Arcivescovo anglicano contro l'Italia, ivi, 15 ottobre 1935, p. 1.

83 P. Murialdi ( La stampa quotidiana del regime fascista, in La stampa italiana nell'età fascista, a cura di V. Castronovo e N. Tranfaglia, Roma-Bari, 1980, pp. 167 sg.) osserva che la stragrande maggioranza della gerarchia e della stampa cattolica sostenne Mussolini nella guerra d'Africa, senza che Pio XI intervenisse per moderare gli atteggiamenti, neppure i piú entusiastici, e annota che « i giornali-corifei» erano quelli « influenzati dall'arcivescovo di Milano, Schuster, tra i quali spiccano il quotidiano "L'Italia" e il settimanale "Protofamilia"» .

84 I Cinque, Bombe su Roma, in « L'Italia» , 1° novembre 1935, p. 1.

85 O.M., Come l'Italia conquista, ivi, 17 ottobre 1935, p. 1.

86 L'opera civilizzatrice di Roma, ivi, 1° novembre 1935.

87 Indipendenza economica, ivi, 19 settembre 1936, p. 1.

88 Ivi, 30 novembre 1938, p. 3.

89 Autarchia, ivi, 4 luglio 1937, p. 1.

90 La Bibbia come veleno, ivi, 7 maggio 1937, p. 1.

91 Il punto di partenza, ivi, 22 gennaio 1937, p. 1.

92 Via al deserto, ivi, 1 gennaio 1937, p. 1.

93 I Cinque, Il prezzo dell'onestà, ivi, 10 marzo 1937, p. 1.

94 Vaticano e dittature, cit., p. 38.

95 Un quadro ampio e documentato delle idee dominanti dell'Italia fascista, sia a livello dei teorici che dei gerarchi e della « folla solitaria» , della « massa dei "ben pensanti"» - come si dice nella presentazione -, è offerto da Zunino, L'ideologia del fascismo, cit.; in particolare, può interessare con riferimento al presente saggio la parte del libro inserita nel capitolo V ( La nuova economia e la rinascita della stirpe, pp. 269-281), dedicata all'ideologia demografica fra imperialismo e razzismo. Per quanto riguarda il tema della natalità e della famiglia quale terreno su cui avvenivano « i punti di contatto piú diretti e piú efficaci» fra Chiesa e fascismo, si veda Baget Bozzo, Il fascismo e l'evoluzione, cit., p. 675, e Jemolo, Chiesa e Stato in Italia, cit., p. 519.

96 Demografia e suffragio universale, in « L'Italia» , 16 giugno 1937, p. 1.

97 Citata, come già visto, da A.M. Racca (cfr. nota 88).

98 ... Anche la Provvidenza?..., in « L'Italia» , 14 agosto 1935, p. 1.

99 Con chi è Dio?, ivi, 29 maggio 1940, p. 1.

100 La parola dell'Eminentissimo, ivi, 8 maggio 1936, p. 5.

101 Il popolo di Milano nell'ora in cui si riaccende la luce di Roma imperiale [...], ivi, 10 maggio 1935, p. 4.

102 Ventimila Balilla e Avanguardisti sfilano superbamente [...], ivi, 18 maggio 1936, p. 4.

103 Per la genesi (legata a p. Gemelli) di questa idea nella diocesi ambrosiana, si veda G. Rumi, Profilo culturale della diocesi ambrosiana fra le due guerre, in Chiesa, Azione Cattolica e fascismo nell'Italia settentrionale durante il pontificato di Pio XI (1922-1939), Atti del quinto convegno di Storia della Chiesa, Torreglia, 25-27 marzo 1977, a cura di P. Pecorari, Milano, 1979, pp. 330 sgg. Cfr. inoltre L. Mangoni, L'Università Cattolica del Sacro Cuore. Una risposta della cultura cattolica alla laicizzazione dell'insegnamento superiore, in Storia d'Italia, Annali, IX, La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all'età contemporanea, a cura di G. Chittolini e G. Miccoli, Torino, 1986, pp. 977-1014.

104 Le armi d'Italia al cuore di Gesú, in « L'Italia» , 31 maggio 1936, p. 2.

105 L'Esercito al Cuore di Gesú ieri e oggi!, ivi, 7 giugno 1936, p. 2.

106 Troviamo ivi un altro esempio dell'insistenza su questo tema in un articoletto senza firma del 15 settembre '37, nella pagina dedicata alla cronaca di Milano ( Soldato e credente), scritto per piangere la morte nelle terre dell'Impero del generale Carlo Carini, definito un « credente autentico e soldato valoroso» , che aveva sempre affrontato l'« asprezza delle campagne guerresche» con convinzioni « perfettamente in linea con la dottrina e la pratica della Religione cattolica» , con una grandezza d'animo che « si ha solamente quando il soldato si è fuso nel credente ed il credente si è fuso nel soldato [...] sulle ali dei due grandi ideali che sono sintesi di raggiunto compimento umano: l'amore di Dio e l'amore della Patria» . Lo Jemolo ripercorre, non senza un certo imbarazzo, quell'aperto connubio fra Chiesa e armi ( Chiesa e Stato in Italia, cit., pp. 505-507).

