next essayprevious article indice volumeStudi Storici 2, aprile-giugno 1995 anno 36


PREMESSE DEL POTERE DEMOCRISTIANO IN IRPINIA (1946-1948)

Pierluigi Totaro

1. Il voto del '46. In Irpinia le prime consultazioni elettorali del secondo dopoguerra interessarono la ricostituzione delle assemblee e delle amministrazioni locali in poco piú della metà dei 113 Comuni che allora contava la provincia e dove risiedeva il 62,4% della popolazione; nessuno di questi superava la quota di 30.000 abitanti: pertanto, tra il marzo e l'aprile del '46, le elezioni vi si svolsero con il sistema maggioritario, secondo quanto previsto dalla legge elettorale che in ciò ricalcava il testo unico del 19151. Piú di un motivo avrebbe consigliato di ricercare alleanze estese, onde garantirsi rappresentanze nella maggioranza o almeno nella minoranza di ciascun Consiglio comunale: intanto, si trattava di elezioni dall'esito imprevedibile, che per molte forze politiche rappresentavano una verifica senza precedenti; inoltre, nel contesto irpino, il sistema maggioritario favoriva la tendenza a personalizzare la contesa elettorale, ad enfatizzare lo scontro tra due gruppi contrapposti, raccolti, soprattutto nei Comuni minori, intorno ai candidati al seggio sindacale e solo in via subordinata ai partiti. Non era dunque esente da rischi la decisione della Democrazia cristiana, guidata dal segretario provinciale Fiorentino Sullo, di non aderire ad alcun blocco, di presentarsi all'appuntamento elettorale con liste autonome e con il proprio contrassegno, come del resto aveva suggerito il consiglio nazionale in ragione dell'evidente significato politico delle elezioni amministrative, da cui poteva dipendere l'esito del voto per la Costituente2. A quella linea si diede corso coerentemente, tranne che in pochi Comuni, dove in ragione di situazioni particolari fu decisa la confluenza in liste di centro-destra o centro-sinistra. La Dc intese in questo modo censire le proprie forze in preparazione delle elezioni politiche, purificando il partito delle « sezioni fittiziamente create per l'alchimia dei Cln» , e contribuire altresí alla chiarificazione politica nella provincia. Il partito si schierava contro ogni promiscuità e confusione, alimentate da una parte dal proliferare di formazioni locali apartitiche, partiti personali, unioni improvvisate e contingenti nelle « liste di famiglie o camarille» , che avevano accolto in buon numero esponenti del fascismo sfuggiti alle sanzioni in materia elettorale, e da un'altra dall'« artificiosa parità dei Cln, frutto il piú delle volte nei paesi dell'Italia Meridionale di alchimia familiare piú che di accordo di programmi e di idee» . 3Dalla determinazione ad evitare commistioni con altri raggrupp. amenti dipendeva un altro obiettivo primario: al voto si affidavano le attese della Dc di rafforzare l'identità politica dei cattolici che in passato era andata dispersa nel contatto con altre forze e culture locali, quando non ne era stata emarginata; ai cattolici irpini, per la prima volta, veniva data l'occasione per contarsi, uscire allo scoperto in quanto tali e sottrarsi a pratiche elettorali in funzione clientelistica, tipiche del periodo prefascista a causa delle manchevolezze e dei ritardi del movimento cattolico locale.

Nei 49 Comuni in cui si presentò con lista propria la Dc ebbe 392 eletti, conquistando il 31,2% dei seggi, ed ottenne la maggioranza in 22 Consigli comunali e la minoranza in 23. Quest'ultimo dato, se premiava la scelta per l'autonomia con una diffusa penetrazione sul territorio, precisava la misura e la qualità del voto democristiano, che in molte realtà lasciava il partito all'opposizione, a fronteggiare la larga affermazione delle liste di destra, di indipendenti e di carattere locale: prese nel loro insieme, a queste erano andati 566 seggi, pari al 45% del totale, e la maggioranza in 42 Consigli comunali4.

I risultati si prestavano ad interpretazioni controverse, di dubbia attendibilità si annunciavano previsioni formulate in base al test elettorale amministrativo, condizionato dal sistema maggioritario, sul comportamento che il 2 giugno avrebbe tenuto l'elettorato dell'intera provincia e, segnatamente, del capoluogo. Al momento, la frammentazione del voto divideva l'Irpinia secondo climi politici differenti e discontinui, influenzati da fattori locali e personalismi che, come già in occasione della nascita dei Comitati di Liberazione nazionale, si infiltravano in ogni partito e, resistendo al controllo degli organi provinciali, simulavano una articolazione di forze democratiche a volte del tutto fittizia5.

L'invito a votare « per i gruppi organizzati e che sanno quello che vogliono e non per le famiglie che intendono ancora monopolizzare la politica» era partito dalle fila democristiane con largo anticipo rispetto alla data delle elezioni per la Costituente6. Nel corso della campagna elettorale a questo appello si andò associando l'indicazione per la repubblica di alcune frange del partito che si riconoscevano nelle posizioni di Sullo e non si erano rassegnate ad un atteggiamento neutrale in materia istituzionale. La terapia d'urto per spezzare l'accerchiamento delle forze della conservazione non riceveva unanime approvazione all'interno del mondo cattolico locale: le prese di posizione del clero, per quanto la stragrande maggioranza dei suoi quadri svolgesse attiva propaganda al fianco della Dc, riguardarono perlopiú la polemica anticomunista che, anche nel parere del prefetto, assumeva toni di « eccessiva asprezza» . 7A tale proposito dissapori e frizioni avevano già da tempo investito i rapporti degli ambienti clericali e del laicato cattolico con il partito. Una relazione di Piercostante Righini, tra i propagandisti nazionali dei quali si avvalsero le fragili organizzazioni periferiche dell'Azione cattolica nelle attività preelettorali, oltre a fornire impressioni di prima mano sull'orientamento politico non ortodosso di una parte sia pur ridotta del clero, documentava questo stato di cose, attribuendolo in maniera riduttiva alle intemperanze caratteriali di Sullo8. Questi si era da tempo mostrato preoccupato per l'accresciuta invadenza nelle vicende politiche della Chiesa irpina, che in nome di un anticomunismo viscerale erigeva oltre i confini di una lecita distinzione gli steccati tra le forze impegnate nel rinnovamento democratico della provincia. Il sostegno di parroci e religiosi, profuso dopo un'iniziale esitazione in un flusso continuo di interventi e di iniziative pubbliche, pur essenziale all'estensione del consenso, corroborava il luogo comune della Democrazia cristiana partito dei preti e rischiava di connotare in chiave fin troppo moderata l'azione politica dei cattolici irpini9. Dal canto suo Sullo, pur escludendo ogni compatibilità ideologica tra il marxismo ed il cattolicesimo, riconosceva al partito la facoltà di trovare « nella trattazione dei problemi pratici dei punti di contatto» con i comunisti e le sinistre in genere10. Per l'esponente democristiano, evidentemente immune dall'assillo del pericolo rosso, la difesa della libertà religiosa rivestiva un carattere di minor urgenza rispetto ai nodi irrisolti dell'affermazione della democrazia, dell'educazione alla partecipazione politica delle masse e della formazione di una nuova classe dirigente nel paese e segnatamente in Irpinia. Qui, mentre i tentativi di riaggregazione dei residui del fascismo non destavano particolare apprensione, l'ostacolo piú temibile per il consolidamento dell'ordine democratico era individuato nei partiti di derivazione notabilare, incardinati su una rete di clientele legate al vecchio ceto politico liberale, in particolare agli ex deputati Alfonso Rubilli e Francesco Amatucci11. Proprio a queste due personalità, cui da piú parti si riconosceva il merito di avere con la propria autorevolezza conservato la provincia, nel periodo fascista, al riparo dal clima di violenze che altrove aveva dominato, la Chiesa si era rivolta nell'immediato dopoguerra per favorire in Irpinia una transizione prudente ed indolore alla democrazia12. In questa luce si comprende la crescente distonia tra la realtà ecclesiale e una Democrazia cristiana restia a lasciarsi assimilare al progetto di conservazione sociale che trovava nell'anticomunismo clericale un importante fattore di coagulo13.

