previous article indice volumeStudi Storici 2, aprile-giugno 1995 anno 36


LA STORICITA' DEL DISCORSO

Lia Formigari

Il volume di Jacques Guilhaumou, Denise Maldidier, R&eacutegine Robin, Discours et archive. Exp&eacuterimentations en analyse du discours(Li&egravege, Mardaga, 1994) raccoglie il risultato di circa venti anni di lavoro, a partire dalla metà degli anni Settanta, cioè dagli anni immediatamente successivi al decollo di quella specifica branca della sociolinguistica che in Francia ha preso il nome di analisi del discorso. I campi disciplinari di appartenenza dei tre autori sono la linguistica (Denise Maldidier) e gli studi storici (Jacques Guilhaumou e R&eacutegine Robin): campi che risultano coinvolti qui in un solo programma scientifico di studio delle strategie del discorso, essenziale strumento ermeneutico della ricostruzione storica.

Se si vuole stabilire un inizio del « tragitto nella storicità del discorso» testimoniato in questo volume, si può forse risalire al 1973, quando vedeva la luce il volume Histoire et linguistique, curato da R&eacutegine Robin (Paris, Colin), nel quale si definivano le relazioni tra linguistica e storia e si poneva il problema dei rapporti tra formazioni ideologiche e pratiche discorsive e del ruolo di queste ultime all'interno di una formazione sociale. L'incontro tra linguistica e storiografia veniva poi consacrato cinque anni piú tardi quando Jacques Le Goff affidava a Jacques Guilhaumou e Denise Maldidier la redazione dell'articolo Langage della Enciclopedia della Nouvelle Histoire, da lui diretta ( Les encyclop&eacutedies du savoir moderne, Paris, Cepl, 1978).

Destinata in qualche modo a rinnovare il ruolo e le funzioni già ricoperti dalla filologia nel fornire criteri di interpretazione di testi (storici, giuridici, religiosi, ecc.), l'analisi del discorso è andata sviluppandosi in Francia in modo costante specie nei centri di Paris-Nanterre, dell'Ecole normale sup&eacuterieure de Saint-Cloud e di Paris 7, e ha conosciuto negli ultimi anni un'applicazione tanto varia quanto massiccia e significativa.

Sue componenti furono all'inizio, certamente, lo strutturalismo e la connessa egemonia della linguistica tra le scienze umane negli anni Sessanta-Settanta, ma anche la sempre maggiore attenzione degli storici ai temi della mentalità e della rappresentazione. Quanto piú questa attenzione si ampliava e approfondiva, tanto meno era possibile, nella pratica della ricerca storica, mettere in secondo piano o addirittura ignorare le strategie del discorso.

Insistendo, soprattutto a partire dagli anni Sessanta, sulla non-trasparenza del testo, la linguistica teorica non diceva certo nulla che la critica storica piú avvertita già non sapesse e praticasse: che i testi, cioè, hanno bisogno d'essere interpretati. Ma sicuramente aveva inizio da allora un percorso proficuo per entrambe le discipline: per la storia, che mutuava dalla linguistica le molte e diverse tecniche di analisi atte a far emergere il senso di un testo; per la linguistica, che rinunciava alla analisi immanente fin lí di preferenza praticata, per far emergere il « non linguistico» che funziona da co-testo.

Gli apporti della linguistica teorica nella formazione delle tecniche di analisi non sono semplicemente riducibili a un generico « clima» strutturalistico: al contrario, sono molto vari e compositi. Gli autori stessi (in particolare Jacques Guilhaumou e R&eacutegine Robin, estensori dell'introduzione, pp.9-17), parlano in proposito di « bricolage» , e, percorrendo a ritroso la genesi della loro pratica scientifica, cosí ne descrivono gli ingredienti:

Quanto al metodo, esso consisteva essenzialmente nello scegliere, come storici, un corpus determinato al quale applicare procedure di descrizione derivate dalla linguistica strutturale e/o dalla narratologia. Il « nocciolo duro» era il metodo di Harris, piú o meno rimaneggiato, rielaborato [...], associato ad altri procedimenti, il campo semantico, l'analisi semica, gli studi lessicali, informatizzati o meno. Piú tardi, il nostro dispositivo metodologico si è arricchito attraverso la lettura di Roland Barthes, Emile Benveniste e G&eacuterard Genette, prima ancora dell'epoca d'oro della teoria dell'enunciazione alla metà degli anni Settanta. Ci eravamo resi conto di quanto fosse interessante individuare nel discorso la ripresa, il rifiuto, lo sviamento del discorso dell'altro, e quanto fosse interessante cogliere strategie argomentative esplicite nel discorso. Nel contempo, una blanda utilizzazione di categorie desunte dalla narratologia ci consentiva di affinare l'analisi dei nostri testi politici (pp.12-13).

In vari punti di questo volume il percorso è analizzato e descritto in tutte le sue implicazioni teoriche per la linguistica e per la storiografia, e per le loro interazioni. In particolare ciò è fatto nell'introduzione, di natura prevalentemente epistemologica, al cap. 2 ( Courte critique pour une longue histoire[1979], pp.75-90), al cap. 7 ( El&eacutements pour une histoire de l'analyse de discours en France[1989], pp. 173-183). Gli autori citano la felice formula di un altro maestro riconosciuto dell'analisi testuale, Michel Pêcheux - « la materialità della lingua nella discorsività dell'archivio» - come la piú atta a sintetizzare i rapporti tra la storia e la linguistica e i modi complessi in cui le tecniche di analisi delle lingue naturali possono intervenire nella lettura e interpretazione dei testi. Il discorso è assunto, in quanto processo, nelle sue relazioni con l'extralinguistico, dunque essenzialmente come pratica sostenuta da un insieme di regole e fortemente determinata da una implicita o esplicita dialogicità. Dominique Maingueneau ( L'analyse du discours, Paris, Hachette, 1991) ha potuto parlare in proposito di un vero e proprio « primato dell'interdiscorsività» : per esempio nello studio delle variazioni lessicali nate dallo sforzo di adattare il proprio « dizionario» a quello dell'interlocutore. Applicato prevalentemente alla sociosemiotica del discorso politico e sindacale, l'analisi del discorso ha contribuito in modo decisivo allo studio delle rivoluzioni in Francia, fin dagli studi pionieristici di Jean Dubois sul linguaggio politico della Comune e di R&eacutegine Robin sul discorso politico prerivoluzionario; poi quelli di Jacques Guilhaumou culminati nel volume del 1989, La langue politique et la R&eacutevolution fran&ccedilaise(Paris, Meridiens-Klincksieck).

Il principale laboratorio nel quale gli autori mettono a punto i loro strumenti teorici è ancora una volta, in questo volume, la rivoluzione francese, anche se non mancano esempi tratti da avvenimenti piú recenti. Uno è offerto dal cap. I ( Du spectacle au meurtre de l'&eacutev&eacutenement[1976]), dove si studiano le diverse modalità di costruzione dell'avvenimento (un episodio del maggio '68: il meeting nello stadio di Charlety) in diversi generi di testo ( reportages, commenti, editoriali) e in quattro diversi giornali « Figaro» , « Aurore» « Combat» , « L'Humanité» . Un altro esempio è fornito dalla storia del Pcf al cap.4 ( L'affaire Fiszbin: un exemple de r&eacutesistance[1981], pp.113-131).