107 I commentari biblici cattolici (cfr. ad esempio S. Cipriani, Lettere pastorali, in Il Nuovo Testamento, II, Roma, 1977; G. Ricciotti, Atti degli Apostoli - Lettere di S. Paolo, Milano, 1991) leggono oggi senza alcuna difficoltà i passi paolini in questione nei termini della necessità di un allenamento esclusivamente spirituale per garantire non solo la serenità e la pace in questa vita, ma anche la conquista di quella futura nei cieli, sottolineando che la pietà - ossia la religiosità - di cui parla Paolo, è quella che si traduce nella vita pratica esponendosi senza reagire alla persecuzione. In entrambe le citazioni, dunque, il senso di passi rivolti ai cristiani affinché sopportassero le difficoltà e i soprusi sperando nella futura giustizia celeste veniva capovolto per motivare le imprese guerresche dei credenti.

108 Nella tendenza - rafforzata dalle vicende del 1848, ma già viva nella cultura cattolica - a fare della Chiesa il modello per eccellenza della società civile (punto d'arrivo dottrinale fu il Vaticano I, che definí la Chiesa societas perfecta), la formulazione dogmatica dell'Immacolata concezione di Maria, il Sillabo e la definizione dell'infallibilità papale, assieme alle grandi encicliche di Leone XIII sull'ordine delle nazioni e sulla questione sociale, vanno di pari passo con l'avvio di tutta una serie di iniziative devozionali e di massa, e di organizzazione sul terreno politico e sociale del laicato fedele. La religiosità popolare fu incrementata da numerose canonizzazioni, da una liturgia piú solenne e pomposa, cosí come da grandi manifestazioni e pellegrinaggi organizzati e soprattutto dalla consacrazione di famiglie, comunità, città e nazioni intere alla Madonna o al Sacro Cuore di Gesú. Quest'ultima devozione, di particolare spicco, fu riproposta fin dal periodo rivoluzionario ma resa generale in tutta la Chiesa nella seconda metà dell'Ottocento, con Pio IX e Leone XIII. J.M Mayeur ( Catholocisme intransigeant, catholicisme social, d&eacutemocratie chr&eacutetienne, in Catholicisme social et d&eacutemocratie chr&eacutetienne, Paris, 1986, p. 24), ha parlato della consacrazione al Cuore di Gesú come del « legame tra le aspirazioni religiose e l'ideale politico e sociale degli intransigenti» ; di qui la relazione con la devozione del Cristo Re (la festa della « regalità di Cristo» fu proclamata da Pio IX con l'enciclica Quas primas nel '25, per dare una solenne risposta all'allontanamento della società da Cristo), che dà vita al Sacro Cuore-Re (cfr. A. Hamon, Coeur [Sacré], in Dictionnaire de Spiritualité, II, Paris, 1953, coll. 1037-1042). Cenni in Miccoli, Fra mito della cristianità, cit., pp. 76-79, 86-87; Menozzi, La risposta cattolica alla secolarizzazione rivoluzionaria, cit., p. 22; Mazzonis, Storia della Chiesa e origini, cit., pp. 385-386. Per il legame del Sacro Cuore con il programma della società editrice milanese Vita e pensiero, con la fondazione dell'ateneo cattolico e dunque anche con p. Gemelli, si veda G. Rumi, Spiritualità del S. Cuore e Università Cattolica, in Lombardia Guelfa, Brescia, 1988, pp. 197-211. Gemelli (cfr. nota 4) fu psicologo militare, e pubblicò un volume ( Il nostro Soldato. Saggi di psicologia militare, Milano, 1917) su cui ha scritto un interessante saggio V. Labita ( Un libro-simbolo: « Il nostro Soldato» di padre Agostino Gemelli, in « Rivista di storia contemporanea» , 1986, n. 3, pp. 402-429). Per la consacrazione dei soldati durante la prima guerra mondiale, alcune indicazioni in G. Rumi-A. Majo, Il cardinale Schuster e il suo tempo, Milano, 1979, pp. 28 sgg.; Rumi, Profilo culturale della diocesi ambrosiana, cit., pp. 330 sgg., e A. Zambarbieri, Per la storia della devozione al Sacro Cuore in Italia tra '800 e '900, in « Rivista di storia della Chiesa in Italia» , 1987, n. 2, pp. 361-432, pp. 401 sgg. Sui cattolici nella grande guerra si vedano le opere di G. De Rosa, Storia del movimento cattolico in Italia, I, Dalla restaurazione all'età giolittiana, Bari, 1966, pp. 577-624; A. Monticone, Gli italiani in uniforme 1915/1918. Intellettuali, borghesi e disertori, Bari, 1972; L. Bruti Liberati, Il clero italiano nella grande guerra, Roma, 1982, e quella, forse la piú esauriente (in particolare per il clero inferiore), di R. Morozzo Della Rocca, La fede e la guerra. Cappellani militari e preti soldati (1915-1919), Roma, 1980 (per la consacrazione dei soldati cfr. pp. 207 sgg.). Sul tema dell'impegno cattolico in Africa orientale e sulla relativa consacrazione delle truppe al S. Cuore, si veda Franzinelli, Il clero e le colonie, cit., pp. 559-569.