Il responso delle elezioni per la Costituente restituí un'immagine dei rapporti di forza tra i partiti non molto dissimile da quella fissata dal turno delle amministrative. Quanti avevano confidato in uno sdoppiamento quantitativamente apprezzabile dei due esiti, in ragione della diversa qualità e posta in gioco delle consultazioni, in altri termini nella concentrazione dei voti nelle liste di rilevanza nazionale, furono smentiti dalla vischiosità del consenso alle formazioni della composita area di destra, a prevalente connotazione notabilare. La mobilitazione del movimento cattolico, che nonostante tutto era stata massiccia, non riuscí a condurlo al di là di un 27,7%, che lo confermava al primo posto nella provincia, con una buona diffusione territoriale (oltre il 20% in 81 dei 113 Comuni della provincia), ma restava tra le percentuali piú basse raccolte nel Mezzogiorno, inferiore di oltre 7 punti rispetto alla media meridionale (35,0%), e molto lontana dal risultato della costellazione delle liste di destra: considerate nel loro complesso, queste raccolsero in Irpinia il 48,6%, con punte e sfondamenti ragguardevoli nel capoluogo e nei tre centri maggiori (Ariano Irpino, Cervinara, Mirabella Eclano).14

Elezioni per l'Assemblea costituente. Provincia di Avellino. Raffronto percentuale dei risultati conseguiti dalle liste di destra e dalla Democrazia cristiana nel capoluogo e nei centri con oltre 10.000 abitanti

Avellino Ariano Cervinara Mirabella

Irpino Eclano

Dl 9,0 35,6 4,2 11,5

Udn 18,1 6,9 8,2 7,3

Uq 8,9 2,6 4,4 10,4

Bnl 4,2 3,0 44,8 25,6

Pun 1,2 1,0 1,1 0,8

Gci 12,8 1,0 0,7 0,4

insieme 54,2 49,1 63,4 56,0

Dc 25,3 20,9 26,8 32,9

Dl: Democrazia del lavoro; Udn: Unione democratica nazionale; Uq: Fronte dell'uomo qualunque; Bnl: Blocco nazionale della libertà Pun: Partito di unione nazionale; Gci: Gruppo combattenti indipendenti

Il dato referendario, per quanto l'Irpinia vantasse tra le province campane la percentuale piú alta in favore della repubblica (30,8%), confermava l'inclinazione moderata e tradizionalista di gran parte dell'elettorato, cui non si sottraeva la stragrande maggioranza di quello democristiano15.

La peculiarità della situazione postelettorale in Irpinia risaltava anche nell'ambito meridionale per l'alto numero di voti riscosso dalle liste non collegate al collegio unico nazionale: ad esse era andato ben il 17,9% dei voti, che saliva al 22,9% nel capoluogo16. La coabitazione di diverse propensioni elettorali in realtà territoriali finitime era un sintomo conclamato delle persistenti fattezze localistiche e del dominante personalismo della politica irpina, raffigurabile come un arcipelago di isole fortemente caratterizzate le une rispetto alle altre, ciascuna impegnata a difendere la propria specificità: dietro le alte percentuali del voto di destra si confermava un panorama estremamente frastagliato sotto l'aspetto territoriale, con preminenze e gerarchie scambievoli tra le diverse componenti di quell'area politica, rappresentate ed amplificate dal sistema proporzionale17. D'altronde, nemmeno la sinistra si sottraeva a questo tipo di considerazioni: il relativo successo del Psiup, forte del 9%, si era fondato principalmente sul seguito personale nelle rispettive zone d'origine dei suoi dirigenti provinciali, protagonisti di battaglie amministrative condotte nel periodo prefascista18. Al Pci, che aveva puntato su forme meno tradizionali di consenso, era andato un piú modesto ma omogeneo 5,7%, concentrato nelle zone bracciantili dell'Alta Irpinia e in quelle operaie, queste ultime non sempre esenti da cedimenti al voto per la monarchia e per le forze di destra19.

Un'analisi attenta ed alcune osservazioni meritano infine l'alta personalizzazione del voto e l'elevato uso delle preferenze: con il 49,9% delle preferenze esprimibili, la XXIV circoscrizione (Salerno-Avellino) si collocava al primo posto della graduatoria nazionale, cui corrispondevano valori percentuali molto alti in tutte le forze in campo20. Nella fattispecie, mediante le opzioni sui candidati, all'elettorato irpino riuscí di condizionare sensibilmente l'esito del voto e di spostare il baricentro politico del collegio a beneficio della propria provincia, in partenza svantaggiata dalla maggior rilevanza demografica di quella salernitana.