La rivoluzione non è, dunque, l'unico laboratorio di questa storia sociale dei testi. Essa resta tuttavia un luogo privilegiato di queste analisi, le ricerche sulla « linguistica» rivoluzionaria si intrecciano con la genesi stessa dell'analisi del discorso in Francia (cfr. il cap. 6, La langue fran&ccedilaise à l'ordre du jour [1789-1794][1986], pp. 151-171; il cap. 8, De l'&eacutenonciation à l'&eacutev&eacutenement discursif en analyse de discours[1986], pp.185-192; il cap.9, De nouveaux gestes de lecture ou le point de vue de l'analyse de discours sur le sens[1990], pp.193-202): il periodo rivoluzionario « offre un terreno propizio all'incontro tra archivio e lingua.L'osservatore è colpito dalla esatta concomitanza tra il rigoglio dei discorsi rivoluzionari e la "rivoluzione linguistica" che instaura il francese nazionale» (p. 196).La questione della lingua in Francia è rivelativa del modo in cui « un sintagma da tempo costituito ( langue fran&ccedilaise), in una congiuntura nuova attraverso la circolazione di enunciati nuovi e nel contesto di determinati avvenimenti, comincia a produrre un senso inedito» (p. 196).

La confluenza di competenze storiche e competenze teorico-linguistiche, negli anni Ottanta ha prodotto non solo in Francia, ma anche in Italia e in Germania, una eccezionale mole di lavoro in particolare attorno al tema della politica linguistica della rivoluzione francese, che ha avuto poi un effetto di ritorno sulla storiografia linguistica producendo una vera e propria « scoperta» , per esempio, del contributo degli id&eacuteologues alle teorie della lingua.

Un tema esemplare sul quale le tecniche di analisi discorsiva vengono messe alla prova in questo volume è la cosiddetta « question des subsistances» (cfr.il già citato cap. 3, e piú oltre il cap. 5, Coordination et discours[1984], pp. 133-150) e la trasformazione che essa subisce alla vigilia della rivoluzione e durante gli eventi rivoluzionari, quando la sussistenza del popolo da dovere paterno del sovrano verso i sudditi si muta in oggetto di competenza amministrativa. Il tema della sussistenza viene associato ad altre rivendicazioni ( Du pain et à Versailles!... Du pain et la liberté!... Du pain et du fer!...ecc.) e « fa intervenire il livello grammaticale e le proprietà sintattico-semantiche della coordinazione che, producendo effetti di totalità, fa sorgere nuovi referenti o nuove parole d'ordine sulla scena politica rivoluzionaria» (p. 196).

Certamente, l'incontro tra lingua e archivio impone al linguista di spostare la sua attenzione, in modo specifico, sulla sfera del discorso. E nella creazione di questa « linguistica del discorso» , una linguistica cioè che non si occupa della lingua come sistema di segni ma della lingua nelle pratiche della comunicazione, la presenza teorica e il prestigio di Emile Benveniste sono stati sicuramente decisivi. Per altro verso lo studio delle strategie comunicative interne al documento problematizza la nozione stessa di archivio (cfr. il cap. 3, Effets de l'archive[1986], pp.91-111). L'archivio non è riflesso passivo di una realtà istituzionale; al contrario, si costituisce, nella sua stessa materialità e diversità, in funzione del proprio orizzonte sociale, non è un semplice dato, ma è l'oggetto di « una lettura che scopre dispositivi e configurazioni dotati di significato» (p.92).L'avvenimento stesso (per esempio la morte di Marat: cfr.pp.199-200), il senso dell'avvenimento, « si costituisce attraverso una gerarchia di sequenze narrative e descrittive» (p. 196).È evidentemente la negazione dell'idea positivista di archivio come pura oggettività classificatoria. L'analisi del discorso, assumendo a proprio oggetto la molteplicità dei possibili dispositivi testuali, si trasforma in storia sociale dei testi.

Bilancio di un programma scientifico ben lungi dall'avere esaurito le sue potenzialità, questo volume si raccomanda alla lettura dei linguisti come a quella degli storici, delineando per entrambe le categorie professionali una disciplina interpretativa tanto capace di ulteriori applicazioni quanto ricca di sollecitazioni teoriche.