109 Il S. Cuore e i Soldati, in « L'Italia» , 31 maggio 1936; si tratta di una lettera al clero dell'Archidiocesi di Milano. L'episodio a cui si fa riferimento è quello narrato in Giovanni 19,34 (« [...] uno dei soldati gli forò il costato con una lancia, e subito ne uscí sangue e acqua» ). Lo stesso evangelista approfondisce il significato spirituale dell'evento in I Giovanni 5,6-8 (« [...] tre sono quelli che rendono testimonianza: lo Spirito, l'acqua e il sangue, e i tre sono concordi» ).

110 Per il totale consenso a favore di Franco e l'aperto aiuto ai nazionalisti da parte di organizzazioni, giornali e clero cattolici (dalle piú alte gerarchie ai livelli piú bassi), cfr. De Felice, Mussolini il duce, cit., II, pp. 376 sgg.; si veda inoltre I cattolici italiani e la guerra di Spagna. Studi e ricerche, a cura di G. Campanini, Brescia, 1987.

111 Dopo la crociata di preghiere e di carità per la Spagna straziata, in « L'Italia» , 28 gennaio 1939, p. 4.

112 G. Rumi, in Mondo cattolico e guerra civile spagnola: l'opinione ambrosiana, in « Rivista di storia della Chiesa in Italia» , I, 1982, pp. 35-48 (si tratta di una relazione tenuta al convegno La partecipazione italiana nella guerra civile spagnola, Roma, Scuola spagnola di storia e archeologia, 25-27 novembre 1981), definisce l'opinione ambrosiana una « importante e forse decisiva porzione della cattolicità italiana» . Sorprende l'affermazione del Rumi secondo cui l'atteggiamento dell'« Italia» nei confronti di Franco non vide « mai incondizionati entusiasmi, neppure nell'ora della vittoria» (p. 37). Basta scorrere rapidamente il quotidiano milanese per rendersi conto dell'enorme enfasi e del grandissimo entusiasmo con riferimento alle sorti di quella lotta che, d'altronde, lo stesso Rumi definisce - usando le espressioni del giornale - « scontro del bene col male» , « guerra della guerre» , « conflitto fra due civiltà o, meglio, tra le due Citta» , quella di Dio e quella di Satana (p. 40). Alla fine del saggio (p. 47), Rumi invita a lasciare i « titoli vistosi del quotidiano ambrosiano» , i « controllatissimi corsivi della prima pagina» (ma definirli « controllatissimi» , specialmente alcuni di essi, mi pare davvero singolare) e i « pezzi naturalmente apologetici dei corrispondenti di guerra» , per trovare un altro « tono» e un'altra « problematicità delle opposizioni» , ricercando in profondità « nei canali di formazione dell'opinione cattolica milanese» (ad esempio « La Scuola cattolica» , rivista « in certo modo interna al clero, e tuttavia tradizionalmente autorevole e assai ascoltata» , che in pieno periodo bellico si pronunciò a favore del non-intervento). Ma, se è giusto scandagliare tutte le fonti per farsi un'idea dell'intera opinione ambrosiana, è difficile capire perché si debbano minimizzare i corsivi di prima pagina del giornale piú letto e popolare, i titoli e sottotitoli piú che enfatizzati a piena pagina e le corrispondenze « naturalmente apologetiche» dai luoghi della guerra. Non è forse molto piú incisivo e importante, anche oggi, ciò che la persona media recepisce dai mass-media, piuttosto che dai documenti ufficiali o da scritti specializzati? E non è forse dai grandi mezzi di divulgazione che possiamo meglio rilevare ciò che effettivamente si vuole comunicare alla gente, come la si vuole influenzare?