L'incidenza dei voti di preferenza espressi dall'elettorato irpino ebbe effetti rimarchevoli soprattutto sulle liste della Democrazia cristiana e dei partiti di destra; in esse gli eletti della provincia dimostrarono una maggiore capacità di attrarre consensi rispetto a quelli salernitani, tranne nel caso di Carmine De Martino, primo eletto come cattolico indipendente nella lista dell'Udn. Nelle liste di destra ben quattro dei sei neodeputati erano irpini: Costantino Preziosi della Democrazia del lavoro, subentrato a Francesco Amatucci, deceduto nei giorni delle elezioni, Giuseppe De Falco dell'Uq, Alfredo Covelli del Bnl e Alfonso Rubilli dell'Udn. Quanto alla lista della Dc, nella graduatoria delle preferenze Salvatore Scoca, capolista, e Fiorentino Sullo guadagnarono le prime due posizioni, rispettivamente con 31.532 e 15.532 preferenze, lasciandosi alle spalle i due eletti di Salerno, Lettieri (14.075) e Rescigno (13.216). Complessivamente, i sei candidati della provincia di Avellino acquisirono il 42,2% del totale delle preferenze attribuite alla loro lista (151.024), a dispetto del minor peso della componente irpina del voto democristiano nell'intero collegio: su 151.898 voti, la Dc ne aveva raccolti in provincia di Avellino soltanto 55.125, vale a dire il 36,3%. 21Come accennato, i candidati salernitani erano partiti favoriti dal maggior numero di elettori nella propria provincia (429.424, pari al 62,2% del totale, sui 260.580 della provincia di Avellino), cui corrisposero analoghe proporzioni nel numero dei votanti (375.565, pari al 61,8% del totale, sui 231.834 della provincia di Avellino); oltre ai valori assoluti, anche la percentuale dei consensi andati alla Dc sul totale dei voti validi in provincia di Salerno risultava superiore a quella analoga relativa all'Irpinia (29,9% su 27,6%). Pertanto, potenzialmente e a prima vista, il budget di preferenze a disposizione dei candidati salernitani risultava di gran lunga piú cospicuo di quello degli irpini. Tuttavia gli elettori irpini della Dc fecero un uso maggiore e piú accorto del voto di preferenza, concentrandolo sui candidati di punta e con piú possibilità di essere eletti, sino a compensare e sopravanzare il gap demografico e conquistando i primi due posti in graduatoria. Il raffronto tra i distacchi delle preferenze concentrate sugli eletti e quelle ottenute dagli altri candidati delle due province fornisce in proposito utili e definitivi elementi di giudizio: tra il secondo degli eletti irpini, Fiorentino Sullo, e il primo dei non eletti, Raffaele Intonti, correvano circa 7.000 voti di preferenza, differenza che aumentava vistosamente con gli altri tre, Venditti (-11.872), Ciampi (-12.097) e Castagnetti (-12.875). Tutt'altro il quadro relativo ai candidati salernitani: l'omologa distanza tra Raffaele Lettieri e Carlo Petrone ammontava ad appena 961 voti; seguivano altri quattro non eletti raccolti in un intervallo inferiore alle 3.500 preferenze. Queste cifre denunciavano l'alto tasso di concorrenza interna che aveva afflitto la campagna elettorale della Dc salernitana, con la conseguente dispersione dei voti di preferenza, a fronte del sostanziale accordo tra i leader del partito in Irpinia e alle ripercussioni positive dell'iniziativa di Scoca di proporre e caldeggiare personalmente la candidatura del giovane Sullo, impegnandosi successivamente a sostenerla nella propria zona di influenza, a partire dal suo centro di irradiamento, il comune nativo di Calitri22. Infine, non va sottovalutato che in questa fase Scoca e Sullo non risentirono dell'azione di disturbo di quel notabilato tradizionale, non solo cattolico o proveniente dal Partito popolare, che in altre zone del Mezzogiorno era riuscito ad accedere al partito, intralciando l'affermazione degli uomini nuovi: quel successo personale andava dunque pienamente ascritto al subitaneo rinnovamento della Dc irpina del quale i due, e in primo luogo Sullo, erano stati promotori.

L'elevata quota di consensi individuali raggiunta da Scoca e, in misura minore ma consistente, da Sullo, suggerisce un'ultima riflessione sul voto di preferenza, in relazione al risultato globale della Dc: in un contesto dove, secondo una tendenza comune al resto del Mezzogiorno, la scelta del candidato rivestiva carattere di tale importanza e in cui si rispecchiava una pertinace concezione personalistica e spesso paternalistica della funzione politica, è plausibile che molti dei voti fossero giunti alla Democrazia cristiana sulla scia del ruolo che Scoca, come rappresentante dell'Irpinia nel governo e del governo in Irpinia, e Sullo, per il prestigio legato alla sua apprezzata attività di segretario del partito, esercitavano sulla scena provinciale23; per il successo di entrambi gli uomini di punta della Dc irpina non si può ritenere determinante, invece, l'appoggio delle organizzazioni collaterali, particolarmente dell'Azione cattolica locale, che si astenne dal raccomandare questo o quel candidato, né, probabilmente, avrebbe avuto le risorse sufficienti a condurne in porto l'elezione24. Per quanto concerne Sullo vi è inoltre da aggiungere che, per la coerenza con cui mantenne pubblicamente la sua posizione in materia istituzionale, egli non dové essere privilegiato nelle indicazioni delle gerarchie ecclesiastiche, scopertamente filomonarchiche, in Irpinia come nel resto del Mezzogiorno e in gran parte del paese, nonostante le formali dichiarazioni di neutralità25; semmai, la fedeltà alla corrente repubblicana gli portò le preferenze delle leve giovanili, piú avanzate della Democrazia cristiana e, quel che piú conta qui sottolineare, gli permise di acquisire al partito quote dell'elettorato progressista, altrimenti deputate a rimanere retaggio esclusivo delle forze politiche dichiaratamente repubblicane: si può dunque ragionevolmente sostenere che non fu tanto la Dc a pilotare l'elezione di Sullo, quanto questi a procurarle un nutrito e insperato pacchetto di consensi26.

In questa prospettiva, anche la relativa omogeneità del voto democristiano in Irpinia parrebbe fortemente correlata all'effetto trascinante del credito personale dei due leader, anelli di congiunzione intorno ai quali cominciava a saldarsi il legame tra porzioni della società locale, peraltro ancora minoritarie, ed il partito, che stentava ad imporsi con una fisionomia organizzativa e una linea politica precise. L'adesione alla Democrazia cristiana venne fondamentalmente garantita dall'autorevolezza e dall'iniziativa politica, in una parola dalla mediazione dei suoi esponenti di rango, che fecero da sponda ad ambienti sociali ed orientamenti politici anche tra loro distanti, ricavandone una speciale investitura, destinata a rafforzarsi e ad assumere, in seguito a ripetute messe a punto e adeguamenti agli input della società locale, lo spessore di un solido potere personale. Le nuove forme di leadership e di carisma, messesi in luce sin da queste prime prove elettorali, confermavano per l'Irpinia la supremazia della dimensione personale dei rapporti politici, presupposto alla penetrazione di poteri che, seppur alimentati dallo scambio clientelare, si sarebbero retti primariamente su un processo di identificazione collettiva e sulla fiducia in un gruppo ristretto e selezionato di dirigenti di partito e di uomini di governo27. La via all'ammodernamento della mentalità e delle strutture politiche, pertanto, si inaugurava in Irpinia grazie ad una miscela di vecchio e di nuovo, all'insegna di un tacito compromesso con l'eredità del passato, che, nonostante alcune crepe e i primi segni di estinzione della generazione dei notabili prefascisti, lasciava nelle elezioni del '46 tracce ben visibili e non soltanto all'esterno dei nuovi partiti; alla distanza, sarebbero prevalse proprio quelle figure, come Scoca e Sullo, che sin da allora si atteggiarono a reinterpretare il personalismo, basso continuo della politica irpina e in genere meridionale, in un'accezione e in una versione aggiornate, proponendosi, individualmente, quali luoghi di acclimatazione e di accesso mediato di larghi strati popolari al pluralismo e alla democrazia, ignorati quando non disdegnati dalle regole e dagli uomini del vecchio clientelismo locale. Pur cosí temperato, questo processo di trasformazione avrebbe risentito di battute d'arresto e arretramenti per l'intermittenza del consenso elettorale concesso al partito di governo: nelle altalenanti sorti della Dc si sarebbero riversate le diffidenze e le ansie di una società che, riluttante al cambiamento, rimase almeno sino al '53 restia a sintonizzarsi stabilmente sulle lunghezze d'onda della politica nazionale.

L'anno elettorale si concluse in Irpinia alla fine del mese di novembre con l'ultimo ciclo di amministrative che interessò anche il capoluogo. Nei centri minori i risultati ricalcarono quelli della primavera, ma la novità venne dalla maggiore disponibilità della Democrazia cristiana ad accordarsi con le formazioni di destra: « La Dc che nelle passate elezioni amministrative era scesa quasi dovunque con liste proprie - scriveva Orazio Formichelli, segretario della federazione comunista irpina -, bloccando alle volte con i partiti di sinistra, oggi tenta di bloccare (ed infatti blocca) con la destra, chiarendo, cosí il suo vero carattere ed il vero volto» . 28In realtà una politica piú spregiudicata delle alleanze divenne abbastanza generalizzata, proponendo improbabili avvicinamenti ed un movimento a tutto campo in palese contraddizione con le tendenze frontiste che si andavano affermando sulla scena politica italiana: frange della composita area di destra, cui si attribuivano rigenerate chances di successo elettorale, si prestarono e vennero talvolta utilizzate anche dalla sinistra per dar vita a convergenze momentanee in funzione della conquista delle amministrazioni comunali, dove, come ad Avellino, la Dc mantenne fede all'intenzione di non stringere accordi con altri partiti o gruppi29. L'eterogeneo agglomerato, che nel capoluogo, sotto la denominazione di Blocco popolare repubblicano, comprese comunisti, socialisti, azionisti, repubblicani, indipendenti e, inaspettatamente, i Combattenti e reduci, formazione vicina ai gruppi di Amatucci e Rubilli, già nel corso della campagna elettorale aveva lanciato segnali di apertura verso i « liberali progressivi» e i demolaburisti, contro l'eventuale elezione alla carica di sindaco del commissario amministrativo della città, Di Tondo, capolista della Dc, al centro di numerose polemiche per i trascorsi fascisti e di alcune denunce riguardo a malversazioni compiute nella gestione degli ammassi e degli aiuti alimentari30. I risultati elettorali risentirono di queste polemiche e registrarono una pesante sconfitta della Dc (14,5%, rispetto al 25,3% delle politiche); conquistando il 29,1% dei voti e 12 seggi, il Blocco popolare si affermò di misura sull'Uq, ma il vero vincitore delle consultazioni fu il partito delle astensioni, che con il 34,4% segnalò una precoce e profonda diaffezione politica del corpo elettorale cittadino (34,4%).31

Elezioni comunali di Avellino, 24 novembre 1946

% seggi

Pci, Psi, Pd'a, Pri, Combattenti e reduci 29,1 12

Dl 13,9 5

Pli 18,0 7

Dc 14,5 6

Uq 24,5 10

Plasmati dall'impegnativo tour de force elettorale, i grandi partiti italiani ne sortivano quali soggetti politici indispensabili alla giovane democrazia e, al momento, unici titolari della sovranità nazionale; ad essi, in virtú del mandato popolare del 2 giugno, spettava di rifondare lo Stato, in sé ancor privo di quella piena legittimità che avrebbe riguadagnata solo in seguito alla proclamazione della repubblica e all'avvento della nuova carta costituzionale. In aggiunta ai compiti istituzionali, alla « società politica» veniva idealmente affidata la delega a garantire la coesione del paese, ricucendo le fratture che le stesse elezioni avevano evidenziato nella loro conformazione geografica32. Il riconoscimento del ruolo del sistema dei partiti nella transizione alla repubblica nel Mezzogiorno era andato incontro a sfasature e diffidenze di non poco momento; queste si dovevano, tra l'altro, all'impostazione centralistica, che in dosi e gradazioni diverse contrassegnava progressivamente la struttura organizzativa delle formazioni politiche nazionali e, per l'opposizione meridionale, le caratterizzava come i « partiti di Roma» , la cui autorità sulla periferia derivava essenzialmente dalla partecipazione al governo33. La destra si era appropriata con tempestività delle ragioni dei tanti particolarismi che impregnavano la cultura politica meridionale, ricavandone un eccellente profitto elettorale; ma da parte dei partiti democratici quel fenomeno andava opportunamente indagato e contrastato con la stessa premura e severità nelle proprie articolazioni periferiche, dove l'impostazione burocratica e gerarchica dell'attività politica collideva con consuetudini antiche, con una tradizione di mobilitazione discontinua e legata a bisogni ed interessi immediati: « Quasi sempre le sezioni non si preoccupano di scoprire il "quadro" - avvertiva Orazio Formichelli, in procinto di assumere la segreteria provinciale del Pci -. Si accontentano di avere l'"avvocato", il "professore", il ragioniere, qualche operaio, che fra stenti e anemie portino avanti la sezione [...]» . 34Nel partito comunista irpino, per un verso l'attività caotica delle sezioni, sottoposte a troppo frequenti mutamenti di direzione, la carente disciplina e unità dei dirigenti, per un altro l'elevato turn-over, il basso livello culturale e la scarsa partecipazione degli iscritti all'attività politica, riproponevano con ricorrenza, dietro agli insoluti problemi organizzativi e alla preoccupazione ossessiva per l'unità, la difficoltà a rescindere i robusti legami di affinità e complicità con l'ambiente circostante35; questi si erano palesati anche al momento del voto, che i militanti non di rado avevano indirizzato al candidato « paesano» piú che al partito:

Abbiamo dovuto constatare - denunciava il segretario uscente Baroncini - che il nostro partito in alcune località era anche l'espressione di correnti trasformistiche, abbiamo dovuto constatare la presenza di cricchette che, però, sono state prontamente liquidate come tali dalle nostre file [...].36

Piú duratura risultò la crisi di autorità che il Pci dovette affrontare nei rapporti con i consiglieri e gli amministratori locali eletti nelle sue liste; d'altronde, il taglio personalistico della competizione amministrativa li rendeva di per sé piuttosto autonomi dagli organismi direttivi sezionali e provinciali del partito, costretti a richiamare frequentemente i propri rappresentanti nei Comuni perché rendessero conto del loro operato e si attenessero alle linee di condotta precedentemente concordate37. Cosí, mentre il notabilato prefascista e il trasformismo tradizionale mostravano i primi segni di dissoluzione, il vecchio costume politico, che prevedeva l'uso del partito per fini e interessi propri e particolari, minacciava di attecchire nelle forze di progresso. I problemi connessi alla precaria consistenza organizzativa, alla lentezza del processo di democratizzazione, investivano indistintamente tutto lo schieramento antifascista, rispecchiando, insieme ad una inveterata mentalità politica, una società poco articolata e strutturata, refrattaria ad inquadrarsi negli apparati dei partiti; non sorprende, allora, di ritrovare ben vivo anche nella Democrazia cristiana il timore che iniziative centrifughe delle sezioni comunali e degli amministratori locali ne mettessero a repentaglio la compattezza38.

La sfida per l'affermazione di moderni strumenti di lotta politica, fondati su un'organizzazione capillare e incentrati sul controllo delle sezioni locali attraverso i comitati e le segreterie provinciali, accomunava il partito comunista e la Democrazia cristiana; un duro scontro, indotto dalle vicende nazionali e internazionali, li vide protagonisti anche in Irpinia in prossimità del 18 aprile 1948, ma non cancellò la portata politica piú generale e meno contingente dei risultati elettorali che li riguardarono. Lo schiacciante successo della Dc, pur viziato dall'ingerenza della Chiesa e contaminato dalla cooptazione del personale di destra, e quello relativo del Fronte popolare, sostenuto quasi esclusivamente dall'iniziativa del Pci, segnarono, se non il decisivo consolidamento, una tappa importante nella faticosa, non lineare penetrazione dei partiti democratici in quella provincia, secondo del resto un andamento riscontrabile in tutto il Mezzogiorno, che attestava il graduale spostamento delle masse su forme avanzate di partecipazione politica39.


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* Questo studio è nato nell'ambito di una ricerca sul potere politico in Campania nel secondo dopoguerra in corso presso il Dipartimento di discipline storiche dell'Università « Federico II» di Napoli sotto la direzione del prof. Francesco Barbagallo, che desidero ringraziare per l'orientamento al tema e l'attenzione costante alle diverse fasi del mio lavoro.

1 Cfr. Istat, Ministero dell'Interno, Statistica delle elezioni amministrative dell'anno 1946 per la ricostituzione dei consigli comunali. Dati provvisori per i Comuni che effettuarono le elezioni dal 10 marzo al 7 aprile 1946, Roma, 1946. In Irpinia al primo appello elettorale rispose l'81,2% degli aventi diritto nei Comuni interessati.

2 Cfr. F. Chabod, L'Italia contemporanea (1918-1948), Torino, 1961, p. 146; A. Gambino, Storia del dopoguerra. Dalla liberazione al potere Dc, Roma-Bari, 1978, p. 201; G. Tupini, Collaudo elettorale, in « Il Popolo» , 8-2-19. Fiorentino Sullo, nato a Paternopoli (AV) nel 1921, era approdato nell'aprile del '44 alla segreteria provinciale della Democrazia cristiana irpina dopo aver militato nelle fila dell'Azione cattolica sin dal 1932, svolgendovi attività di dirigente diocesano, quindi nel primo nucleo della Fuci a partire dal 1939. Sullo fu tra i protagonisti del rilancio dell'iniziativa politica della Dc, che seguí un periodo iniziale piuttosto opaco, segnato da una certa vacuità programmatica e dalla sostanziale subalternità alle logiche clientelari di liberali e demolaburisti. Per un profilo biografico si veda P. Esposito, Fiorentino Sullo, in Il parlamento italiano. Storia parlamentare e politica dell'Italia 1861-1988, vol. 19, 1964-1968. Il centro sinistra, Milano, 1992, pp. 118-121.

3 « Corriere dell'Irpinia» , 16-3-1946, e cfr. A. Aurigemma, Discorso celebrativo a 15 anni dalla fondazione del partito, in « Cronache irpine» , 19-10-1958. Sulla « deplorevole tendenza» di alcune liste, presentate nei centri minori, ad includere candidati con precedenti fascisti si veda Archivio centrale dello Stato (ACS), Ministero dell'Interno (MI), Gabinetto (Gab.), 1944-46, b. 214, fasc. 22509, Relazione mensile del prefetto [Foti], 31-3-1946. La stessa Democrazia cristiana non sempre tenne fede al proposito di respingere ogni tentativo di infiltrazione perpetrato da ex fascisti e dal loro seguito: cfr. ivi, b. 265, fasc. 25625, Avellino. Provvedimenti a carico di fascisti, Denuncia anonima del 30-4-1946 contro il notaio Pasquale Clemente di Cervinara; questi, già segretario politico del Fascio locale, venne candidato e risultò eletto nel '46 nella lista democristiana per il Consiglio comunale (cfr. « Il Paese» , 29-3-1946). Grazie all'operazione Clemente nelle amministrative di novembre la Dc raddoppiò a Cervinara il dato delle politiche (57,4% e 16 seggi, rispetto al 26,8%), conseguendo altresí uno dei risultati piú significativi nell'ambito dei centri irpini con oltre 10.000 abitanti (cfr. nota seguente).

4 Nel computo si sono considerati i seggi conquistati da Democrazia del lavoro, Pli, Uq, Combattenti e reduci, partiti locali, indipendenti, gruppi con indirizzo prevalente di destra. Nei due centri maggiori, con piú di 10.000 abitanti, i risultati per la Dc non furono lusinghieri; ad Ariano Irpino non ebbe alcuna rappresentanza: la maggioranza (36,1% e 24 seggi) andò ai demolaburisti di Enea Franza, che ne sarebbe divenuto sindaco, la minoranza (27,1% e 6 seggi) alla lista dei socialcomunisti collegati con alcuni indipendenti. A Mirabella Eclano la maggioranza fu conquistata dal Pli (52,2% e 16 seggi), mentre alla Dc toccò la minoranza (47,8% e 4 seggi). Anche in un altro grosso centro, Atripalda, la Dc fu relegata all'opposizione dalla lista composta da demolaburisti e indipendenti. Quanto alle sinistre, ai 211 seggi acquisiti, pari al 16,8%, corrispondeva la maggioranza soltanto in 12 Consigli comunali, perlopiú concentrati nei paesi dell'Alta Irpinia e negli insediamenti tradizionali del socialismo prefascista.

5 Non di rado il carattere paesano della contesa politica avrebbe alimentato la faziosità delle giunte comunali, responsabili di azioni di rappresaglia e di sopraffazione nei riguardi della parte sconfitta e a scapito di una conduzione equilibrata dell'amministrazione locale: cfr. ACS, MI, Direzione generale di Pubblica sicurezza( Dir. gen. Ps), Divisione affari generali e riservati( Div. aa. gg. rr.), 1931-49, cat. C-2/I, anno 1946, pacco 71 A, Avellino. Elezioni amministrative; ivi, MI, Gab., 1944-46, b. 274, f. 26402, Avellino. Elezioni amministrative 1946, nota del prefetto.

6 F. Sullo, La Costituente, una necessità e due pericoli, in « Il Domani irpino» , 17-1-1946.

7 Cfr. ACS, MI, Gab.,1944-46, b. 214, fasc. 22509, Avellino, Relazioni mensili del prefetto [Foti], 28-2, 31-3, 31-5-1946. Da tempo, storici di diverso orientamento hanno rilevato che in Italia la battaglia in nome della civiltà cristiana e dell'anticomunismo, ispirata e condotta nel '46 dalla Chiesa attraverso la rete delle parrocchie e le associazioni di Azione cattolica in via di riorganizzazione, fu analoga nei contenuti e nelle modalità, se non per intensità, a quella del '48 (cfr. E. Ragionieri, La storia politica e sociale, in Storia d'Italia, 4, 2, Dall'Unità a oggi, Torino, 1976, pp. 2459-2460; A. Giovagnoli, Le organizzazioni di massa d'Azione Cattolica, in Cultura politica e partiti nell'età della Costituente, I, L'area liberal-democratica. Il mondo cattolico e la Democrazia Cristiana, a cura di R. Ruffilli, Bologna, 1979, pp. 357-358).

8 Cfr. M. Casella, Cattolici e Costituente. Orientamenti e iniziative del cattolicesimo organizzato (1945-1947), Napoli, 1987, pp. 225-226; in un altro appunto Righini manifestava in maniera ancor piú esplicita il disagio verso gli atteggiamenti di Sullo, accusato di usare « modi fascisti nei rapporti col Clero» (Archivio storico dell'Azione cattolica italiana [ASACI], Gioventú italiana di Azione cattolica [GIAC], Avellino, Relazione di P. Righini, 8-5-1946).

9 Cfr. « Il Domani irpino» , 19-6-1945 e 17-1-1946; « Irpinia libera» , 15-1-1946. Sulle ingerenze del clero nella vita politica provinciale, cfr. i frequenti riferimenti in ACS, MI, Dir. gen. Ps, Div. aa. gg. rr., 1931-49, cat. C-2/I, anno 1945, p. 58 A, Avellino. Relazioni mensili del prefetto; ivi, MI, Gab.,1944-46, b. 74, fasc. 6184 e b. 219, fasc. 22687, Avellino. Attività politica del clero; ivi, MI, Partiti politici, b. 30, fasc. 165/P/9, Democrazia cristiana. Avellino, Rapporto del 9-6-1945: « Il clero si è apertamente schierato contro il comunismo, giungendo a negare le forme di assistenza religiosa, concesse ai fedeli, e cioè l'assistenza al matrimonio, la sepoltura ecclesiastica, l'ammissione nelle pie associazioni e negli uffici di padrino nel battesimo e nella cresima, e l'assoluzione nel sacramento della penitenza» . Per un'analisi dell'anticomunismo clericale e della mobilitazione permanente della Chiesa che ne scaturí nei primi anni del dopoguerra, si veda J. D. Durand, L'Eglise catholique dans la crise de l'Italie (1943-1948), Roma, 1991, pp. 351 sgg. e 411 sgg.

10 Cfr. F. Sullo, Noi e i comunisti, in « Il Domani irpino» , 3-7-1945. Sul piano nazionale Sullo coltivava l'auspicio per la formazione di coalizioni non troppo estese ma di centro-sinistra (cfr. « Il Domani irpino» , 17-1-1946, e Aurigemma, Discorso celebrativo, cit.) In generale, sulla « divaricazione di fatto» nei primi anni del dopoguerra tra la linea « violentemente anticomunista» della Chiesa e quella piú consapevole delle esigenze politiche del momento della Dc, cfr. G. Miccoli, La Chiesa di Pio XII nella società italiana del dopoguerra, in Storia dell'Italia repubblicana, vol. I, La costruzione della democrazia, Torino, 1994, pp. 558-559.

11 Cfr. F. Sullo, Democrazia nostra, in « Il Domani irpino» , 19-6-1945.

12 Nel '44, grazie alla mediazione di mons. Bentivoglio, vescovo di Avellino, sia Rubilli che Amatucci avevano assunto importanti responsabilità al fianco del governo militare alleato, divenendo l'uno consigliere personale del commissariato provinciale dell'Amgot, l'altro commissario prefettizio dell'amministrazione provinciale.

13 Anche in Irpinia, come nel resto del Mezzogiorno, l'elemento religioso, assumendo le parvenze della conservazione, non risultò il principale motivo mobilitante e unificante del blocco di forze sociali che prese a raccogliersi intorno alla Democrazia cristiana, diversamente da quanto accadde in altre realtà del paese, per le quali si è parlato non a caso, almeno per l'immediato dopoguerra, di un « collateralismo a rovescio» del partito alla Chiesa (cfr. S. Lanaro, Società civile, « mondo» cattolico e Democrazia Cristiana nel Veneto tra fascismo e postfascismo, in La Democrazia Cristiana dal fascismo al 18 aprile, a cura di M. Isnenghi e S. Lanaro, Venezia, 1978, pp. 3 sgg.; per alcuni giudizi pregnanti sul profilo conservatore della Chiesa meridionale cfr. G. De Rosa, L'esperienza politica dei cattolici e i tempi nuovi della cristianità, in I cattolici italiani nei tempi nuovi della cristianità, Atti del convegno di studio della Democrazia cristiana, Lucca 28-30 aprile 1967, Roma, 1967, p. 60; A. Riccardi, Il « partito romano» nel secondo dopoguerra [1945-1954], Brescia, 1983, pp. 157-158). Secondo un parere diffuso, proprio la tenue identificazione cattolica del Sud democristiano, l'adesione non ideologica alla Dc, sono state alla base della sua debole egemonia culturale nel Mezzogiorno e della stretta correlazione del successivo processo di laicizzazione e di secolarizzazione del partito con quello della sua graduale ma incessante meridionalizzazione (cfr. S. G. Tarrow, Partito comunista e contadini nel Mezzogiorno, Torino, 1972, p. 270; P. Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi. Società e politica 1943-1988, I, Dalla guerra alla fine degli anni '50, Torino, 1989, p. 270; S. Magister, La croce sulla scheda. Teorie e pratiche del voto cattolico, in La croce sulla scheda. Condotte politiche del cattolicesimo italiano, in « Religione e società» , 1990, n. 10, p. 59; M. Caciagli, La meridionalizzazione della Dc, ivi, p. 72).

14 Le percentuali sono calcolate sui dati pubblicati a cura del ministero dell'Interno in Consultazioni popolari nella Campania 1946-1960, vol. I, Roma, 1962. Insieme ai centri amministrativi burocratici di livello locale, come in tutto il Mezzogiorno interno, le zone di egemonia della destra irpina corrispondevano a quelle dove prevalente era la piccola proprietà contadina (cfr. M. Rossi-Doria, L'agricoltura nel Mezzogiorno, in « Il Ponte» , 1947, n.7; F. Anderlini, Una modellizzazione per zone socio-politiche dell'Italia repubblicana, in « Polis» , 1987, n. 3, p. 474; Id., L'Italia negli anni Cinquanta: struttura urbano-rurale e climi politici, in « Quaderni dell'osservatorio elettorale» , 1989, n.23).

15 La repubblica ottenne in Irpinia oltre il 40% in un quarto dei Comuni e la maggioranza in 13 di essi, perlopiú sulla scia del successo delle sinistre. Sul voto repubblicano dei contadini nelle province interne della Campania cfr. M. Rossi-Doria, Il voto per la Repubblica in Campania, in La Campania dal fascismo alla repubblica, I, Società e politica, Napoli, 1977, pp. 759 sgg. Per quanto concerne l'Irpinia non va sottovalutato il sostegno che alla propaganda per la repubblica portò l'ala repubblicana della Dc, guidata da Fiorentino Sullo.

16 Gran parte di questi voti, l'11,8%, era andato alla Democrazia del lavoro, che si presentava solo nella circoscrizione Avellino-Salerno; questa lista ottenne nel capoluogo irpino il 9%.

17 Sulla territorialità o frammentazione spaziale dei conflitti, sulla capacità di persistenza delle culture politiche locali a difesa degli assetti comunitari tradizionali e, quindi, come fattori esplicativi dei comportamenti elettorali piú attendibili di altri, quali la stratificazione sociale e la struttura economica, cfr. U. Giusti, Aspetti geografici e sociali delle elezioni politiche italiane del 18 aprile 1948, Roma, 1949, pp. 57 sgg., dove la ricorrente, sensibile differenziazione elettorale tra realtà limitrofe veniva attribuita al peso determinante esercitato dall'ambiente e da « influenze psicologiche di storica derivazione» ; Elezioni, territorio, società, a cura di C. Brusa, Milano, 1986; M. Caciagli, Approssimazione alle culture politiche locali. Problemi di analisi ed esperienze di ricerca, in « Il Politico» , 1988, n. 2; P. Feltrin, Le culture politiche locali: alcune osservazioni critiche sugli studi condotti in Italia, in « Il Politico» , 1988, n. 2, pp. 293-333; D. Comero, Geografia del consenso elettorale, in Partiti storici e nuove formazioni, a cura di G. Galli e D. Comero, Milano, 1992, pp. 216-242, in particolare pp. 220-221 e 227.

18 Cfr. C. De Mita, Relazione al XIII Congresso provinciale della Democrazia cristiana irpina, in « Cronache irpine» , 19-10-1958.

19 A Tufo ed Altavilla, centri dove non irrilevante era la presenza operaia, proprio in quegli anni teatro di lotte sociali di una certa intensità, rispettivamente il 70 e il 67% votò per la monarchia, mentre il fronte delle destre assorbí il 43% dei consensi alle politiche.

20 Cfr. Istat, Ministero dell'Interno, Elezioni per l'Assemblea Costituente e referendum istituzionale (2 giugno 1946); L. D'Amato, Il voto di preferenza in Italia, Milano, 1964, p. 30.

21 In dettaglio, a Scoca andò il 20,9% e a Sullo il 10,3%. Gli altri candidati irpini erano Raffaele Intonti, Giovanni Castagnetti, Giuseppe Mario Ciampi, Francesco Venditti. Per un approccio all'analisi della distribuzione del voto di preferenza tra i candidati di una medesima lista cfr. P. Scaramozzino, Un'analisi statistica del voto di preferenza in Italia, Varese, 1979, pp. 57 sgg. Salvatore Scoca, nato a Calitri nel 1894 ma presto trasferitosi a Roma, esperto di scienze finanziarie (nel '48 divenne avvocato generale dello Stato), durante l'occupazione tedesca si era rifugiato in Vaticano dove aveva conosciuto De Gasperi e partecipato alla stesura del programma della Dc clandestina, giungendo a ricoprire incarichi ministeriali di prestigio già nei governi Bonomi: sottosegretario alle Finanze nel primo, al Tesoro nel secondo, di nuovo alle Finanze nel '46 con De Gasperi. L'autorevolezza acquisita a livello nazionale ne fece un sicuro punto di riferimento per la Dc irpina; inizialmente indifferente alle vicende locali del partito, Scoca divenne il trait d'union con le intuizioni e l'opera di De Gasperi. Sulla figura e la carriera politica di Scoca, eletto alla Camera nel '48 e nel '53 nella circoscrizione di Avellino-Benevento-Salerno, cfr. la voce redatta da F. Barra per il Dizionario storico del movimento cattolico in Italia 1860-1980, vol. III/1, Le figure rappresentative, Casale Monferrato, 1984, p. 790.

22 In questo senso la testimonianza fornitami da Fiorentino Sullo (Salerno, 24-9-1993), alla cui cordiale disponibilità devo preziosi chiarimenti sulle vicende politiche che lo videro protagonista in quegli anni. Scoca, tuttavia, in alcune zone appoggiò anche altre candidature, come quella di Intonti ad Ariano, con un duplice scopo, di salvaguardare la propria leadership nella provincia e nel collegio elettorale dalla concorrenza di Sullo, dimostratosi subito in grado di raccogliere con le proprie forze un vasto consenso, e, all'un tempo, di non alienarsi il sostegno che a sua volta poteva ricevere dagli altri esponenti irpini presenti nella lista democristiana, dove questi contassero un certo seguito.

23 Una conferma a questa ipotesi mi è venuta dalla testimonianza di Giovanni Di Capua, che con Fiorentino Sullo condivise negli anni Cinquanta l'appartenenza alla corrente democristiana di Base (Roma, 6-5-1993). L'espressione del voto di preferenza, largamente utilizzato nel Sud non solo al seguito delle liste di impianto personalistico e clientelare, ma anche in senso limitativo del riconoscimento del ruolo sociale e politico dei grandi partiti di massa, e correttivo della loro traiettoria modernizzante, rappresentò un riscontro e un indicatore puntuale della prudente adesione dell'elettorato meridionale alla nuova democrazia (cfr. Istat, Ministero dell'Interno, Elezioni per l'Assemblea Costituente, cit.). In relazione al voto fortemente personalizzato e alla scarsa identificazione con l'« immagine del partito» nel Mezzogiorno, tornano utili le osservazioni di Alessandro Pizzorno, secondo il quale nel sottosistema meridionale la separazione tra le strutture tradizionali (nel caso il personalismo della politica) e le strutture legal-razionali (i partiti) non è mai stata netta e si è invece sempre creata, attraverso contaminazioni reciproche, una struttura mista che ha impresso una facciata di modernità alle persistenti realtà del passato ( Il sistema politico italiano, in « Politica del diritto» , 1971, n. 2, pp. 197-209).

24 Cfr. P. Borzomati, I « giovani cattolici» nel Mezzogiorno d'Italia dall'Unità al '48, Roma, 1970, p. 65.

25 Sull'orientamento monarchico del clero durante la campagna per il referendum cfr. Giovagnoli, Le organizzazioni di massa, cit., p. 333, e F. Traniello, Città per l'uomo, Bologna, 1990, pp. 271 sgg.

26 Di questo parere anche G. Di Capua (testimonianza citata).

27 Per un approccio al problema del potere personale e dei processi di identificazione collettiva nei sistemi politici moderni, cfr. G. Roth, Potere personale e clientelismo, introduzione di P.P. Portinaro, Torino, 1990; sulla complessità dello scambio politico si veda G.E. Rusconi, Scambio, minaccia, decisione, Bologna, 1984. Per una riflessione sulla persistenza nel Mezzogiorno repubblicano del criterio personalistico nella gestione dei rapporti politici, cfr. G. Galasso, La « modernizzazione» (1945-1975), in Id., L'altra Europa, Milano, 1982, p. 241.

28 « La Voce» , 16-10-1946.

29 Sull'iniziativa delle sinistre per la formazione di larghe alleanze elettorali per le amministrative di novembre cfr. Fondazione Istituto Gramsci, Archivi (IG), Archivio del Partito comunista italiano (APC), Federazioni, Avellino, 1946, Verbale della riunione della giunta d'intesa tra il Psiup ed il Pci, 29-8-1946.

30 Cfr. « La Voce» , 23-11-1946. Sulle elezioni del novembre '46 e i motivi dell'insuccesso democristiano cfr. F. Sullo, Stranezze della politica avellinese, in « Il Lupo» , 30-3-1950: la Dc, attraverso un manifesto, pur prendendo le distanze da Di Tondo già durante la campagna elettorale, non riuscí a scongiurare i riflessi negativi dello scandalo.

31 Cfr. ACS, MI, Gab., 1946, b. 214, fasc. 22509, Relazione mensile del prefetto [Foti], 9-12-1946; Ministero dell'Interno, I risultati delle elezioni dal 1946 al 1952, Roma, 1953, p. 460.

32 Cfr. S. Vassallo, Il governo di partito in Italia (1943-1993), Bologna, 1994, p. 104. Per la definizione di « società politica» e la sua preminenza nella prima fase della storia dell'Italia repubblicana cfr. P. Farneti, Introduzione a Il sistema politico italiano, a cura dello stesso, Bologna, 1973, pp. 27 sgg.

33 Cfr. C. Vallauri, La ricostituzione dei partiti democratici 1943-1948. La nascita del sistema politico italiano, Roma, 1977, pp. 12 sgg.

34 IG, APC, Federazioni, Avellino, 1946, Verbale della seconda conferenza provinciale d'organizzazione, 14/15-9-1946.

35 Su questi problemi cfr. ivi, Avellino, 1946 e 1947. Per una lucida analisi dello stato del Pci in Irpinia, si veda la dura reprimenda di Giorgio Amendola ai suoi dirigenti (ivi, Comitato regionale della Campania 1948. Rapporto al convegno regionale Campania-Lucania-Molise, 18-10-1948). Per una documentata ricostruzione dei problemi e della qualità dell'organizzazione del Pci nel Mezzogiorno cfr. G. Maione, Mezzogiorno 1946-1950. Partito comunista e movimento contadino, in « Italia contemporanea» , 1986, n. 163, pp. 31-64; e, inoltre, S. G. Tarrow, Partito comunista e contadini nel Mezzogiorno, cit., pp. 166-173.

36 IG, APC, Federazioni, Avellino, 1946, Verbale della seconda conferenza provinciale d'organizzazione, 14/15-9-1946, Relazione del segretario provinciale uscente Baroncini.

37 Cfr. ivi, Avellino, 1947, Verbale di riunione federale allargato 18-9 e 25-9-1947, Relazione politica di O. Formichelli e relazione sulle amministrazioni comunali di sinistra di G. Iandoli.

38 Cfr. « Corriere dell'Irpinia» , 16-3-1946.

39 La storiografia di sinistra ha da tempo riconosciuto alla Dc un ruolo attivo nella diffusione tra le masse meridionali di un'ideologia democratico-liberale fondata sul pluralismo, sia pur nel contesto di una vicenda complessa e non lineare che proprio nel Sud vide quel partito, alla ricerca di identità e collocazione, modellarsi nello scontro, confronto e osmosi con qualunquisti e monarchici: cfr. Istituto siciliano per la storia dell'Italia contemporanea (ISSICO), Nord e Sud nella crisi italiana 1943-1945, Atti del Convegno-Tavola rotonda, Catania 14-15 marzo 1975, Cosenza, 1975, in particolare gli interventi di G. Manacorda (pp. 9-19) e G. Santomassimo (pp. 213 sgg.).